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LETTERE DA COPENAGHEN – XXXVIII UN PADRONE PER MIRABELLE

By 5 Dicembre 2008Giugno 28th, 2021No Comments

Africa Coloniale Tedesca, 9 gennaio 1918.

Quando tornai in me stessa, mi ritrovai tra le braccia della padrona, sdraiata su di un’ottomana.
– Sei un po’ ammaccata, un po’ sciupata, ma non ti &egrave successo niente ‘ fu il commento della signora. ‘ Continuerai a fruttarmi quanto prima, se non anche di più. Ma dove sei stata? Con chi sei andata?
– Uh, quante storie’ Desideravo solo divertirmi un poco, ecco tutto ‘ le risposi, scuotendo leggermente la testa.
– Pettinati e rimettiti in sesto, che ti voglio come una bambola!
Mi stropicciai le palpebre piano piano, mentre muovevo le labbra cercando di capire se fossi ancora capace di schioccare dei baci.
Ricordo che una delle mie amiche perdette la testa. La tristezza la rapiva, la portava via con sé, non si sapeva da dove fosse venuta, né il suo perché. Era vero, al mondo esisteva anche la tristezza, un sentimento che assomigliava alle foglie degli alberi di Amburgo, che spuntavano, sapendo di dover morire un giorno, come dopo un sogno!
Ursula ‘ questo era il nome dell’infelice, della quale già vi parlai ‘ corse via, gridando e piangendo, per i viottoli della città, tenendosi la testa fra le mani. Forse, stava sperimentando la sua prima delusione d’amore. Ella era disperata ed andava dicendo che voleva uccidersi!
Io la rincorsi, per confortarla, per salvarla, per strapparla ad un destino crudele. Pensavo di essere una delle poche che la amavano.
– Ursula, torna da me! Torna qui! Non andartene! ‘ le gridavo affettuosamente, inseguendola. ‘ Ci sono io che ti voglio bene!
La ragazza portava sul capo un cappello nero, rotondo, ornato di fiori finti, dai petali celesti, rossi e bianchi ed era così carina, con indosso quel suo vestitino giallo scuro, con la gonna lunga e leggera, adatta all’inverno!
Ella narrava le sue disavventure ai faggi, che la ascoltavano, assorti nel loro silenzio mite e perpetuo. Si era infilata in un vicolo triste, sul quale s’affacciavano dei fabbricati fatiscenti, dai muri decrepiti e ricoperti d’edera. In un angolo, si discerneva una chiesa abbandonata, dalle guglie nere, sulla destra c’erano delle officine e delle fornaci, dalle cui ciminiere si levava un fumo color della pece. Sulla sinistra c’era una ringhiera rugginosa, al di là della quale stavano un precipizio assai ripido ed un canale profondo, dove scorrevano acque gelide.
– Ursula! ‘ gridai.
La giovane si sporse da quella ringhiera, poi prese a scavalcarla, piangendo’ Oh, sì, lacrime di malinconia le inondavano le guance e le facevano desiderare la morte! Le sue mani bianche, le sue dita lunghe toccavano il ferro freddo, tanto, tanto freddo.
– Amica mia, ci sono io a consolarti! Ti amerò più di qualunque altro essere al mondo! ‘ le dissi, raggiungendola.
Riuscii a prenderla per il lembo della gonna, un istante prima che fosse troppo tardi.
– Ti amo tanto ‘ le dissi, astergendo ogni lacrima dai suoi begli occhi e baciandola su entrambe le guance. ‘ Ti consolerò di ogni sofferenza’
Il suo cappellino a fiori volò giù nel canale e le fredde acque lo divorarono in un lampo. Fu come se lo stringessero fra i loro artigli grifagni, per poi trascinarlo nel baratro. Il fumo nero, che si levava sempre dalle ciminiere delle fornaci, mi nascose quella vista, per poi svanire nel vento.
– Ursula, ci sono qua io ad aiutarti! ‘ le sussurrai teneramente, accarezzandola. ‘ Sei la mia migliore amica’ Non piangere!
La strinsi forte tra le mie braccia, per consolarla. Ella appoggiò affettuosamente il capo sulla mia spalla, spargendovi le sue ultime lacrime di malinconia. Mi disse che se non ci fossi stata io, avrebbe scavalcato la ringhiera e si sarebbe buttata giù. Una foschia vaga ci avvolse. In essa, brillavano i miei sguardi e le luci fioche dei lampioni.
– Guarda, spunta l’aurora ‘ le mormorai. ‘ Il mattino &egrave grigio e triste, ma ci sono io, a consolarti col mio amore.
Poco dopo, ridevamo quasi a crepapelle, perché le avevo raccontato una barzelletta, onde farla sorridere.
Friedrich mi inseguì, mi rapì nella sua passione. Il nostro gioco di gelosia e d’affetto continuò, nel quartiere a luci rosse.
– Che cosa farai per vendicarti, adesso? ‘ gli chiesi, ridacchiando. ‘ Dimmi, che vorresti farmi?
– Diventerò il tuo padrone, tu sarai la mia schiava e dovrai obbedirmi!
– Agli ordini, allora. Cucù!
– Che fai, cerchi di scappare? Dove credi di andare? Pensi davvero che ci sia un angolo della città in cui tu possa sfuggirmi? Io conosco ogni angolo di Amburgo!
– Non ci credo! Non ci credo! ‘ gli risposi, canticchiando. ‘ Fra un attimo me ne andrò e ti lascerò con un palmo di naso!
– Provaci, signorina!
– Allora, vuoi proprio che stia ai tuoi ordini?
– Certamente! Sono io il tuo padrone d’ora innanzi!
– Il mio padrone’ Che parola grossa!
Questo bisticcio amoroso avvenne nell’ingresso del bordello in cui ricevevo i marinai, dei quali mi servivo per far ingelosire sempre più il mio caro amante. Friedrich mi afferrò per un braccio e proprio in quel momento passò la padrona, con indosso una vestaglia verde. Ci disse:
– Che cosa avete da strillare? Non bisticciate troppo, voi due! Qui siamo in casa mia!
La vista delle rughe del suo volto mi fece venire da ridere. Riuscii a stento a dissimulare la mia espressione divertita.
– Tesoruccio ‘ dissi a Friedrich. ‘ Dovresti vedere quanti bei ragazzi mi cercano e mi vogliono! Tu, in fondo, sei solo uno dei tanti. Perché mai dovrei preferirti agli altri? Io ho molti spasimanti! Se sapessi’
– Impertinente! Ti farò passare la voglia di parlarmi così! ‘ mi ammonì lui.

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