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Quattro uomini ed una signora

By 12 Marzo 2012Dicembre 16th, 2019No Comments

‘IL CASO CI AIUTA’.’ NON POTREMO SEMPRE FAR CONTO SUL CASO, SULLA DEA FORTUNA’. SENTO CHE PER ORA E’ CON NOI’ SIGNORA DELLA NOTTE TI SALUTO.

Il tram parte strapieno, sono stanca. Una giornata infernale dopo sei mesi infernali. Adesso però, a sorpresa, giovedì,venerdì e tutta la prossima settimana a casa. Recupero ferie non godute, pena la perdita del diritto. Ho altro per la testa. Sono sposata da pochi mesi e devo scegliere un avvocato, ho deciso di separarmi da Marco. Non vedo alternative. Quattro uomini hanno segnato la mia vita. Papà, il primo. Mi ha inchiodato in testa cominciando da piccola, dalle elementari, ad affrontare le cose in un certo modo. Pensaci su bene prima di decidere. Prenditi tutto il tempo che vuoi o che hai. Quando hai deciso vai fino in fondo, nello studio ed in tutto. Mi ha convinta. Il secondo non posso chiamarlo uomo. Io avevo tredici anni e lui per quello che ho visto, al massimo un anno o due in più. In strada, per fortuna abbastanza lontano da casa, di sorpresa mi ha messo le mani addosso, cercando le tette che non c’erano ancora. E’ scappato tenendosi la mano che ero riuscita a mordere. Sono scappata anch’io, dalla parte opposta. Da allora so che sapore abbia il sangue. Mamma non ha saputo nulla. Ho sognato per mesi, poi ho smesso senza però dimenticare. Da allora guardo con sospetto chiunque porti i pantaloni, anche le donne. Poche festicciole, nessun filarino. Il terzo il professore della tesi. Son sempre riuscita bene, a scuola prima e poi all’università. Grazie a lui ho avuto un lavoro quando ancora mancava un anno alla laurea. Un ottimo lavoro nel campo dei miei studi e della tesi. Infine Marco. Mi ha aiutata per strada, avevo inciampato e mi ha portata a casa fino a consegnarmi nelle mani di mamma. Ci siamo rivisti, non abitava lontano. Da cosa è nata cosa. Con le mie paure, fobie meglio, avevo tenuto lontano tutti. Lui è diventato un amico. Ci vedevamo qualche volta in pasticceria o per strada. Un amico. Poi un caro amico. Solo un amico comunque fino ad un anno fa. Lo conoscevo ormai da anni quando mi ha chiesto di sposarlo, ed ho accettato. Mi piaceva e prima del matrimonio non è mai andato oltre i baci e qualche carezza. Con mia sorpresa non mi spiacevano. Mamma era in riviera dalla sorella che non stava già bene, adesso vive li. Sarebbe tornare con un treno del mattino. Marco spesso cenava da me, ero sicura con lui, tranquilla. Dopo avermi aiutato a rigovernare, sul divano qualche effusione, senza andare oltre. La mano però ha insistito un poco più del solito nelle carezze e sono andata un poco in estasi. Perché aspettare ancora tutto questo tempo… Dentro di me ho esitato dandogli sotto sotto ragione. Lo desideravo anche’ io. Non ho neanche pensato alla possibilità, la quasi certezza di restare incinta dato il periodo, non a questioni di principio, ma alla certezza di non poter nascondere a mamma l’indomani le tracce nel letto. Neanche parlarne di cambiare e lavare a sua insaputa due lenzuola. Se l’avessi fatto…non dovrei cercare un avvocato. Immagini delle nozze. Felicità aspettativa… poi a casa. Mi preparo, niente affatto ansiosa. Non molto almeno. Poi quasi svengo dal male. Ci riproviamo il mattino seguente. La dottoressa mi spiega che moltissime donne ne soffrono anche se, in genere in maniera più lieve. Una volta bisognava aspettare che coito dopo coito l’imene e la parte si normalizzassero. Per alcune due o tre volte, per altre di più. La cosa spariva col primo parto. Nel mio caso, se volevo farlo subito, avrebbe provveduto col bisturi in cinque minuti. No, non posso farlo. Era più forte di me non potevo e non posso ora. Mese dopo mese le cose si son fatte più difficili. Ho paura quando si avvicina. Non sopporto neppure più un bacio, una carezza. Gli voglio bene, lo amo anzi, ma non posso, non posso proprio e la cosa ormai si trascina da troppo tempo. Non gli ho detto come stiano le cose. Anche questo mi è impossibile, quindi: un avvocato. Non sono problemi da poco e tutta presa dai pensieri sbaglio fermata, trascinata anche dalla gente che scende. E… devo andare al supermercato a fare la spesa. Sono nata e cresciuta in questo quartiere, abitiamo a casa di mamma che ormai vive in riviera sia per aiutare la zia sia perchè ci sta bene, meno freddo e umido. Prendo la scorciatoia. Dritto poi a destra, poi una scuola, la mia scuola media, un giardinetto, qualche officina e botteghe di artigiani quasi tutti chiusi e le due villette o palazzine, separate, una volte unite anzi da un giardino, non grandissimo ma neanche piccolo. Ci venivo a giocare da piccola. Nella palazzina di sinistra ci stavano sia una mia insegnante che una compagna di classe. Finiti i compiti, se la stagione ed il tempo lo permettevano, scendevamo a giocare con altri bambini. Il giardino ben tenuto e cintato era delle due case. Adesso le case sono vuote. Una bega tra eredi dicono. Può essere, ma la recinzione ha più buchi del gruviera e le finestre del piano terra sono chiuse da assi. La gente, io stessa qualche volta, ci passo di giorno. E’ pomeriggio tardi ed è buio. Se voglio andare a fare la spesa passando a prendere il portafogli che stamani ho lasciato a casa devo sbrigarmi. Al buio fa impressione, in cinque o sei anni i platani sono rimasti gli stessi ma a terra la vegetazione ha coperto tutto, alta quanto me e rinsecchita dal freddo. Il sentiero, una traccia soltanto, costeggia la palazzina. Un bivio tra la ramaglia. A sinistra. Sbagliato. Dopo pochi passi torno indietro. Li vedo, due uomini, due ombre. Vengo stretta soffocata da mani forti, irresistibili per me che sono abbastanza minuta. Scalcio, vorrei gridare ma non posso. Mordo senza successo una mano guantata. Vengo trasportata di peso, soffoco, perdo i sensi. Rinvengo lentamente, impaurita. Man mano che riprendo conoscenza la paura cresce, diventa terrore, incontenibile. Perdo i sensi e riprendo conoscenza. Sento mani oscene che mi palpano il petto, frugano tra le gambe mentre qualcuno ride. Cerco di scalciare, non ci riesco. Cerco di mordere e ci guadagno un ceffone tremendo che mi rintrona, ed è quasi buio. Mi abbandono, immobile. Anzi non mi abbandono. Sono le forze che vengono meno. Rivivo per un attimo la scena da ragazzina. Una mano mi sfiora le labbra. Leghiamola sta stronza, voleva mordere. Aiutami, voi due tenetela. Mi ritrovo con i collant arrotolati in bocca. Mi sto riprendendo. Vengo lasciata cadere. La luce di una pila illumina per un attimo i manici della mia borsa sotto un comò sgangherato, poi mi tirano su, mi spogliano fino a restare solo con la gonna, stanno per violentarmi, mi toccano. Che cazzo fate? Siete matti per caso? Non è lei, capo. Non abbiamo potuto prenderla. Questa è un’ altra. Un mordi chiava e scappa. Se vogliamo farcela però dobbiamo sbrigarci, questa, se fa tardi a casa, diventa più difficile raccontare una palla credibile al marito, è sposata. La sinistra viene sollevata. Già, è sposata. Una bella gnocca capo. Sono in due a parlare ma ce n’è un altro. Appendetela. E’ quello che chiamano Capo a parlare. Avverto adesso il legaccio ai polsi. Respiro a fatica per i collant in bocca. No. E’ sempre il Capo a parlare. Non così, se è merce buona si può rovinare. Cosa vuol dire? Temo di vomitare. Soffocherei. La luce è pochissima, una lampadina appesa al soffitto. Dove mi hanno portata? Ricordo forse una scala dopo un tratto in macchina, una porta che viene chiusa, sprangata rumorosamente. Comincio a vedere un poco meglio. Avvolgono degli stracci attorno ad una corda, un cordone da tende e. me lo passano sotto le ascelle, lo legano dietro. Capisco cosa intendeva dicendo di appendermi. I talloni sfiorano appena per terra. Dio, mi hanno…sono nuda. La testa mi pencola di lato. Hai ragione, una bella troia. Me la posso fare capo? Magari un poco solo. Va bene per il lavoretto andato a monte? Chiede un’altra voce. Mi servono soldi. Il capo mi si avvicina, tocca i seni, li soppesa, ne torce uno. Male, fa male, ma fa sopratutto schifo. Cerco di scalciare. Ho le gambe, le caviglie legate. Il capo non muove un muscolo del viso. Mi infila una mano tra le gambe, penso mi voglia infilare le dita nella vagina. La toglie. La troia si è pisciata addosso. Ridono tutti. Dietro di me uno mi tocca il sedere, non riesco ad evitare il dito che viene spinto nel sedere, ma l’ho serrato istintivamente e fa male anche là, molto male. Mi dimeno inutilmente. Mi sento sporca, violata e offesa. Non può essere, ancora non ci credo, non a me. Un culo bello stretto, non si può dire se è vergine ma certo non lo da via spesso. Risate, ancora risate. Stronzi, bastardi, vigliacchi. Vorrei gridarlo ma non posso; imbavagliata come sono e forse non ne avrei ne il coraggio ne il fiato Non fate cazzate. Guardano tutti dove? verso la voce del capo, lo sento mormorare. Lui sta già venendo. Tra poco è qua, poi punta un dito. Tu sei Angelo, tu sei Bruno e tu, si, sei Carlo. Io sono il Capo, capito? Solo Capo, niente i nostri nomi. Se facciamo l’affare abbiamo i quattrini, altrimenti…Altrimenti almeno ci divertiamo. La solita voce. Non pensi ad altro? Solo alla figa? Anche al culo ed anche qualche pompino non guasterebbe.. Ci pensiamo io e Bruno se non ci sa fare. La facciamo diventare una pompinara perfetta, ci facciamo un bel po di grana. Ancora risate. Lui, il Capo si fa vicino. Hai sentito troia? Ti va di fare un bel pompino al mio amico Carlo? Mi tocca tra le gambe, il dito corre entro sotto le grandi labbra. Nonostante cerchi di sottrarmi non posso, ovviamente, l’altra mano è sul sedere, di nuovo un dito viene dentro. Neppure provo a, a fare cosa? Mi sembra di essere una estranea, di osservare la scena da tutti i lati, no, dall’alto, da distante, da sempre più distante. Quella che viene… quella cui fanno quelle cose è un’altra, una che neppure si dibatte troppo mentre il dito dentro il sedere la artiglia e la graffia. Sono io però ad urlare. Si fa ancora più vicino, mi fiata addosso. Senti troia, ti dico perchè ti chiamo troia. Due possibilità. Sta venendo uno che ti guarda e decide se gli servi. Se ti vuole paga e ti porta via, a fare la troia. Finito, a lui la troia a noi i soldini. Se non ti vuole resti qua e fai la troia con noi finché non troviamo una sistemazione per te sempre come troia. Si scosta. Tu slegale i piedi e togli il bavaglio. Perché Capo? Perché si riprenda. Quello, magari non la vuole molto smorta. Vado ad aspettarlo. Lasciatela stare, palpatela ma basta per adesso. Mi slegano, mi palpano, promettono di farmi diventare una puttana, sarai la regina del bordello. Dove la manderanno? Una così? Per me in un casino di lusso per arabi ricchi. Ma va la, troppo distante. Un bordello per poveri cristi qui da noi, per gente che vuole carne bianca. Per rendere, per ripagare quello che la compra, il padrone del bordello, quanti se ne dovrà fare tutti i giorni? Un centinaio. Scherzi? Per niente. So di bordelli dove ne facevano anche di più. I clienti stavano in fila con l’uccello duro. Uno dopo l’altro. Certo che le donne duravano poco. Ne procuravamo altre. Questa però è bella. Magari la vuole uno di qui, uno che vuole farsi l’harem a Milano. Guarda che tette, guarda che culo ed ha un bel viso, parla bene. Per me la compra uno che si vuol divertire a domarla, a farla diventare una bestiola ubbidiente da mostrare agli amici. Da far anche montare dagli amici. Non può essere vero, non a Milano. Urlo di rabbia e di disgusto. Loro smettono. Non per le mie grida però. Sono arrivati Il Capo ed un altro. Mi sono un poco ripresa tanto che provo a reagire. Non so neppure io cosa dico, poi: siete dei porci, porci bastardi. Quello nuovo ride. Ti insegneremo a fare la brava. Poi rivolto al Capo. Mi sembra un poco troppo vivace. Mi piace ma devo sapere se la vogliono così esuberante. Se vuole la facciamo diventare educata in un amen. Quanto è lungo un amen? Chiede quello appena arrivato. Non ci credo, non stanno parlando di me, non può essere, non può succedere a me. Parlano di gente che si compra donne rapite, rubate dicono. Di casini dove poi finiscono prostituite. Di gente che compra una donna per il gusto di picchiarla nel convincerla… a darsi a prostituirsi. E’ una cosa normale da come parlano però di nuovo quello nuovo, senza nome, si avvicina. Hai ragione tu, anche a me piacerebbe prendermela così e insegnarle un po di educazione, una bella soddisfazione. Amico mio,per noi è solo lavoro. Per me Angelo e Carlo è lavoro. Ne abbiamo raddrizzate un bel po di così. Sa, nell’altro lavoro, anni fa. Il Cartello, un piccolo Cartello, si occupava un poco di tutto ma le donne erano la metà almeno dei traffici, il resto coca. Le prendevamo nelle campagne e le consegnavamo secondo la richiesta. Per i bordelli già ammansite, pronte a cominciare ad aprire le gambe. Per consegne a privati, qualche volta le volevano brade. Volevano divertirsi a chetarle loro. Quanto ci impiegavi a rendere trattabile una donna? Ci impiegavo il tempo che avevo. Se avevo mezz’ora impiegavo mezz’ora, ma non serviva a molto dopo, per settimane almeno. Le sfondi il culo e te la scopi. Poi una battuta, una battuta da professionisti e quando rinviene, la fai magari rinvenire con l’ammoniaca, la fai scopare ed inculare di nuovo e provi. Le fai fare una sega e le dici di allargare le gambe. Spesso si facevano scopare subito, ti da il culo e ti spompina anche, altrimenti ricominci. Raro, abbastanza raro impiegarci molto se non la volevi ben rifinita. Senza nome scuote la testa. Non la voglio malridotta, anzi la voglio senza segni. I segni non li lascio quasi mai, mai se non devo. Una, le somigliava persino un poco, più giovane e in carne forse. La moglie di un tizio di città, uno importante. Merce di solito proibita. Il Gran capo la voleva. Non per fottere: ricatto, soldi, politica, non so. Il difficile non è stato prenderla ma portarla fuori città. Nel consegnarla ho detto al capo che volendo la domavo, gli veniva a mangiare in mano. Lavoravo da lui da anni e mi ha detto di provare. Avevo tempo. le finte trattative sarebbero andate per le lunghe. Una gran figa, i miei uomini avrebbero pagato per scoparsela ma il segreto era indispensabile. Angelo, Carlo ed io. Ci alternavamo a scoparla e a farle il culo. L’abbiamo convinta a lasciarsi palpare, a baciarci, poi a farci bei pompini alla merda. Piangeva, gridava ma ormai si metteva sulla schiene da brava per chiavare, ci dava il culo e ci faceva di bocca. Allora le abbiamo fatto vedere l’album fotografico. Avevamo immortalata la troia in tutte le pose. Se collaborava niente botte e silenzio col marito quando la liberavamo. Sapeva che la famiglia non la avrebbe mai perdonata. Stavamo in una villetta con una piscina. La chiamavi e lei arrivava pimpante muovend il culo, vestita d’aria a portarci da mangiare e bere. Già che c’era mi facevo fare un pompino o in ginocchio mi prendeva il birillo tra le gambe o nel culo. Il mio e quello di chi ne aveva voglia. Noi tre e poi un altro ce la facevamo quando volevamo. Tutto tranne baciarla in bocca, almeno dopo il principio. Aveva succhiato troppi cazzi alla merda. Uno spasso, mai guadagnato dei soldi meglio. Finché è durata. Poi è tornata casa. Non ne ho più sentito parlare. Ho cambiato…datore di lavoro ma il lavoro era lo stesso. Senza Nome telefona. Mi fanno male le ascelle, fa freddo, ho la nausea, ma se vomito soffoco, mi hanno imbavagliata di nuovo e forse mi manca l’aria svengo, riprendo conoscenza .cosa…vado sempre più fuori di testa, sono bambina…tra le braccia di Marco. Mi vedo con un vecchio che si frega le mani e mi fa le cose…Capo, ti bastano sette giorni? Si, ma sarà dura. Poi ride. Per lei lei sopratutto. Parlano di me? Si appartano a parlare. Gli altri tre mi guardano, uno si frega le mani e ridacchia, quello che il Capo ha chiamato Carlo. Sei una bella troia mi dice. Spero di essere il secondo a mettertelo dentro. Prima lui, è il Capo, poi noi. Mi piaci. Se mi dai retta ti insegno a fare bene la puttana, a fare pompini ben fatti, da professionista, come se avessi cominciato a dieci anni. Sai, In un bordello è importante arrivare già sapendole le cose. Sapere come prenderlo nel culo sentendo meno male e dando soddisfazione a quelli che pagano per chiavartelo il culo. Il culo e la figa. Per te non è finita, ci devi passare dal bordello ma se sei furba diventi una brava puttana, la migliore ed il padrone ci guadagna e ti tratta bene. Magari gli piaci e diventi la sua donna. Anche la sua donna… non sono mai teneri, altrimenti non durano, ma sanno farti rendere e ci possono prendere anche un po di spasso da un loro puttana. Mi passa le mani dappertutto, parla con voce suadente, non capisco. Cosa vuol dire? Continui a fare i clienti e poi lui fa te, sempre lavoro. Ti posso insegnare cosa fare con i clienti e con lui, oppure lei. Ride. Si anche con una lei. Sei una bella fregna, mi piacerebbe anzi tenerti per me, almeno un poco, poi ti metterei a casanza e passerei a ritirare i soldi una volta alla settimana. Sarei il tuo pappa. Mi stringe le spalle e passa e ripassa il dito nella mia fessura, l’ha fatto quasi per tutto il tempo. Cerca e trova in cima il clitoride, cerca di… col dito… non so…forse di carezzarmi. Mi piaci, mi piacerebbe tenerti e farti diventare la mia troia. Ti piacerebbe, poi magari ti metterei a comandare qualche altra donna. Ti insegnerei a farti ubbidire. Te le porteresti a letto. Sussulto, mi ha fatto male. Vedi che ti piace? Ha capito tutto lo stronzo. La figa tira e ti potresti far fare di lingua da loro. Impareresti però che è anche bello comandare e menare. Hai mai menato una donna, una tua amica? Va avanti così. Non lo ascolto neppure. Seguo con gli occhi ma senza capire, il Capo che è tornato e li chiama tutti. Non bada a me, per lui forse non sono più niente. Solo un lavoro, una donna da vendere. Non una donna, una troia, solo una troia, il che per loro è lo stesso. Non si allontanano neppure per parlare. Non esisto. Ci ha dato una settimana da domani dice. C’impiegheremo di meno Capo. Si ma voglio un lavoro fatto bene, poi si allontana un poco e gli altri gli si fanno attorno. Parla più piano ma capisco abbastanza. Che poi lo senta non conta più di tanto. Cose grosse ragazzi. Possiamo diventare loro metti donne. Un lavoro continuo. Angelo, tu organizzeresti le battute. Solo belle fighe, giovani ma non bambine. Niente bambine, troppo rischioso. Donne giovani, belle, di qua, ma ripeto, non troppo giovani se non in casi speciali, su loro richiesta. Però se sono molto belle…vedremo. Dobbiamo trovare altri posti dove tenerle. Il resto lo sapete. Ci si informa, si vede come e quando. Poi le si preleva senza far casini. Insomma è ancora tutto da decidere. Quello la però si è lasciato impressionare, dice che cercavano proprio gente come noi che porta merce buona senza troppo casino, senza casini per niente anzi. Non puttane o donne di fuori. Magari qualcuna anche di quelle se serve, vedremo. Tutto da decidere, ma questa consegna è importante. Deve arrivare in ordine in tutto. Pronta per cosa capo? Non lo sa neppure lui. Ma è diverso se dobbiamo prepararla per lavorare da subito in un casino o passare per le mani di un privato. Cazzo, credi che non lo sappia! Poi non sento più. Si sono allontanati di qualche passo, fino al muro. Seri seri discutono di come farmi diventare una troia ubbidiente. Papà diceva che c’è sempre una via di uscita, ma non la vedo. Credevo che con Marco fosse stato l’inferno ma… Mi slegano e mi rilegano diversamente, il primo è il Capo come ha detto quello che chiamano Carlo. Comincio ad urlare ancora prima che mi spinga dentro il cazzo. Si, cazzo e figa, culo, chiavare, inculare e sborra e…Che cazzo ti urli stronza. Mettile di nuovo quella roba in bocca. Continuo a gridare finché posso. Ma è pazza? Spaccala Carlo. E rivolto a me: lui ha il cazzo formato king size, così non sprechi gli strilli. E quello che cjiamano Carlo e che faceva il gentile a modo suo è sopra di me, non posso scappare, difendermi o soltanto muovermi. Legata a gambe aperte. Si slaccia i pantaloni, si spoglia tenendo solo la canottiera, sporca, lurida. Sono di nuovo impazzita e folle ma al tempo stesso stranamente, del tutto estranea. Il cazzo, ho fatto presto ad imparare a parlare come loro, non è poi così grosso. Questo lo dice una me, quella fuori che vede tutto. L’altra me si è ritirata dentro, non vede e non sente. Urla, questo si, ma urla nel bavaglio. Se lo mena, sempre serio serio. Me lo sfrega sul viso, non corre rischi, sono con le mie mutande, con i collant in bocca. Ricompaio in superficie, un attimo solo. Non è poi tanto grosso, poco più di quello che conosco di Marco. Me lo struscia tra le gambe? Perché? Bravo, professionale, avete visto ragazzi? Adesso basta, chiavala. Ma vuole fare con comodo. Me lo appoggia solo, poi con calma spinge. Scappo più lontano possibile. Non sono io. Anche quella fuori scappa. Io però sento, almeno un poco, all’inizio, poi mi spacca e svengo, rinvengo per il dolore? Non so. L’ho dentro solo un poco o del tutto? Solo un poco. Dio se è stretta. Dai sbrigati, poi tocca ad Angelo. Tu Angelo le fai il culo, ma piano senza romperglielo, senza rovinarlo. E’ un patrimonio quel sederino. Tu Carlo non glielo tocchi il culo, giri al largo adesso e sempre. Ne hai rovinate troppe di donne. Non mi interessa. Mi tocca solo la figa allargata a forza fino a…Ma questa e’ vergine. Non dire cazzate, la ho controllata io, anch’io fa un altro. Hai finito? Un altro colpo di reni. Mi rompo, vengo lacerata e finalmente mi svengo, per poco ma svengo sul serio. Mi è ancora sopra, dentro, mi monta brucia fa male, ma…un male diverso. Smanio, ma ora di rabbia sopratutto, di rabbia, schifo ed impotenza.
No, brucia, brucia, mi strazia, mi rompe.. Adesso va bene, è stretta ma si può chiavare bene, una bellissima scopata in una figa stretta, da urlo. Carlo si alza col cazzo ancora duro. Sono certamente stranita ma un poco presente. Mentre mi chiavava, almeno dopo…mi faceva male e tanto, ma niente a confronto con il male all’inizio o con… Marco…Allora troia. Troia e bella addormentata nel bosco. Nel bosco o del bosco mi chiedo. Mi sento cretina, sono cretina, cosa te ne frega? Si slaccia i pantaloni e fa scendere le mutande. Uno dopo l’altro li prendo tutti dentro. Cominci una bella nottata troia, mi dice qualcuno. Non so se a incularmi per primo sia stato Angelo o Bruno. Carlo no, lui protesta perchè vorrebbe incularmi anche lui. Non che conti molto. Conta solo il male, lo schifo e la umiliazione. E’ quasi peggio che essere chiavata da Carlo, quando mi ha infilato il cazzo in figa. La chiamano, la chiamo e la chiamerò per sempre figa. Chiunque sia a mettermelo nel culo me lo rompe di brutto. Un poca di saliva. Si capo. Ma devo insegnarvi tutto? Di nuovo. Lo sanno anche i ragazzini. No Capo, solo che credevo che, falle il culo ma non spaccarglielo o te lo spacco io. Già fatto, non se lo ricorda? Cazzo se me lo ricordo, appunto per questo preferisco evitare. Non sei più un bel ragazzino, sembravi una bella fighetta. Adesso invece… Nessuno ride questa volta. Tanto meno io. Mi entra dentro deciso. Stretto ma elastico, credevo meglio. A me piace il culo difficile da aprire, bello resistente. Guarda come si agita la troia, le piace, vero troia che ti piace? Stai tranquilla che ne prenderai chilometri di cazzo. Da farti passare la voglia. Sto scomparendo di nuovo nel buio, la testa è dentro un vortice. Esiste solo il mio buco del culo profanato e sfondato, occupato, riempito, esiste solo il male e lo schifo. Mi fanno rinvenire e me lo rompono ancora,a turno, tutti meno quello che quasi da i numeri, già, Carlo si chiama. Mi hanno fatta rinvenire due o tre volte. Mi lasciano un poco in pace. Vedi che non siamo poi così cattivi? Adesso mi dai un bacio. Allora me lo dai un bacio? Uno schiaffo, uno schiaffone sulle orecchie. Vedi, così non restano segni. Mi legano di nuovo, ancora sulla schiena ma con le gambe aperte e tenute in alto. Carlo mi scopa. Sto per venire capo, Fermati. Un altro prende il suo posto. Forse si ritrae forse contribuisce a riempirmi di sborra come hanno detto prima, un altro me lo spinge nel sedere mentre qualcuno mi toglie il bavaglio. Il primo bacio lo do col sapore del collant in bocca ed un cazzo nel culo. Mi baciano tutti. Non collabora la troia. Lo farà, per dio se lo farà. Di nuovo schiaffoni e dita a pinza che mi girano i capezzoli. Non urlo neppure ormai e collaboro quanto posso a baciarli in bocca. Piango mentre li bacio, in silenzio. Il Capo ha detto che se non la pianto mi riempie di sganassoni. Forse vorrebbero… ma sono loro a non farcela più. Quanti cazzi ho preso? Mangiano, bevono. Discutono dei turni. Non me ne frega niente. Neppure li sento. Sono uno straccio bagnato, fetente. Alla fine un’altra passata. Solo uno ci riesce, ma non nel sedere come voleva il Capo ma in figa. Mi accorgo che ce l’ha quasi molle. Muovi il culo figa marcia, puttana. Non ci riesco. Intontita, esausta letteralmente e dolorosamente rotta mi lascio chiavare. Sono del tutto assente. Non lo sento neanche, non mi brucia, non mi fa più male, non c’è più…Sveglia? Riemergo dal buio, dal niente, lentamente prendo coscienza di me, di dove no, non lo so, di cosa si. Me lo dice non solo la testa ma anche il puzzo di sudore, di …del resto, ed i dolori dappertutto. Porto la destra al viso, al petto, poi tra le gambe. Dolore. Dolore non tanto pungente e feroce quanto quello che sento dentro, non fisico però. Mi hanno violentata. Vergogna, si ma cosa potevo fare contro…ne bastava uno… vergogna e paura. So che quello, il Capo, ha ragione. Basta poco, è bastato poco tempo, e sono pronta a fare la troia. Dentro di me piango ma mi conosco. Vorrei fosse diverso, vorrei essere diversa, una di quelle eroine tipo Maria Goretti? La morte ma non il disonore o la perdita della purezza? Voglio vivere. In qualsiasi modo ma vivere. Dove siamo? Dove mi hanno portata? Che ora è? Come posso scappare? L’uomo è Carlo, si è Carlo, quello che…mi sta fissando. Ho il polso sinistro legato. Il cordone passa per un anello e finisce annodato più in la’, irraggiungibile. Sono sporca, laida e puzzolente. Devo aver dormito. Non che sia riposata però. Mi alzo. Devo, ho bisogno… Vuoi il cesso? Va bene, ti dai anche una lavata. Apre il lucchetto del bracciale che resta a terra unito alla corda. Lo seguo barcollando un poco, una corda al collo. Oltre la porta, prima della scala giriamo. Un cesso. Non un gabinetto, un buco per terra. Lui resta a guardare, e non c’è carta. Vieni a lavarti. Un rubinetto, acqua fredda, niente sapone. Il ventre e le cosce sono ingrommate, sperma, ma l’acqua fredda anche se troppo fredda mi pulisce la figa, il culo e l’anima. Quanto ho dormito? Quando arrivano loro? I ricordi si accavallano, flash più che ricordi, disordinati, che anche si accavallano senza farmi capire il prima ed il dopo. So che questo deve stare lontano da me e dal mio sedere altrimenti me lo rompe. Se non me lo hanno rotto gli altri tre? Fa male ma… ma…Lui orina tenendomi per un polso. Se lo sbatte. Il terzo scrollone è considerato sega dice. Non capisco. Non mi importa di capire, ma gli sorrido, sei una puttana, mi dico, cerchi, speri di ingraziartelo? Non ci spero ma ci provo, devo provarci. Certo un sorriso stentato ma è tutto quello che so fare in questo momento. Ho fame, sete, mi gira la testa e mi fa male dappertutto. Lo precedo barcollando ed il cappio che ho al collo si stringe, ha tirato per fermarmi. Ubbidisco. Vedo il tavolo dall’alto dei pochi gradini. Piatti di plastica con avanzi. La fame mi passa. Passo la lingua sulle labbra secche e spaccate. Non me ne ero accorta, certo che di schiaffi ne ho presi parecchi Mi spinge verso il tavolo. Mangia qualcosa. Al mio rifiuto mi sgrida come fossi…qualcosa di diverso da quello che sono per lui e gli altri. Siedi e mangia. Quando tornano sarà dura, più di oggi. Devi mangiare per essere forte. No, non voglio essere forte. Lo penso e poi lo dico. Aggiungo poi: perchè essere forte, per chi? Per te, dice. Balle! Non mi sono mai espressa così in vita mia. Mangia. Spinge verso di me una scatoletta di tonno ed un filone di pane già cominciato. Dopo i primi bocconi la fame torna. Qualche sorso d’acqua, mezzo bicchiere di vino. Una scatola trasparente con insalata russa ed ancora pane. Mica devo preoccuparmi della linea. Ho letto che a scopare si dimagrisce dico. Ancora faccio penosamente la civetta. Lo ha sentito anche lui che ride. Adesso ti faccio dimagrire un poco. Il tempo lo abbiamo. Quando gli altri arrivano e ricominciano… non posso farti scappare, mi ammazza. E poi credimi mi piacerebbe, ma è il mio mestiere. Tradotto in italiano sono un metti donne. Lo ascolto solo parzialmente interessata, sono spossata, a lui però non credo interessi. Mi fa alzare e girare di schiena. Siediti. Il Padrone ha detto che non devi… non devo mettertelo nel culo e basta. La voce è diventata dura ed ubbidisco anche se non capisco. Capisco subito dopo. Se lo era menato e l’aveva duro. Mi guida e mi ritrovo il suo cazzo tra le gambe. Penso mi farà male ma scendo. Bagnati, con la saliva. Non ho capito. Dai sputa qui. Ho la bocca secca la saliva è poca. Dai faccio io. Sputa sulla mano, bagna e massaggia la fica dolorante, sono tutta tesa e mi meraviglio sentendolo entrare senza i soliti problemi. Sempre più dentro. Tirati un poco su. Faccio forza sui piedi e poi mi lascio scendere senza che me lo chieda. Ride. Sarai, sei una perfetta troia da casino. Impari subito. Non fa male, non fa male, non fa male. Lo dico a tempo con i miei su e giù e a tempo con i suoi colpi di reni. Ce lo ha grossetto ma non enorme, un poco lungo forse, penso che… e mi vergogno di averlo pensato. Adesso lo faccio godere così dormiamo tutti e due. Sono rotta e stanca. Non mi gode, si ferma. Mi tiene stretta seduta sulle gambe che tiene larghe. Ti voglio chiavare. Mi piaci dice e posso aiutarti. Come puoi aiutarmi? Lo stronzo ha detto che non può lasciarmi andare. Ti insegno come comportati domani. Vorrei mandarlo al diavolo, ma è meglio che niente. Posso fare la graziosa,posso… muovere il culo come diceva il Capo, dico io, quasi soprappensiero. Ci provo subito dopo perchè mi stende sul tavolo di schiena e me lo mette dentro la figa. Va bene così? Lo chiedo io. Voglio imparare, continuo. Meglio che niente, e ride. Possibile che ridano tutti, sempre. Ti fa male la figa, dentro? Un poco, mi fa più male quasi fuori. Aspetta. Che abbia della crema per le mani è almeno strano. E’ una scatola nuova. E’ andato lui o anche lui a fare la spesa. Possibile che sapesse… che pensasse… Me la passa sulla fica, dentro e fuori. Poi mi stende di nuovo sul tavolo e me la mette anche sul e nel sedere, dentro e fuori anche li. Forse, se faccio la svenevole un poco di più…Chiudo gli occhi e punto i piedi sul bordo, alzo il culo. Ho preso parecchie botte per non aver capito cosa volevano dicendo: alza il culo. Non mi chiava, vuole che scenda , mi aiuta portandomi poi al mio posto e legandomi il polso. legata come prima. Adesso ti faccio il culo. No. Perché il capo non vuole. Faresti la spia? Cosa devo rispondere? Se ne accorgerebbe. No se non fai la spia. Sono una troia e mi stendo. Si stende con me. Domani sarà una girandola. farsi chiavare e inculare è diverso che fare pompini. Stai ferma mentre te lo mettono dentro. Domani dovrai imparare a muoverti ma il difficile sarà il pompino. Certe non imparano mai, non saranno mai buone puttane, solo puttane da mezza tacca. Troie da casini da due soldi. Troie che valgono un cazzo e trattate di merda. Aveva una certa leggera patina prima, ora si lascia andare. Parla in fretta mescolando parole straniere all’italiano. Sul serio mi aiuti? Perché mi vuoi aiutare? Sta zitto, sta zitto almeno mezzo minuto o comunque mi sembra per una eternità. Poi…perchè mi piaci. Perché così avrai qualche possibilità in più. Chissà, diventi una maitresse a trent’anni, anche prima se hai molta fortuna. E’ l’ inizio il più difficile. Credo sia scemo. Se è come dice lui, perchè i padroni di quei casini non fanno addestrare le puttane in modo… la risposta mi convince. Uno su cento gli insegna un po il mestiere o lo fa insegnare dalle altre puttane del bordello. Gli altri le buttano ai cani subito. Selezione naturale penso. Mi stringe e mi bacia. Rispondo ma non va bene. Vedi, baciare così non va bene. Mi spiega il perchè e il come. Intanto mi sgrilletta. Il termine me lo insegna lui. Mi stende sulla schiena ed io, di nascosto o meglio senza fare scene bagno ben bene la fica con la mia saliva. E’ vero, entra molto meglio. Adesso spingi il culo verso l’alto, punta un poco i piedi e fai girare il culo, di più…non esagerare, brava così. E’ faticoso gli dico. Certo che è faticoso. E adesso mi fa mettere sui gomiti. Se è la prima volta che lo vedi non esagerare. Difficile che tu sia la prima puttana che chiava. Se invece…poi mi bacia di nuovo. Mi bacia non come fossi una puttana ma la sua donna, mi sgrilletta e fingo mi piaccia. Però sa come toccarmi. Mi piaci. Mi piacerebbe tenerti per me. Sei una zoccola in gamba. Si alza. Domani devi imparare a far pompini come si deve. Si alza, a gambe tese sopra di me. Mi ha slegata, servono due mani dice. Se cerchi di scappare… Ce lo ha lungo, più lungo di quello di mio marito, ed anche più grosso, un poco almeno. Poi, sdraiato, mi dice di prenderlo in mano, di scappellarlo. Mi fa schifo ma lo lecco. Puzza, vicino al filetto ed attorno la base del glande…sporcizia. Esito, esito troppo. Uno schiaffo, un altro. Tenendomi per la nuca lo porta alla bocca, che apro. Ho già preso troppe botte. Vediamo cosa sai fare. Lo succhio, lo lecco ma continua a scapparmi di bocca. Va bene, fermati. Fai schifo. Sembra… è la prima volta, non è vero? Non può essere, mi vergogno. Sei diventata rossa, è proprio la prima volta che succhi un cazzo. Mi carezza, mi bacia ancora ed io rispondo al bacio, so baciare. Sembra di no. Non gli va bene neanche questo. Questa volta mi incula. Non posso evitarlo, mi vuole. La testa del cazzo preme ed io spingo come mi ha detto. Se non avessi preso cazzi, tanti, tutto il giorno forse mi romperebbe. Mi rompe ma solo per modo di dire, anzi entra più facilmente di quanto pensassi, fino alle palle. Fa male? Provateci tu e ne riparliamo. Lo penso solo però. Già, Il capo il culo gli lo ha rotto quando era ragazzo. Mi addormento, tra le sue braccia e ci dormo almeno un po, col cazzo nel culo. Quando mi sveglio il peggio. Mi monta il culo e credo di impazzire, ma non è ancora il peggio. Aveva ragione lui, Carlo. Se non avesse insistito tanto a suon di sberle per convincermi a prenderlo in bocca appena fuori dal culo, se non avesse insistito anche dopo che avevo dato di stomaco, se non avesse insistito a farmi ingoiare tutto, oggi non avrei resistito e mi avrebbero ammazzata o almeno spezzata. Con lui, che mi spiega di menarmi per il mio bene, ho imparato a piegarmi. Il Capo è troppo duro, vuole tutto e subito, se non impari con le buone…anch’io ho fatto lo stesso sbaglio, ma ero un ragazzetto, con tre studentesse, ragazzine. Le ho prese al volo dopo un incidente del loro autobus. Due ore dopo erano biotte e ben legate in una baracca nella selva in… Nessuno ci sentiva. Quando hanno smaltito il sonnifero ho cominciato e neanche due giorni dopo si facevano sbattere ma piangevano…non lo sopportavo. Non avevo mai fatto il culo ad una ragazza, neanche ad un ragazzo a dire la verità, neanche avevo mai chiavato, ed ho un poco esagerato. Poi me le hanno pagate poco, erano troppo malridotte. Quando arrivano, tutti e quattro insieme e mi svegliano, sono preparata al peggio. Fai finta di non sapere niente, fingi di non essere la troia che ormai sei ma ancora, un poco almeno una signora che col marito scopa da moglie. Al massimo una leccata vicino al cazzo. Qualche ditalino, come tutte quelle stronze merdose e boriose. Mi piaci, tanto. Ripete che vorrebbe potermi tenere per lui. Mi farebbe diventare la troia più pagata di tutta la città. Farebbero la fila con in mano l’uccello duro per farti. Ed io andrei in giro in tiro su un macchinone. Sospiro. Piacerebbe anche a me, dico, ma non devo esagerare, me lo ha insegnato lui, Carlo. Meglio far marchette per uno che… come te, che conosco…Mi ha stretto ma solo stretta. Non gli tirava più, neanche per salvarsi la vita, ha detto. Ed io non ci credevo più di potermela svignare. Ma ci avevo mai creduto? Non sapevo dove fossi, da quanto tempo, non sapevo niente. Ero ormai convinta e certa dentro di me che avrei fatto la troia. Dove? Con chi? Non importava La cosa importante in quel momento nella mia testa era evitare le botte, evitare altre botte. Poi di nuovo dormii, almeno un poco. Ricordavo appena che lui aveva bevuto e poi si era addormentato, russava, ubriaco. Quanto ubriaco non importava. Aveva bevuto un liquore bianco, un terzo di bottiglia. Ero però legata per il polso e troppo bene. Mi sono svegliata ed ho dormito. Quanto tempo era passato? Vediamo, Mi aveva portata al cesso tre volte dopo la prima, quando mi aveva fatto lavare. Dopo lavarsi niente. Mi scappava di nuovo, ma sono arrivati tutti insieme, il Capo e gli altri due. Angelo silenzioso, Bruno silenzioso e cattivo. Dopo il Capo quello che mena di più e ti fa con cattiveria. Il Capo, ha detto Carlo, ti mena perchè è necessario, come me; a Bruno piace menare, far male lo eccita. Però è bravo, lui ci riesce quasi quanto me e il Capo a farti diventare troia in fretta. Tu sei già troia. Basta un altro poco e quando vengono ci riusciamo più di quanto il Capo spera. Se non fai cazzate. Ci vado di mezzo anch’io ma per te sarebbe peggio. E sono arrivati. Che tanfo, e la troia è peggio di un porcile. Te la sei fatta? L’avete detto voi di insegnarle qualcosa. E non era un campo di fiori profumati neanche quando siete andati via. Hai bevuto. Solo un goccio. Cosa ti ha fatto fare? mi chiede. Devo fare pipì. Falla per terra. Poi pulisci tu. Mi scappa, per piacere. Dai, portala su. Posso lavarmi? No. Lavarsi significa tornare indietro, riconquistare forza. Le lasciamo sporche apposta, aveva detto Carlo. Sporche, affamate, impaurite dalle botte. Credi di aver preso delle botte. Ti sbagli, le botte vere sono un’altra cosa. Le prenderai oggi un poco di botte vere, ma non aver paura, poche e solo se non fai quello che ti ho insegnato o che ti chiedono. Non so se quelle che ho preso erano botte “vere,” male però facevano come botte vere. Mettersi in ginocchio a gambe aperte e fartelo mettere nel culo o nella fregna. Oppure sulla schiena con le ginocchia sempre aperte per le stesse ragioni. Così il cliente sceglie in che buco mettertelo. Magari in tutti e due, Capo. Carlo arriva con un panino. Guarda Capo. Mi da il panino che addento. Non credevo di avere tanta fame dico ed intanto Carlo mi viene sopra ed entra in figa e scopa e scopa anche Angelo. Solo che di panini non me ne danno altri. Bravo, bravissimo. Cosa hai imparato ancora? Non so cosa dire. Forse signore…un poco… i pompini termina Carlo. Un attimo ed è col cazzo all’aria e lo prendo in bocca. Dimentico tutto, non gli faccio niente di quello che ho imparato e Carlo è incazzato duro. Troia bastarda, mi hai fatto fare una figura di merda. Una sberla, forse non è vero che sia molto incazzato. Quando ti picchiano non piangere da subito. Resisti più che puoi, ed io resisto. Altri schiaffi. Basta Carlo. Sta troia , con le troie bisogna avere un poco di pazienza. La seconda volta che me lo mette davanti per un succhiotto, cosa diversa da un pompino spiega il Capo, gli do qualche colpo di lingua e gli carezzo le palle. Le lecco anche, le prendo in bocca tutte due badando a non fargli male, poi, mentre succhio e mi cresce in bocca gli spingo un dito nel sedere. Va avanti così. Dormire quando posso. Il cesso, qualcosa da mangiare, botte ma senza esagerare. Cazzi in corpo quando devo, cioè troppo spesso.. Arriva anche l’acquirente, quello che deve comprarmi oppure… mi ha già comprata? Verrà come d’accordo a ritirare la merce dice andandosene. Sono io la merce e la ha voluta provare. Dormire diventa il più grande desiderio, mangiare, qualcosa mi hanno dato, e da bere e tanti cazzi, tanti. Non resisto più. Fare la troia per chissà chi. Ma l’ho accettato di già, purché mi lascino stare almeno per un poco, Dio, dormire, non mi picchino, non mi facciano male. Dormono anche loro, vanno, vengono, da soli e non da soli. Non me ne frega niente. Mi vendano, mi diano a quello la, mi mettano in un casino a fare marchette ma mi lascino stare. Hanno spento due delle tre lampadine che alla fine illuminavano lo stanzone. Ogni tanto, da soli od in gruppo mi svegliano e si accomodano. Mi sveglio di soprassalto. E’ Carlo. Dormi, dormo anch’io, qui con te. Prima però…Per metà addormentata allargo le gambe e mi faccio chiavare e più tardi gli faccio un pompino. l’aveva molle e riesco a farlo venire. Sono stranamente fiera del risultato. Anche lui si addormenta. Quando mi sveglio non c’è più. Sul tavolo la bottiglia di liquore quasi vuota e per terra sotto la panca, quasi a tiro un vetro. Me lo curo da prima. MI allungo, riesco a toccarlo col piede. Guardo verso Carlo. Sembra si stia svegliando. Tremo immobile. No. Dorme. Aspetto un poco, riprovo due tre volte, tanto da staccarmi quasi dal corpo il braccio legato, ricomincio e riesco a tirarlo verso di me. Lui dorme, russa come ieri sera? Il cordone si taglia più facilmente di quanto credessi. Piano, senza respirare, guardando bene dove metto i piedi. E’ quasi del tutto buio qui verso i gradini. Scricchioleranno? No il primo. Si, ma poco il secondo. Tolgo il peso dal piede, due gradini in una volta. La porta è socchiusa. il corridoio del cesso e la scala e la pila che raccolgo, l’avevo già vista, sapevo, speravo di trovala ancora la. Pochi gradini e sono sopra. Nello stanzino dove mi hanno spogliato: la borsa le scarpe, il resto. Con le scarpe in mano, addosso la gonna e la giacca provo la porta. Niente da fare. Salire? Certo non torno giù. Una finestra più o meno aperta, un pezzo di nastro per le tapparelle. Qualcuno lo ha già usato forse, è legato saldamente. Però cede o si rompe, ma ero già quasi sotto tra le ramaglie. Non ci ho creduto al buio dall’alto. Credo, forse sono ancora nel giardino tra le due palazzine. O mi hanno fatto fare un giro e poi, non trovando di meglio mi hanno portato qui di nuovo oppure ho sognato. L’importante è scappare prima che tornino, non farmi trovare. E’ ancora buio o già buio? Non devo fare rumore tra la ramaglia irrigidita dal gelo ma è impossibile. Ne faccio troppo di rumore. Non sento il freddo, poi Il sentiero, la pila già agli ultimo fa solo una luce fioca, gialla, a destra e poi a sinistra. Finalmente, dopo una eternità i fari di una macchina illuminano i confini del giardino. La strada, tutte le volte che vedo i fari od il rumore di una macchina cerco di nascondermi. Corro con le scarpe in mano per non fare rumore. Le chiavi già pronte, poi, oltre il portone un sospiro, ma ho ancora paura. La mia porta con il lumino dell’allarme inserito, dentro, dentro, sono dentro. Il primo chiavistello, Codice, enter, 5. Allarme volumetrico disinserito. Chiudere la porta con la seconda serratura. Codice, enter, pulsante in basso a destra: Allarme perimetrale inserito. Rip. cod 5. Le gambe mi cedono, sono a terra ma alzo la testa ed urlo, un urlo spezzato, liberatorio e feroce, da indiani sul sentiero di guerra, mentre la vescica si svuota e la orina esce piacevolmente calda. E’ bello, è bellissimo. Oltre la porta chiusa due ombre, immateriali e quasi invisibili nella penombra. “Anche la seconda femmina umana conosce il dolore della sottomissione. Solo l’ inizio, per ora. Dobbiamo spronare gli altri servi. La Dea della notte ed il suo Principe delle Profondità non accetteranno ritardi od errori.” Ore più tardi, lavata ripetutamente, dopo svariate irrigazioni, clisteri emollienti ed una discreta colazione mi addormento davanti alla televisione. Punto fermo. Sono di nuovo sveglia, comodamente sul divano, a casa mia, al sicuro. E ci ragione sopra. Non mi conoscono. Non me ne fotte un cazzo come si chiamava, adesso il suo nome è troia, ha detto il Capo a Bruno. Lui pensa, ha detto Carlo, che è meglio non sapere niente o non più del minimo indispensabile sulle donne che vendiamo. I documenti erano a casa. Non ho detto niente. Avrei detto nome, cognome, indirizzo e codice fiscale se me lo chiedevano. Anche a non volerlo l’avrei detto. Perché poi tacere a rischio di altre botte? Non hanno chiesto niente. Non importava, ero sulla via delle marchette. Sono ancora dolorante, ma a casa. Prendo un antidolorifico e chiamo la dottoressa. Martedì sera il responso della mia dottoressa, la ginecologa. Non sono incinta. Lo sapevo da domenica sera e niente malattie secondo le analisi. La televisione ha annuncia lunedì la cattura di tutta la banda, delle due bande. Ne parlano per giorni. Dirò a Marco che è tutto finito. Voglio stare con mio marito, lo voglio. Ho preparato tutto. Non deve sapere niente di quelli, di quello che mi hanno fatto. Mi sono fatta mettere a posto con il bisturi dirò, in ambulatorio. Ho convinto la Dottoressa. Non serviranno altre palle, non troppe almeno. Lo sto aspettando, gli ho telefonato tre settimane fa, appena avute le ultime analisi. Sta arrivando.

Due figure ammantate di buio.- Anche la seconda donna ha fatto i suoi primi passi. Ha superato la violenza ed il dolore-. Silenzio, un lungo silenzio. -Deve fare molto altro per noi e non deve esserne conscia.- -La terza è quasi pronta. il nostro servo, Il Guardiano, dovrà prepararsi ad incrociare i loro destini con lei per la maggior gloria della Dea Della Notte ed il suo Compagno, Il Signore degli Abissi.-

Il signor Amilcare non era una figura popolare e neppure nota. Non voleva esserlo. Viveva da tempo, da sempre dopo essere tornato in Patria, all’estrema periferia della città, dove un tempo era campagna, poi depositi di sfasciacarrozze ed ora depositi abbandonati di legname di recupero ed altro sfasciume. La strada poderale una volta era stata in qualche modo asfaltata ma dell’asfalto restava ben poco. Era in ritardo, era uscito a comprare da fumare ma la tabaccheria aperta di domenica era lontana ed ora procedeva a passo spedito. Che la donna aspettasse non gli importava granché ma non voleva fosse vista, fossero viste anzi. Non era poi così in ritardo e fece in tempo ad arrivare al cancello prima che dalla direzione opposta arrivasse la vettura. Una utilitaria ma nuova lustra e vistosa. Nulla di eccezionale ma per lui la discrezione era da molto tempo una seconda natura.
Nessuno in vista ed il cancello, robusto anche se a prima vista sgangherato, si aprì senza problemi, permettendo alla macchina di entrare ed arrestarsi di lato al muro di cinta. Il signor Amilcare attese che le tre donne scendessero. Una donna anzi e due ragazze di cui la più giovane, era poco più che una bambina, a metà strada comunque per diventare donna. Eleganti inoltre, decisamente troppo eleganti per quella zona, e la madre portava al polso un orologio per il possesso del quale, da quelle parti, potevano darle una botta in testa e via. Venite a cambiarvi. Senza attendere risposta le precedette dentro. L’interno dell’ edificio, poco più che un gabbiotto era incasinato quanto il cortile e l’orto sui fianchi e sul retro. Piatti sporchi e qualche pentola attendevano da giorni, e poi piatti di carta e cartacce di cibo che puzzavano ed attiravano mosche ed insetti. Una tenda separava la cucina dal letto sfatto. Nessuna traccia all’interno di impianti igienici. Voi ragazze cominciate a ordinare e pulire fuori. Un ordine noncurante cui le due obbedirono come d’abitudine, come serve, dopo aver sostituito gli abiti con due vestagliette che si erano portate da casa. Cambiati anche tu. Non ebbe risposta e neppure l’aspettava. Padrone? Già questa sola parola lo meravigliò. Era raro dicesse di sua iniziativa qualcosa. Che c’è? Mia figlia, non può. Spiegati. Il serpente rosso si è manifestato in anticipo ed è durato meno del consueto. Il signor Amilcare restò un attimo in silenzio. Non era colpa della vecchia troia, ma lo stesso ne era irritato. Vai a lavorare anche tu. Lei si mosse. No aspetta. Come le figlie si era spogliata completamente davanti a lui, indifferenti lui e loro ed ora stava sciorinando la vestaglietta simile a quelle delle figlie. Immobile, gli occhi stranamente vacui e fissi nel vuoto lasciò che l’uomo, presala per un braccio la facesse ruotare esponendola alla luce più forte dell’unica finestra. Non si oppose quando le coprì con la mano un seno e lasciò posasse l’altra a coprirle gli occhi. Il signor Amilcare percepiva ora chiaramente dentro di lei la furia della ‘bestia’ che pur sotto controllo si dibatteva per emergere cercando di infrangere le invisibili ma infrangibili catene che la imprigionavano. Sotto, molto più nel profondo, solo una fiammella, anzi una semplice brace, piccola e debole ma ancora sufficiente a giustificare l’appartenenza di questa donna al genere umano. Sentiva al tempo stesso dentro di lui esigente ed insaziabile, la necessità di ricevere quel nutrimento che quella gli aveva fornito per anni ed ora avrebbe dovuto fornirgli ancora almeno per una luna. Strinse tra le dita il seno e lo torse con determinazione. Si, la brace era ancora sufficientemente viva e sarebbe bastata sino alla nuova luna della figlia maggiore. Non ora però. Meglio attendere. Una delle molte cose apprese era l’arte della pazienza. Si impara in fretta o si finisce male quando si scappa di casa a quindici anni. Lui aveva imparato in fretta e bene. Pochi mesi più tardi navigava come mozzo a bordo di una vecchia barcaccia di isola in isola nel Golfo dei Caraibi. Di tutto un po. tL’isola in cui approdò come turista…una giovane donna, La Giovane Donna. Era ospite di una parente, una cugina di sua madre che come sua madre aveva sposato un buon partito. Vedova da poco, ricca, anzi molto ricca, aveva riallacciato durante il soggiorno italiano vecchie frequentazioni, invitando la figlia della cugina a passare le vacanze scolastiche con lei, parte nell’isola e parte a Filadelfia ove anni prima si era sposata. Risiedevano ora in un costoso albergo dal quale uscivano raramente. Nondimeno la giovane era stata vista e notata, valutata ed apprezzata. Conobbe un giovane italiano fuori di un negozietto mentre la Cugina, la Signora, all’interno, contrattava furiosamente qualcosa per pochi centesimi di dollaro. Lo aveva trovato simpatico e lo rivide durante una delle poche sortite serali dall’albergo per assistere ad uno spettacolo ‘raccomandato’: delle danze locali introdotte secoli prima dall’Africa, dagli schiavi africani. Robaccia aveva pensato la ragazza. Peccato però, la musica era bella,un poco ossessionante ma bella e le impedì di opporre un immediato e definitivo rifiuto alla proposta di assistere ad uno spettacolo più ‘vero’. Neppure aveva però accettato. Inutile chiedere il permesso, la Signora l’avrebbe nega.Trovare un coetaneo con il quale parlare la propria lingua, pulitino e simpatico, affatto invadente, aveva impedito alla ragazza di rifiutare ma di certo quella avrebbe rifiutata la autorizzazione ed anche si sarebbe arrabbiata. Eppure…ci pensava ancora. Cenarono presto come d’ abitudine e come d’abitudine si ritirarono per ‘due chiacchiere’. La Signora assumeva dei sonniferi e di buonora congedava la giovane. Ancora una volta questa si ritrovò ad annoiarsi nella sua camera poco lontana. Nonostante la decisione presa di rifiutare si cambiò. Invece che scendere verso la reception prese l’ascensore di servizio. Non s’accorse di essere osservata, non seppe che due porte normalmente chiuse erano state aperte per lei e che una delle guardie giurate non la vide perché non doveva vederla. La stradina era in ombra, più avanti dove il vialetto si immetteva nella piazzetta si aspettava di trovare il giovane amico ed un taxi. C’erano e dopo poco la vettura, attraversata la cittadina, iniziò ad inerpicarsi verso le colline. Chiese ed ottenne spiegazioni che la tranquillizzarono. Percorsero a piedi un centinaio di metri giungendo ad uno spiazzo circondato dalla ormai consueta vegetazione lussureggiante. Sorrise ad una giovane donna che allattava al seno il figlio di pochi mesi. Un poco tesa? Forse. Ma già il martellare assillante degli strumenti a percussione la pervadeva. Giovani donne ed uomini, decentemente coperti. Alcune ragazze che già si muovevano seguendo il ritmo crescente, e…una piattaforma poco rialzata con due poltrone. Rigidi, immobili al punto che per un attimo aveva pensato trattarsi di statue, due figure, un uomo ed una donna.
Vecchi, anzi vecchissimi. La fissavano. Fu più forte di lei e chinò il capo in un saluto, quasi un inchino, che non le era consueto. Rialzando il capo vide che i due, sempre immobili le sorridevano ed anzi la, donna rispondeva all’omaggio della giovane con un leggerissimo cenno del capo accompagnato dall’accentuarsi del sorriso. Un cenno. Le veniva chiesto di avvicinarsi e si materializzò quasi dal nulla il suo accompagnatore. Una voce flebile e rauca. Era l’uomo. Dice che sei molto bella e se ne congratula. Senza soluzione di continuità e quasi sovrapponendosi alla voce dell’uomo aveva udito la donna parlare. Dice che hai il viso pulito di brava ragazza. Esitò un attimo ma un momento dopo pressato da altre brevi frasi della donna continuò. Scusami, sai, le loro usanze. Dice che solo le ragazze…che non conoscono uomo, possono partecipare, danzare come…’Volè’ al rito. Ballare con le prime. Dentro di sé la giovane sorrise. Posso ballare come…’Volè’ rispose. Mai avrebbe pensato le venisse posta una simile domanda ma stranamente non ne fu imbarazzata più di tanto. Era tutto immensamente strano, quasi irreale e fuori dal tempo ma contemporaneamente assolutamente concreto e vero. Due giovani donne, più giovani di lei, le furono accanto, già muovevano i fianchi ad un ritmo che la giovane poteva appena sentire ed a segni l’indussero ad imitarne i passi e le movenze, poi a loro si unirono due donne. Ne riconobbe una, quella che poco prima allattava il figlio. Certamente quella non era più vergine pensò, ma non importava. Ed altre donne di età diversa ma tutte giovani anche se non tutte belle si unirono alle prime mentre la musica cresceva e si faceva sempre più intensa, invadente ed ossessiva. Bellissimo. Ora batteva i piedi con forza e proiettava le braccia verso l’alto ed il capo all’indietro gridando Eieiretmeè. Eieiretmeè, Eieiretmeè. Dove aveva lasciato i sandali? Ora si piegava di fianco proiettando i pugni di volta in volta chiusi od aperti. Cosa significavano quelle movenze e quelle invocazioni? Ora si fletteva all’indietro o saltava mentre passava da uno all’altro dei tre cerchi, ebbra quasi eppure ben presente a se stessa. Le donne ora danzavano coperte solo da gonnellini di fronde. Più tardi pure lei danzava abbigliata allo stesso modo. I miei vestiti? Un attimo di preoccupazione, un attimo solo, poiché l’unica cosa importante era il ritmo e le giuste movenze del corpo. Beveva dalla tazza di legno che veniva fatta circolare pur restando sempre almeno apparentemente colma, un dolciastro, asprigno e piacevolmente dissetante succo di frutta. E danzava. Era felice. Il giovane corpo si esaltava nell’assorbire gli effluvi dei bracieri ed anzi dovettero sia pur con dolcezza allontanarla perché le braci sollevate dal vento non la ustionassero o le bruciassero i capelli. ‘Ed una giovane vergine giunta di lontano ingraviderà la Prima Serva col Seme del Primo Servo e del Guardiano e ne sarà ingravidata. Entrambe partoriranno restando ragazze gli intermediari.’ Ebbra, felice, senza porsi domande, completamente ignuda, la giovane si accostò alla pedana, vi salì senza esitazioni inginocchiandosi tra le ginocchia del vecchio. Non si meravigliò di farlo e neppure di vedere il pene di lui scoperto. Non si meravigliò che nonostante l’età di lui, svettasse turgido in completa erezione e di dimensioni molto fuori del consueto. Di fatto non aveva termini di paragone. Lo carezzò, poi la mano scese a cercarne lo scroto. Per avvolgerlo dovette usare entrambe le mani ed il calore di questo era quasi insostenibile ma non si scostò. Solo quando qualcosa o qualcuno le disse di farlo chinò il capo ed accolse nella bocca il membro, una parte sola di esso. Lo lasciò e saettò la lingua a lambirlo con una maestria non consona alla sua età ed alla sua esperienza, anzi alla sua totale inesperienza. Nondimeno il pene ingrossò ulteriormente e vibrò, piano prima, poi sempre più forte. Era inginocchiata e due mani le serrarono i fianchi portandoli verso l’alto senza una sua sia pur minima opposizione, senza che neppure manifestasse sorpresa. Lo accolse di nuovo in bocca sempre con qualche difficoltà. Si dimostrò una degna adepta sia pur solo a livello istintivo dell’antica arte sovrana del pompino. Trattenne inoltre qualsiasi gesto od anche un solo gemito di dolore quando il giovane le forzò lo sfintere penetrandola fino a schiacciare i testicoli contro di lei per poi montarla lentamente ma con vigore. Non ne fu sorpresa, non ne ebbe paura ed il dolore fu accettabile. L’avrebbe accettato in ogni caso anche perché una mano carezzevole sul sesso le provocava un crescere di sensazioni sconosciute ed inarrestabili. Si svuotarono nella bocca e nelle viscere di lei più volte ed in rapida successione. Un numero ancora maggiore di orgasmi, quasi in successione ininterrotta squassava il corpo della ragazza. Lo sperma colava dagli angoli della bocca e a tratti dall’altro orifizio. Non veniva perso. Mani attente ne raccoglievano ogni singola stilla e lo spargevano sul volto rugoso della vecchia, sui seni e sulle cosce vizze. Un ultimo crescendo dei tamburi e degli altri strumenti e fu il silenzio. Non una parola, neppure gli insetti della notte sembrava volessero in qualche modo arrecare disturbo. Il sedere e la bocca vennero lasciati liberi dall’intrusiva presenza ma solo per un attimo. La bocca del giovane si posò sulla bocca di lei e la svuotò del seme ostinatamente conservato e protetto. Quel seme prezioso, trasformato ed ora completamente diverso da ciò che era uscito dai lombi del vecchio fu spalmato con la lingua sul sesso della vecchia e con la lingua sempre del giovane, almeno nei limiti possibili spinto all’interno della vagina. Pochi avevano potuto presenziare a quella parte del rito, pochissimi. Tra questi due ombre che avevano acquistato in qualche modo forza dal rito stesso. Un uomo ed una donna. Sovrumani nella bellezza e nella possanza. Si erano abbracciati, per la prima volta dopo un tempo incommensurabile. ‘Il tempo è poco mia diletta. Anche la forza di questo rito è poca cosa. Si ma è il primo passo importante…Un successo…Molti altri dovranno…’

Attorno alla giovane ora tutto avveniva in fretta, molto in fretta. Venne rivestita e, quasi di peso portata alla vettura in attesa. Velocemente se pur con prudenza arrivarono dove si erano trovati. Solo chi doveva prestare la sua opera vide la giovane quasi esanime trasportata fino alla sua camera. Tranne il Guardiano tutte donne, cameriere forse. Solo cameriere poi in camera. Il bagno era già pronto, gli abiti vennero allontanati e li avrebbe ritrovati, lavati, stirati e ben appesi nell’armadio la mattina seguente. Ma l’ alba era ancora lontana. Ripulita accuratamente, unta e profumata, venne deposta nell’ accogliente ed ampio letto ed il pur breve tragitto fu accompagnato dal canto appena udibile delle donne. Il Guardiano, ignudo ed a braccia conserte osservava in silenzio. La giovane fu fatta inginocchiare mentre due delle donne ricevevano lo sperma del giovane. Ne servirono due di bocche. Anche in questo caso non una stilla andò persa ed il Guardiano ricevette nella bocca il proprio seme per spargerlo a sua volta sul sesso e per quello che fu possibile nella vagina della donna. Poi la sodomizzò ancora. Lei restò passiva, quasi assente.

Dall’angolo della stanza esplosero le due figure. Ancora più grandi, belle e possenti. E’ tua mio Signore. Un attimo Amor Mio, un attimo solo. Stai sorgendo. Poi Tu sarai lei. E così fu.

E nella luce della luna che solo ora aveva sconfitto le nubi si scatenarono le musiche e le danze. Solo le quattro donne rimaste e la fanciulla ed il Guardiano ne furono consci. Nessun altro udì. Nessun altro orecchio umano avrebbe potuto udire. Dal giovane corpo che andava rapidamente crescendo enfiandosi, uscirono tenui lampi di luce.
Gridava di piacere la giovane ma anche di dolore e si torceva e si torceva di fianco a lei il giovane. Le fiamme ormai si levavano alte dirette alle due figure possenti che sembravano goderne, bearsene. Le due cameriere rimaste giacevano a terra, terrorizzate. Terrorizzato per il poco di coscienza rimastagli era pure il giovane. Ghermito dalla figura femminile dovette darle piacere per poi essere usato per il piacere della figura maschile. Non era solo piacere quello che i due ricevevano, lo sapeva, faceva parte del rito…e parte del rito era che di nuovo sodomizzasse la piccola ormai quasi priva di qualsiasi barlume di conoscenza. Doveva farlo, ne andava della vita di entrambi, della vita degli Anziani… prima di avvicinarla, sotto gli occhi attenti ed impietosi delle due divinità risorte osservò appena la stanza ridotta ad un campo di battaglia. La penetrò con fredda determinazione, la montò a lungo senza provarne il minimo piacere e versò lo sperma gelato nelle viscere di lei contento solo che tutto fosse così giunto a termine.

SIAMO STATI PARTORITI DI NUOVO. SIAMO RINATI. Non sprechiamo queste poche energie, Mio Principe. Molte altre difficoltà dovremo superare tra poco.

La ragazza si destò di colpo timorosa che non fosse stato solo un sogno. Ma la zanzariera che ricordava strappata strappata era al solito ben chiusa a proteggerla dagli insetti ed il lenzuolo, i cuscini, il letto e la camera intera si presentava in ordine. Aveva solo sognato, aveva avuto un incubo. Di certo aveva danzato sino allo sfinimento e cantato insieme alle altre giovani. Sentiva però nelle sue carni, nel ventre anzi il…membro del gigante…Non osò farlo subito ma più tardi si esaminò ed anzi quasi si fece male. Solo allora si tranquillizzò del tutto. Quasi del tutto. Più tardi, quando il sole già troppo caldo aveva convinto come sempre la Signora a ritirarsi dalla spiaggia, rivide il giovane. Senza rendersene conto l’aveva atteso ed ora, sollevata dall’ansia o forse ancor più tesa per il suo arrivo si preparò per il bagno e lo seguì in acqua. Un brivido di piacere la pervase dopo il primo contatto con il mare. Piacere per il ristoro che il corpo ne ricevette dalla calura ma anche per la vicinanza di lui. Un piacere sottile e sconosciuto che cresceva mentre si avvicinava al galleggiante sul quale lui era già salito. Lo raggiunse e senza un cenno di saluto si stese al suo fianco. Non erano soli, un gruppo di ragazzi e ragazze facevano chiasso…si tuffavano, risalivano…Ciao. Lui anziché rispondere la fissò un attimo. Questa sera, alla stessa ora, come ieri. Solo più tardi si meravigliò, ma solo per un momento, per aver accettato così, immediatamente. Quella sera, timorosa quasi di aver di nuovo sognato, di essere vittima di una illusione o dei suoi desideri adolescenziali giunse al taxi ansiosa per il timore di non trovare nessuno ad attenderla. Avrebbe poi voluto che la vettura procedesse più spedita, che non ci fosse il sia pur breve tratto da percorrere a piedi tanto che allungò il passo fin quasi a correre. Solo quando fu nello spiazzo ed ebbe chinato il capo verso le due figure sulla pedana si accorse di quanto avesse atteso quel momento e…la musica? Perché non suonavano? Le altre donne nei loro abbigliamenti sgargianti? Sollevata ascoltò il primo rullare di tamburelli e si unì subito alle prime compagne che andavano riunendosi davanti ai due Anziani. Ne riconobbe alcune ma non le salutò ne queste salutarono lei. Il piccolo gruppo variopinto iniziò a muoversi al ritmo dei tamburelli, veloci, sempre più veloci attorno al bracieri ed ai loro effluvi profumati ed inebrianti. Senza ordine apparente questa o quella si liberava di una parte degli abiti finché furono tutte completamente nude, in cerchio attorno a lei, l’unica vestita. Non se ne meravigliò o forse si. Comunque a sua volta si denudò come se questo le fosse consueto e rimasta nuda provò un sentimento di orgoglio nel sentirsi bella e desiderata. Sentiva di essere desiderata e si offriva priva di ogni pudore alla vista di quanti, di chi, di chi? Non importava, nulla importava se non la musica e le movenze del ballo. Di nuovo dovettero scostarla dai bracieri e bevve dalla solita tazza per saziare la sete crescente. Non si sottrasse quando mani maschili, solo maschili? Bocche solo maschili? Ma che importava? Non si sottrasse a quelle mani ed a quelle bocche, concedendo ed anzi offrendo il suo corpo. Gioiva nel ricevere nel retto con dolore il grosso pene di un giovane vigoroso, gioiva nel succhiare il membro di un vecchio che a stento le poteva donare qualche goccia del suo seme, si esaltava nel farsi penetrare il ventre da chiunque la volesse. La vollero in molti, molte volte. Poi fu tra le braccia di Lui. Non lo vide. Paralizzata dalla forza straordinaria di Lui che l’aveva abbracciata prendendola alle spalle, si chinò un poco per permettergli di penetrarla da dietro appunto. Immobile e tanto vicina da poterla toccare una figura femminile, incredibilmente bella la fissava, no non guardava lei ma chi stava per forzarle il sesso. Chi era? Chi erano. Poi, pur senza staccare lo sguardo dalla visione si abbandonò alle braccia che la cingevano trattenendola contro un corpo caldo ed incredibilmente forte, irresistibile. Non gli voleva resistere, non gli resistette, disponendosi anzi per rendersi più facilmente accessibile. Il glande strusciò appena trovando subito la via.
Ma non era stata presa più volte quella sera stessa? Ne era convinta ma forse non era così. Letteralmente sentì il membro penetrarla sino ad incontrare l’imene, lacerarlo senza difficoltà e procedere dentro il suo giovane corpo di giovane vergine. Era sua, sarebbe stata sua e solo sua per sempre. La dea, che di una dea certo doveva trattarsi, continuò a fissarla mentre la giovane si inarcava per concedersi meglio, per essere presa meglio. Dalla gola le uscì un gorgoglio poi un gemito lieve poi un grido, un grido di piacere quasi inumano. Solo ora la dea sorrise, al grido che lesse correttamente: il grido di piacere della donna che ha trovato il suo maschio, il maschio ideale e ne è soggiogata. E lei ne fu soggiogata ed appagata. Immobile si sottomise al maschio che la usava violentemente per il proprio piacere e fu lieta ed orgogliosa che avvenisse in quel modo. Ne godette a lungo, ripetutamente. Accolse con gioia persino il getto di sperma gelido e terrificante che concluse l’amplesso.
La notte e le vacanze non erano finite. Quella notte tutti i maschi la vollero e lei accondiscese. Non chiesero il suo ventre, né lei lo avrebbe concesso, mai a nessun mortale. Apparteneva ad un dio. La vollero anche tutte le donne e tutte la ebbero. Quella notte e solo quella notte poiché le notti seguenti, pur presente ai riti si appartava ed attendeva, invano, il suo uomo, il suo dio. All’alba, nella sua camera piangeva tra le braccia del caro giovane, gli dava piacere nei modi che lui chiedeva e che lei trovava convenienti.
Finite le vacanze tornò a casa senza far parola di quanto…non rivide più il simpatico giovane…col tempo smise di pensarci, conobbe un uomo che sposò e cui partorì due figlie. Quando fu ingravidata lo seppe immediatamente, ne fu intimamente certa tutte e due le volte. Tutte e due le volte seppe che avrebbe partorito una femmina. Così doveva essere. A maggior gloria e secondo la volontà dei due Dei Viventi. Il marito scomparve dopo il secondo parto.
Il sole ora scottava, aveva fatto bene il Guardiano a farle lavorare di mattina all’aperto. Adesso pulivano e riordinavano la casa. Lo sguardo fissamente vuoto le accomunava, merito anche del fungo secco che giornalmente la donna assumeva e faceva assumere alle figlie. Vi si abbandonavano però solo quando nessuno poteva vederle ed insospettirsi. In pratica mai. Coprì gli occhi alla più piccola ricevendone le immagini e le sensazioni che si aspettava. La presenza della bestia, una bestia già feroce e disponibile ma anche un fuoco…giovane ed in un certo senso pudibondo. Vergine, timorosa del maschio, non ancora pronta a darsi nonostante il suo orologio già ticchettasse chiamandola a sacrificare alla luna ogni 28 giorni. La palpo e le fece anzi male. Così andava fatto. La belva ruggì, ma non convinta appieno. Sarebbe saltata fuori ed avrebbe fatto la sua parte se le fosse stato ordinato. Guardò l’altra, la sorella maggiore era pronta, matura e desiderabile. Gli avrebbe dato piacere e l’avrebbe nutrito di quel nutrimento che da decenni gli era indispensabile, indispensabile per vivere e servire Gli Anziani che servivano…Gli Dei? Che Dei?
Non gli importava, non ora, Lo stomaco era sazio ma ben altro gli serviva. La donna percepì l’ordine e si recò oltre la tenda. Si fece trovare già pronta. Da oltre la tenda giungeva il canto delle ragazze. Li spiavano da sempre. Lo succhiò fin quasi a farlo eiaculare poi gli offrì le natiche ancora sode e piacevoli. Molti le trovavano piacevoli e pagavano per averla in quel modo o per godere della sua bocca magistrale. Nessuno, neppure il marito che pure ufficialmente per due volte la aveva ingravidata, era penetrato nel suo sesso, tanto meno il Guardiano. Quel sesso non gli apparteneva, non apparteneva neppure a lei. Apparteneva agli Dei. Si svuotò nel retto e se pur fosse lui a dare all’altra qualcosa, ne ricevette ciò che aspettava. La forza, quella forza che gli era ormai indispensabile e lo teneva in vita.

Mi sono fatta fregare. Non serve essere un genio per capirlo. Basta vedere la porta del bagno aprirsi e Carlo uno di quelli che mi hanno violentata, entrare coperto con l’ accappatoio di mio marito, si fa per dire marito dato che adesso ha un’altra moglie e si fa per dire coperto visto che la vestaglia non è allacciata e lo lascia abbondantemente scoperto. Non me l’aspettavo oppure era quello che volevo? Al momento non me lo sono chiesto, più tardi, nei giorni seguenti si, me lo sono chiesto in continuazione dandomi risposte diverse, opposte, tutte quelle possibili ed anche molte impossibili. Vattene, esci non vedi che…vedo vedo e mi piace…meglio di quel che ricordavo. Sono stata sciocca e presuntuosa. Idiota, idiota. Solo adesso lo capisco. Capisco anche di non avere nessuna via di scampo. E la paura mi paralizza. Torno, sprofondo anzi in un gorgo di paura che mi annichilisce, privandomi quasi della capacità di respirare. Necessariamente però emetto l’aria trattenuta ed urlo. Nooo! Non è un urlo ma poco più di un gorgoglio disperato. L’eterna sigaretta in bocca, a sinistra; il sorriso mellifluo ed ingannevole, gli occhi…di ghiaccio. Immobile lo guardo mentre mi si avvicina, sorride ora, quasi bonario. Ben trovata cagnolina, non speravo di ritrovarti. Poi, con la durezza che conosco troppo bene: non speravo proprio di ritrovare la mia bella troia. Giù, sempre più giù. Non sono più nella mia casa, nel bagno profumato; giù sprofondo indietro nel tempo, di un anno, fino a quella sera, fino a quei giorni ed a quelle notti passate nello scantinato ed agli uomini che mi hanno ‘rubata’ per un ‘mordi chiava e fuggi’ poi trasformato in un rapimento vero e proprio e nella mia ‘vendita’, dopo l’addestramento, ad uno che aveva bisogno di una troia ben addestrata. Quasi con gentilezza mi toglie di mano la salvietta con cui cercavo ridicolmente di coprirmi. Alzo gli occhi, tremo. Sono di nuovo li, al freddo, affamata e dolorante per le percosse e le numerose violenze subite. Sono di nuovo li, rapidamente domata, ubbidiente, sottomessa. Mi hanno già inculata. Da subito mi hanno obbligata a parlare come loro e mi chiavano e devo prendere in bocca i loro cazzi e succhiarli. Ribellarsi? Erano in quattro o cinque a tenermi a picchiarmi a fare quello che volevano. E lui, Carlo…ad un certo punto mi era sembrato il meno peggio. Quello, il cliente, viene, mi dice il Capo. Se gli piaci ci paga e tu vai con lui a fare la troia. Altrimenti niente soldi ed allora resti con noi e fai la troia per noi. Sempre troia sarai, quindi ti chiami troia. Troia e basta. Non mi interessa sapere chi sei ma solo quello che sarai e quanto ci guadagneremo Il cliente era venuto e gli andavo bene ma mi volevano più sottomessa. Pronta per lavorare in un bordello forse, non ne era certo neppure lui. Era solo un intermediario in fondo e aveva voluto persino provarmi. Prova positiva, non ricordo però cosa sia stata la prova. Ore e giorni con loro che ora dovevano addestrarmi. Avevo ceduto subito. Dentro di me avevo capito sin dall’ inizio che avrei ceduto, che avrei accettato tutto. Carlo era la mia unica guardia quando esausti gli altri se ne andavano a riposare. Era allora un poco più umano. Lasciò mi lavassi. Mi ha dato da mangiare. Nonostante gli ordini ricevuti in merito mi ha anche inculata a dire tutta la verità, ma è stato un bene. Di fatto mi ha anche sverginata; un disfunzione dolorosa…che Mario… . Mi ha messa in grado comunque di resistere a quei giorni tremendi. Ho pensato che mi abbia volutamente permesso di scappare. Per questo ci sono ricascata. Credevo fosse in galera con gli altri, ma solo il Capo del piccolo gruppo è finito dentro assieme a quelli che sempre Carlo ha definito: gli idioti dilettanti di Milano. Ci è morto dentro, in galera, il Capo. Carlo si è dovuto arrangiare ed oggi l’ho visto e mi ha fatto pena. Gli ho dato un passaggio fino a Milano, regalato dei vestiti che Mario, il mio ex marito ha lasciato. Ho sbagliato, ho sbagliato tutto. Cosa mi ha preso, come ho potuto fidarmi, farlo entrare in casa mia?
In ginocchio tra le sue gambe, facendo di tutto per non singhiozzare cerco nella memoria e ritrovo con facilità quello che mi aveva insegnato. Se ce lo ha rattrappito…no non è rattrappito…se gli pende giù lo prendi in mano e lo stringi un poco, piano, dal sotto. Passi per le palle sempre piano, tutto sempre piano, lentamente. Se lui allarga le gambe o le ha già abbastanza larghe, con un dito gli sfiori il buco del culo e vedi se gradisce. Occhio con le unghie. Comunque torni subito al cazzo, lo scappelli un poco e ci passi la lingua, passi la lingua su tutto il cazzo man mano che diventa duro. Se ha gradito il dito sul buco del culo ci riprovi, premi un poco senza entrare. Togli la mano e ricominci a leccargli il cazzo, badi a quello che ti sembra gli piaccia di più. Gli aliti sulla testa del cazzo e cominci a succhiarlo. Non toccarlo con i denti, i rigatoni piacciono a pochi che se mai te lo dicono. Quando è duro abbastanza decide lui in genere se scoparti in bocca o farsi fare un succhiotto o cercare di spingertelo in gola. I più vengono in fretta, anzi godono subito, altri durano di più ma se ci sai fare è questione di qualche minuto. Devi sempre improvvisare, devi capire cosa vuole il cliente. Alcuni vogliono un dito nel culo ben dentro. Altri un poco solo mentre a molti piace che ci appoggi il dito e basta o neanche quello. Mi cresce in bocca sempre di più, lo conosco bene il suo cazzo tra poco comincia a sussultare e comincia a chiavarmi in bocca. E’ la fine sta venendo…ma… no si ferma me lo tira fuori. Non sono più dove ero sprofondata…sono vicino al water nel mio bagno e sto anzi stavo facendogli un pompino. Poco dopo ho una catena al collo. Questa non la potrai tagliare e neppure taglierai la corda ride, ride come un matto. Per scappare dovresti portarti via tutto il letto. Sai, non chiavo da un anno. Una troietta al paese dove mi ero nascosto. La figlia del padrone. Per questo si è così incazzato quando lo ha saputo questa mattina. E sai chi mi ha fatto l’ultimo pompino almeno discreto, quasi da professionista? Tu, un anno fa. Roba da piangere. Anche l’ultimo culo stretto… a proposito di culetto. Credevo di essere vaccinata ma non è così. Mi metto in ginocchio a gambe larghe ma dimentico l’a.b.c, della puttana, anzi della troia. Me lo fa notare lui: bagnarsi di nascosto la parte. Peggio per te, così te lo ricorderai più facilmente. Non lo bagna in figa, lo appoggia direttamente al buco del culo e spinge. Credo mi spacchi. Anzi mi spacca. Spingi troia, spingi, ed io spingo come per andare al cesso ma non ci riesce lo stesso a mettermelo dentro, a farlo entrare almeno un poco. Ci riprova. Non sono più in ginocchio non ho potuto, sono stesa ed ora può spingere e far forza con tutto il suo peso. Entra un poco e poi ancora un poco. Urlo e supplico mi dibatto ma è inutile. Così impari dice. Si ho imparato, e come che ho imparato. Solo quando me lo ha messo tutto dentro si ferma, smette di spingere come un forsennato e mi monta nonostante ogni colpo di reni mi faccia impazzire di dolore, dolore, dolore solo dolore.
Dolore tutti i giorni, tutte le ore. Ha chiamato e sono arrivati i suoi amici. Non è cambiato nulla. Angelo indifferente a tutto, Bruno che si eccita a farmi male. La stanza puzza, tutta la casa puzza. Qualche giorno e non mi importa più di nulla. Mangiare e dormire, potermi lavare. Autentici lussi che a lungo mi vengono negati od almeno concessi con il contagocce. Il metodo dei ‘metti donne’, il metodo per spezzare la volontà e farne delle cose. Io sono ormai una cosa. Il culo mi brucia ancora ma si sta allargando. Chiavo chiunque entri in camera e mi dica di allargare le gambe. Oppure gli succhio l’uccello o gli do il culo. Allora Carlo torna più umano. Ho dovuto essere duro con te, cagnolina, ho proprio dovuto. E poi sarebbe stato peggio, per te intendo. Via il dente via il dolore. Sei la mia donna e sei una troia di natura. Faremo parecchia grana insieme. Tra qualche giorno, non so esattamente quando, viene uno che conosco. A dire la verità è l’amico di un amico. Ma ha parecchie conoscenze e ci sarà utile. Mi fa girare e me lo mette nel sedere con una certa grazia. Io spingo e lui lo infila senza fretta, un dentro e fuori delicato che non mi spiace. Preferisco essere chiavata ma ovviamente è lui a decidere e lui vuole mio sedere questa volta. Lo vuole molto spesso. E poi così te lo tengo in allenamento. Dice che sono la sua donna. A volte esce e torna dopo poco, a volte sta fuori ore ed ancora spesso resta a casa per giorni di fila. Sei la mia donna, la mia troia. Me lo ripete spesso. Me lo ripete anche ora. Si sono la tua troia e tu il mio uomo. Gli piace sentirselo dire e forse lo dico così spesso che finisco per crederci davvero. Meglio la sua donna, la sua troia che quello che volevano farmi diventare, la troia del padrone di qualche bordello sconosciuto e chissà dove. Siamo a letto, di pomeriggio. Mi ha chiavata e quasi godevo. Ci sono arrivata vicino vicino. Non è la prima volta ma mai così tanto vicino. Griderei di rabbia. Gli do tanti bacini piccoli piccoli, come piace a lui, scendo a stringere tra le labbra un capezzolo, anche questo gli piace. Scendo ancora più giù e lui lascia fare. Non sempre è così, a volte, infastidito mi allontana e se insisto può diventare cattivo e menarmi. Questa volta invece mi carezza la testa mentre me lo risucchio in bocca. Sa di me e di lui e mi piace. Mi piace vedere l’effetto che gli faccio. Mi piace vedere che gli piaccio. Mi vuole puttana ed allora puttana sia. Solo che non vuole più chiavarmi. Quando lo ha bello grosso e bene in tiro mi fa girare e me lo appoggia sul buco del culo. Spingo per dilatarmi e spingo indietro il culo per farmelo entrare dentro più in fretta. Ma non ha fretta e dopo la scopata se la prende comoda. Gli piace giocare col mio buchetto qualche volta. Anche adesso. A me piace di meno. La testa del cazzo entra ed esce, esce ed entra e riesce e rientra, poi me lo spinge dentro fino alle palle. Mi gode ma, bontà sua con la mano fa godere anche me. Il mio uomo. Non è poi il peggio. Più tardi, mentre cucino lo maledico. Nonostante la crema il culo mi brucia da morire. Ho un succhiotto sulla tetta destra ed un labbro che duole per lo schiaffo. Mi ha chiesto se lo amo. No se gli voglio bene ed ha letto la mia faccia. Mi è ancora andata bene. Solo un paio di schiaffi, di quelli tremendi che sa dare lui, sulle orecchie, che non lasciano troppi segni. No non gli voglio bene ma certo sono una troia, la sua troia. Non posso farne a meno. Ha detto che mi metterà a lavorare non appena sarò pronta, tra poco cioè. In qualche modo deve entrarci quel suo conoscente. In quanti mi hanno avuta? Vediamo: Mario, mio marito e poi Angelo, Bruno, il capo e Carlo. No c’è anche il cliente, il compratore. Sei in tutto. Ma ognuno fa per dieci e comunque sei uomini non è neanche poco.Fare marchette però significa andare con gente che non conosci. Perché, li conoscevi questi? Che differenza fa? E poi, come evitarlo. Sono una troia. Sono la sua troia. Non che l’idea mi piaccia. Sono ormai senza lavoro. Il professore mi ha chiamata e richiamata. Ha sempre risposto lui ed il professore ha smesso. Sono letteralmente col culo per terra. Finiti quasi i soldi. E quello che mi fa più rabbia…no, non può essere, non voglio. Ma mi piace scopare con lui. Mi piace stare con lui. Lui dorme ed io invece non ci riesco, mi ripugna. Lo amo e lo odio e lo detesto? Si, quando lo ho visto, quando lo ho invitato, sapevo che finiva così. Poi mi dico che non è vero.
Voglio svegliarlo, parlargli, dirglielo ma sopratutto chiedergli se mi abbia aiutata a fuggire. Non oso svegliarlo. Poggio il capo sulla sua spalla. Una spalla forte. Mi piace questa forza, mi piace lui. Allungo la mano, senza volerlo trovo il cazzo che carezzo piano, faccio scorrere l’unghia leggera e lo sento crescere inturgidirsi. Mi prende tra le braccia e mi bacia, lo stringo, mi stringe. Sono tua gli dico tanto piano che spero non mi senta. Mi sente e mi stringe ancora di più. Poi mi attira sopra di lui e si fa montare e mi piace, mi piace, mi piace. Sono piena di lui e…perdo ogni controllo. So solo che sono la sua troia, felice di essere una troia, per lui.

E’ il momento di far intervenire il guardiano. Le due ombre osservano compiaciute la giovane che si dibatte sopra l’uomo. E’ nostra finalmente.

Oggi sono uscita a fare la spesa da sola. Penso di essere sorvegliata da qualche suo amico e non parlo con nessuno. Da quando è venuto il suo amico le cose sono persino migliorate. Carlo mi picchia di meno. Lo tratta con notevole rispetto, deferenza anzi. A me però fa venire i brividi. Mi fa veramente paura. Mi fa paura anche la sua donna e le due figlie dalla donna. La più giovane sopratutto, anche se è soltanto una ragazzina. La ripicca di una donna annoiata e delusa? No ombre osservano e mormorano nella notte.

Solo il BRANCO deve sapere. Gli Dei sono forti, gia’ troppo forti e ci distruggerebbero
A dodici anni la mia prima avventura erotica. Non sono neppure sicura dell’età. Trottavamo su per le scale diretti in classe, un gruppetto di compagni e compagne in ritardo. Nel superarmi uno mi ha urtata con la riga da disegno nel punto che esaminavo spesso nella speranza di vedere un qualche gonfiore. Finito, in classe per una normale giornata di scuola. A casa, dopo cena mi addormentavo come un sasso ma quella sera no. Mi girava per la testa il colpo di riga, il profilo di quello che si era girato appena a scusarsi. Ricostruii la cosa a modo mio. Un colpo piuttosto forte ed anche un poco doloroso. Io che mi appoggio alla ringhiera rischiando di cadere di sotto. Ed il Mio Eroe che che mi soccorre sorreggendomi e confortandomi. Nonostante sia tardi mi accompagna fino alla classe salutandomi con un buffetto, no, meglio, sfiorandomi la guancia con le nocche.
Lo raccontai solo dopo qualche tempo a Lidia, un poco vergognandomene ed un poco vergognandomi di aver taciuto per giorni. A Lidia la mia unica grande ed insostituibile amica fin dalla quarta elementare. Una vera avventura. Non si era offesa per il silenzio di giorni, -una simile Avventura dovrebbe essere tua e soltanto tua, hai voluto dividerla con me. Sono orgogliosa, tanto, sul serio.- Ci eravamo abbracciate. Ne seguirono altre di avventure che, sempre condividevo con lei. Crescendo cambiavano e si adattano alla mia età. Sempre però i miei Eroi erano giovani composti ed educatini. Lavati sbarbati e profumati, osavano ma non troppo. Pirati che dal cassero della loro nave, stringendomi appena contro il fianco, mi indicavano il mare dicendo che me ne facevano dono. Un vigoroso giovane barone che dalla sella, serrandomi tra le braccia, mostrava orgoglioso terre ben coltivate ed un maniero. -Mio, anzi nostro, perché tu sarai la mia sposa-. Ci vedevamo sempre meno, Lidia ed io; avevamo frequentato licei diversi. Lidia e sua mamma si erano trasferite in una casa più piccola. Era divorziata ed anzi il marito aveva ottenuto gli fosse affidato il fratello maggiore della mia amica. Ho conosciuto Marco durante un suo soggiorno dalla madre.
L’ho rivisto l’anno dopo. Avevo diciannove anni e lui venticinque. Capivo di provare qualcosa per lui da quando i miei Eroi avevano cominciato ad avere sistematicamente il suo viso ed il suo modo un poco buffo di parlare. Allora Lidia si faceva vedere molto spesso, quasi tutti i giorni, per poi scomparire per settimane o persino mesi. Un poco leggera la mia amica Lidia, o, per dirla tutta, da sempre notevolmente puttana. All’inizio aveva avuto le sue avventure simili alle mie. Me le raccontava tutte senza nascondermi nessun particolare. Le sue avventure presero ben presto un carattere più materiale e tangibile. Un primo bacio cui si era sottratta, un altro cui non si sottrasse. Qualche carezza stoppata ma altre alle quali si abbandonava con meno remore e crescenti aspettative. – No, non ho lasciato che mi toccasse troppo più su delle ginocchia-
E, forse un anno più tardi. -Quasi lasciavo, avrei lasciato mi togliesse il reggipetto, ma…-
Prima che mi presentassero Marco, troppo tempo prima, mi disse di aver conosciuto un uomo, un uomo non un ragazzo. Più tardi, pochi mesi dopo:- mi vuole. Io non so… anch’io credo. Gli ho detto che non me la sento, che non sono pronta- I suoi amori erano sempre disperati-mi piace, mi piace da morire.- Per quindici giorni, un mese massimo. Sperai in questo. Lo chiamava Lui. Non lo descrisse mai, non disse mai niente. Ci sentivamo per telefono, ci vedevamo da me a da loro senza però saperne altro. Mi telefonò una sera. Che continuasse a vederlo era ovvio. La madre ne aveva avuto sentore e faceva il diavolo a quattro. A diciotto anni ed un giorno se ne è andata a vivere da sola. Aveva ereditato una somma sufficiente a mantenerla per il tempo necessario a frequentare l’università. Dalla stessa parente le era arrivato un appartamentino, poco più che un monolocale. Sua mamma aveva dovuto abbozzare per non perderla del tutto. Poi si era rappacificata col marito tornando a vivere con lui, in America, ed io ho sposato Marco. E’ da allora che ci siamo riavvicinate. Abbiamo cominciato a riavvicinarci. Ha contribuito l’affetto di Marco per lei, la sua comprensione ed il fatto che non abbia mai dovuto chiedere un centesimo alla famiglia. Due lavori che la portano in giro per l’Italia ed il mondo. Fotografa di moda e consulenze, sempre per le case di moda nel suo campo di studi, l’economia. Guadagna parecchio più di me che scrivo fiabe e racconti per bambini ed adolescenti.
Sono brava sia a scriverli che a illustrarli con tavole ‘sognanti’. Così si è espresso su un giornale importante un critico qualche mese fa. Ci vediamo spesso e la vecchia intima confidenza è tornata, irrobustita anzi. Non più bambine o ragazze. Donne. Lei sa della mia noia mortale con suo fratello. Io so di Lui. Non molto. Sposato ed ufficialmente non diviso, ma d’accordo nel fare ognuno la sua vita. I propri comodi. Qualche volta un poco manesco. Sempre esigente ed autoritario. Ora Lidia viene spesso a casa da me. A casa sua no, – c’è il rischio che arrivi Lui.- Se anche arriva Marco, nessun problema. La invita sempre a fermarsi a cena dopo avermene chiesto il permesso con una occhiata. -E’ fatto così, troppo prevedibile, persino…- -Persino a letto?- Divento rossa. Nonostante una confidenza che viene da così lontano ci sono cose che non voglio certo confidare neppure a lei. Oltretutto è sua sorella. E’ un discorso di due mesi fa, prima che Marco, tutto tronfio mi annunciasse come avremmo trascorso le vacanze estive. Un mese al mare ed un mese od almeno tre settimane in viaggio. Guadagna bene, almeno più che discretamente ed io contribuisco non poco, almeno da due o tre anni. La casa è dei suoi che non ci fanno pagare nulla, neppure le spese di condominio. Lui vorrebbe subito un figlio, la mena da tre anni. Io preferisco aspettare ancora. Lidia sa tutto ma non riporta le cose che le confido. – Dovresti trovarti un uomo che ti sbatta fino a fartela fumare. Che ti scopi fino a farti gridare.- E poi? Gli dico cosa a Marco? -Niente ovviamente.–Mi conosci, fantasie tante ma nel concreto mai niente. E poi, metto una inserzione sul giornale o mi cerco un uomo in qualche bar?- Siamo nella stanza sua, dove dormiva quando ancora abitava qui. Adesso è il mio studio, ci dipingo sopratutto, ma qualche volta mi ci metto anche a scrivere. – Vieni, ho sete, bevi cosa? Io un te freddo- So che con lei non attacca, non ci spero, ma funziona o meglio accetta di cambiare discorso. Più tardi parliamo dei due mesi di assenza di mio marito. Due mesi da sola invece che la prima vera vacanza della mia vita. – Non eri tu che dovevi lavorare tutta l’estate? Dovevi finire sia di scrivere i testi che di finire o rifare le illustrazioni- -Una palla, -rispondo,- inventata sul momento, non so neppure io perché. E’ arrivato tutto mogio a dirmi dei due corsi. Due mesi, tutto luglio e quasi tutto agosto.– Ma tu in agosto potevi raggiungerlo.– Te l’ho detto, rabbia. L’avrei ammazzato.- Ed ora Lidia è di nuovo qui. Lui, Marco ha avuto dei problemi. -E’ partito, questa mattina. L’ho fatto partire senza scenate, con una lacrimuccia persino e gli ho promesso che se appena posso, almeno una settimana in agosto lo raggiungo.- In questi giorni Lidia ed io abbiamo tirato la casa a lucido, ma il condizionatore in sala, al solito fa i capricci e ci siamo stese, dopo la doccia, sul talamo nuziale.- Volevo dire a Marco che non facevo in tempo a raggiungerlo in agosto, mi sono fermata a metà.–Vai a finire il lavoro in montagna al lago o dove?- Bella domanda. -Me lo ha chiesto anche Marco. Gli ho risposto che non lo so e che, come sempre, staccavo il telefonino.– Per non perdere la concentrazione- -Appunto– Sei più carogna di me’E da quando sei una carogna? Con me non lo sei mai stata.- Le stringo la mano. Mi fa tenerezza. – Tu cosa fai questa estate, hai saputo se lavori?- Risponde di no e poi -Mio fratello quindi non sa dove trovarti?– No, ma ci è abituato anche se per periodi più corti. Lui però per tutto luglio non può neanche telefonare o ricevere telefonate, quindi…- Restiamo per qualche attimo in silenzio, più di qualche attimo. – Cercati un uomo che– lo so che mi sbatta fino a farmela fumare e mi faccia gridare. Cosa dovrei gridare? Ancora o basta?- Ride, rido anch’io. – Il problema resta comunque lo stesso. Inserzione o ricerca nei bar?- Di nuovo Lidia ride, rido anch’io. -Potrei aiutarti.- – -Non hai l’attrezzatura e non sono lesbica. Neanche tu.–Chi te lo dice?- Va la ti conosco, ci conosciamo anzi.–E’ vero, comunque non intendevo questo. C’è un uomo che ti vuole.- Per un attimo non capisco poi vado fuori di testa, fatico a non mettermi a urlare. E’ matta. – Hai parlato di me, di noi con qualcuno!- Esita, ha persino paura. – No, un caso su un milione. Qualche giorno fa siamo andate con Marco in pizzeria, ricordi?. Uscendo…ci hanno visti, erano poco più in la, così so, mi hanno detto.- Rido di nuovo, ma è una risata quasi isterica. Uno mi vede con il marito e la cognata e manda questa a dirmi che mi vuol portare a letto.
-E tu me lo vieni anche a dire? Ma che cazzo di amici ti ritrovi? Ed il tuo Uomo, ti manda, te,la sua donna a dirmi che mi vuole scopare?- -Il mio uomo no, L’altro.–E’ ridicolo.- -Mica tanto- – Come non tanto?–E’ un bell’uomo. Va bene, più vecchio di Marco, dicono però tutti che scopa da dio e poi… simpatico e ricco, il che non guasta mai.- -Sai quanto mi frega?- Sono decisamente incazzata,ma non voglio litigare e la butto sul ridere. -Comunque credimi, è uno che merita.- – In che senso?- E’ Lidia che adesso mi sembra incerta. Te l’ho detto. Ricco, quarant’anni, un bell’uomo. Con sua moglie- -sposato anche?- – Si, fingono di stare assieme, sai com’è. Ognuno fa i cavoli suoi senza rumore. Niente scandali. proprio quello che serve a te. Qualche settimana di vacanza da lui e- abbassa gli occhi un poco ma subito dopo li rialza. E’ uno che ti fa gridare a letto, te la fa fumare, e fuori è una compagnia simpatica. Colto, allegro, ecco simpatico. Puoi vederlo e poi decidere- Continua così per un poco.
Le parole di Lidia non mi hanno convinta ma incuriosita si e tanto. Una avventura? Santo cielo, non sono più una ragazzina. Mentre prepariamo uno spuntino, con questo caldo infernale nessuna delle vuole mettersi ai fornelli e neppure abbiamo fame, parliamo a monosillabi, giusto il necessario per lavorare assieme. Un’altra doccia e poi sul letto, nell’unica stanza in cui funziona il condizionatore. -Come è questo campione, chi è anzi?- – L’ho visto solo qualche volta, tre o quattro in tutto. Una volta per una settimana quasi. Siamo stati ospiti da lui.–Ospiti? Dove?- In un posto fresco- Ridiamo ancora, una risata tirata la mia. – Sul serio? Prima lo conosco e poi decido? Posso dire ciao ed andarmene via. Ma quello si incazza.- – Magari si incazza ma è il suo modo di fare, la sua tecnica che dicono gli rende. E poi…- Lidia ha gli occhi chiusi, come…Ho avuto quasi la sensazione che ci tenesse a farmelo conoscere. Lo chiedo. – Lasciami dormire ho sonno,- Ci resto male. perché prima sembrava tanto interessata ed adesso invece? Alla fine la sveglio e lo chiedo. -Credevo non ti interessasse ed allora amen. Ci tengo e tanto perché spero che sia la cura giusta per te-.
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Fa un caldo ancora peggiore dei giorni scorsi. Più caldo. Umidità, caldo e stanchezza. Lidia guida bene ed io fingo di dormire. Non ho osato dire che intendevo vederlo questo campione, ma vederlo solo e poi filarmela. Ed è certamente una cosa sbagliata. Punire Marco? Perché è una pizza, sopratutto perché…non lo so bene neppure io il perché. Perché muoio per la noia. Eppure gli voglio bene, gli ho voluto bene sul serio. Lo sbaglio è stato sposarmi così giovane. Quando le altre badavano a divertirsi io….-Sei sveglia-. Mi sistemo sul sedile.-Non manca molto-. Qualche chilometro più avanti abbandoniamo anche questa strada secondaria in salita e ci arrampichiamo per un’altra strada ancora più stretta e piuttosto dissestata. -Ci siamo, quello è il muro esterno, il giardino ed il parco sono grandi-. -Un gran bel muro.- -Non dovrai scalarlo di notte per venir via, basterà dirlo-. Un cancello ed oltre il cancello una stradina asfaltata, poi di colpo si apre uno slargo ed appare una casa. Non antica ma certo vecchia. Un corpo centrale e due ali di un piano più basse. Lidia arresta la macchina e spegne il motore. -Ti vedo tesa. Preferisco ripeterti tutto. Sei ancora in tempo per tornartene a casa senza neanche l’imbarazzo di dire me ne vado. Ti sei pentita subito, lo so e lo sapevo prima di partire. Puoi dirmi che vuoi tornare a casa tua. Dillo e ti porto alla stazione ferroviaria. Stasera dormi nel tuo lettone. Secondo: se entriamo in casa, sarai una normalissima ospite. Questa sera ceniamo con il padrone di casa, e, se vuoi, senza spiegazioni, subito dopo cena ti riporto via. Il resto non lo so. Non credo proprio ci saltino addosso a tavola, ti pare?- -Va bene, andiamo- Non sono convinta ma essere arrivata fino qui e scapparmene via senza una concreta ragione, far capire che scherzavo, che volevo solo vedere e che me ne è ora mancato il coraggio, no. -Ci sto facendo la figura di una puttana però.-
Non risponde, mette in moto e con una sgommata ci dirigiamo verso la casa che aggiriamo. Ingresso di servizio penso. Siamo attese e poco dopo una donna un po sussiegosa, la Governante ci mostra le stanze, piccole ed un poco dimesse. -Per lei signorina abbiamo il necessario, abbiamo le sue misure. Per lei, signora provvediamo in fretta.- Una rapida doccia e mi prendono le misure. Per ora di cena avrà il necessario per non sfigurare.- Si è sgelata in fretta la governante. Quando risponde a Lidia vengo a sapere che è sposata e che ha due bei bambini. Poi sotto il lenzuolo. Incredibilmente ho dormito più di due ore. L’abito che mi fanno indossare non è quel che temevo. Un po più scollato di quanto normalmente io porti, ma poco. Niente di scandaloso. Un abito…molto bello. Anche quello di Lidia è un bell’abito. Siamo pronte e sollecitate da una cameriera scendiamo. -E’ solo una Avventura- dice Lidia. Ne invidio la ‘nonchalance’ e… la bellezza. Da ragazzine ci cambiavamo spesso nella stessa cabina in piscina od in palestra.
Non ne vedevo le forme da allora. E’ esattamente quello che vorrei essere io. Diciamo più formosa e riempie l’abito come…siamo arrivate. E’ vero, il Dottore è un bell’uomo. Ha però più di quarant’anni, forse quasi cinquanta. L’altro, più giovane si chiama: Ospite…-il mio gradito ospite- dice il Dottore.
E’ vero, è una gradevole compagnia. Riescono a farmi uscire persino dalla tana in cui mi ero nascosta volutamente. Niente discorsi salaci od allusioni di nessun genere nweppure alla fine. – La compagnia delle signore è gradevolissima ma saranno stanche.- Auguri di buona notte normalissimi e mentre Lidia e l’altro si avviano mi fermo con il Dottore. Con un cenno discreto me lo ha chiesto se non imposto. Un cenno non perentorio che tuttavia mi raggela. Torno, se mai l’avessi scordato, alla ragione per la quale sono stata invitata. -Sieda signora, la prego.- All’inizio della cena si è rivolto a me con formale cortesia all’inizio, freddino anzi. Il tono è diventato più affabile restando però formale. Ora mi chiede di permettergli il tu, ed io acconsento. Seduta di fronte a lui ascolto le altre sue richieste. La servitù va a riposare, vuole conoscermi meglio ed io devo conoscerlo meglio. Ci ritireremo nel suo salottino. Non succederà nulla che io non voglia e, domani mattina, se lo vorrò, potrò andarmene. Un discorso civile date le premese. Sono più rilassata e non mi trattengo dal dirlo. Non mi ha fatto bere e certo non sono sotto effetto di droghe, eppure sono strana. Per forza cretina, mi dico. E’ un bell’uomo. La sua compagnia è gradevolissima. Parliamo di tutto e di più. -Sei una bella donna, molto bella, e non solo bella…spero che domattina tu decida di restare.- Mi sento un verme. Sono un verme. Mi si siede al fianco, sul divanetto, mi stringe la mano. Faccio per ritrarla, la trattiene tanto da spaventarmi un poco ma poi la lascia. Una mano calda ed asciutta piacevole da stringere. -Sono, sono un verme.- Vorrei dire puttana ma non oso, temo mi fraintenda. – sono disonesta, sono venuta… ma ero già decisa ad andarmene senza… – non posso dire senza scopare, -senza fare nulla-, e poi, -senza venire a letto. Mi vergogno, tanto-. E mi vergogno di baciarlo. Ma lo volevo fare fin da quando, non so, da quando mi sono accorta che ha gli occhi grigio e che mi piace la sua colonia e le sue mani mi piacciono e che voglio continuare a chiacchierare ad ascoltarlo. Ma non mi sta baciando anche se mi è molto vicino. Non è certo una delle mie avventure. A questo punto mi bacerebbe. No lo bacerei io. O no, si di certo. Non mi bacia, non mi…cosa aspetta, cosa vuole? Sono io, sei pazza mi dice la vocetta. E chi se ne frega. Mi faccio più vicina, mi perdo in quegli occhi e sono tra le sue braccia. Vorrei mi stringesse più forte ed al tempo stesso vorrei…ho paura e non voglio…ma neppure voglio mi lasci. Mormora qualcosa che non capisco, non capisco nulla, non voglio capire, -si, si, si! Si!- Forse lo penso appena ma tanto gli basta. Un bacio leggero, più uno sfiorarmi soltanto le labbra. Un’Avventura questa è la più bella, la più reale…perchè è una vera avventura. Mi bacia ancora e la lingua mi forza mi apre anche se non voglio. Non voglio? Perché se non voglio mi stringo a lui. Porto l’avambraccio a cingergli il collo e nell’alzare il viso, nel negargli quel bacio che non voglio protendo inevitabilmente il bacino, il ventre. Mai ho avvertito con Marco così tanto la solida durezza del corpo di un uomo e la presenza di quanto c’è in basso. Mi perdo, mi sono già persa accettando di venire, di partecipare a questa follia.
Pazza, pazza, sei pazza! Non protesto però e non mi scosto da lui. Già premevo il corpo sul suo, forte e maschio, e lui semplicementeportando la mano sul mio sedere e stringendomi ancor più a lui fa scomparire, se mai ci fosse ancora, qualsiasi volontà rimasta di sottrarmi. Non devo, assolutamente non devo! Mi sollevo invece sulle punte per cercare la bocca che si è per un attimo scostata lasciando la mia nuda, vuota, orfana.
Lo seguo passo passo, prima che raggiungiamo ed apra una porta, so già che oltre mi attende la sua camera, il letto. Non voglio entrare ed al tempo stesso non voglio altro, mi perdo. Vieni. Mani sapienti, troppo esperte mi frugano, sanno accarezzare ed al tempo stesso sciogliere lacci… vincere se mai serva qualche timida e falsa ripulsa. Sono io e sono un’altra, discinta prima, del tutto nuda e coperta di sola vergogna, in attesa un attimo dopo. Il Dottore, non conosco il suo nome, mi guarda, non più vestito di me. Non so neppure il suo nome ed ho slacciati i numerosi bottoni della camicia. Non l’ho visto prima di oggi e mi lascio sollevare e baciare, schiudo le ginocchia per aprirmi alla più intima delle carezze che mi sconvolge. La giovane contessa non ha difeso il suo onore, dibattersi? Inutile, inutile gridare ed inutilmente chiedere la sua pietà. Ad occhi chiusi, immobile, lascia che quel mostro abusi di lei, colga quel piacere maschile che spetta di diritto solo a suo marito. Non sono la prima donna a dover subire…se cerchi di difenderti, ha pensato, se invochi clemenza, sarà ancor più lieto di averti, di goderti umiliandoti. Però qualcosa succede. Qualcosa che era certa capitasse solo alle popolane. Qualcosa alla quale un anno di assiduità del marito non la aveva preparata. La sorpresa della bocca di lui là sullo ‘scrigno’, no questa cosa no è immondo, poi…un calore crescente che la obbliga a gemere sommessamente mentre il calore mai prima provato cresce, la avvolge togliendole ogni forza, ogni volontà di essere forte… No, non sono la contessa, non è una Avventura. Sono io, e mi protendo per offrirmi meglio alle, carezze ed ai baci. Non mi nego alle mani che delicate ed allo stesso tempo esigenti frugano le pieghe più riposte, penetrano…ed io sussulto e lo prego, o si, sia pure senza proferire una sola parola, lo supplico di prendermi, possedermi. Né mi vergogno di dargli piacere con la bocca né mi sottraggo a quello che consideravo il peggior oltraggio di un uomo. La sodomia. Credevo fosse molto, molto più doloroso.
Più tardi, nella notte, stesa al suo fianco, ascoltando il respiro un po pesante, penso con timore al giorno che sta per venire. Timore di essere scacciata. Timore di non aver saputo saziare le sue voglie, timore sopratutto di essere stata troppo condiscendente, anzi troppo puttana. La mano che scende a frugarmi tra le cosce la bocca che cerca la mia, la virilità che rinnova la conquista fugano ogni timore in tal senso. Una controprova, la prova del nove. Dopo qualche tempo, ore o solo minuti, non so, prende la mia mano portandola al suo inguine. La mano non gli basta ed appunto vuole la mia bocca. Hai molto da imparare piccola, ma avrai i maestri migliori.
Il chiarore che penetra nella camera per un attimo mi fa pensare all’alba. E’ giorno fatto e sono sola nel letto sfatto. Sono le nove signora. La sua amica scende tra poco per la colazione. Ma Lui dov’è? Non oso chiederlo nonostante la donna mi abbia portato il necessario, secondo lei, per scendere. Un costume da bagno, una vestaglia e gli zoccoli. Poi vedremo dice sibillina. Lui dov’è? Ho un amante. Ho un amante. Mi sono fatta scopare, ho scopato tutta la notte e so di sesso, tutta la camera sa di sesso e di scopate. Una rapida doccia, pochi colpi di spazzola e sono pronta. Cosa dico a Lidia? E se c’è lui, come lo saluto? Buon giorno dottore? Dormito bene? L’ascensore inesorabile mi porta giù. La cameriera, la stessa che mi ha svegliata mi indica la saletta per la colazione. E c’è Lidia. Ciao Lidia, dormito bene? Uno sguardo che conosco bene. Ha qualcosa che pur non volendo finirà per dirmi. Inutile pressarla, si chiuderebbe a riccio rendendo tutto più difficile. Decido di fare pure io la misteriosa. Notizie dei due signori? Sono usciti a cavallo, torneranno per pranzo. Nel farlo una ciocca si sposta e lei porta la mano a ricomporsi un attimo troppo in fretta. Che hai? Non risponde ma lascia cadere la mano e gira la faccia in modo che possa vedere. Non un grosso livido ma certamente un livido che il trucco copre solo in parte. Ho fame ma la curiosità ha il sopravvento. Solo più tardi, dopo aver lasciato la saletta, possiamo parlare però. Lui, non il mio Lui, quello di Lidia, Quello di sempre di Lidia ha trovato da ridire su qualcosa.-E’ stata colpa mia, non avrei dovuto farlo arrabbiare.-Non va oltre.-E tu non fare la santarellina. Racconta tutto. Racconto tutto–ho chiesto io di… di farmi scopare. Ne valeva la pena? Taccio, temo di dire troppo. Troppo a Lidia? Le ho sempre detto tutto.-Se mi scaccia se non mi tiene per qualche settimana ‘- -Cosa faresti?– Vado a cercare a Genova per osterie. Dici che sono una puttana?-Dico che ne avevi bisogno. Ti ha fatto gridare? Te la ha fatta fumare. Buono. Ora sai cosa vuol dire. Starà a te in futuro decidere.-Una mattinata tra il lettino al sole e l’acqua fin troppo fredda della piscina. Una chiacchierata, una ininterrotta sfilza di particolari che si uniscono a formare il racconto completo della notte, inframmezzata di silenzi. Qualche dubbio, pentimenti? E’ tardi per i pentimenti.

Nel fitto del bosco due grossi cani osservano non visti. Ora sta in lei e soltanto in lei e nella nostra misteriosa alleata. Non posso e non voglio permetterlo. Sono i nostri eredi, i nostri figli. Il principe delle profondità li distruggerebbe. Vuole continuare il gioco che ci ha portati quasi all’estinzione. Vuole giocare alla divinità. Vuole dominare questi esseri e sta costruendo la sua armata. Forse mi distruggerà ma devo fermarlo. Il branco mi aiuterà, e’ con me e gli anziani

Lidia dorme Anna finge solo di dormire. Quello che ha raccontato alla amica e cognata è vero, tutto vero. Una parte soltanto della verità però ed è la parte taciuta che la sconvolge. Le ha detto di aver chiesto in pratica lei di essere portata a letto. Non le dice di averlo baciato forse per prima, non ne è in effetti poi sicura. E’ tutto confuso, ma certamente non ha neppure finto la minima remora od esitazione. Quando le è venuto in mente era certamente troppo tardi visto che era nuda sul letto e lui… la guardava altrettanto nudo sopra quasi di lei. No, non aveva sollevata la minima obiezione e questo la sconvolgeva, Non drogata od ubriaca non aveva scusanti. Aveva accolto gioendone le carezze da subito estremamente…audaci, intime. Senza contraccambiarle, questo no, almeno all’inizio. Tra tutte, due cose la sconvolgevano. Aver preso in bocca il pene di lui e permettergli di soddisfarsi nel suo… insomma di sodomizzarla. Ricordava il sollievo nello scoprire che non era poi così doloroso. No lei non voleva essere così puttana, non poteva esserlo. Pensò di svegliare Lidia e di farsi accompagnare al treno o dove ci fossero mezzi per andarsene ma Lidia dormiva. Non voleva poi causarle altri guai con il suo uomo. Ed era troppo tardi. I due uomini stavano arrivando. Si alzò dal lettino imitata dalla cognata. Guardò i due uomini. In altri momenti si sarebbe soffermata sulla figura dell’Ospite, il misterioso compagno di Lidia ma non ora, e fissò Lui, il suo Lui; un bell’uomo, non più giovane ma aitante.Meglio, molto meglio di quanto ricordasse dalla cena. Camminava con il passo e le movenze dell’uomo sicuro di sè, senza incertezze. Volse in quel momento lo sguardo verso la piscina e verso le due donne sorridendo e quel sorriso bastò a rasserenarla. L’Ospite invece sembrava teso e fece appena un cenno con la mano dirigendosi poi verso lo stabile; un attimo e Lidia si avviò dietro di lui. Ciao piccola, buon giorno Dottore. Questi sorrise ancora ed allargò le braccia in cui Anna letteralmente volò. Non le importava la presenza della governante poco più in la. Fu felice della stretta vigorosa e non si sottrasse al bacio goloso di lui. Non si sottrasse ed anzi si protese per essere baciata irrigidendosi appena quando la mano dell’uomo si infilò sotto il costume, ben aperta a palparle le natiche. Tutto bene qui? Anna lo guardò perplessa. Lui sorridendo continuò: Il buchetto, era di certo la prima volta, fa male? Imbarazzata ma neppure tanto, era, si disse, il suo uomo. No, prima un poco, adesso è tutto a posto. Bene, mi tuffo e poi mangiamo qualcosa. Senza preoccuparsi si spogliò rapidamente e completamente nudo entrò rumorosamente in acqua. Dai vieni. Non se lo fece ripetere e lo seguì. Nuotarono e giocarono spruzzandosi come bambini. Poi si diedero a giochi non adatti ai bambini, sul lato della piscina dove la profondità diminuiva. Sentendosi prendere tra le braccia e sollevare Anna aveva sperato che di quello si trattasse. Quando fu deposta delicatamente in quei pochi centimetri d’acqua la speranza divenne certezza e si abbandonò senza remore.

Così deve essere. Così sarà. E questo Popolo, il mio Popolo i miei Figli erediteranno la Terra. Non giocheremo più al GIOCO DEGLI DEI. Abbiamo estinto la stirpe. Salviamo i nostri figli, i nostri eredi.

La dea della notte si dilatò nello spazio, salendo in alto nel cielo, finché ogni molecola e successivamente ogni atomo del suo corpo, pur interagendo ancora gli uni con gli altri, non furono adeguatamente distanziati. Iniziò allora a nutrirsi apparentemente di nulla, neppure lei lo sapeva. Percepiva il suo compagno, lontano nell’elemento da sempre a lui più naturale, il fondo del mare e le sue correnti. Anche lui stava nutrendosi e certamente studiava nuove strategie per dominare il mondo. Pazzo. Non erano bastate le esperienze degli ultimi mille secoli?
No, non gli bastava e solo lei La Dea Della Notte ed i pochi suoi fedeli si frapponevano tra la vita e la morte del suo popolo. Non si vive così a lungo senza indurirsi ma fu turbata per ciò che i suoi fedeli ma sopratutto le sue fedeli stavano soffrendo ed avrebbero dovuto soffrire in futuro. Lui stava preparando la propria rinascita, una rinascita non definitiva, solo parziale, ma ne avrebbe ricavato potere e forza. Troppo dell’uno e dell’altra. Non doveva permettere che i suoi programmi si realizzassero. Non doveva permettere che quelle donne raggiungessero il loro acme e partorissero al mondo lui e lei. A nessun costo doveva permetterlo. Neppure dovendo sacrificare a questo fine tutte le sue patetiche piccole serve. Ed il suo presunto sposo, il Principe degli Abissi non doveva neppure sospettare…Sterminare la maggior parte della razza umana, di quelli che considerava suoi figli, non sarebbe stato un prezzo troppo alto da pagare per salvarne anche soltanto un piccolo gruppo, un pugno. Scosse le spalle e la lunga capigliatura ondeggiò. Sono così prolifici…poveri cari. Il suo antico popolo ,nel suo folle gioco, prima di scomparire aveva creato e cancellato imperi e stuoli di servi. Dei dicevano di essere. Dei poco prolifici con le proprie donne. Gli uni e le altre amavano essere adorati,anche lei aveva amato essere adorata, si anche lei. Ora…voleva salvarsi e alvarli. Se appena avesse potuto…
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Sono una puttana, sono una puttana, una puttana. Avevo cominciato a dirmelo quando ci spruzzavamo, avevo continuato mentre mi sollevava tra le braccia, me lo ero ripetuto quando deponendomi nell’acqua bassissima aveva chiesto, ordinato anzi di togliermi da sola il costume. Puttana, puttana, sono una puttana. E’ bellissimo essere una puttana, la sua puttana. Le mani dietro la schiena per il reggipetto. Le ginocchia al petto per le mutandine, sapendo di come si mostrava…l’acqua fredda fa però brutti scherzi ai maschietti. Una bocca calda in compenso fa miracoli. Non dico, non penso più di essere una puttana. Non penso più a niente, se non a quello che provo. Sono una giovanissima femmina su una spiaggia, una giornata assolata, il maschio, il mio primo uomo. Ho corso a lungo sapendo di non potergli sfuggire, ho corso fino a che il cuore, il fiato e le gambe mi hanno sostenuta. PAURA E DESIDERIO. Poca la paura…Si china e nonostante mi dibatta m immobilizza, mi fa donna e ne godo, non col ventre ma dentro la testa. Sono una donna e questo è il mio uomo. Sono la sua donna, sono la sua donna. Lentamente la spiaggia sconosciuta cede al presente. Un leggero odore di cloro, e Lui che mi guarda, E’ ancora dentro di me. Gli cingo il collo e lo bacio. Vorrei dirgli che lo amo ma non oso. Sono tua. Lo so cara, lo so da quando ti ho vista arrivare in sala ieri sera. E, piccola, preferirei continuassi a chiamarmi come prima. Uno schiaffo avrebbe fatto meno male. Non trovo il costume, gli dico. Scrolla le spalle ed impartisce istruzioni alla governante, istruzioni che mi riguardano e che seguo per la mia parte. Infilo le ciabatte e la seguo in casa. Neppure un cameriere cui passo davanti sembra far caso alla mia totale nudità. Lidia che sta sopraggiungendo con l’Ospite, il suo uomo, mi fa un cenno. Sorride, si stringe a lui con una smorfietta, la sua smorfietta di quando è felice. Ha fatto pace, è contenta. E’ contenta anche di vedere me felice? Le voglio bene da sempre e, da sempre lei ricambia il mio affetto. Vorrei dirle quanto le sia riconoscente di avermi portata qui tra le SUE braccia. Mi fermo ma immediatamente dopo proseguo. Non sono cose che dirò mai in presenza di altri e poi non ho assolutamente nulla addosso e c’è appunto il suo Uomo. Poco più tardi, sul lettino del massaggio rivedo lo sguardo dell’Ospite, decisamente interessato. Spero Lidia non lo abbia notato ma…ne sono compiaciuta. E’ bello sentirsi ammirata e desiderata. Un attimo solo poi scaccio questi pensieri. Appartengo al Dottore e lui è l’uomo di Lidia. Però, però fa piacere lo stesso. Il massaggiatore mi ha fatto schiudere le ginocchia per introdurmi un poca di crema. Contro l’infiammo, dice, adesso si giri. Si prende cura anche del buchetto del sedere. Senza nessuna spiegazione. Me ne vergogno un poco, appena un poco. Coperta da una vestaglietta vengo accompagnata fino alla camera di Lui, che mi sta aspettando…Mi piace versargli da bere, cambiargli i piatti, raccattare una posata e sostituirla con una pulita. E’ il mio Uomo. Mi piace essere presa sulle ginocchia ed imboccata dal mio Uomo. Mi piace ancora di più aspettando il caffè essere di nuovo presa sulle ginocchia, le mie gambe aperte una per lato e così aperta ed indifesa, ma chi vuole difendersi? fatta calare ad impalarmi. Ed allora capisco a cosa serva od a cosa serva anche, la crema. Più tardi grido, di piacere e di rabbia. Perché non ho capito prima cosa potesse voler dire essere di un uomo? Certo l’appagamento fisico è importante ma ancor più mi importa essere appagata nella mente. Gli appartengo, sono sua. E perchè mai? Perché sento che è così. Solo in questa appartenenza mi sento esistere. Senza di lui non sono nulla, non esisto. Lo conosco da meno di un giorno.
SARANNO GIORNATE CRUCIALI. QUI ED ANCHE A MILANO, SIA PER IL GRUPPO DEL GUARDIANO CHE PER IL BRANCO. ALLA FINE SI TROVERANNO QUI, TUTTI SPERO.
Milano. La sera precedente…Nel salone a forma di L, la riunione formale era terminata. Ed Il GRUPPO UNO, in pratica il Direttivo Europeo si era sciolto. Molti se ne erano andati. Non si era concluso molto al solito, a parte i maggiori stanziamenti per la ricerca scientifica. Solo da poco si erano convinti che i Fratelli Diversi avessero molto da insegnare. Per troppo tempo ci si era limitati a ‘mungerli’ anche in quel campo ed ora esisteva un abisso difficilmente colmabile. MRT si accostò all’ampia finestra. La consuetudine, unica loro legge, prescriveva in quelle riunioni l’uso del ‘linguaggio di caccia’ e la ‘Lingua.’ Lui seguiva sempre le regole se non gli conveniva fare diversamente e chiamò a sé la giovane in quel modo. Proseguì poi usando senza remore la Lingua, inframmezzata, integrata anzi dall’italiano. Lei si era avvicinata fissandolo, inevitabile usando la Lingua che, quasi quanto il Linguaggio di Caccia, consisteva in mimica e posture del corpo codificate. Da quanto? Da sempre per quanto se ne sapesse. Fratello Maggiore? Marta, era indispensabile chiamarla con il nome ‘aperto’ se non si volevano fare confusioni, lui era l’unico come più anziano con quel nome, a poterlo usare. Lascia perdere le formalità, poi sei maggiorenne da tempo…vai a caccia da tempo. Lei sorrise appena. Dimostrava secondo i canoni dei diversi una ventina d’anni, di più forse osservandone lo sguardo sicuro di sé ed altri particolari che invisibili agli altri non sfuggivano a chi fosse nato nato nel Branco. Di fatto sua madre la aveva partorita più di due dozzine di anni prima, ventisette anni prima. Non ho notizie di TTL, puoi dirmi qualcosa? Si, a te si. Mamma è unita formalmente con un diverso. Non vuole si sappia, non vuole la si cerchi. Sposata secondo le loro leggi quindi. Si. Falle sapere che le auguro tutta la felicità in cui sperava il giorno del matrimonio e…se mai le serva qualcosa sono a sua disposizione, sempre. Vuole penso darti una sorellina, un’altra. Lo penso pure io. Sorrise. So che hai avuto un incidente di caccia, un uomo quasi moriva. Quasi morivi tu, ti hanno sparato. Ho ancora i segni dei pallettoni. Qualche giorno e scompariranno del tutto, serve altro? Formalmente ineccepibile ma sbrigativa. Lui proseguì: si devo parlarti ma potrebbe essere una cosa lunga mentre sono io a dover andare a caccia. Devo proprio. Ho continuato a rimandare e mi accorgo che sto indebolendomi rapidamente. Con una cacciatrice più anziana ed esperta non avrebbe osato mentire in quel modo, in realtà poteva aspettare ancora qualche giorno senza corre pericolo di indebolirsi eccessivamente e sempre aveva ‘prede’ pronte. Quando potrai dedicarmi un paio d’ore. Forse meno se la cosa non ti interessa, di più se al contrario…Scusa, accennami almeno qualche cosa. No. Troppo lungo solo accennarlo e…riservato. Anzi preferirei non ci vedessero confabulare troppo. La vide perplessa, poi il volto tradì la decisione, era un si. Si, disse lei. Ma c’era dell’ altro. Per la caccia. Posso farti da battitore. Ho per te una preda pronta. Non si aspettava questa offerta, inconsueta a dir poco. Sarebbe diventato suo debitore, meglio di no. La avrebbe legata a lui, aprendo la strada od almeno facilitando le cose, aumentando le possibilità di convincerla ad aiutarlo. E questo aveva la preminenza. E’ meglio non parlottiamo, come hai detto, quindi…Gli aveva dato indicazioni precise per ritrovarsi e se ne era andata. Dopo qualche tempo se ne era andato pure lui mescolandosi alla Mandria. I loro antenati neppure avevano mai sognato simile abbondanza di prede. Neppure avrebbero supposto che il Branco potesse mescolarsi e convivere con la Mandria di cui si nutriva.
Veramente non si erano mai nutriti delle loro carni, certamente però li sfruttavano. Da dove venisse il Branco, no doveva smettere di usare l’antico nome anche quando in questo momento fantasticava. Non Branco e Mandria ma branco e mandria. Come venissero chiamati gli uni e gli altri non importava. Non conoscevano nulla delle loro origini. Forse, ma era una delle mille ipotesi recentissime, si erano evoluti a fianco del Homo Sapiens od anche da prima. Era una delle loro debolezze, niente studiosi di antropologia, come nessun studioso di materie scientifiche. Le primissime iscrizioni universitarie risalivano a meno di cinquantanni prima. Ce ne voleva di tempo ancora per sviluppare le diverse materie. Forse non erano neppure tagliati per quello. Anziché di storia si nutrivano di storie, leggende. Antiche certo, ma leggende. Fandonie aveva sempre pensato, come quelle relative a dei e dee crudeli…Non che il branco fosse migliore di molto. La fertilità bassissima era il loro problema. Da quando? Certamente il branco od i branchi un tempo non avevano questo problema. Poi lo avevano risolto con gli incroci. Una donna del branco su dieci, raccontano le leggende, riusciva a partorire fecondata da un maschio del branco. Endogamia all’ultimo stadio? Quando negli ultimi due secoli i diversi branchi si erano incontrati e fusi le cose non erano minimamente cambiate. Si era andati avanti col sistema di sempre. Le loro femmine si facevano ingravidare dai maschi dei diversi. Con le diverse ingravidate dai maschi del branco le cose erano più complicate ovviamente. Aveva raggiunto il luogo dell’appuntamento con qualche anticipo ma aveva dovuto attendere ben poco. Le spiegazioni portarono via pochi minuti poi si separarono. Attese poi qualche tempo sotto casa dell’altra donna e le seguì. Era venuto in macchina ma l’amica gli segnalò che non sarebbe servita e le precedette. Non era male la donna, il passo elastico ed il fisico slanciato ma non troppo alta. Non minuta ma neppure l’opposto. La trattoria era decente ed aveva preso posto da poco quando le due entrarono. Se non bella almeno graziosa, più che graziosa, si formosetta senza esagerare. Evitò di fissarla evitando persino di pensare a lei. Era istintivo nei lupi e l’istinto veniva rafforzato quando il padre o la madre addestravano la prole alla caccia. Con i lupi ovviamente in comune avevano solo il nome. Un lupo comunque percepisce quando un occhio troppo interessato lo osserva ed i diversi, alcuni almeno, ed in forma ridotta, possedevano questa stessa capacità. Indossava un abito adatto alla stagione, senza maniche ed un poco scollato, niente di eccessivo. Qualche segno, invisibile agli altri nella sala ma visibile a lui e Marta indicavano qualche anno in più di quanto… della ventina che i più le potevano attribuire. L’eccessiva giovinezza era una difficoltà in più nella caccia, anche però un aiuto e la preda più succosa. Questa prometteva bene. Fece in modo di essere notato. Non rientrava nelle possibilità dei lupi leggere le menti delle prede se non in maniera del tutto superficiale, leggevano gli atteggiamenti. Neppure potevano ipnotizzare le loro vittime potenziali. Un poco indirizzarne i pensieri si. Più che facendo loro vedere quello che non c’era, sottolineando quello che c’era e che quelle desideravano vedere. Sapeva ora che le due parlavano di lui. Positivo positivo. Segnali di caccia . Sarebbe stato meglio un altro rafforzamento e peggio nessun rafforzamento. Poi, quando le due furono pronte ad uscire, alla porta giunsero tutti insieme. Lasciò il passo e ne sortirono alcuni convenevoli. Poi qualche parola, un invito per un caffè prendendo al balzo la rottura della macchina del ristorante. Fu la donna ad invitarli a casa sua. Stavano aspettando che la macchina entrasse in temperatura ed il telefono di Marta squillò. Doveva andare. Tutto predisposto comunque. Di nuovo qualche convenevoli ma Giordana, la padrona di casa era ormai abbastanza presa di lui. Una smorfia di Marta, gli occhi più vivi indicavano che percepiva e riconosceva le secrezioni che ormai il suo corpo emetteva nell’aria. Le femmine del branco ne erano sensibili quanto e più delle umane. E furono soli. Percepiva le emozioni di lei. Si tradiva con un eccesso di essudorazione, con qualche battito in più del cuore e la respirazione leggermente affrettata. Si tradiva con un mutismo eccessivo seguito da un eccesso di parole Non era ancora pronta però. Chiacchierarono ancora un poco. Capii infine e mi detti dell’asino. Era vergine. Altro problema, non insolubile però od almeno lo speravo. Una donna consueta al sesso… sarebbe stato facile. Con una vergine anche se ormai un bel po’ fuori di testa bisognava superare la barriera psicologica della prima volta. Una barriera inculcata dalla cultura maschilista millenaria e dalla barriera fisica del’ imene da lacerare che si univano alla paura del non conosciuto se non per sentito dire, del rischio di gravidanze e da qualche tempo, di malattie. O metterla tra le riserve corteggiandola o…Sei bella Giordana, forse è meglio che me ne… non pronuncio l’ultima parola e la abbraccio. Troppo in fretta perché possa ritrarsi ma facendole sembrare di averne avuto tutto il tempo. Un altro piccolo trucco. Un bacio al quale per un attimo non risponde, ma ha già avuto qualche flirt, sa baciare, almeno un poco. Qui siamo in un terreno che bene o male conosce. Il nostro bacio però è velenoso. Eccitati, i nostri maschi secernono inizialmente qualcosa di utile a sedare le coscienze o qualcosa di simile. Blando all’inizio, ma sufficiente, unito come è, o sembra sia, ad altro che acuisce il piacere nelle nostre vittime. Endorfine credo le chiamino gli studiosi umani. Ora devo solo avere pazienza. Baciarla come si aspetta, lambirle e mordicchiarle i lobi, le palpebre e la gola. Aspettare ma non troppo. L’effetto non è duraturo, pochi minuti. Troppo facile altrimenti. Slaccio il cordoncino che unisce i lembi della scollatura, tirando un doppio moccolo al doppio nodo. Reggiseno incorporato nell’abito, benissimo. Un altro bacio e carezzo il pregevole petto, chino il capo per suggere i capezzoli eretti. Ti voglio, adesso. Non risponde. Non pesa molto, so dove andare. Ai piedi del letto la bacio ancora. La bacio Perché mi piace baciarla. La carezzo e la stringo perché mi dà un brivido sempre nuovo accarezzare e stringere una vergine che si sta abbandonando a me per scoprire cosa sia l’amore. Voglio che Giordana sia felice questa notte; voglio sia felice nel ricordarla questa notte. Qualche difficoltà nel privarla dell’abito, maggiore pazienza per calarle le mutandine senza ricorrere a nulla che possa ricordare come una di violenza , l’ultimo baluardo della sua virtù crolla e scompare a terra. Non ricordo di aver mai impiegato tanto con una donna. Ora però e stesa, il gomito destro sul viso e le ginocchia accavallate. Ho vinto solo una battaglia e l’effetto dei trucchi è finito. Finito neppure da poco. Mi sono lasciato trattenere da cosa? Non importa. Cravatta e camicia scarpe calze, Pantaloni e mutande. Mi spoglio con calma, la raggiungo. Mi stendo beandomi del suo profumo di donna, inteso. Di cosa sappia una donna che sta per fare l’amore lo cantano i nostri poeti. Alcuni poemi risalgono ad almeno quattromila anni fa. Tutti parlano delle essenze e dei profumi più rari dei loro tempi; neppure sappiamo come e cosa fossero. Miele, incenso, spezie, fiori rari. Uno di questi solo dice la verità: ogni donna mentre sta per darsi all’uomo che si è liberamente scelto sa di donna e di mistero. Un profumo diverso per ciascuna di loro e diverso ogni volta. Giordana sa di mistero e di Giordana. La osservo, incredibilmente quasi intimidito. Fa scivolare il braccio che aveva tenuto a coprire gli occhi ed il viso dal delicato profilo. Un sospiro, quasi un ansimare. Non voglio. Non voglio e non posso. Sempre ad occhi chiusi, sempre immobile e sembra neppure respiri. Sono stato respinto da qualche donna, poche, mai a questo punto. No, una volta, tanto, tantissimo tempo fa. Ripiombo indietro nel tempo, nell’Africa del nord. Una schiava piuttosto bella ma per quei tempi non più giovanissima. Mi era stata donata per aver… non importa il perchè. Nessuna lingua in comune, ma non contava. Al dunque i suoi rifiuti. Poteva costarle la morte e certamente una brutta morte. Mi era stata donata col sigillo della verginità. Non possederla era un affronto grave nei riguardi del donatore. Cercai di capire. Impossibile, poi ‘soror sum’: sono una suora. Non che fossi praticante ma ero stato battezzato…Inventai qualche frottola ed affrettai la partenza. Era sul serio una suora.asono di nuovo qui ed ora. Potrei costringerla, ho ancora qualche freccia al mio arco. Non me la sento. Va bene Giordana. Mi chino posando appena le labbra sulla bella fronte. Sto rivestendomi in sala quando mi chiama. E’ alle mie spalle. Giordana, vattene, non sono un santo. Mi guarda con gli occhi sbarrati e pieni di lacrime. Te ne stai andando. Eppure… Non dice altro. Non dico altro neppure io. Mi slaccia la camicia poi fugge in camera. Gli occhi chiusi si aprono e sorridono. Non ho più paura, e,ti amo. Voglio che tu stia qui. Si abbandona quando la abbraccio, mi stringe, mi bacia e si fa accarezzare; forse vorrebbe anche farmi qualche carezza ma non osa. E’ quasi l’alba quando la possiedo. Incredibilmente abbiamo parlato per ore, mescolando idee, speranze e sudore. Prova dolore quando la prendo ma mentendo dice che non è vero. Una breve sosta in bagno e di nuovo uniti mentre la città si sveglia. Un gemito roco. O caro, si caro, siii. Non volevo nutrirmi di lei, delle sue emozioni, del suo piacere. Mi ha travolto e saturato. Direi una indigestione. Sei sposato, l’ho capito. Non rispondo. Non importa. Aspetta, Da un cassetto trae un mazzo di chiavi che mi porge. Mi detta una serie di numeri telefonici e di indirizzi mail. Quando mi vorrai sarò qui. Dimmi soltanto che mi ami… lo so che mi ami ma…ad una donna, a me almeno piace sentirmelo dire. Non voglio sapere altro. Mi basta ed avanza. Non voglio regali, non voglio denaro, non mi serve, voglio solo che di tanto in tanto venga da me. So di esseri piaciuta e finchè ti piacerò…Se non vuoi fare l’amore non importa anche se è bellissimo. Puoi telefonarmi a qualsiasi dei numeri che ti ho dato, lasciare un messaggio con l’ora ed il posto. Puoi venire a qualsiasi ora del giorno o della notte, hai le chiavi. Sono una brava cuoca e sarò felice di cucinare per te e…hai parlato di figli. Posso darti dei figli. E non ti causerò problemi di paternità o alimenti. Se non vuoi prenderò la pillola. Non la faccio andare oltre. MI spoglio e la raggiungo nel letto. Facciamo l’amore ancora, fin quando anche le possibilità di uno del Branco, no devo dire branco si spengono. Non sono brava abbastanza? Chiede con un sorriso sbarazzino. Ho raggiunto il limite anche per un lupo, ben oltre i limiti dei nostri fratelli diversi quindi. Sa benissimo di piacermi da impazzire. Dovrai insegnarmi molte cose. So cosa vuol dire. Abbiamo fatto l’amore e goduto come ricci più volte, è vero, ma solo nel modo più convenzionale. Le ho carezzato il sesso e lei ha toccato il mio soltanto, troppo timida per andare oltre di sua iniziativa. Pazienza amore, ti insegnerò un mucchio di cose. Ride e poi felice batte le mani. Un unico problema, un problema temporaneo. Dovrò assentarmi. Non so quando o per quanto, ma penso presto. Poi dovremo parlare a lungo di noi. Ci sono dei problemi, ci saranno dei problemi, ma te ne parlerò…tra qualche mese. Adesso non posso. Meno problemi di quanti tu immagini comunque, non sono sposato, non non ho fidanzate o amanti. Finanziariamente non ho problemi. Devo telefonare a Marta, è troppo importante, per cui controvoglia me ne vado.
IL BRANCO STA PER MUOVERSI LA DEA CI APPROVERA Nell’ombra due ombre, immagini di una donna ed un uomo molto vecchi, l’ immagine stessa della vecchiaia, osservano una donna giovane e decisamente bella che intralciata dalla spesa entra nell’ascensore e sale.
Svaniscono.

Pesa questo accidente di roba, ma ormai ci sono. Suono, non ho le chiavi. Da qualche giorno Carlo mi lascia uscire a fare la spesa ma le chiavi di casa mia no, quelle non me le lascia usare, anzi non me le dà per niente. Mi fa anche sorvegliare, ne sono certa. Sento il solito moto di rabbia che monta al pensiero che è tutta colpa mia. Non dovevo mettermi in questo casino, non dovevo lasciarmi impietosire. Da chi poi? Mario, un anno fa mi ha rapita qui vicino, in un giardinetto, di sera, ‘rubata’ come dicevano, giusto per divertirsi, un “acchiappa chiava e scappa”. Poi su idea del Capo volevano vendermi ad un casino, ma il Cliente mi voleva mansueta e, per “prepararmi” mi hanno violentata per giorni interi. Dovevano farmi diventare una troia da casino in fretta. Tremendo, da impazzire. Se non facevo come volevano erano botte. Erano botte anche quando facevo quello che volevano. Non si impara in qualche ora a fare pompini a chiavare e dare il culo come una troia provetta. In qualche ora no ma in qualche giorno o una settimana… Carlo mi faceva da guardiano quando gli altri, spompati, andavano via a riposarsi. Mi ha scopata, inculata e insegnato a fare pompini alla merda persino. Mi dava ripetizioni di nascosto, mi parlava e spiegava le cose, anche perchè mi picchiava. Ha permesso che mi lavassi e mi dava qualcosa in più da mangiare. Ha comprato persini della crema per diminuire la irritazione, l’irritazione al culo ed alla figa. Alla fine mi ha lasciata scappare. Lui dice di no, io però ne sono convinta ancora adesso. Credevo fosse in galera invece l’ho incontrato conciato come un barbone e mi ha fatto pena. La coglionata è stata farlo entrare in casa. Si è lavato e sbarbato, poi mi ha “rimessa al mio posto”, mi ha fatto la festa: quattro sberle come le sa dare Carlo, senza quasi lasciare segni ed un pompino con lui seduto sulla tazza del cesso. Un pompino con l’ingoio solo per cominciare. Tutto come prima: legata al letto e botte ed il cazzo di Carlo nel culo e dappertutto, davanti ed in gola. Lui ed i vecchi amici che ha chiamato per dargli una mano a rimettermi in riga in fretta. Uno entrava da me e…tornavo in quella cantina. Mi hanno rimesso in riga in qualche giorno: Angelo, che quasi chiede per piacere per mettertelo da qualche parte e poi non si ferma più e Bruno che non parla ma gode a farti male…Adesso è finita sono la sua donna e lui il mio pappa. Infatti tutto quello che ha lo ho pagato io o, come nel caso dei pantaloni del pigiama che ha addosso, era di mio marito. E’ tornato in America il bastardo e si è sposato di nuovo con una tizia ricca da far schifo. Gli ha pagato anche il divorzio lampo. Io invece sono la donna di uno che non ha una lira: Carlo. Sempre stravaccato sul divano a fumare quando non è stravaccato sul letto. Ciao amore, ti do subito le sigarette. Entra in fretta in crisi di astinenza solo all’idea di non avere da fumare e diventa manesco. Cosa fai da mangiare? Purchè ci sia della carne va tutto bene, è di bocca buona. La casa però sa ormai di bistecca. Quando finisco di lavare i piatti lo raggiungo a letto. Anche in questo soffre facilmente di crisi di astinenza. Avevo imparato piuttosto bene ed in fretta a fare la troia. Ho ricordato ancora più in fretta come si fa. Gli piace quando mi struscio contro di lui e a me non dispiace più. In un paio di mesi mi sono abituata ad avere un uomo nel letto, anzi ad essere nel letto di un uomo. Carlo vuole che dica così. Ottiene sempre quello che vuole il mio Carlo. Manesco, figlio di puttana, convinto che io sia innamorata di lui e sia anche felice di fare la mignotta perchè lui possa vivere come gli piace: facendo il magnaccia. Miracolo, non sta fumando. Mi spoglio in fretta sotto il suo sguardo annoiato. So che è tutta una posa e mi fa rabbia. Sono un mucchio le cose che mi fanno rabbia in Carlo. Mi piacerebbe essere coccolata un poco, qualche carezza, non dico un atteggiamento affettuoso, ma una parola gentile… sono la sua donna. Macchè, neanche parlarne. Mollo la vestaglia sulla poltrona e mi sdraio di fianco a lui. Proprio adesso doveva accendere la sigaretta. Non importa. Anche se finge indifferenza, il pisello dice che gli piaccio e che, come sempre, ne ha voglia. Il pisello, anzi il pisellino come l’ho chiamato una volta, qualche settimana fa. Ho avuto paura che s’incazzasse di brutto invece l’ho fatto ridere. E’ un cazzo come si deve, lungo più di un palmo abbondante dei miei che però ho le mani piccole. Piuttosto grosso anche quando non è in tiro. Nonostante fossi sposata da qualche mese, in pratica mi ha sverginata lui quando mi ha chiavata per primo in cantina, problemi del mio imene, roba ginecologica. Sono svenuta per il male quella volta. Adesso non ho più problemi a prendermelo dentro, non più, anzi mi piace molto. Si è messo in posa e glielo carezzo. Gli piace, diventa se mai più duro. Lecca troia. E’ il suo modo di essere gentile. Una troia, dice, è il vertice della condizione femminile. Lo lecco e gli do i soliti tocchi di lingua, me lo prendo tra le labbra e poi in bocca, scivola sulla lingua. Mi carezza il capo. Stai diventando veramente brava. Mi fa piacere sentirlo, lo ho quasi in gola e spingo la testa verso il basso. Ormai riesco a spingerlo un poco in gola. Si gli piace; a me fa male ma non importa. Mi vuol venire in bocca? Di solito il pompino è il gran finale ed anche questa volta mi ferma. Sono tra le sue braccia, aspetto decida. Mi bacia e mi palpa. Ha la sigaretta ancora accesa. La spegne e di nuovo mi palpa, con più comodo. Ha deciso. Mi fa mettere sulla schiena, gambe ben aperte sulle sue spalle. Può ancora scegliere tra entrarmi in figa o farmi il culo. Ed io? Io sono la sua donna e a questo punto mi deve andare bene tutto. Dai, sbrigati. Dai! Lo penso solo mentre sorrido. Lo poggia lo toglie lo poggia di nuovo. Spinge di brutto. Sono bagnata bene ed entra senza difficoltà. Mi monta alla brutta eva per un poco poi rallenta, si ferma. Che cazzo vuole adesso? Lo so già. Mi fa tirar su, di nuovo lo succhio un poco. Questa volta ha deciso. Alla pecorina e nel culo. E siccome l’ha detto, si suiciderà pur di non cambiare idea ed infatti è nel culo che me lo ritrovo, lungo e duro. Non che sia un problema, mi piace anche ma preferisco quando mi chiava, sono giorni che mordo il cuscino e basta. Lo tira fuori e ci mettiamo sul fianco. Meglio così. Con la testa quasi sulla sua spalla spingo in fuori il culo da brava troietta e me lo faccio infilare di nuovo. Non è male così e vuol far godere anche me. Sono queste le cose che me lo rendono caro quando non sono incazzata. Mentre mi chiava il culo mi fa un bel ditalino. Ormai qualche volta vengo col culo anche senza…così è meglio…si cazzo cazzo cazzo, molto meglio. Ha goduto una volta sola. Questa sera il resto. Preferisco chiavare ma anche così non è male. La sua troia? Ma va la. In due mesi ha avuto almeno un paio anzi tre richieste ed uno, l’altro giorno, a sentire lui, offriva dei bei soldi per qualche giorno di lavoro in ‘casanza’ in un bordello insomma. Ha risposto che non sono ancora pronta. Già, dimenticavo, questa sera forse viene ll signor Amilcare, la sua donna e…le figlie. Una è certamente troppo giovane. Non che Carlo si faccia troppi problemi morali, forse preferiscono non correre rischi con una ragazzina. La sorella no, l’età ce l’ha per fare marchette e la madre è ancora una gran figa. Cosa Carlo discuta con quello non so. La ragazzina comunque mi fa paura. Paura forse è troppo, però…
Carlo ha il respiro un poco pesante. Sempre quando fa ‘la doppia’, ed oggi è andato alla grande: ‘tripletta’. Sono andata alla grande pure io. Mi ha fatto godere da pazzi con un bel ditalino mentre mi scopava il culo e più tardi mi ha fatto godere col suo gran cazzo in figa. Per finire, ma ovviamente gode lui, un pompino. Tre a due. Mi sta bene anche così, non ho troppo spesso due orgasmi in una sola giornata. Il più delle volte neanche uno. Mi piace però anche solo far godere lui con un pompino ben fatto oppure quando me lo mette nel culo o davanti e non vengo, mi fa piacere che ,lui almeno, goda come un riccio. Amen. E’ un godere di testa, una specie di gran soddisfazione: sono o non sono la sua donna? Mi piace perfino essere trattata e rivoltata come un bambolotto di pezza, il suo bambolotto, e ne godo, di testa anche qui. Inutile pensare a quello che è stato. Sono la sua donna, sono anzi la sua troia. Mi sollevo un poco a guardarlo, dio se è bello, mi piace da morire. Non proprio bello, con quel naso, ma a me piace. Le spalle larghe, le mani, tutto, compreso il bastone tra le gambe. Dovrebbe piacermi solo quello ed invece mi piacciono le sue mani. Le sa usare per farmi andare via di testa, sa dove toccare. Lo stronzo però le usa più per menarmi che per toccarmi tra le gambe, e sa anche come far male senza lasciare segni. Non troppi almeno. Le rare volte che mi tocca come voglio…sballo, vado fuori in un attimo, e lui lo sa fin troppo bene. Un anno fa Carlo diceva che gli sarebbe piaciuto tenermi per lui. Avrebbe voluto farmi diventare la sua donna ma allora sembrava impossibile. Rapita, tenuta prigioniera e già venduta, mi violentavano in continuazione per trasformarmi in una troia sottomessa; lui era il mio guardiano Ti insegnerei e diventeresti la mignotta più pagata di Milano, aveva detto. Non è ancora pronta. Questo gli lo ho sentito dire al telefono pochi giorni fa ad uno che chiedeva di di me per un bordello o comunque per farmi fare marchette. Direi che per qualche ragione, almeno per adesso non voglia farmi ‘lavorare’. Mi dovrebbe far piacere ma proprio non so. Se devo farlo cominciamo, ormai…Se devi decidere qualcosa, pensaci per tutto il tempo che puoi. Una volta deciso fallo. Era stato mio padre ad insegnarmelo. Già l’anno scorso in cantina, prigioniera, avevo deciso di fare la puttana. Non c’era via di uscita, sarei diventata la miglior puttana in circolazione. Meglio fare la troia per te che conosco che per qualcun altro mai visto, gli avevo detto e lo pensavo. Lo penso ancora. E poi Carlo mi piace. E’ riuscito a farmi sentire una cosa sua. A sberle sopratutto ma anche usando da dio il cazzo. Mi piacciono tutti i cazzi che ho provato, dopo i primi momenti persino quelli di Angelo e Bruno. Più di tutti mi piace però il suo. Mi alzo senza svegliarlo e vado in bagno: doccia e ripassata di crema davanti e dietro. Emolliente e lenitiva; la uso sempre dopo, e, quando posso, prima di un incontro ravvicinato con il suo manganello, per il culo è una mano santa. Se ha fretta però…un attimo che vado a prepararmi? Mi vien da ridere solo all’idea di dirgli una cosa del genere. Un anno fa, tra tutti, mi avevano allargato il buco del sedere più che a sufficienza. In un anno era tornato come nuovo e nella ‘new entry’ di poche settimane fa avevo provato di nuovo cosa significhi farsi rompere il culo, la prima volta e poi le successive, per parecchi giorni. Adesso non avrei molti problemi, anzi non ne ho. Comunque Carlo ha detto di riordinare e riordino. Non serve molto. Alle sei sono in cucina quando suonano. Mi è vietato andare ad aprire ma origliare con prudenza e tendere le orecchie, questo lo faccio. E’ presto perché siano già qua ma chi altro può essere? Sono loro, parlottano un poco poi la ragazza, quella più piccola viene a chiamarmi. Ho addosso solo una vestaglia corta, per un attimo non so cosa fare ma scuoto le spalle e li raggiungo in sala. Carlo è in piedi, con mia meraviglia si è vestito di tutto punto. Di tutto punto è vestito anche l’altro, il signor Amilcare, seduto sul seggiolone di mio suocero mentre la donna e le due figlie stanno sul divano. Falla spogliare, voglio vederla, dice quello. Il mio uomo sembra quasi intimidito, non lo riconosco più. Fa un cenno di assenso con il capo verso l’ospite ed un cenno con la mano a me. Uno di quelli con il sotto senso: vuol dire sbrigati o ti meno. Le donne sono attente, interessate. Ballonzolo da un piede all’altro ma so cosa fare per evitare una brutta battuta: spogliarmi. Basta slacciare la cintura della vestaglia e sfilarla. Resto in piedi anche io. La cosa non sembra interessare minimamente Carlo, che si mangino cioè con gli occhi la sua donna. Vieni, avvicinati. Guardo Carlo. Sapevo che prima o poi sarebbe successo, ma non così. Sono abituata, appartengo cioè ad un uomo con due coglioni così, non allo stronzo che mi fa cenno di andare. Non mi muovo, così davanti alla donna ed alla figlia maggiore, anche davanti alla ragazzina. Guardo l’ospite e guardo con la coda dell’occhio Carlo che si avvicina. Mi ‘rincagno’ tutta nell’attesa del calcio in culo che mi spedisca a destinazione o due sberle ‘speciali’, di quelle che ti fan volare via il cervello, ti rintronano e ti fischiano le orecchie per ore. Macchè. Mi prende per il braccio e mi spinge avanti: avrei preferito le botte. In altri tempi avrei tra l’altro cercato di coprirmi o di evitare di essere toccata, avrei gridato ed insultato, cercato di fuggire. Resto immobile mentre alza la mano e piango, ma solo dentro di me, lacrime di sangue. Solo silenziosamente insulto: stronzi, stronzi, stronzi bastardi.
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DAL CORRIDOIO DUE OMBRE, DUE VECCHI, OSSERVANO NON VISTI. NON POSSONO ESSERE VISTI DA OCCHI UMANI. QUALCUNO PERO’ LI PUO’ VEDERE E COME LORO PUO’ VEDERE CIO’ CHE AVVIENE NELLA SALA. SE NE COMPIACE. UN ALTRO TASSELLO DEL DIFFICILE ROMPICAPO STA TROVANDO LA GIUSTA COLLOCAZIONE. GLI DEI FORSE SCOMPARIRANNO MA I LORO FIGLI POTRANNO EREDITARE LA TERRA.
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La attendono giorni dolorosi e difficili. Molto difficili dice la vecchia, neppure è certo possa sopravvivere. Che la Dea la assista ed assista noi.
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Non mi palpa e con mia sorpresa porta su la mano solo a coprirmi gli occhi. Resto così per parecchio, mi sento rimescolare tutta. Che poi la mano scenda a frugarmi tra le gambe quasi possa essere ancora ‘ragazza’, non m’importa più. Mi sono calmata e mi inarco per la sorpresa soltanto quando mi ficca un dito nel sedere. Mi fa un poco male, non ero preparata, altrimenti ci vuole qualcosa di più a farmi sussultare. Mi fa inginocchiare. Un pompino? Per ora mi tiene solo la mano sugli occhi. Adesso sono stranamente rilassata. Incazzata anche, e parecchio per il comportamento di Carlo. Doveva dirmelo che questo è uno strano. Strano è anche lui questa sera. No, non lo riconosco più. Aspetto che mi dia il cazzo da succhiare, devo slacciargli i pantaloni e tirarglielo fuori io? Sarà il primo cazzo fuori lista che succhio in vita mia. Due liste. La prima con solo quello di mio marito. Mai visto troppo od almeno abbastanza da vicino. Seconda lista: Carlo ed i suoi amici: quattro con il capo e cinque con il ‘cliente’, quello che mi aveva comprata per un bordello ma mi voleva più mansueta. Lui però mi ha solo chiavata ed una volta sola, per provarmi. Sono tutto sommato quasi una ‘brava ragazza’, ho spompinato solo quattro uomini…un milione di volte. Questo sarà il quinto. Fuori lista? O si aggiunge alla vecchia lista o ne inaugura una di nuova. Sono stronza a pensare cose del genere? Poi, poi ricordo poco. Altra gente. Quando è arrivata? Dove siamo? Ballo al suono di un tamburello e respiro senza fastidio il fumo che si solleva dai posacenere sparpagliati intorno. Balliamo tutte insieme. Io ballo? E da quando? Mai ballato in vita mia. Tutte noi balliamo nel poco spazio della sala che lentamente pare però dilatarsi. Ed intorno a noi alberi e cespugli, e non è un tamburello solo ed il fumo non sale dai posacenere ma da un grande braciere. Ballo perché ballare è la unica cosa che conti. Ballo Perché le gambe e le braccia, tutto il corpo, si muovono da soli al ritmo frenetico ed esaltante di quei tamburelli. Ballo e sono felice di ballare. Le ragazze e la loro madre danzano con me, attorno a me. Dal divano un uomo ed una donna estremamente vecchi mi fissano. Da dove arrivano? Non lo so ,non importa. Mi parlano anche ma non li capisco. E’ il signor Amilcare a tradurre mentre più in là Carlo folleggia. No, non sono vergine. rispondo. Ma sono scemi? A turno le donne si inginocchiano ai piedi dei due vecchi, a turno rispondono alle loro domande. Ricominciamo a ballare dopo aver bevuto da una unica tazza una succo di frutta acidulo e dissetante, ottimo. In seguito, per la sete, bevo più volte dalla stessa tazza sempre piena. Una delle ragazze si inginocchia davanti ai vecchi e con naturalezza senza un attimo di esitazione prende in bocca il cazzo di lui, un cazzo veramente notevole e già completamente eretto. Un uomo così vecchio, possibile? Ammiro la tecnica di lei, certamente una artista nel campo dei pompini. Prosegue instancabile e metodica. Carlo si inginocchia alle sue spalle, le solleva i fianchi quasi con cura e delicatezza quel tanto necessario a permettergli di poggiarle il cazzo tra le due mezze meline che le ho schiuso. Punta il glande tumefatto e paonazzo sulla rosetta del sedere con la giusta angolazione. Lo conosco bene, vedo i muscoli contrarsi e la spinta non feroce ma determinata; la incula in un colpo solo. Lei dovrebbe gridare dal male, cercare di sottrarsi ma sembra non far caso al randello che ben conosco che apre, dilata e le sprofonda nelle viscere, un attimo e comincia a montarla. So cosa devo fare. Il vecchio alla fine eiacula molto a lungo, probabilmente in maniera copiosa nella bocca di lei, tanto copiosa da riempirla. Neppure una goccia di quel seme deva andare sprecato e con le mani e la bocca raccolgo, anzi raccogliamo, quello che non riesce a trattenere. Lo spalmiamo sul viso, sul petto e sul sesso alla vecchia ed a me stessa. E spalmiamo anche tutto il seme del vecchio che lei, la ragazza ha conservato in bocca. E’ Carlo il tramite, lo ha ricevuto in bocca dalla bocca della ragazza ed ora lo da ancora alla vecchia ed a me. Me lo spalma su tutto il corpo. Ed ancora danzo fino allo sfinimento. In una radura uomini e donne vogliono me, il mio corpo. Lo hanno. Sono fiera del loro desiderio e fiera di darmi per soddisfarlo. Una donna, alta e bellissima mi osserva a lungo. Scompare e me ne disinteresso persa nel parossismo di darmi a tutti, di averli tutti e tutte. Si, tutte. Non ho mai fatto l’amore con una donna. Colmo abbondantemente la lacuna. Scopro la differenza tra le braccia gentili ed il corpo morbido di una donna e l’abraccio prepotente ed il corpo muscoloso di un uomo. Tra le carezze di chi sa bene come sia il mio corpo e cosa provi e quello di chi il mio corpo lo usa soltanto. E’ dolce però perdersi tra le braccia forti e possessive di un maschio autoritario che ti fa sua. Provo ripetutamente l’uno e l’altro di questi piaceri. Di nuovo la donna. Ora però è l’ unica, è lei. E’ qui per me ed io per lei. C’è Carlo e c’è Amilcare. Insieme ci offriamoa lei, i maschi per darle piacere sia pur più volte ma solo quando possono, io per darle piacere da donna a donna, pressochè in continuazione. Più tardi mi sveglio incredula e sfiancata. Carlo dorme. Sono le undici, è chiaro è mattina. In silenzio mi precipito in sala certa di trovarla devastata e trovo invece le tre donne ed il signor Amilcare seduti in silenzio nella solita sala più o meno in ordine. Ciao, vieni il caffè e pronto tra un momento. Hanno sistemato tutto? Come è possibile? La camera da letto. Anche quella dovrebbe essere un disastro. Non lo è. Ho sognato quindi. Mi hanno drogata? Ma ne avrei qualche sintomo. Mal di testa, o lo stomaco… Ma no. Arriva Carlo. A vederlo neppure lui…solo io? Un sogno, solo un sogno. Mica male come sogno. Alzo gli occhi e guardo le tre altre femmine presenti questa notte. Certo non può essere stata la piccola a spremere i testicoli al vecchio prendendo nel culo il cazzo di Carlo, neanche pensarci. La madre. No neanche lei. Ho stretto quella ragazza,un corpo di donna ma minuto, i seni piccoli ed i fianchi… Non può essere la madre ma neppure la sorella più grande. Un sogno, solo un sogno. Son proprio certa di non essere stata drogata?
HA SUPERATO LA TERZA PROVA. E’ FORTE. ABBIAMO QUALCHE SPERANZA IN PIU’ MRT secondo l’Antico Linguaggio, Martino da quando era stato fatto schiavo e battezzato, ora Martin: avvertì la presenza estranea solo quando i due decisero di manifestarsi e non un attimo prima. I suoi sensi di ‘lupo’, per la prima volta avevano fatto cilecca tradendolo.
Ne fu prima di tutto impaurito, almeno un poco. Pensava fosse impossibile e non era mai successo prima. Poi prese il sopravvento la curiosità. Restò comunque teso, pronto a scattare, pur temendo che ben poco avrebbe potuto fare contro di loro. Non contro due…esseri che potevano tanto facilmente sorprendere un ‘ lupo nella sua tana’. Non solo non era mai accaduto a lui ma a nessuno del Branco a quel che ne sapeva lui. Ne percepiva la forza, la sicurezza? No. Sicurezza non tanta. Erano tesi quanto lui se non di più. Neppure dimostravano aggressività. Vecchi, molto vecchi, decrepiti ma anche molto, molto forti. Tanto forti e potenti da ritenere inutile ipotizzare o chiedere come fossero entrati nella sua casa. Seduto nel piccolo soggiorno pensava a Marta ed alla donna di cui si era innamorato e ‘nutrito’, assolutamente solo; un attimo dopo erano davanti a lui, come materializzandosi dal nulla. TU SEI NOSTRO FIGLIO. Aveva frainteso guardandoli incredulo. Era nato moltissimo tempo prima, in qualche punto lungo il Danubio e portato distante dai mercanti che lo avevano catturato. Solo molto più tardi ed adulto aveva sviluppato, con l’aiuto di un gruppetto di altri lupi, le sue doti. Non era in quel senso che doveva interpretare la frase…

NOI SIAMO I FIGLI DI KRONOS E DI GEA E POI DI GIOVE E DI QUELLI CHE DOPO DI LORO SONO STATI GENERATI. NON DIVINI MA UMANI, COME VOI LUPI DEL BRANCO. NOI, GLI ANZIANI, VOI, IL BRANCO ED ANCORA GLI UMANI, DOBBIAMO UNIRCI PER LOTTARE CONTRO QUELLI CHE VOGLIONO DISTRUGGERCI TUTTI. NON SONO DEI COME DICONO, COME NON LO SIAMO NOI E VOI.

Passarono ore prima che potesse accettar quanto dicevano. Sapevano tutto del Branco e di lui, troppo, aveva pensato in principio. Sono di nuovo solo, quelli se ne erano andati come erano erano venuti: scomparendo. Mi avevano però convinto. Centomila anni prima una razza aliena aveva abbandonato i risultati di alcuni loro esperimenti sulla terra. Esperimenti falliti. L’homo Sapiens stava popolando la terra ed i risultati degli esperimenti erano poco fecondi nell’ambito dello stesso gruppo. Avevano però trovato il modo di sopravvivere incrociandosi con il gruppo Sapiens. Questo coincideva con alcune nostre leggende e con quanto faceva il Branco ancora adesso per riprodursi. Vi erano altre coincidenze, troppe per essere fortuite. Conoscevo gli Dei, almeno conoscevo la Dea Della Notte. Non mi aveva convinto lei, ma costretto a servirla si.
Il gioco, pericolo all’inizio ora diventava mortale. Mortale per il Branco, mortale per gli Anziani, mortale per tutta la terra. La Dea gli aveva descritto la loro potenza e le mostruosità commesse da lei e dalla sua gente: creato ma sopratutto distrutto imperi, distruggendo però nelle loro lotte fratricide loro stessi, la loro stessa razza. Sterminato di volta in volta popolazioni e civiltà solo per noia o capriccio. Di loro, mai numerosissimi, ne sopravvivevano solo due: lei, la Principessa ed Il Principe delle Profondità o del Mare. Dopo millenni si erano ritrovati stremati, privi di forze ma ancora in grado, insieme, di recuperando le forze di tornare mortalmente forti, invincibili. Il principe voleva tornare a regnare, voleva dominare la terra e gli uomini, farne schiavi e schiave adoranti. Lei, la Principessa delle Tenebre no. Voleva distruggere il Principe e far sopravvivere la razza umana, a qualsiasi costo. A costo di salvare un pugno solo di uomini e donne, anche sacrificando tutti gli altri. Pensava però fosse disposta far morire anche quei pochi purché morisse il suo compagno, il suo antico padrone e sposo. Mai aveva letto in un volto un odio così grande. Ripenso agli Anziani. Come dar loro torto? La Principessa ha organizzato il mio incontro con Giordana. Poteva sapere che me ne sarei innamorato e lei di me? Dice che i suoi poteri sono per ora limitati. Quanto limitati? Il solo nutrimento che ricavano è troppo limitato, Lui e Lei devono affrontare un’altra rinascita, qualsiasi cosa voglia dire, diverrebbero forti abbastanza. Abbastanza per cosa? Lui non deve ricevere quella forza, nessuno, neppure lei potrebbe poi opporglisi, gli dice. Quanto mi ha nascosto Lei e quanto mi hanno nascosto gli Anziani? No, gli Anziani sono trasparenti quasi quanto i ‘fratelli diversi’, percepivo la verità , accorata ed anche pietà nelle loro asserzioni. Lo capivo nelle espressioni del viso e nelle posture. Più difficile ma non impossibile leggere Lei, ed anche Lei sembrava sincera, almeno per quello che mi ha detto. Dovrò portare Giordana ad un ‘raduno, un rito. Sarà una delle Madri mentre a me toccherà la parte del Guardiano. Cosa sia o cosa faccia un Guardiano non lo so.

INVISIBILE, LA DEA LO SCRUTA. UN TEMPO LO AVREBBE ALLOGGIATO NEL ‘CHIUSO’ DEL PALAZZO INSIEME AGLI ALTRI SCHIAVI SCELTI TRA GLI STALLONI MIGLIORI. LO AVREBBE CHIAMATO PERCHE’ LE DESSE PIACERE. CERTO LO AVREVVE FATTO VENIRE NEL SUO GIACIGLIO SPESSO, MOLTO SPESSO. NON ORA. NON PIU’. TROPPI NE AVEVA STIMOLATI SINO ALLA MORTE. NON SCORDA QUEI TEMPI. LI RINNEGA E NON RIPETERA’ GLI STESSI ERRORI ABOMINEVOLI. MAI PIU VORRA’ ESSERE ADORATA. MAI PIU. ULTIMAMENTE HA TRASCORSO CON LA UMANA GIORDANA ORE ANCHE PIACEVOLI, MA DOVEVA FARLO, ERA NECESSARIO PREPARARLA AI SUOI PROSSIMI COMPITI.

Nel suo letto sfatto due volte, lei e due amanti diversi, Giordana trema. Ha singhiozzato tra le braccia della Dea nel confessare l’amore travolgente per l’uomo e la Dea la ha perdonata anziché fulminarla. Altre volte è stata perdonata, ma quelle erano sciocchezze di poco conto. Avrebbe dovuto conservarsi pura per Lei. Aveva accettato lo stesso di amarla ed esserne amata, da lei, una miserabile, sporca e meritevole della punizione più grande, la morte. La aveva invece perdonata ed amata. Giordana si chiede se ama la sua Dea quanto prima. Era mai possibile amare un mortale più che una Dea? Sobbalza al rumore della porta di ingresso, possibile, Lui? Si lui. Più tardi, incerti del loro futuro ma certi del reciproco amore si abbandonarono al sonno.

LA DEA SI ALLONTANO’ DALLA COPPIA SALENDO IN ALTO A NUTRIRSI. NEPPURE LEI SAPEVA COME AVVENISSE. LE MOLECOLE PRIMA E POI GLI ATOMI SI ALLONTANAVANO GLI UNI DAGLI ALTRI PUR CONTINUANDO AD INTERAGIRE. NON ONOSCEVA NULLA DI FISICA, NON SAPEVA NULLA DI COME FOSSE O FUNZIONASSE IL SUO CORPO E NON LE IMPORTAVA. AGIVA D’ISTINTO ED IL SISTEMA FUNZIONAVA SEMPRE MEGLIO. OGNI GIORNO ERA PIU’ FORTE. OGNI GIORNO SI AMPLIAVA LA SUA CONSAPEVOLEZZA. FORSE AVREBBE VINTO E GLI UOMINI SAREBBERO SOPRAVISSUTI. MA NON SAREBBE STATO FACILE.

Lo amo. Lo ripeteva a se stessa sovente senza annoiarsene mai. Anna anche ora se lo ripeteva. Una sillaba per ogni falcata. Non passi lunghe falcate; stavano tornando da una passeggiata ed ogni passo la avvicinava a Lui, il dottore, il suo Padrone, come lui amava ormai farsi chiamare e come lei, dopo qualche ritrosia amava chiamarlo. Che fretta hai? Vai più piano. Faceva in fretta a parlare Lidia. Volse un poco il capo a guardarla, l’ uomo di sua cognata sarebbe arrivato più tardi, in serata, certo che non aveva fretta. Dai, sbrigati. Superarono la svolta e sotto di loro apparve la casa. Pochi minuti pensò ma la vicinanza della meta anziché chetarla accrebbe la sua ansia. Lidia la raggiunse superandola. Ne capì la ragione immediatamente, non appena riconobbe l’Ospite a fianco del Dottore, il suo Padrone, sul lato della piscina. Sorrise, adesso corre questa. Minuti, minuti troppo lunghi, ma le due donne infine raggiunsero i loro amanti. Un cenno di saluto alla cognata ed amica che neppure lo notò, tutta presa nello scrutare il suo uomo ed Anna fu tra le braccia di Lui che la sollevò deponendole sulla gota un bacio schioccante. Vieni, sbrigati, gli ospiti sono arrivati. Anche Diana doveva aver ricevuto la stessa notizia e stava già dirigendosi verso la casa. Il tempo di una rapida doccia e furono in sala da pranzo dove aiutarono la governante, poi arrivarono gli ospiti. Alcuni uomini,cinque uomini ed una giovane donna piuttosto bella. Non avrebbe mai pensato, neppure nelle avventure più spinte partorite dalla sua fantasia che si sarebbe data a degli sconosciuti e persino a delle donne. Neppure aveva mai pensato di darsi ad un uomo appena conosciuto permettendogli di possederla come una puttana. Ne era diventata pressoché schiava dalla sera alla mattina Quella notte gli aveva dato piacere in tutti i modi, bocca e sedere compreso. Ancora non sapeva capacitarsene se non dicendosi: è il mio Padrone e lo amo. Sono sua e devo amarlo, non posso fare altrimenti. Certo non le piaceva farsi possedere da quegli uomini ma non importava. Lui voleva così. Al primo piano la giovane donna appena giunta si guardava allo specchio. Era curiosa ed anche un poco in ansia. Per la prima volta avrebbe ricoperto il ruolo di Anziana. Avrebbe preferito essere solo una concelebrante, ma le due donne dovevano essere iniziate ai Riti. Una delle due era però in ritardo. Spero non tardi troppo, manderebbe tutto all’aria, pensò. L’altro Anziano non non lo conosceva. Conosceva ben pochi di loro. Li avrebbe conosciuti quella sera e molto bene, molto a fondo, intimamente. Sarebbe stata solo una cerimonia di iniziazione. Mi duole ancora il culo per la mia cerimonia di iniziazione, cazzo! Si stese sul letto decisa a riposare. Sono dannatamente faticose queste cerimonie. Non sarò io la gran puttana ma una delle due viste a pranzo. Pranzo? Uno spuntino. Le spiace va l’assenza del suo Carlo, ma non partecipava mai alle cerimonie e di cazzi ne avrebbe provati non troppi forse se ricordava bene la sua iniziazione appunto. MILLE SECOLI FA. LO HOMO SAPIENS AVEVA DA TEMPO INIZIATO LA SUA LUNGA MARCIA DI CONQUISTA. ESISTEVA ANCORA IL CUGINO, L’UOMO DI NEANDERTAL. GLI STUDIOSI NON SANNO CHE ALTRI ERANO GIUNTI E VOLEVANO DOMINARE IL MONDO. LO VOGLIONO ANCORA.

MRT secondo l’Antico Linguaggio, Martino da quando era stato fatto schiavo e battezzato, ed ora si chiamava Martin: avvertì la presenza estranea solo quando i due decisero di manifestarsi e non un attimo prima. I suoi sensi di ‘lupo’, per la prima volta avevano fatto cilecca tradendolo.
Ne fu prima di tutto intimorito, almeno un poco. Pensava fosse impossibile e non era mai successo prima. Poi prese il sopravvento la curiosità. Restò comunque teso, pronto a scattare, pur sapendo che ben poco avrebbe potuto fare contro di loro. Non contro due…esseri che potevano tanto facilmente sorprendere un ‘ lupo nella sua tana’. Non solo non era mai accaduto a lui ma a nessuno del Branco, a quel che ne sapeva. Ne percepiva la forza, la sicurezza? No. Sicurezza non tanta. Erano tesi quanto lui se non di più. Neppure dimostravano aggressività. Vecchi, molto vecchi, decrepiti anzi a vederli, ma anche molto, molto forti. Tanto forti e potenti da fargli ritenere inutile provare ad ipotizzare o chiedere come fossero entrati nella sua casa. Era seduto nel piccolo soggiorno e pensava a Giordana, la donna di cui, quella notte si era innamorato e ‘nutrito’, era certamente solo; un attimo dopo erano davanti a lui, come materializzandosi dal nulla. TU SEI NOSTRO FIGLIO. Aveva frainteso guardandoli incredulo. Era nato moltissimo tempo prima, in qualche punto lungo il Danubio e portato distante dai mercanti che lo avevano catturato. Solo molto più tardi ed adulto aveva sviluppato, con l’aiuto di un gruppo di altri lupi, le sue doti naturali. Non era in quel senso che doveva interpretare la frase…

NOI SIAMO I FIGLI DI KRONOS E DI GEA E POI DI GIOVE E DI QUELLI CHE DOPO DI LORO SONO STATI GENERATI. NON DIVINI MA UMANI, COME VOI LUPI DEL BRANCO. NOI, GLI ANZIANI, VOI, IL BRANCO ED ANCORA GLI UMANI, DOBBIAMO UNIRCI PER LOTTARE CONTRO QUELLI CHE VOGLIONO DISTRUGGERCI TUTTI. NON SONO DEI COME DICONO, COME NON LO SIAMO NOI E VOI.

Passarono ore prima che potesse accettare quanto asserivano. Sapevano tutto del Branco e di lui, sapevano troppo aveva pensato in principio. Sono di nuovo solo, quelli se ne erano andati come erano erano venuti: scomparendo. Mi avevano però convinto. Centomila anni prima una razza aliena aveva abbandonato i risultati di almeno due loro esperimenti sulla Terra: gli antenati del Branco e gli antenati degli Dei. Esperimenti falliti. L’homo Sapiens stava popolando la terra ed i risultati degli esperimenti erano poco fecondi nell’ambito dello stesso gruppo. Avevano però trovato il modo di sopravvivere incrociandosi con il gruppo Sapiens. Questo coincideva con molte nostre leggende e con quanto faceva il Branco ancora adesso per riprodursi. Vi erano altre coincidenze, troppe per essere fortuite. Inoltre conoscevo gli Dei, almeno conoscevo la Dea Della Notte. Non mi aveva convinto lei ma costretto a servirla si.
Il gioco, pericolo all’inizio ora diventava mortale. Mortale per il Branco, mortale per gli Anziani, mortale per tutta la terra. La Dea gli aveva descritto la loro potenza e le mostruosità commesse da lei e dalla sua gente: creato ma sopratutto distrutto imperi, distruggendo però nelle lotte fratricide loro stessi, la loro stessa razza. Avevano sterminato di volta in volta popolazioni e civiltà solo per noia, capriccio, o solo il piacere di farlo. Di loro, mai numerosissimi, ne sopravvivevano solo due: lei, la Principessa delle Tenebre ed Il Principe delle Profondità o del Mare. Dopo millenni si erano ritrovati stremati, ma ancora in grado, insieme, di recuperare le forze e di tornare mortalmente forti, invincibili. Il Principe voleva tornare a regnare, voleva dominare la terra e gli uomini, farne di nuovo schiavi e schiave adoranti. Lei, la Principessa delle Tenebre no. Voleva distruggere il Principe e far sopravvivere la razza umana, a qualsiasi costo. A costo di salvare un pugno solo di uomini e donne sacrificando tutti gli altri. Suppongo, immagino soltanto, sia disposta far morire anche quei pochi purché muoia il suo compagno, il suo antico padrone e sposo. Mai aveva letto su un volto un odio così grande. Ripenso agli Anziani. Come dar loro torto? La Principessa ha organizzato il mio incontro con Giordana. Poteva sapere che me ne sarei innamorato e lei di me? La Principessa sostiene che i suoi poteri sono per ora limitati. Quanto limitati? Il solo nutrimento che i due Dei riescono a procurarsi è troppo limitato, Lui e Lei devono affrontare un’altra rinascita, qualsiasi cosa voglia dire, diverrebbero forti abbastanza. Abbastanza per cosa? Lui non deve ricevere quella forza, nessuno, neppure lei potrebbe poi opporglisi, gliaveva detto quel mattino, poco tempo prima, quando gli si era presntata più o meno come gli Anziani. Quanto mi ha nascosto Lei e quanto mi hanno nascosto gli Anziani? No, gli Anziani sono trasparenti quasi quanto gli uomini, i ‘fratelli diversi’; nelle loro asserzioni era facile percepire la verità accorata ed anche la pietà per uomini e lupi. Lo leggevo nelle espressioni del viso e nelle posture. Più difficile ma non impossibile leggere Lei, ed anche Lei sembrava sincera, almeno in quello che mi ha detto. Dovrò portare Giordana ad un ‘raduno, un rito. Sarà una delle Madri mentre a me toccherà la parte del Guardiano. Cosa sia o cosa faccia un Guardiano od una Madre non lo so.

INVISIBILE, LA DEA LO SCRUTA. UN TEMPO LO AVREBBE ALLOGGIATO NEL ‘CHIUSO’ DEL PALAZZO INSIEME AGLI ALTRI SCHIAVI SCELTI TRA GLI STALLONI MIGLIORI. LO AVREBBE CHIAMATO PERCHE’ LE DESSE PIACERE. CERTO LO AVREVVE FATTO VENIRE NEL SUO GIACIGLIO SPESSO, MOLTO SPESSO. NON ORA. NON PIU’. TROPPI NE AVEVA STIMOLATI SINO ALLA MORTE. NON SCORDA QUEI TEMPI. LI RINNEGA E NON RIPETERA’ GLI STESSI ERRORI ABOMINEVOLI. MAI PIU VORRA’ ESSERE ADORATA. MAI PIU. ULTIMAMENTE HA TRASCORSO NEL LETTO DELLA UMANA GIORDANA ORE PIACEVOLI, MA DOVEVA FARLO, ERA NECESSARIO PREPARARLA AI SUOI PROSSIMI COMPITI.

Nel suo letto sfatto due volte, da lei e da due amanti diversi, Giordana trema. Ha singhiozzato tra le braccia della Dea nel confessare l’amore travolgente per l’uomo e la Dea la ha perdonata anziché fulminarla. Altre volte è stata perdonata, ma quelle erano sciocchezze di poco conto. Avrebbe dovuto conservarsi pura per Lei. La Dea aveva accettato lo stesso di amarla ed esserne amata, da lei, una mortale miserabile, sporca, meritevole solo della punizione più grande, la morte. La aveva invece perdonata ed amata. Giordana si chiede se ama la sua Dea quanto prima. Era mai possibile amare un mortale più che una Dea? Sobbalza al rumore della porta di ingresso, possibile, Lui? Si lui. Più tardi, incerti del loro futuro ma certi del reciproco amore si abbandonano al sonno.

LA DEA SI ALLONTANO’ DALLA COPPIA SALENDO IN ALTO A NUTRIRSI. NEPPURE LEI SAPEVA COME AVVENISSE. UNA SUA SCOPERTA CASUALE E RECENTE. LE MOLECOLE PRIMA E POI GLI ATOMI SI ALLONTANAVANO GLI UNI DAGLI ALTRI PUR CONTINUANDO AD INTERAGIRE. NON CONOSCEVA NULLA DI FISICA, NON SAPEVA NULLA DI COME FOSSE O FUNZIONASSE IL SUO CORPO E NON LE IMPORTAVA. AGIVA D’ISTINTO ED IL SISTEMA FUNZIONAVA SEMPRE MEGLIO. OGNI GIORNO ERA PIU’ FORTE. OGNI GIORNO SI AMPLIAVA LA SUA CONSAPEVOLEZZA. FORSE AVREBBE VINTO ANCORA CENTINAIA DI SECOLI E GLI UOMINI SAREBBERO SOPRAVISSUTI. MA NON SAREBBE STATO FACILE. NON PER LEI E NEPPURE PER SERVI E SERVE

Lo amo. Lo ripeteva a se stessa sovente senza annoiarsene mai. Anna anche ora se lo ripeteva. Una sillaba per ogni falcata. Non passi, lunghe falcate; stavano tornando da una passeggiata ed ogni passo la avvicinava a Lui, il Dottore, il suo Padrone, come lui amava ormai farsi chiamare e come lei, dopo qualche ritrosia iniziale amava chiamarlo. Che fretta hai? Vai più piano. Faceva in fretta a parlare Lidia. Volse un poco il capo a guardarla, l’ uomo di sua cognata sarebbe arrivato più tardi, in serata, certo che non aveva fretta. Dai, sbrigati. Superarono la svolta e sotto di loro, ormai vicina, apparve la casa. Pochi minuti pensò ma la vicinanza della meta anziché chetarla accrebbe la sua ansia. Lidia la raggiunse superandola. Ne capì la ragione non appena riconobbe l’Ospite a fianco del Dottore, il suo Padrone, sul lato della piscina. Sorrise, adesso corre questa. Minuti, minuti troppo lunghi, ma le due donne infine raggiungono i loro amanti. Un cenno di saluto alla cognata ed amica che neppure lo notò, tutta presa nello scrutare il suo uomo ed Anna fu tra le braccia di Lui che la sollevò deponendole sulla gota un bacio. Vieni, sbrigati, gli ospiti sono arrivati. Anche Diana doveva aver ricevuto la stessa notizia e stava già dirigendosi verso la casa. Il tempo di una rapida doccia e furono in sala da pranzo ad aiutare la governante, poi arrivarono gli ospiti. Alcuni uomini,cinque ed una giovane donna piuttosto bella. Non avrebbe mai pensato, neppure nelle avventure più spinte e solo partorite dalla sua fantasia che si sarebbe data a degli sconosciuti e persino a delle donne. Neppure aveva mai pensato di darsi ad un uomo appena conosciuto permettendogli di possederla come una puttana. eppure era successo. Ne era diventata pressoché schiava dalla sera alla mattina. Quella notte gli aveva dato piacere in tutti i modi, bocca e reni comprese. Lei moglie fedele, giunta vergine al matrimonio. Ancora non sapeva capacitarsene se non dicendosi: è il mio Padrone e lo amo. Sono sua e devo amarlo, non posso fare altrimenti. Certo non le piaceva farsi possedere da quegli uomini ma non importava. Lui voleva così. Al primo piano la giovane donna appena giunta si guardava allo specchio. Era curiosa ed anche un poco in ansia. Per la prima volta avrebbe ricoperto il ruolo di Anziana. Avrebbe preferito essere solo una Concelebrante, ma le due donne dovevano essere iniziate ai Riti. Una delle due era però in ritardo. Spero non tardi troppo, manderebbe tutto all’aria, pensò. L’altro Anziano non non lo conosceva. Non conosceva nessuno degli altri partecipanti al Rito. Li avrebbe conosciuti quella sera e molto bene, molto a fondo, intimamente anzi. Sarebbe stata solo una cerimonia di iniziazione. Mi duole ancora il culo per la mia cerimonia di iniziazione, cazzo! Si stese sul letto decisa a riposare. Sono dannatamente faticose queste cerimonie. Non sarò io la gran puttana ma una delle due viste a pranzo. Pranzo? Uno spuntino. Le spiaceva l’assenza del suo Carlo, ma non partecipava più alle cerimonie e di cazzi comunque ne avrebbe provati anche troppi quella sera.
Al piano superiore Anna bussò attendendo, come sempre ansiosa, il permesso di entrare. Era stato Lui a chiederle di raggiungerlo. Una sua richiesta era ovviamente un ordine in qualsiasi modo fosse formulato. Doveva riposare per essere pronta alla serata faticosa che li attendeva. Lo guardò mentre gli si avvicinava e, come sempre, quello che vedeva la fece fremere di desiderio e di orgoglio. Era bello, bellissimo e la amava. La amava? Lei si che lo amava, incondizionatamente, ma Lui? Un attimo ed il pensiero fastidioso svanì, presa com’era dal piacere di essergli vicina; solo loro due. Non indossa mai nulla a letto, ed anche ora fumava nudo poggiando la testa e le spalle massicce sulla testata del letto. E’ il suo uomo. Ne conosce bene l’energia, la durezza temperata dalla bontà. Distoglie lo sguardo dal viso ed osserva un attimo il pene ancora inerte che conosce molto bene e così tanto apprezza, ci penserà lei a farlo rizzare. Sorridendo ancor più a qusta piacevolissima idea si spoglia ponendo ordinatamente tutto sulla poltroncina per poi stendersi al Suo fianco, eccitata, famelica quasi di carezze, di carezze per cominciare. Sa di dover attendere la fine della sigaretta e le è anzi vietata ogni iniziativa. Poco più tardi Anna volta il viso per non mostrare le lacrime di rabbia e delusione che teme prossime; per tenerle lontano si morde la mano, con forza. Per un attimo lo detesta, ha saputo che Lui non può, gli è assolutamente vietato possederla, baciarla o soltanto carezzarla in quelle ore che precedevano il rito. Lui anticipa la domanda che se pur le frullava per il capo, mai avrebbe osato formulare. La volta precedente avevano fatto l’amore, come tutti i giorni a dire il vero, e questa volta no. Perché?. Era solo una prova, quella sera non prese parte ad un rito ma solo ad una specie di prova generale. Questa sera è diverso, ci sono regole severe Ora dormiva o teneva almeno gli occhi serrati. Si dormiva. Lo capì dal respiro di Lui. Aveva scacciato come poteva in quei giorni il pensiero ed i ricordi di quella notte ed ancora fece di tutto per non rievocare quelle ore. Aveva ubbidito a Lui nel darsi a quegli uomini ed a quelle donne certo ma…Volse il capo, no, dorme. Si mette più comoda. Avrebbe desiderato almeno…quel primo pomeriggio, dopo averle spiegato per sommi capi ciò che la aspettava aveva asciugato le sue lacrime disperate. Appartenere ad altri uomini, più di uno anche. Pensava che solo Lui vantasse diritti sul suo corpo, solo Lui potesse possederlo come d’altronde possedeva il suo cuore e la sua anima. Lidia l’aveva portata in quella casa. Sarai libera di andartene senza dovere nessuna spiegazione. Andarsene? Suvvia, una sola ora, poco più, il tempo di una cena e si era arresa senza condizioni. Il giorno seguente era assurdamente felice, qualche titubanza appena ma solo quando Lui era lontano, tra le sue braccia, anche solo vicino a Lui, il mondo cessava di esistere. E quel pomeriggio, rito o prova che fosse, pur scossa da quello che la aspettava, aveva raggiunto vette di felicità che non credeva esistessero. Supina aveva goduto delle sue insistenti carezze, dei baci lievi sempre più inebrianti, del bacio, non il primo, tra le cosce schiuse. La prima sera l’aveva baciata li, dandole piacere ma anche un certo fastidio, vergogna più che altro. Quel secondo bacio, lungo, elaborato, insistente non la aveva portata all’orgasmo del primo, Lui si era scostato qualche momento prima nonostante Anna, persa, protendesse il ventre verso la sua bocca. Vergogna no e neppure fastidio, non con il Padrone. Aveva prima sgranato gli occhi per la sorpresa, il dolore di essere lasciata, abbandonata. Intimamente consapevole di esistere solo per il piacere del suo Padrone aveva emesso un leggero sospiro di rimpianto, e serrate per un attimo le palpebre. Poi aveva meglio schiuso le ginocchia alzandole un poco di più per offrirsi non alla bocca ma alla virilità di Lui che già urgeva prepotente. Era entrato senza difficoltà nel suo sesso bagnato di umori e saliva frammisti con forza e tenerezza. L’aveva devastata sia con l’una che con l’altra. Aveva raggiunto l’acme del piacere, una catena di vette altissime, mai esplorate prima. Una girandola di sensazioni, la felicità assoluta. Il vero piacere pensò molto più tardi, non si raggiunge con il corpo solo; anche la mente deve esserci, partecipare. Stanco ma non esausto, poco più tardi l’aveva ancora presa tra le braccia. Ne era stata ben lieta abbandonandosi alle mani libertine che avevano saputo riportare entrambi al desiderio e ad unirsi. A metà dell’assolato pomeriggio aveva accostato la bocca a quella asta non più virulenta e, senza eccessiva fatica e con somma soddisfazione aveva saputo metterlo in grado di prendere piacere di nuovo della sua schiava. Si, schiava. Solo ora capiva cosa significasse quel termine. Certo conosceva l’antico significato. In latino verna, schiavo. Un oggetto, una cosa di proprietà del padrone, e come tale il padrone era tutelato dalla legge. Anna invece gli apparteneva di sua volontà. Vi era giunta quasi immediatamente ma per gradi, per amore forse. Amore? Per fortuna lo amava. Sarebbe stata sua anche senza amarlo però. Impossibile ma vero, ne era del tutto certa. Non a caso si era arresa con tanta facilità. Erano destinati l’uno all’altra, meglio, lei era destinata a Lui. Si era solo dovuto chinare a raccattarla da terra dove aveva sempre squallidamete vissuto. Era destinata a Lui fin dall’inizio, fin da quando era nata. E Lui a lei quindi. Si, forse, anzi certamente. Schiava felice di esserlo,, incapace di pensare pensino ad una vita diversa. E suo marito? La moglie di Lui? Non le importava. Questa sera sarà quel che sarà. Come vuole il mio Padrone. Non so cosa fare d’ altro e non voglio fare nulla di diverso da quello che Lui mi chiede, ora e sempre. In uno dei rari momenti di lucidità, una lucidità estrema anzi, mi chiedo cosa mi abbia portata a questa totale ubbidienza e sottomissione, alla supina accettazione delle regole, convenienze come le chiama Lui. Le ho accettate anzi le ho fatte mie da subito. E non per paura dello scudiscio che pure ho provato e di cui porto ancora i segni. Due di quei segni ancora violacei marchiano e marchieranno per sempre il seno sinistro e la piega tra la coscia e l’inguine. Sbiadiranno divenendo quasi invisibili ma resteranno, dice il Padrone, e se ne compiace. Si, le convenienze le osservo anche quando sono sola, quando solo penso a Lui, e lo chiamo Padrone e sono felice mi sia tanto facile farlo. Questa sera parteciperò al Rito. Sarò di altri e di altre. Lo vuole e così sarà. Ballerò, ma solo per Lui al suono dei tamburelli, mi inebrierò vicino ai bracieri fumiganti e darò piacere a chi mi vorrà. Darò e prenderò piacere. Temevo la sua ira od almeno di scorgere una momentanea delusione o peggio schifo e rabbia quando l’ho detto. Ha riso. Così deve essere piccola mia, è inevitabile. Va bene, ma non ne sono certo contenta. Lui e Lui solo. Si solo Lui. Non amarlo? Che bestialità penso mai? Lui mi ama? Se non mi ama io non esisto.
Una macchina si arrampica a poca distanza. A bordo due donne ed un uomo. L’ uomo alla guida non è un uomo. Solo una delle due donne è una donna. Siede dietro e osserva i compagni di viaggio. Fermati appena troviamo lo spiazzo, i Fratelli dicono che è il posto migliore. Sa che MRT non è contento, ha esitato a lungo, teme per quello che succederà alla sua donna, Giordana che invece sia pur tesa appare ben determinata ad andare sino in fondo. Marta, una lupa, per tutto il percorso ha avuto il pelo dritto. Anche se quei peli sono nascosti dagli abiti non dubita che Mrt ne sia conscio. Difficile se non impossibile nascondere emozioni profonde ad un capobranco anziano. MRT è molto anziano. E’ la idea di giacere con un uomo anzi con più uomini non scelti da lei che la sconvolge. Le lupe devono essere soggiogate dal maschio, solo allora si sottomettono. Maschi forti, capobranco appunto. Scelgono invece ‘fratelli diversi’ uomini insomma, deboli quindi sotto certi punti di vista, solo per la riproduzione. Non è possibile fare diverso, a meno di non giacere ogni volta con almeno uno sproposito di lupi maschi senza più che una remota speranza. I maschi scelgono femmine umane invece ma c’è poi il problema di ottenere, di farsi dare i figli per allevarli come lupi. Giordana, soltanto una sorella diversa, sta imbarcandosi in una avventura per Marta impossibile, inconcepibile ed oltre le possibilità di un lupa. Permetterà a degli sconosciuti…non per il suo piacere ma per…altro.
‘Immedesimarsi’ nell’anziana giardiniera significa dipendere dai sensi sensi di quella, ottusi persino per una umana, non esiste però una alternativa migliore. I sensi dell’altra umana non sono poi molto meglio e sarà spesso lontana dalla scena del rito. LUI non giungerà che più tardi, sino all’ultimo momento dovrà alimentarsi dove può, nel suo regno, nelle profondità del mare. E’ debole ma se sospetterà qualche cosa, la partita sarà ancora più pericolosa, per Lei e per tutti i fedeli di LEI. Inutile affrettarsi, un ultimo controllo. Sente le due umane che quella sera saranno iniziate. Le spiace, sa che difficilmente vivranno tanto da veder spuntare il nuovo giorno, daltronde sono solo delle umane, una razza molto prolofica. Avverte la presenza della umana che sovraintenderà al rito. Anche sapendo cosa e dove cercare è difficile, spera anzi impossibile, smascherarle. Ma può solo sperarlo. E’ ora. Un mare di nebbia la avviluppa, si è assimilata alla donna e vede e sente con i suoi inutili sensi. Però ancora più difficile per LUI scoprire chi si celi sotto quelle sembianze. Quasi ora di cena. Sconosciute l’una all’altra, le diverse interpreti del dramma scendono. Una calda serata estiva che consente di cenare all’aperto evitando di congestionare la pur capiente sala da pranzo. Regna però un innaturale silenzio attorno ai tavoli, rotto più spesso dall’ inevitabile acciotolio che dalle voci dei commensali.
Sembrano tesi e pensierosi, tutti, ma sopratutto quanti siedono al tavolo di coloro che questa notte ricopriranno i ruoli di maggior rilievo. MRT, Martin il lupo, osserva i commensali e persino i suoi sensi di figlio del Branco, gli consentono di vedere o leggere ben poco in quei volti e nelle loro posture. Questo è molto strano, pensa allarmato. Dovrà interpretare il ruolo di Guardiano. Ti guiderò, ha promesso la Dea, non c’è rischio di sbagliare, ed anche questo non gli piace: la parte del burattino. Giordana è stata fatta sedere, non sa quanto intenzionalmente, piuttosto lontana da lui ma non sembra preoccuparsene ed anzi gli sorride incontrandone lo sguardo. C’è solo una persona che siede se non indifferente certo meno turbata degli altri. Molto meno turbata degli altri. L’ Anziana, una Anziana estremamente giovane ed anche avvenente. Una donna, una giovane donna che ha sofferto già tanto da accumulare…Accumulare cosa? Non ha letto nulla e pur usando tutte le sue capacità non ha potuto andare oltre una intuizione: la Anziana ha tanto sofferto da affrontare qualsiasi altra cosa, con indifferenza? No, indifferenza no, combatterà. Allora? Scuote le spalle, non sa andare oltre. Il Padrone di Anna le siede a fianco e posa la mano su quella di lei per un attimo e lei glie ne è grata. MRT nota il gesto, un gesto normale, solo affettuoso ma…Lei è la donna che affiancherà la sua Giordana. Una delle due donne che affronteranno l’iniziazione e questo lo preoccupa, tutto lo allarma. Il Padrone forse sa qualcosa di più. Giordana, anche lei sarà ‘guidata’. E l’altra? Quella che siede di fianco al Padrone? Sono le due del rito di iniziazione. Sospira per allentare la tensione che lo attanaglia. La cena è finita ed i commensali degli altri tavoli aiutano a sbarazzare, cosa di pochi minuti, per poi dirigersi a piccoli gruppi, ma sempre in un silenzio innaturale, verso il boschetto alle spalle della costruzione. Nessuno fa attenzione alla donna ormai sfiorita che posa un vassoio sulla pedana, tra due divani. Il Padrone ed una Sconosciuta prendono posto su uno di questi, sull’altro l’Ospite e l’Anziana. I bracieri fumano, alcune donne già muovono i primi passi al ritmo dei tamburi che rullano quasi in sottofondo. Altre si uniscono alle prime. Ora sono numerose, e si muovono con passi e movenze spesso maldestri. Non importa. L’Anziana osserva attenta la scena, era una di loro quando è stata iniziata non molto tempo prima, ma non ricorda nulla. Solo visioni sfuocate, simili ad un sogno svanito; un sogno che ha turbato e tutt’ora turba persino lei. E’ normale le hanno detto, ora invece vede e ricorderà. E’ la assenza del suo uomo, Carlo, consueta ormai a tutti i diversi riti a contrariala. Più tardi, quando gli appetiti del suo corpo, decuplicati dal rito, esigeranno soddisfazione, non ci sarà, ed è lui invece che ora vuole, lui, possibilmente… Donne, solo femmine. Più o meno belle, più o meno giovani. In quei pochi minuti sembrano aver superato le incertezze iniziali. Che siano tutte Volè, tutte cioè vergini che mai hanno neppure baciato od abbracciato un uomo è assurdo ma non lo era neppure lei, e le è stato detto di lasciar perdere. Se la DEA vuole così…La radura è illuminata appena dai bracieri e dalle fiaccole, a sufficienza però per notare i volti delle donne già trasfigurati, quasi in estasi mentre in fila, come un lungo serpente umano, percorrono avanti ed indietro la radura percuotendo il terreno con i piedi scalzi, spingendo in alto le braccia a pugni chiusi e lanciando il loro Eieiretmeè che ripetono all’infinito. Alcune a petto scoperto, altre ancora vestite ed altre ancora già del tutto ignude, tutte danzano compunte, completamente assorte e quasi ieratiche; a turno si avvicinano ai bracieri e li circondano come attirate dalle volute di fumo odoroso; tutte bevono spesso ed avidamente da poche, capienti e vecchie tazze di legno che passano rapidamente da una all’altra. L’Anziana ricorda, uno dei pochi ricordi vividi, il fumo, irresistibile, e l’arsura. Ricorda con quanto piacere si dissetava da tazze simili, anzi, forse le stesse. Guarda Anna e Giordana, le due che verranno ‘iniziate’. Domani vi farà molto male il culo figlie mie. Per lei era stato così ma non sapeva quasi altro. Ma quante sono? Tante, molte più di quanto avesse immaginato. E le due indossano solo le gonne, simili, identiche anzi, che al roteare della danza si sollevano mostrando i ventri nudi. Eieiretmeè Eieiretmeè. Si, solo loro indossano qualcosa, le altre si muovevano vestite solo della loro pelle. La notte è agli inizi ma il cielo sta sbiancando e le figure danzanti e gli alberi attorno alla radura svaniscono, svaniscono completamente per qualche attimo per poi tornare a prendere forma. Tutto identico a prima. No, non tutto. Le figure danzanti non sono più le stesse. Le donne sono ora giovani ragazze, giovinette è la parola che le viene di usare. Non più bambine ma neppure donne. Bellissime, pensò senza meraviglirsene. Si muovono ormai con grazia infinita come se danzassero insieme, al suono di quei tamburi, da sempre. Non importa. Cerca Anna e Giordana, le identifica a fatica e solo perché le altre giovani stanno formando loro intorno un cerchio che subito si scioglie per formare una fila dietro a ciascuna delle due. Le seguuono ai bracieri, vi danzano attorno a lungo per poi tornare, sempre seguendo il ritmo, al centro della radura e comporre altre figure. Anche loro non indossano più nulla. Un attimo ed un pensiero quasi la sconvolge: l’Anziana capisce di essere lei in qualche modo a guidarle, come? Ne è certa pur non sapendo come. No, non lo sapeva. Ma da lei, attraverso lei parte un… qualcosa…Neppure questo importa. Ai margini del bosco, nell’ombra fitta, MRT, Martin il lupo, osserva incredulo. A tratti gli occhi gli rimandano l’immagine della donna che conosce e che ama, ma sempre più spesso ed a lungo vede una Giordana giovanissima, quindicenne o forse meno e tanto bella da lasciarlo senza fiato ed incredulo. Quella non è la sua Giordana. Più tardi, senza sapere il perchè, inizia a camminare e la raggiunge, la prende per mano ed insieme, senza parlare, si dirigono verso il palco. Quella non è la sua Giordana ma lui non è più MRT, neanche è qualcun altro bensì qualcosa d’altro. Un’altra coppia si muove come loro verso il palco degli anziani. Riconosce lei, Anna, la compagna di rito. Aveva visto lui, l’Anziano, al tavolo, a cena, ma non sa chi possa essere e neppure gli importa più. In MRT ora c’è la consapevolezza che avrebbe saputo di volta in volta cosa fare. La sua amante aveva sorriso quando le aveva preso la mano ma ora guarda fisso davanti a sé ignara di tutto. Sale con lei sulla pedana, indifferente la vede inginocchiarsi tra le cosce schiuse dell’uomo seduto sul divano e fermarsi. Freddamente, con indifferenza, si pone di fianco a lei per quella che sarà la sua parte, ancora sconosciuta, nel rito. Pochi istanti di attesa ed oltre le fronde appare la luna, è il momento. Nel silenzio più assoluto tutte le giovani assistono immobili. Qualcuno, in disparte, osserva attenta. Una donna del tutto diversa dalle altre, non giovane e non bella, la sola che indossi degli abiti. Un sorriso appena accennato quando Giordana, si china portando la bocca al pene del’ Ospite. Un attimo di tensione, c’è la remota possibilità che il lupo si liberi e… No. Le solleva i fianchi e la penetra nel retto senza che la giovinetta protesti o cerchi di sottrarsi. Sembra neppure avvedersene del cazzo che le forza con determinazione le reni, solo si inarca un poco per favorirlo. Ma di lei era sicura, il condizionamento era totale come per l’altra e l’anziano Amilcare. Si sposta un poco per continuare a fruire dei raggi della luna, la sua luna salvifica. Non sono due donne pensa,ma due urne in cui il seme, selezione di centinaia di generazioni di uomini, lupi ed Anziani si mescolava per essere in pochi istanti mutato. Come? Non lo sa neppure Lei, l’Ultima DEA. Solo sa che avviene, da sempre, almeno a certe condizioni. Nel prato antistante le altre giovani stanno sacrificando a loro volta, Ognuna di loro riceve, allo stesso modo delle due iniziande, il seme di due maschi e si dirige compunta, verso il palco. Danno e ricevono il prezioso liquido, ne aspergono le due e le anziane, badando a non disperderne neppure una stilla. Più volte tornano dal compagno per poi portare nuovo seme al palco, finché quelli non sono esausti. Sono andati ben oltre le consuete possibilità dei maschi umani. Un attimo quasi magico di attesa poi tutti insieme si muovono verso la radura poco lontana. Tutti i partecipanti al rito sono pressochè privi di forze e si stendono nudi sul prato, in attesa. Anna neppure cerca con gli occhi il suo Padrone, deve esserci ma non lo vede e non lo pensa. Stesa accanto a lei anche Giordana sembra attendere qualcosa. Persino la brezza leggera cessa di spirare. LUI è giunto.
Se il volto immutabile di un dio difficilmente può mostrare stupore, il suo aggrottare di ciglia ed una sia pur infinitesima esitazione parlano per lui. Percepisce una forza molto più grande del previsto e questo gli piace: sarà sua e sue saranno quelle giovani vergini avvenenti anzi piuttosto, no, molto belle. LEI dov’ è? Ne percepiva la presenza. Non aveva vissuto per tanti millenni se non fosse stato prudente. Usa i suoi poteri per sincerarsi che le fanciulle siano vergini, alcune almeno, non vuole esaurirsi in quello,controlla che il rito sia stato condotto secondo le regole senza trovare alcunché di irregolare o sbagliato. E’ il modo, pensa, con cui la sua antica sposa e schiava chiede venia della riottosità sfociata alcuni millenni prima in rivolta aperta. Avrebbe finto di perdonarla. Finto soltanto, era ingenua e poteva sfruttare ancora quella ingenuità. Guarda di nuovo quelle donne e quegli uomini. Solo umani quindi schiavi da poco. Una fonte di energia però rimarchevole, molto rimarchevole. LE avrebbe chiesto come avesse potuto riunire tantiia splendidi esemplari idonei, tanto cibo.Ma il suo corpo anelava a quella energia, tanta energia da rendere la sua superiorità su di LEI indiscutibile. Si china a raccoglierla ed è la sua sconfitta. SI, VINCERE OD ESSERE DISTRUTTI, OPPURE LA PIU’ DURA E FEROCE DELLE SCHIAVITU’.

Miei soli alleati i Primi tra gli Anziani, i pochi che siano sopravvissuti alla strage di decine di millenni or sono, e poi il Popolo dei Lupi e gli Umani. Ne ho sacrificati molti di questi ultimi anche recentemente, ma sono così prolifici…poveri cari…altri ne dovrò sacrificare… degli uni e degli altri, per salvarmi e per salvare loro stessi. Se mi sarà possibile.

La piccola stanza è gremita ma non avevano trovato di meglio con un preavviso così breve. Tra loro si conoscono tutti; si sono visti almeno una volta e molti hanno partecipato al Rito alla fine del quale la Principessa delle Tenebre ha sconfitto e distrutto il Dio del Mare. Non sanno altro e sono tesi, ansiosi. Pochi però osano formulare ad alta voce la domanda che tutti invece si pongono: se tutto è finito, se LUI è morto, perchè questa convocazione così urgente? Oltre l’uscio chiuso della sala una donna di mezza età si ferma, senza esitazioni bussa e svanisce. La porta sebbene chiusa a chiave si apre, e la Dea compare. La Donna Bellissima circondata di un alone di forza che tutti temono, rispettano ed ammirano. Anche se già non ne fossero a conoscenza, intuirebbero la forza e la potenza di Lei. Raggiunge a passi rapidi la pedana, siede; un rapido saluto poi in breve spiega che suo fratello, marito e padrone, vive. E’ necessario prepararsi ad un’altra battaglia, stanarlo e distruggerlo prima che riacquisti forze bastanti a distruggerli, Lei in primo luogo, per vendicare l’affronto subito e come unico avversario che conti , e poi loro, ma non solo loro, tutta l’umanità se non si piegherà adorante ai suoi piedi. Comincerà con i Primi per la loro antica sapienza e la fedeltà dimostratami, ma odia e ucciderà tra sofferenze inaudite voi tutti. Avete osato servirmi e contrastarlo. Si crede un Dio, non può concepire nessun contrasto, solo sottomissione. Contrastarlo è bestemmia. Una dozzina, pensa, solo una dozzina, cosa potrò fare con un così sparuto gruppetto? Ma non ha niente altro. Se riacquista anche solo la minima parte delle sue forze può schiacciarvi in un colpo solo, continua. Se potessi sapere dove si nasconde ed è impossibile, lo annienterei, ciascuno di voi potrebbe farlo ora tanto è debole dopo la battaglia, il Rito. Sta però di nuovo crescendo, fortificandosi, meditando vendetta. Dobbiamo noi stessi crescere, di numero e sapienza e forza, necessariamente alleati voi ed Io. Lui pensa di essere DIO, io so di non esserlo. Ciascuno di voi sarà chiamato a guidare una schiera, addestrata secondo gli Antichi Riti, gli unici che possano darci il successo, gli unici, ripete con enfasi! Quei Riti che nel dolore vi hanno resi forti tra i forti. Lui è solo, è sempre stato solo, gli è praticamente impossibile avere attorno servi fedeli, alleati, solo schiavi. Nei Riti e nel numero saremo forti quanto e più di mio fratello. I Primi saranno i miei portavoce, ubbidite loro, sempre. Hanno alle spalle centinaia di migliaia di secoli di esperienza. Ora devo andare figli miei, ma sarò sempre con voi fino alla vittoria finale. Un cenno, impercettibile, destinato alla sua amata Giordana. Neppure Marta, la lupa lo avvertì, solo MRT, il lupo compagno di Giordana percepì qualcosa. Già, MRT. Da un lato aveva fatto in modo che i due dividessero il letto, doveva farlo, ma la cosa la irritava ancora. Mentre si nutriva, in alto, dove l’atmosfera era quasi inesistente, immaginava, sognava anzi cosa avrebbe fatto di loro ai tempi della sua potenza, quando anche lei si considerava una Dea e regnava sulla sua città. Aveva visto sua madre avvicinarsi alla sconfitta per mano delle armate di due Dei invasori. Anziché aiutarla intervenendo con le truppe affidatele aveva atteso sino all’ultimo, quando entrambe i contendenti erano stremati e privi di forze. Sua madre era morta, i due invasori pure e lei era rimasta padrona del campo. Malvagità la sua ma anche legittima difesa. Per sua madre era una vipera che si allevava in seno in attesa di un futuro guadagno. Aveva anzi già concluso accordi per venderla a caro prezzo, sarebbe stata una delle schiave di un Dio, a quei tempi ancora numerosi. Forse gli avrebbe partorito un figlio. Talvolta capitava, sia pure molto raramente. Questi erano gli Dei! Aveva colto la sua opportunità e regnava. Sceglieva i maschi migliori, i più belli e vigorosi, e le sue fedeli ne facevano stalloni che teneva ben rinserrati, chiamandoli però spesso a sé . Stimolava il loro corpo con erbe e la loro mente con le sue arti innate. Pochi duravano, i più anzi si consumavano rapidamente fino a divenire inutili od almeno non abbastanza…soddisfacenti. Quando se ne stancava, se non morivano, li dava alle sue fedeli per i loro ridicoli riti, sempre mortali. Aveva avuto solo un lupo nel suo letto; aveva dovuto drogarlo quasi sino all’incoscienza…ed era un lupacchiotto all’inizio dell’addestramento… per fortuna. Aveva capito poi il rischio corso. Anche lei però era una ragazzina, fatti i raffronti, poco più che una dodicenne umana. Portarselo a letto, trarne piacere! Troppo pericoloso, MRT era un lupo anziano, esperto, reduce da cento e cento scontri. Non era più una ragazzina ignorante, presuntuosa ed affamata dei piaceri del corpo neppure lei, i suoi poteri paragonati a quelli di un tempo si potevano dire infiniti. Aveva anche imparato molto rapidamente che un volontario vale più di cento coscritti, anche nel letto, o meglio su una stuoia, i letti ancora non esistevano. Anche così, il piacere di dominarlo…ma quei tempi erano finiti, dovevano essere lasciati alle sue spalle. A quell’altezza, mentre radiazioni o quel che fossero interagivano con gli atomi e le molecole del suo corpo ‘nutrendole’, colmandola in qualche modo di energia, talvolta si abbandonava come ora ai ricordi. Ricordi troppo vividi che non sapeva adeguatamente contrastare ma che rinnegava tornando alla realtà, come ora. C’era il problema Giordana, le piaceva, le dava soddisfazione e piacere sia fisicamente che emotivamente…doveva pensarci bene, fare sciocchezze per quella non era possibile, non ora. No, quello non era il primo dei problemi da affrontare. Separare Carlo da Irene, la sua donna. Lei ne era scioccamente innamorata e questo influenzava il suo discernimento, era quasi una schiava dei bei tempi andati. Entrambi potevano essere utili, molto utili. Lui, per la innata capacità di dare dolore e piacere insieme, era un ottimo maestro un ‘soggiogatore’ per istinto. L’aveva riempita di botte ed umiliata oltre il concepibile. Lo faceva ancora adesso ed Irene sotto sotto, ne era contenta. Senza rendersene conto però lui aveva scelto Irene come sua prima donna, ne era inconsapevolmente innamorato. Lei per le sofferenze patite aveva una scorza attiva tra le maggiori mai viste, Una Anziana molto esperta e dotata sin dal primo Rito. Uno strumento ottimo, quasi perfetto. Aveva già cominciato Amilcare a dividerli ma bisognava andare oltre. Doveva inoltre decidere come utilizzare al meglio Anna. Il Dottore come gli piaceva farsi chiamare era un buon ‘soggiogatore’, lo dimostravano i numerosi successi, compreso l’ultimo con la nuova conquista, subitanea quasi, Anna appunto. Lavorava bene in coppia con Ospite e la sua donna, Lidia. Ottimi cacciatori…

Sono due fratelli, discreti atleti, il giorno successivo si sposeranno con una unica cerimonia. Non è una Dea, lo sa bene, ma da troppo tempo non gode dei piaceri del sesso. Nella sua Tana, il suo rifugio da tempi incommensurabili, nel suo letto, i due si dimostrano discreti amanti. Ha liberato per poi controllare i loro istinti più profondi ed antichi. Se non li controllasse si ucciderebbero a vicenda per possederla e forse il vincitore ucciderebbe lei nel farlo. Li riporta nei loro letti, li ristora. Saranno un poco stanchi e pensierosi l’indomani, se poi si confideranno raccontandosi l’un l’altro i pochi brandelli di ricordi, sogni per loro…
La Principessa quando i due pronunciano le frasi di rito dorme, soddisfatta. Da più di quarant’anni non ‘ mi facevo una bella scopata’ come dicono adesso. E’ l’ultimo pensiero quando già le palpebre si son fatte grevi. Ha consumato troppe energie, nei focosi amplessi e nel prelevare e riportare nelle loro camere i due. In altri tempi li avrebbe eliminati. Ma quei tempi un poco le ripugnano.

QUALSIASI COMMENTO MI E’ GRADITO, RISPONDERO’ A QUANTI SARANNO COSI’ CORTESI DA OFFRIRMI PARERI E SUGGERIMENTI. GRAZIE SIN D’ORA.
sbrochea@yahoo.it
UN GIOVANE SUI TRENT’ ANNI, MA QUALE SIA LA SUE ETA’ NEPPURE LUI SA DIRLO.

Aiutare la dea? ma come?
Lui solo, con pochi alleati, tutti miei discendenti, dotati ma troppo poco numerosi, non le servirei a niente ed essere uno stumento inutili…devo saperne di più. Lupi ed Anziani, mai sentiti nominare…vedremo. Ora devo nutrirmi, non il cibo consueto ma quel cibo che da sempre mi necessita…sia pur raramente. L’ altro “cibo”, emozioni.

Per questo son sceso in albergo. Pensavo più facile trovare quanto cerco…ed invece solo anziani, molte coppie con bambini…e non voglio casini. Sulla sdraio, non più spossato ma certo ancora affamato, chiudo gli occhi, dilato con prudenza la mente. Niente di interessante o di possibile senza andare oltre quanto considero lecito. Già, col tempo sono cambiato, è cambiata la mia etica. Poi, al confine, una selva di emozioni controllate ma violente…L’ ho intravista ieri pomeriggio arrivando ma ero distrutto e cercavo solo un letto ed un lungo sonno…Sono ancora stremato ma se non mi cibo…Un problema “imprevisto” al suo ombrellone e “per caso” il bagnino la sistema alla mia sinistra. Non serve leggerla per capire che è prossima alla disperazione.

Non serve a me almeno. Poche parole, il bagno insieme, si meraviglia di aver accettato la mia compagnia, cercava solo conforto nella solitudine. E’ qui anzi solo perchè cerca la solitudine. Ama un altro uomo, sposato. Ama un uomo che certo non la merita. Giovane e vergine era disposta a tutto per lui che all’ ultimo ha fatto una scelta diversa. NON LA MOGLIE, NON LEI MA UNA TERZA DONNA.

Ora è nella mia camera, incredula di esserci con qust’ uomo di cui conosce a stento il nome. Neppure si è accorta di superare la sua camera, non ha trovato strano entrare nella camera di lui. Accetta di essere avviluppata dalle sue bracia, accetta il primo bacio, lo bacia stingendosi a lui, siede sulle ginocchia, lascia che il suo corpo venga carezzato e se ne inebria, lascia che la vestaglietta da spiaggia cada a terra seguita dal reggiseno del costume.

Devo sbrigarmi, finire di spogliarla ed in fretta, la mia mania dei preliminari…
ora siamo nudi entrambi. Sento nella sua mente cominciare a farsi strada il dubbio, la paura, ed è anche vergine porcocazzo. Stesi nella luce eccessiva del mezzogiono che attraversa la finestra priva di qualsiasi schermo, le succhio i capezzoli, porto la sinistra tra le cosce che schiudo a fatica, la carezzo dove una donna è più sensibile e di esperienza ne ho tanta. Non appena sento sotto i polpastrelli l’ umidore naturale, sia pure senza eccedere e senza obnubilarle la mente sono sopra di lei. Più che pronunciare un no lo geme ed impiegando poco tempo ma senza esagerare sono dentro di lei.

Il dolore la fa inarcare
Fissa i miei occhi attonita, incredula. Ora è perfettamente conscia di ciò che sta facendo. Lo sarà solo per pochi secondi, forse qualche minuto ma…pericolo. Se grida…

Non grida in parte impedita dalla mia volontà. Due lacrime solcano le gote appena arrossate dal sole. Chiude gli occhi, li apre un poco, sussulta mentre esco di lei ed ancora la penetro. La bacio ma so che l’ effeto chimico è quasi svanito dalla mia saliva. Ora il cervello sta facendo secernere altre sostanze la dove servono di più. Qualche stilla mista ad una goccia di sperma, altro dalla pelle del mio membro, ma serve un poco di tempo.

Poi comincia a muovere i fianchi nella eterna danza di eva. Mi cinge il collo e cerca la mia bocca. Deve staccarsene, le manca il fiato,respira a fatica, ansimando. Mi cinge con i talloni, suda, si scuote mentre la monto. Poi a stento e solo in parte trattiene un grido che non è di dolore o di rabbia ma di piacere, della speranza del piacere che sente urgere, montare, inarrestabile. Della felicità che so a questo punto crescere in lei. Una donna che è felice perchè…ogni donna se vuole ne trova le ragioni e certo le ha trovate lei. Le trovano sempre in questi casi. Sono io ad abbeverarmi alla sua disperazione, poi alla disperazione mista a felicità, infine alla felicità più assoluta. E’ questo che mi serviva. E’ questo che avrò. Il misto di dolore e di piacere, di disperazione e felicità.

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Avessi schiaciato di più il chiodo solo di poco avrei preso una bella multa dalla stradale. Poco male per il denaro ma non amo essere notato,”schedato”, segnalato, mai, in messun caso.

Mi è istintivo da sempre, da quando son nato o da quando ho memoria. Voglio e devo essere una persona qualsiasi in mezzo a gente qualsiasi. La vettura non troppo costosa, l’ aspetto di un trentenne o poco più, ma apparentemente invecchio come qualunque altro essere umano, l’ abbigliamento normale per un giovane maschio in vacanza, come parlo e mi muovo, tutto studiato per non dare nell’ occhio, per non suscitare curiosità e domande, per salvaguardare il mio anonimato. La prudenza una mania? No una salvaguardia, autodifesa. I documenti sono in regola, più persone, vicini e conoscenti possono confermare di conoscermi da sempre, così pure ricerche anche approfondite fin da quando sono nato ed anche sui miei genitori non troverebbero nulla di anormale, confermerebbero tutto della mia vita…studi, professione, vita regolare, un fidanzamento rapidamente finitito in niente, forse qualche amante più o meno occasionali…

E’ un rictus involontario, un ghigno più che un sorriso di auto commiserazione il mio. IO NON SO QUANDO E DOVE SONO NATO. Dopo tanto tempo non me ne cruccio più, lo accetto ma…da vari secoli, quasi da sempre, avere documenti validi è importante e non sempre è stato facile.

Quei due stavano facendo il loro mestiere di poliziotti e lo stavano facendo bene. Per loro sarei stato una preda ghiotta anche se non ho fatto niente di male, non qui e non da parecchio tempo, secoli. Prima, per salvaguardare il mio segreto o sopravvivere soltanto, ho rubato ed ucciso. Prima ancora uccidere od essere ucciso era la regola. Talvolta ho dovuto adattarmi e non ho neppure pensato fosse innaturale o immorale. Sopravvivere era l’ unica cosa giusta quindi l’ unica moralità. Se hai fame e puoi rubare rubi. Se una donna ti piace e nessuno la difende te la godi sul posto o te la porti via. Piangevano talvolta ma se ne facevano una ragione. Se poi la vendevi, spesso piangeva chiedendomi di tenerla…dove, quando? Ho ucciso? Si e più volte ed ho rapito e violentato.

Non so dove sono nato e neppure quando. Gli studiosi cominciano solo adesso a dire qualcosa su come si sia formato il mar Nero. Mamma, nonna e bisnonna sono scappate da quello che certo per molti fu una catastrofe, il mare Mediterraneo che, aperta una breccia si riversava nel mar Nero appunto e che allora era un lago di acqua dolce, certo non lo sono però.
Quando sia successo non lo so, almeno non lo so con certezza. Anzi, lo sto apprendendo in questi anni. Mi interessa ovviamente e seguo questi studi.

Mia mamma mi portò in pancia per tutto il tempo necessario a raggiungere la salvezza, non i nove mesi consueti ma anni? Come faccio a dire vera e sensata una cosa del genere?

Apro uno dei cassettini in cui vivendo tanto a lungo devi riporre in modo ordinato i ricordi che vuoi conservare. Gli altri, quelli inutili o poco utili, li lasci scivolare via, il tempo li cancella per sempre.

Vedo l’ immagine sbiadita della bisnonna che mi trascina verso le colline voltando le spalle al grande fiume di cui non conosce il nome, forse non esiste più e non ha mai avuto un nome. Bisnonna? Vivevano così a lungo? Certo non era normale. Io però non sono un uomo normale.

Più tardi, sperando che i raziatori non si sarebbero allontanati dal fiume che ora, forse, solo forse, chiamano Danubio, mi ha ripetuto quello che richiamo spesso alla mente. E’ il contenuto di un piccolo casseto, molto piccolo, il più prezioso.

Dovevo temere e celarmi agli dei. Per loro non siamo niente. Talvolta persino cibo, sempre servi, talvolta una donna può piacergli e la possiedono, la violentano ma in genere la convincono, qualche volta ne fanno per qualche tempo la loro schiava ma il mondo è pieno di donne giovani e belle…

Uno di loro, bellissimo, ma sono tutti bellissimi, mi prese che ero ancora quasi bambina e mi ingravidò. Lo stesso od un altro, lo stesso penso, vide anni dopo mia figlia, tua nonna e successe la stessa cosa. Anni dopo, doveva apprezzare qualcosa in noi, ma non so cosa, possedette tua mamma da poco donna. Sterminò tranne pochissimi il resto degli abitanti del piccolo villaggio perchè lo avevano infastidito soltanto… Decidemmo di fuggire e questo forse ci salvò. L’ acqua salata stava per circondare i loro miseri ricoveri.

L’ acqua salata da anni cresceva. Tua madre era figlia e nipote di un dio e potè tennerti in pancia per più volte il tempo consueto. Neppure mostrava i segni della gravidanza. Abbiamo finito il viaggio in due, mia figlia era stata travolta dalle acque quando già pensavamo di essere in salvo e qualche giorno dopo eravamo sulle alture, di certo in salvo dalle acque. Tua madre decise di cominciare a farti crescere nel suo ventre come poi accadde. Ricordalo e non dirlo mai a nessuno, sei figlio, nipote e pronipote di dei o di un dio. Sei quasi tu un dio quindi , ma sei giovanissimo. Se domattina continuano a cercarci, se ci trovano, taci e ricordatene.

Avevano ucciso mia madre che cercava di rallentarli per far fuggire noi, hanno ucciso anche la mia bisnonna e portato via me. Perchè? Per loro, una giovane donna, mia madre, valeva molto più di un bambino…diceva che anche sua madre sembrava ancora molto giovane…nei miei cassetti della memoria non ho mai trovato risposte.

Ricordo poco dei primi anni di schiavitù nella casa di un capo del loro villaggio. Ricordo poco degli anni seguenti, servivo un sacerdote che mi insegnò a grattare su una corteccia i pochi segni magici di quella religione, poi un altro sacerdote…pochi fatti slegati tra loro. Ma crescevo, imparavo e tacevo.

Crescevo lentamente, ero uno schiavo di dieci anni o poco più e mi ritrovo già più grande di qualche anno, libero ed al servizio di uno studioso vagabondo. Lo accudivo, lavoravo e di notte mi chiamava a sè…moltissimi anni più tardi, centinaia almeno, migliaia forse, non ero più schiavo ma un mercante.
Ho visto le mura dalle possenti torri di Babilonia ma imperversava una pestilenza e non potemmo entrare in città. Vidi Tartesso prima che i Fenici se ne impossessassero, avevo visto il Nilo quando la prima delle tre grandi piramidi era in costruzione. Solo nel 1400 sono venuto a Venezia, come mercante e mi sono stabilito in Europa…Ho una discendenza non numerosa per mia scelta e per la mia scarsa fertilità. Possiedono doti particolari ben lontane dalle mie ma molto utili a me.

Le donne tra l’ altro possono partorire dei “simulacri” che sono a prima vista la mia copia più giovane. Simulacri appunto, utili ultimamente per dotarmi di certificati di nascita e frequentare le scuole oppure dire, certo di non essere smentito, di averle frequentate. Quando lo ritengo opportuno muoio e li sostituisco. Loro si nascondono nel poco tempo che la natura li fa ancora vivere. In genere pochi mesi. Io entro a pieno titolo in questo mondo. Prudenza è il mio motto, il mio modo di vivere consolidato nel tempo, non secoli ma millenni.

Temo gli dei. Che dei e dee siano esistiti è certo. Lungo le coste del Mediterraneo quasi in prossimità della attuale Turchia li incontrai per la prima volta. Fossi stato più giovane, meno prudente ed accorto, certo mi avrebbe “sentito” ed ucciso. Dal sommo di una collina. Ero con una manciata di mercanti. Per sicurezza viaggiavamo insieme e con qualche servo soltanto.

Vedemmo sotto di noi una cinquantina di armati ed un carro. Non avevo mai veduto ne cavalli ne carri e neppure un uomo coperto da una simile corazza di metallo lucente. La mia vista è ed era acutissima, per fortuna e prudenza mi astenni dal potenziarla.
Comunque vidi sul carro una donna bellissima, i polsi legati al carro, ma non fu questo a sorprendermi, fu la disperazione di lei e la folle ed orgogliosa felicità di lui. Feci cenno ai miei compagni di arretrare oltre il ciglio della collina, mormorai di non guardare usando con discrezione solo la “VOCE”, e fummo salvi. Io fui salvo ma certo oltre al bastardo avrebbero ucciso anche i suoi compagni.

Altre volte mi imbattei negli dei, uscendone prima terrorizzato poi convinto sempre più di non poterli vincere ma ingannare si. Da oltre due millenni non ho fatto altri incontri…fino ad ieri. Una dea…di certo o solo forse la stessa…Sono riuscito ad ingannarla, ero per lei un uomo qualsiasi che ha portato in un suo rifugio, dove non so, prigioniero della sua mente, della sua forza. C’ era un altro uomo, siamo stati i suoi amanti di una notte lunghissima durante la quale abbiamo saziato le sue voglie…insaziabili, tanto che per soddisfare i suoi sensi da tempo repressi ha stimolato ferocemente la nostra mente ed i nostri corpi. Non ho cercato in alcun modo di sottrarmi, non ho cercato ovviamente neppure di “leggerla”. Troppo pericoloso. Se ne sarebbe accorta immediatamente forse.

Quasi all’ alba, riportato non so come nella mia casa, stremato fisicamente e mentalmente, ho dormito qualche ora per poi fuggir da casa e dalla mia città senza neppure avvertire i miei adepti più prossimi. Non sapere è la loro protezione migliore.

Primo. E’ certamente molto più forte di me. Esaminando però i fatti dall’ inizio vedo che la sua forza non è illimitata ed anzi è più debole, infinitamente più debole di quanto ricordi. E’ la dea legata al carro dell’ altra divinità. La dea terrorizzata…l’ alone che la circondava allora era molto maggiore…ed infinitamente ancora maggiore quella del dio che la teneva prigioniera.

Secondo. Il suo controllo mentale non è poi così invincibile. Quando, verso la fine della estenuante nottata si è completamente abbandonata al piacere, ha abbandonato quasi del tutto il controllo sulle nostre menti, si è “lasciata andare”. Ora so che combatte ancora contro quel dio. Può forse vincerlo di nuovo ma solo se avrà alleati a sufficienza oltre a Lupi ed Anziani. Chi siano i primi ed i secondi non so. Posso però trovarli seguendo le tracce dei pensieri, ai balumi, lampi, usciti dalla sua mente.

Terzo. Lei è la buona. Si fa per dire buona. E’ disposta a sacrificare la maggior parte degli umani pur di sconfiggerlo. L’ altro però è peggio e se non ottenesse ciò che vuole, totale sottomissione a lui, li steminerebbe. Ci sterminerebbe anzi. VUOLE, PRETENDE CHE CI SOTTOMETTIAMO, ADORANDOLO. Più volte respinto sta preparandosi di nuovo a tornare.

Per giorni rivado ad ogni minimo particolare dell’ incontro, statisticamente impossibile…ma avvenuto. Hanno interrogato o sondato i miei vicini. I miei sistemi di allarme sono il gatto della mia vicina, il canarino della pipelè, la portinaia cioè ed una coppia di merli che nidificano stabilmente sul platano davanti alle mie finestre…ridicolo ma efficace ed assoltamente oltre ogni sospetto.

——–
L’ ombra si materializza. Abbiamo perso ogni sua traccia, la Dea si adirerà.
L’ altra ombra tace per qualche istante. Questa è già una notizia, significa che non è un semplice mortale.
ESSERE UNA SUA SERVA, ADORARLA, SE SERVE MORIRE PER LEI. GODERE DELLA SUA COMPAGNIA ED ACCOPPIARTI CON IL TUO UOMO.

Una figura ammantata passeggia nella notte tra i pochi resti di una civiltà tanto antica che neppure il nome è rimasto.

Eppure Lei ha regnato incontrastata su quel territorio allora benedetto da un fiume, irrigato da canali, reso fertile dal lavoro di innumerevoli schiavi.
I pochi sassi che solo i suoi sensi riescono a percepire sul fondo di una trincea scavata dagli archeologi sulla cima della bassa collina, facevano parte della sua reggia. Dall’alto della torre quadrata aveva osservato la battaglia nella pianura sottostante e trattenute le truppe ai suoi ordini finché il resto dell’esercito agli ordini della regina sua madre non avevano cominciato a sbandarsi.

Solo allora aveva fatto il segnale e le sue truppe, a lei affidatele dalla madre ma agli ordini di ufficiali da lei stessa scelti e ben pagati, con grandi grida erano sbucati alle spalle degli attaccanti, disperdendoli in una rotta totale. Quella sera aveva accesa la pira funebre e l’indomani disperse le ceneri della madre. Poche ore più tardi i sudditi si prostravano davanti alla nuova regina.

Gli ufficiali che aveva corrotti erano stati discretamente soppressi, suo fratello esiliato. Ero una gran carogna pensa senza rimpianti o compiacimento. Aveva allora solo quattordici anni e dopo le cerimonie ufficiali, festeggiò in privato dandosi al figlio del re sconfitto. Gli aveva promesso la vita, la libertà ed una alleanza perchè potesse regnare. Il suo primo uomo. Drogato e spinto dai poteri mentali di lei si mostrò forse un discreto amante, non ne era sicura, era il suo primo uomo.
Morì senza soffrire.

Ero proprio un carogna, ma allora, migliaia di anni fa era così che andavano le cose da noi, gli Dei. Si disperse nell’aria, uno sbuffo leggero di fumo che salì rapidamente nel buio salendo ed espandendosi per nutrirsi, tornare a quella che da millenni considerava la sua casa ed al tempo stesso controllare il pulsare, quasi impercettibile persino ai suoi sensi, in fondo all’Egeo. Lentamente ma cresceva. Suo fratello, il suo amante di un tempo, poi sposo e padrone tirannico, crudele. Ormai il suo nemico mortale. Quella notte godé tra le braccia di due uomini che non avrebbero ricordato nulla. Non si privava di quei piaceri ma neppure uccideva più i suoi amanti.
‘…………………………………………..

LA DEA NON CI PERDONERA’ UN FALLIMENTO. TUTTO DEVE ESSERE PERFETTO. SARA’ TUTTO PERFETTO. RIBATTE L’ALTRA, MOSTRANO ENTRAMBI UNA ETA’ MOLTO AVANZATA MA NESSUNO LE NOTA NELL’ AFFOLLATO SALONE DELL’AEROPORTO.
‘……………………………………………….

Ada saluta con un bacio i genitori e supera il controllo. E’ emozionata. E ‘ il suo primo viaggio in aereo, la prima vacanza estiva lontana dai genitori, all’estero, in Africa, il suo sogno.

Più tardi, dopo il decollo di nuovo si meraviglia che mamma e papà abbiano così facilmente accondisceso. Tre mesi o quasi lontana, in pratica da sola. No, non da sola, pensa lanciando una breve occhiata alla signora che le siede a fianco. Ha vinto un premio, un magnifico premio.

Per tre mesi studierà costumi lingua ed usanze di quel popolo, i resti di una cultura destinata a scomparire in poco tempo, e lei, Ada, da sempre vuole dedicare i suoi studi e spera il suo futuro lavoro alla etnografia. Un ragazzo le ha guardato il sedere fasciato dai jeans troppo attillati, aveva ragione mamma, ma quelli nuovi li vuol tenere da conto in valigia e non sciuparli in viaggio.
Anche la donna, un vero mastino, se ne è resa conto. Certo non può succedere niente in aereo, ma sarà ancora più vigile. E’ troppo importante la giovane, troppo bella e preziosa. Non pensava che i due Venerabili Anziani avrebbero dedicato il loro preziosissimo tempo per assistere alla loro partenza eppure erano presenti all’aeroporto.

Ada si sveglia, dalla finestra, attraverso la fitta zanzariera penetra la luce del nuovo giorno, il terzo giorno di quella fantastica avventura che, ne è certa, ricorderà per tutta la vita. Un viaggio lunghissimo. Due trasbordi di aereo e quasi una giornata di treno, automobile, persino un carro trainato da animali per un tratto brevissimo, il ponte era pericolante ed hanno fatto un giro su un carro appunto per evitarne l’ attraversamento. Infine, quando già l’ imbrunire era prossimo ed il caldo asfissiante, il villaggio nella conca tra le colline.

Un vero villaggio di capanne rotonde di legno e frasche ed il caldo benvenuto degli abitanti della tribù, un centinaio di persone in tutto, contando il gruppo di anziani, gli uomini e le donne e pure i bambini, neonati compresi.
In due soli giorni ha stretto una cordiale amicizia con tutto il villaggio, sono tutti cortesi, disponibili, pazienti. A casa ha potuto imparare solo poche parole della loro lingua ma abbastanza per cominciare ad intendersi. Ed oggi, pensa, è il gran giorno. Una festa in suo onore, almeno anche in suo onore. La donna che la ha accompagnata, la maestra come dal primo momento ha chiesto di essere chiamata, le spiega per sommi capi ciò che avverrà.

Sarà ‘iniziata’, il rito con cui le giovinette vengono accolte a far parte ufficialmente della ‘sorellanza’ ed inserite nella tribù come adulte anche se adulte non sono, per onorare la Dea. Dal momento che il sole supererà il suo culmine non potrà assumere cibo, non dovrà esporsi ai raggi del sole stesso e dovrà solo riposare. Ora il sole è oltre la collina e solo la Calasa, la rappresentante della Dea potrà sfiorarla. La Calasa e le altre che quella sera saranno iniziate.

Ha riposato, dormito persino nella calura mortale. Eccola, è lei; la aveva già notata per gli anni che dimostra, moltissimi, e per i segni di particolare rispetto che in quei giorni aveva notato le venivano tributati. Un cenno, un sorriso appena accennato ed indossa sul corpo nudo il mantello che le offre, un lenzuolo pulito che con sua meraviglia mostra la scritta di una catena alberghiera famosa.
Aggirano il villaggio invece che attraversarlo, e non sono sole. Le seguono altre cinque ragazze, quasi bambine, si inerpicano per un sentiero e raggiungono nell’ultima luce una parete scoscesa da cui scende una cascata piccola ma violenta, tanto che l’acqua, battendo su una roccia poco sopra la pozza, quasi si polverizza.

Gli abiti, le lenzuola, vengono abbandonati ben piegati. Devono aver saccheggiato il guardaroba di quell’albergo, pensa Ada. Si, sono poco più che bambine, più giovani di lei di qualche anno, ma già donne. Una per volta si inginocchiano davanti alla Calasa che con una lancetta punge loro un dito. Anche Ada, con qualche esitazione porge la mano, poi scendono in acqua seguendo la vecchia fin dove il getto scende più consistente e necessariamente si respira aria e polvere di acqua. La Calasa lava ciascuna di loro ed insiste sull’inguine, fa divaricare loro le gambe.

Nessuna si ritrae, neppure Ada che ormai è presa dalla magia del momento. Tutto la porta a questo. La luce traslucida, il rombo incessante, la cantilena della vecchia cui in coro rispondono tutte, anche lei, Ada. Come ha appreso quella nenia martellante e sempre uguale? Non lo sa e le importa sempre meno. Quando a cenni le viene spiegato di stendersi si stende. Quando le vengono fatte disgiungere le ginocchia la disgiunge e lascia che la sua verginità venga controllata senza infastidirsene più di tanto. Sul pube le altre ragazze sono glabre, Prima di entrare in acqua le era stato cosparso il vello con un qualcosa di schiumoso. Ora viene sfregato via e con esso vien via ogni traccia del vello pubico. E’ questo che la fa finalmente preoccupare. Cosa dirà sua madre? Poi non pensa più a nulla. Immerse fino alla vita e poi sul greto del rigagnolo le sue compagne si cospargono e la cospargono di oli profumati ed inebrianti. Forse ad inebriarla non sono gli unguenti ma l’ essere tornata indietro di secoli e millenni.

E’ quasi buio quando ormai piacevolmente asciutta infila di nuovo il capo nel taglio del lenzuolo. In un silenzio irreale risalgono per qualche tratto un sentiero diverso fino ad uno spiazzo dove sono attese. Dieci uomini, di certo non della tribù, li avrebbe notati, sono nel fiore degli anni e del vigore, la sinistra impugna lo scudo e due corte zagaglie, con la destra impugnano una zagaglia più lunga e minacciosa. Non ha mai visto fotografie o riproduzioni di quelle cose. Scudi di quella foggia si, stretti ed alti, a punta alle due estremità, ma le lance che chiama zagaglie no, non ne conosce neppure il vero nome ed appaiono armi vere, mortali.

Sono immobili, compunti, non sorridono ma la Calasa e le ragazze non ne sono intimorite. Ad un segnale gutturale due dei guerrieri si avviano lungo la discesa, tre si dispongono a ciascun lato delle donne e gli ultimi due le seguono. Una vera e propria scorta d’ onore che rischiara con torce i loro passi.
Una spianata in terra battuta. Solo dopo qualche attimo nota alla luce delle numerose torce e dei falò la tettoia all’altro lato della spianata e le figure indistinte che vi siedono sotto. Intorno alla spianata l’intero villaggio e non solo. Devono essere giunti da altri villaggi, come i guerrieri. La Calasa lo conferma. Questa volta tocca al suo villaggio l’onore della ‘offerta’. Hanno lavorato a lungo, per più di un anno per mettere da parte il cibo e la birra che verranno consumate questa notte e nei giorni seguenti. La Dea ne sarà compiaciuta e forse siederà sul suo scranno. Indica la tettoia ed una specie di trono rialzato rispetto agli altri sedili già occupati.

Sono una trentina le giovani che si appressano al rito, dove si siano preparate non le interessa. E’ presa dalla musica. Flauti? Impossibile! però il flauto è uno dei più antichi e forse il più antico strumento musicale inventato dall’uomo, oltre ai tamburi… Ad esso si stanno unendo appunto i tamburi in un crescendo che le rende difficile restare immobile. Anche le sue compagne certo lo provano. Le guarda con la coda dell’occhio. No, sono immobili come statue. Cosa devo fare, si chiede, queste hanno assistito ad altre iniziazioni, ne hanno ascoltato le descrizioni, ne hanno parlato. Io non ne so niente. Però non verrò certo lasciata sola, farò…Trombe, questo no, non qui, non è possibile. Ed infatti non sono trombe. Una vecchia compare e con lei un gruppo di ragazze, poi un altro ed un altro. Seguendo le sue compagne dietro la Calasa raggiunge la tettoia. Alcuni uomini e donne vi siedono. Sono vecchi, vecchissimi.

Le compagne si inchinano ed Ada le imita quando incredula sente pronunciare correttamente il suo cognome. Come le altre riceve una ghirlanda di fiori rossi. Le gira la testa, la fame pensa, poi non pensa ad altro perchè deve badare ad imitare le compagne, seguirle, disporsi in fila… ed aspettare immobili. Sui fuochi devono essere stati versate resine ed aromi, le gira la testa, sempre di più, ha sete, ha fame. Si avvede solo ora che le compagne sono diventate più numerose di prima e davanti a loro si schierano degli uomini. Uomini non ragazzi e numerosi. Uomini vigorosi quasi quanto i ‘guerrieri’, coperti da uno straccio attorno alla vita che scende tra le gambe. Poi un grido che proviene dal palco o tettoia che sia, seguito dal suono degli strumenti confusi prima con delle trombe. Tutti fissano la sommità della montagna, Ada ne approfitta per guardarsi intorno. Centinaia di uomini e donne, di tutte le età ma non bambini. Neppure donne col pancione, così numerose al villaggio.

Sussulta. Sono tutti completamente nudi tranne lei e le sue compagne. Scuote le spalle, è un rito antico. Qualche attimo e la spianata si svuota, restano solo loro, le ragazze che si inginocchiano, poi alzano le braccia in un gesto ieratico, una almeno piange, la piccola alla sua sinistra, un grido di tutte, monocorde uguale e ripetuto quasi all’infinito al quale si unisce. EIE EIE EIENAN, EIEEIEEIENAN. Un grido che ora cresce di enfasi mentre la luna spunta oltre la montagna. EIEEIEEIENAN. Ora battono le mani e le vicine, forse tutte, piangono con profondi singhiozzi, ne è certa, singhiozzi liberatori, di gioia mentre folate di aria profumata sempre più densa le avvolge. Si levano all’unisono, si dispongono di nuovo in fila e percorrono la spianata a passo lento, in silenzio. Sempre all’unisono fanno dietrofront e ripercorrono la spianata fino al centro e si arrestano fronteggiando gli uomini immobili. Il resto poi avviene fuori dal suo controllo. Ha danzato e cantato, se danza può chiamarsi camminare avanti ed indietro senza fermarsi, se cantare significa ripetere frasi per lei senza significato, inchinandosi alla Luna, prostrandosi talvolta, mentre in disparte i maschi si sfidavano nel saltare i fuochi e percuotendosi il petto con forza l’un l’altro fin che il perdente si ritirava. Ora le fanciulle danzano roteando i fianchi con mosse sinuose eroticamente, sessualmente invitanti. Ada non ne è minimamente infastidita, le imita anzi o almeno cerca di farlo rendendosi conto di quanto quelle siano più agili e snodate di lei. Le invidia, rabbiosamente. Guarda i maschi spiccare balzi verso l’alto, si avvede di essere l’unica ancora coperta del lenzuolo e se ne libera senza remore. Sono bella quanto loro dice ad alta voce. Sono più bella di tutte loro dice solo a se stessa. Si sente bella, bellissima, infinitamente desiderabile, vuole essere desiderata e volge gli occhi incerta al gruppo dei maschi molto meno numeroso di prima. Uno in particolare la attira e vorrebbe esserne guardata con gli stessi occhi con cui vengono guardate le sue compagne, prese per mano ed accompagnate fino alla tettoia…e poi? Dove vanno?

Da quel momento non pensa ma danza, canta, danza come mai ha danzato nella sua camera od a qualche festa. I passi ed i gesti le vengono con facilità come le parole dei cantanti preferiti e danza felice, canta estasiandosene ed il cuore di fanciulla si gonfia nel vedere il suo ‘prescelto’ farlesi accosto. Non è da lei e neppure è da lei guardare compiaciuta la virilità che ostenta, le mostra orgoglioso: la vuole, vuole lei. Un breve soprassalto lei non sa, non sarà all’altezza poi si abbandona. Lui è completamente nudo e Ada si rende conto con meraviglia di essere nuda. Ma si, il lenzuolo lo ha abbandonato…non le importa. Lui la solleva tra le braccia e si avvia verso la tettoia. E’ forte e non sembra fare fatica nel trasportarla, fino agli scranni sulla tettoia.

Sei stata scelta, le dice uno degli Anziani, ed Ada lo capisce. Servirai la Dea della Notte, prosegue una delle vecchie. La Dea della notte sconfiggerà il Dio delle Maree un’altra volta, grazie a te ed alle figlie che questa notte concepirai e genereremo. Non capisce cosa significhi ma non importa. Ora c’è solo uno dei vecchi, il più autorevole, di fianco siedono tre donne altrettanto decrepite all’aspetto. Nondimeno è certa che ciò che dicono si può avverare, si china e non si sorprende che il pene del vecchio che ha scoperto il ventre sia di dimensioni alquanto maggiori di quello del ‘suo’ uomo.

Non pensa, si china e lo stringe nel pugno che a stento lo contiene e solo in parte come solo in parte riesce ad accoglierlo subito dopo tra le labbra Non ho mai fatto un pompino si dice ed è la sua unica preoccupazione. Si industria a lambirlo mentre carezza i testicoli dell’uomo, teme di fargli male. Si fa male nel dilatare la bocca abbastanza per potervi accoglierne almeno il glande. Si sorprende, non ne so niente, si dice, quando Lui le fa sollevare i fianchi e la tocca, la fa bagnare, era forse già bagnata dei suoi umori femminili, non può certo emettere suoni, geme appena mentre la sua verginità viene lacerata e ne è felice, il caso ha voluto che fosse Lui il primo. Poi è sempre Lui, il primo a forzarle dolorosamente le reni. Resiste al dolore, resiste quando a turno gli altri due si riversano in lei, nel ventre e nell’altro orifizio e ne gode pur nel dolore. E’ un tabernacolo. A turno gli anziani si sono versati nella sua bocca, a turno ha lappato le femmine, tutte. A turno i maschi delle sue compagne la hanno presa. A turno le sue compagne l’hanno accostata. Stesa sul suo lenzuolo nel centro della radura, AD OCCHI CHIUSI, VEDE TRAMONTARE LA DEA. Poi braccia robuste la sollevano per riportarla al villaggio. Una nenia antica accompagna la lunga fila di uomini e donne. Viene lavata e profumata, poi resta sola a sognare. IL SUO PRIMO SOGNO.

E’ UNA SERVA OBBEDIENTE ED I FIGLI CHE HA GENERATO SARANNO UTILI STRUMENTI NELLA LOTTA DELLA DEA CONTRO IL PRINCIPE DELLE MAREE.

Nella sua casa Ada sogna tutte le notti. E’ la Dea che si manifesta, ma solo talvolta. Più spesso due suoi Anziani. Sa che in futuro forse partorirà ancora nel dolore ma non nella vergogna. I suoi genitori sanno già tutto e le resteranno vicini. Non possono fare altrimenti le ha detto la Dea in persona, da sempre mi sono fedeli. Forse partorirà un’altra volta, in segreto. Altre tre femmine, in tutto sei, future serve della Dea. Poi servirà in altro modo. Per questo è stata concepita ed allevata. Per servire la Dea.

Quella notte, quando la Dea della notte le si è manifestata dicendole cosa la aspettava, ha giaciuto con lei, con la Dea Luna. Ha quasi gridato di piacere ad ogni sua parola, urlato per il piacere che le carezze ed i baci di quella le donavano, estasiata nel dare piacere alla sua Padrona. Ed ora sogna, notte dopo notte. E’ una sua serva, assiste ai suoi amplessi, vi partecipa talvolta e gode degli abbracci degli uomini che la Dea talvolta le destina. Quella notte verrà il suo prescelto, e la sua felicità è al colmo. Si muove ancora sveglia nell’anticipare il momento in cui sotto di lui verrà penetrata con dolce violenza dalla potente virilità di Lui quasi insaziabile, ma sarà presente anche la Dea? Può solo sperarlo. Anticipa il dolore prezioso di concedersi a Lui, in ginocchio, come un maschietto mentre sugge il sesso glabro di Lei…Ecco, le palpebre si fanno pesanti, è portata lontana. Altri luoghi, lontani anche nel tempo, nel passato lontano.

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