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S’incanta l’immagine
mentre fumi la tua centesima
sigaretta, con nonchalance,
come non esistesse neanche
tra le dita; eppure, intorno,
grigie si stampano spirali di fumo.

Brillano gli occhi tuoi, come sempre:
un attimo d’incendio; la fiamma
accesa accosti alla bocca
che regge il tubicino di carta,
ma già è esplosa nel mio petto
squassato che rapido s’affanna.

E tu aspiri il sapore del tabacco;
inali il suo sublime aroma,
lo trasformi, lo fai tuo e suo
diventi; in unico afflato io vivo
del tuo respiro, mi tange, si fa carne;
nella mia carne t’avverto, palpito.

Aspiri ancora, trattenendo il fiato,
rigirando il sapore acre del tabacco
bruciato, ed io mi consumo; arde
la brace, come la tua sigaretta così
io brucio, brucia il mio petto, brucia
il cuore dolente che non s’arresta,

non schianta, ma s’affretta in sostenuti
aritmici battiti tachicardici; pulsano
le tempie, si riversano i torrenti
delle arterie che rombano nelle orecchie
come cascate rubescenti che annientano
l’udito; altri sensi, invece sono accesi

e, turgidi, tendono il loro materico
ingombro che dolce dà il senso del desiderio
acuto che prende, assale e con la forza
di barbarico impeto costringe al moto
alternato, continuo, estenuante che strugge
il tormentato percorso con l’unico sbocco

che si profila dinanzi. Si torce la materia,
freme sotto la sferza di mille stimoli;
fonde, sottoposto a temperature di non ritorno;
si oppone, tenta di non ridursi in cenere,
mentre sfregano i tattili sensi che rapiscono
i nostri omeotermici involucri. Non cedo,

finché posso. Poi il freno s’allenta e provo
l’ineffabile uzzolo che porta al trionfo;
si abbatte l’onda su te, su me, mi sommerge,
si stampa su di te e insieme smaniamo,
cercandoci e trovandoci al limite infinito.

Alla fine restiamo, incantati nel nostro sogno,
mentre tu espelli quel fumo aspirato
dalla cicca che ormai spenta s’annida
[fra le tue dita.

Nina Dorotea

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