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Fase 1

Studio della composizione

Per contattarmi, critiche, lasciarmi un saluto o richiedere il racconto in PDF, scrivete a william.kasanova@email.it

– Allora, William, dopo quattro giorni che sei qui, cosa ne pensi dell’hotel?
Stringendo le braccia al petto, la schiena eretta sulla sedia davanti a me, Lucio sorrideva soddisfatto nemmeno fosse lui il proprietario del Cadore e non un semplice cameriere da sala. Dopotutto non avrei dovuto sorprendermi: si era sempre comportato in questo modo, anche quando, anni prima, andavamo a scuola insieme, ed era sempre stato un atteggiamento che mi urtava i nervi.
Seduto su una sdraio imbottita nel giardino dell’albergo, un’area di prato ben curato e recintato da uno steccato, mi stavo godendo la sera che, scivolando silenziosa tra le montagne, arrossiva le poche nuvole in cielo ma soprattutto colorava le tre cime di Lavaredo, che da lì sembravano un modellino appoggiato sull’orizzonte. – Sì, – ammisi, – molto… carino.
Non sono mai stato un grande ammiratore degli alberghi ma, dopo tante estati passate al mare in appartamenti con il solo scopo di aumentare di qualche nuovo nome la lista delle mie conquiste, avevo voluto raggiungere quel luogo che mi ha sempre ispirato. Sapendo che vi lavorava il mio vecchio amico, avevo deciso di chiedere a lui come fosse la struttura, non fidandomi troppo delle recensioni che si trovano su Internet, e, dopo avermi garantito che fosse ottima, avevo deciso di prenotare una stanza per una settimana. Solo escursioni, quell’anno, e fino a quel momento non avevo fatto altro che consumare gli scarponi e visitare la zona attorno alle tre montagne, sfruttando le mie limitate abilità fotografiche con un soggetto tanto scontato quanto meraviglioso quali sono le cime di Lavaredo. D’accordo, di tanto in tanto lo sguardo cadeva su una cameriera carina, la quale non si faceva problemi a ricambiare con sorrisi che andavano ben oltre quanto richiesto dalla sua professione, ma ero indeciso se restare fedele alla mia decisione di non interessarmi a nulla che non fossero montagne o provarci con lei; avevo ancora tre giorni per rifletterci, poi avrei lasciato quel luogo incantevole e fatto ritorno a casa.
– Solo carino? – sbottò lui, ma subito riacquistò il suo solito atteggiamento soddisfatto e altezzoso. Inconsciamente, come faceva sempre quando era teso, si passò le mani sulle tempie per cercare, inutilmente, di spianare due ciuffi di capelli che avevano la tendenza a puntare verso l’alto. – Hai visto la sala da pranzo, con lo stile altoatesino? Dove la trovi una così? E – aggiunse, avvicinandosi e abbassando la voce come se volesse farmi l’immenso favore di condividere solo con me un segreto, – quest’anno la direzione ha deciso di avere un aiuto sui social per attirare più clientela giovane, e ha chiamato una nota influencer per avere pubblicità.
La cosa mi lasciò abbastanza indifferente. Nonostante ciò, non volli apparire troppo maleducato dopo la mia tiepida valutazione della struttura. – Ah, e chi? – domandai, sebbene evitassi quella gente su Instagram come la peste.
– Gala – rispose Lucio con evidente soddisfazione.
Conoscevo tre influencer, e solo di fama, e questa non rientrava tra di esse. – Chi?
– D’accordo, d’accordo – ammise il mio amico, – forse non è famosa. Non ancora, ma… diciamolo, è una gran bella topa, e diventerà presto famosissima. Anzi, eccola la! – disse, indicando discretamente alle mie spalle con un dito, sebbene la sua voce tradisse l’eccitazione nel vederla.
Mi voltai e fu facile scorgerla: dai capelli rossi e dal fisico invidiabile, la influencer era seduta ad una decina di metri da me, assisa su un divanetto con accanto un ragazzo entusiasta che si stava facendo un selfie insieme a lei. Non potei non notare, lampante al pari delle tre cime poco più in là, la bocca a culo di gallina, come si suol dire, della ragazza. Già mi divenne insopportabile. Per qualche motivo, ho sempre visto gli influencer come l’evoluzione delle boyband degli anni ’80 e ’90, gruppi di ragazzini e ragazzine dal bell’aspetto che avevano come unica, vera motivazione quella di portare alla celebrità usando musica scadente un marchio attraverso il quale vendere a dei fessi della paccottiglia. Le influencer, invece, nemmeno cantano, e mi sono sempre domandato per quale motivo abbiano tutto quel successo. Ma, dopotutto, come ho notato, le ragazze tendono a fare capannello attorno a quelle che ritengono di un livello sociale superiore al proprio, sperando di risplendere anche loro di luce riflessa, in questo caso indossando il pattume con il loro della loro eroina, mentre i maschi… beh, sospetto che lo facciano per spararsi le seghe sulle foto, spesso discinte, delle influencer.
Lanciai un’altra occhiata a Gala, e supposi che la fanbase maschile della vippetta fosse molto soddisfatta. Era palese, invece, che Lucio fosse di un’opinione diametralmente opposta: sembrava che da un momento all’altro iniziasse ad uscirgli il fumo dalle orecchie tanto appariva concentrato nel contemplarla. Doveva essere uno della fanbase, sospettai. Uno di quelli molto soddisfatti e con un fastidioso dolore al polso. Dovette deglutire prima di parlare, sforzandosi per concentrare la sua attenzione su di me. – Ho sentito da amici comuni che hai un album con le foto delle ragazze che hai… conosciuto. Foto molto esplicite – aggiunse, per meglio illustrare il concetto.
Mi chiesi da chi l’avesse saputo. Ma immaginai che scattare una foto ad ogni ragazza mentre era soddisfatta, con il suo capo appoggiato ad una mia spalla, sdraiati a letto, non impedisse a nessuna di loro di raccontarlo. Parecchie, in realtà, mi avevano mandato loro stesse degli autoscatti che non avrebbero voluto far vedere alle proprie madri, spesso ancora prima di ammirarle nude di persona, quindi il fatto che la cosa fosse di dominio pubblico non avrebbe dovuto essere una sorpresa, per quanto non mi facesse piacere.
Mi limitai ad annuire, minimizzando come se fosse stato un nulla di che.
– Ti sfido: fammi avere una sua foto di quel tipo.
Rimasi un istante stupito dalla richiesta. – No – risposi, sconcertato dalla proposta. Nemmeno Marco o Tommaso, i due ragazzi che avevo preso sotto la mia ala e istruito all’arte dell’ottimo sesso, avevano mai avanzato una proposta simile, e tanto meno io mi ero mai permesso di farmi vedere chi si portassero a letto. E, comunque, ‘fanculo, ero lì per l’escursionismo, non per divulgare foto compromettenti o anche solo rimorchiare ochette.
Lucio dovette deglutire di nuovo e passarsi la lingua sulle labbra prima di aggiungere: – Tu fallo, e io ti pago una nuova settimana qui dentro, per goderti ancora questo paradiso terrestre. Non è meravigliosa? Dai, guardala! Non è stupenda? – quasi ordinò.
Trattenni un sospiro e lo feci. Accanto a Gala, adesso, era seduta una ragazza bionda e anche questa stava alzando un cellulare davanti a loro. L’influencer aveva avvicinato la sua testa a quella della sua ammiratrice, e di nuovo assumeva quella stupida smorfia.
Mi alzai e, senza aggiungere una parola, mi diressi verso le due.
– Allora lo fai! – esclamò Lucio, soddisfatto e sorpreso, alle mie spalle.
Non gli risposi, ma mi mossi tra la gente che affollava il giardino, evitando di urtare qualcuno e fargli cadere il drink dell’happy hour, ma senza distogliere lo sguardo dalle due ragazze.
La bionda osservò soddisfatta lo schermo dello smartphone. Gala le propose di stringere amicizia su Instagram. – È giusto che io ami le mie follower come loro amano me – spiegò, e mi sembrò che recitasse una frase ripetuta tante di quelle volte da averne consumato il significato. – Aspetta un istante che facciamo una foto anche per la mia page.
Un ragazzo magro e vestito approssimativamente si pose maldestramente davanti a loro con una fotocamera semiprofessionale della Fujifilm all’altezza del volto. Un istante dopo le due ragazze vennero investite da un’esplosione di luce, seguita da uno scoppio di strepiti da parte della influencer. – Arturo, incapace! Togli quel dannato flash che mi vengono gli occhi rossi nelle foto! Possibile che tu non sappia usare quella maledetta macchina fotografica?
Il ragazzo strinse la testa tra le spalle, facendo un passo indietro. – Scu… scusa, Stefania. Non so come toglierlo e…
– Mettici una mano davanti, imbecille! – sbottò Stefania, in arte Gala, il viso sotto il pesante trucco diventato dello stesso colore dei capelli. – Dai, scatta.
Il ragazzo fece come detto, ma abbassò dopo un istante la fotocamera. – É… è finita la batteria. Devo andare in camera a… a prenderne una nuova.
L’influencer si lasciò scappare un ruggito di rabbia. – Muoviti, idiota! – ordinò, con Arturo che si allontanava alternando ogni passo ad uno “scusami” o un “mi spiace”. La rossa sbottò qualcosa di incomprensibile ma che non era sicuramente un complimento al suo assistente. La bionda, al contempo, non riusciva a nascondere dietro ad un imbarazzato sorriso di circostanza la propria sensazione di sentirsi fuori luogo.
Dopo essere scivolato oltre la coppia di tedeschi della stanza 214, mi trovai davanti alle due ragazze. – Ciao, – dissi con il mio migliore sorriso, sviluppato in anni di utilizzo, – ti ho vista un attimo fa e mi è stato impossibile non chiedermi se una ragazza con uno sguardo meraviglioso quanto il tuo abbia una personalità altrettanto solare.
Gala mi lanciò un’occhiata distratta con una gentilezza affettata che ancora non era riuscita a eclissare la rabbia che l’aveva dominata fino a quel momento. – Grazie, caro. Abbi solo un attimo di pazienza e faremo un selfie insieme da…
Le sue parole mi costrinsero a spostare lo sguardo dal volto della splendida bionda sorridente al suo. La differenza tra le due era quasi abissale: mentre la influencer sembrava davvero pronta per un turno di lavoro su un set fotografico tanto era il fondotinta che smorzava le efelidi che le impreziosivano le guance e il mascara e l’ombretto sembravano insultare il verde degli occhi piuttosto che valorizzarlo, sarebbe stato possibile definire l‘ammiratrice letteralmente acqua e sapone, se non fosse stato per un leggero lucidalabbra.
– Perdonami? – chiesi interrompendola, fingendomi confuso.
Gala batté le palpebre pittate un paio di volte e per un istante sembrò incapace di emettere qualcosa più complesso di qualche monosillabo inintelligibile. – Non… non sei qui per me? – riuscì infine a domandare, sconvolta come se l’avessi presa a schiaffi.
– Dovrei? – ribattei a mia volta, continuando a fingere di non comprendere cosa volesse quella ragazza, poi mi voltai verso la bionda, fissandola negli occhi azzurri: – Sarei felice di scambiare qualche parola con te davanti ad un drink.
Un sorriso illuminò il suo volto e fu sul punto di pronunciare qualcosa, ma Gala non poté trattenersi, scandalizzata: – Ma tu sai chi sono io? – quasi esplose, i muscoli delle braccia che si irrigidivano e la schiena che si ergeva alzandola di un paio di centimetri.
Probabilmente diverse persone si voltarono verso di lei, e così anch’io, sebbene mantenendo la mia calma, anche se vi aggiunsi appena una nota di impazienza. – Una che ciarla troppo, mi pare di intendere.
Gli occhi della influencer si sgranarono sotto la pressione dell’indignazione che stava crescendo dentro di lei. Tornai ad ignorarla, passando alla splendida bionda: allungai una mano per aiutarla ad alzarsi. Lei, con un cordiale cenno di ringraziamento, la strinse e si mise in piedi. In quel momento notai con la coda dell’occhio il ragazzo, Arturo, tornare correndo con la fotocamera in mano, quindi decisi che era tempo di concludere quella commedia e condussi la ragazza all’interno dell’hotel, spostandoci nel bar.

Dentro non c’era quasi nessuno: erano tutti all’esterno nella sera ancora tiepida della tarda estate.
Accompagnai la ragazza ad un tavolino del caffè. Dovetti riconoscere che, se seduta sembrava carina, in piedi dimostrava di possedere un bel corpo all’interno di un vestito elegante ma senza essere troppo vistoso. Era alta poco meno di me, con una massa di capelli biondi mossi che arrivavano fino alle spalle, racchiudendo in una cornice d’oro gli occhi azzurri.
Apparve ben felice quando si accomodò davanti a me; sporgendosi in avanti, per prima cosa mi confidò che il mio intervento le aveva permesso di allontanarsi da una situazione che stava diventando una scena assurda uscita da una pessima candid camera: il comportamento della influencer con il ragazzo era stato davvero imbarazzante, mostrandole quanto fosse, in realtà, gretta quella vippetta. Non poté trattenere una risata al ricordo di come l’avevo trattata, gettandola giù dal piedistallo su cui era abbarbicata.
La interruppe l’arrivo di una cameriera che prese le nostre ordinazioni. Nonostante avesse catturato spesso la mia attenzione nei giorni che avevo soggiornato lì, in quel momento preferii fingere di non notarla, mantenendo la mia attenzione sulla mia nuova amica.
Io non pronunciai che una manciata di frasi, limitandomi a guardarla negli occhi con un sorriso sornione, educato ma che lasciava trasparire, a livello quasi inconscio, che non mi sarebbe dispiaciuto conoscerla ben più intimamente. Alcune ragazze sono terrorizzate dal silenzio, che le sconvolge peggio del trovarsi disperse in un bosco in piena notte, e sentono il bisogno di colmare quel vuoto con qualsiasi suono, il più “a portata di mano” dei quali si rivela essere spesso la propria voce. Lei faceva parte di questo gruppo, e in pochi istanti, quello che separò l’allontanamento della cameriera con le nostre ordinazioni in formato scritto ed il suo ritorno con le stesse in stato liquido, lei mi raccontò praticamente tutto quanto avrei voluto sapere. Nel momento in cui i vapori che si sollevavano dal suo caffè macchiato e dal mio the alla pesca si interponevano tra di noi, avevo scoperto che rispondeva al nome di Emma, aveva 24 anni e lavorava in uno studio di commercialista nella provincia di Pavia, dove abitava.
– E cosa ti ha portata qui, Emma? – le domandai dopo aver bevuto un sorso di the. Mi ero limitato a dirle il mio nome quando me l’aveva chiesto ma non avevo aggiunto altro: se avesse voluto sapere qualcos’altro di me avrebbe dovuto chiedermelo lei stessa.
La ragazza ebbe un attimo di incertezza, come a cercare di decidere se essere onesta con me; bevve un sorso per temporeggiare seppur cercando di non darlo a vedere. Provai una bruciante invidia nei confronti della tazza di caffè quando si appoggiò alle sue splendide labbra.
Aumentai un po’ l’espressione amichevole del mio sorriso e assunsi la sua stessa posizione, lasciandole comprendere che poteva fidarsi di me.
Lei lo fece, sebbene la sua voce si abbassasse leggermente. – Sono stata fidanzata per quasi tre anni con un ragazzo che si chiama Francesco. Stavamo bene insieme, all’inizio della nostra relazione; quando venne a conoscenza della mia passione per la fotografia, mi regalò addirittura una fotocamera, e, sapendo che mi sarebbe piaciuto venire qui a vedere le cime di Lavaredo, mi promise che mi ci avrebbe portato in occasione delle vacanze. Ma, in breve, il nostro rapporto si raffreddò e quello che sembrava amore divenne una serie continua di litigi e insulti da parte sua, dimostrando di essere malato di una gelosia soffocante. Immagino tu possa indovinare che non mi ha mai portato qui, e tutte le volte che ero intenzionata a fare qualche foto lui si intrometteva, arrivando perfino a dire che ero incapace di fare scatti anche solo decenti e che era una perdita di tempo e di denaro…
– Mi spiace – le risposi usando il suo stesso volume di voce, lasciando che il mio sguardo le comunicasse che aveva la mia comprensione. Allungai una mano e la appoggiai con delicatezza sulla sua: il fatto che prima la guardasse e, invece di spostarla, mi sorridesse, mi fece comprendere che le cose stavano procedendo come avevo sperato.
– Come ripicca, appena ho avuto le ferie, – proseguì con un leggero tocco di brio nelle sue parole, – ho deciso di venire qui da sola e scattare una foto incredibile da pubblicare su Instagram che lo faccia ricredere! Ma – mi confidò, abbassando le spalle e gli occhi, – non sono riuscita a fare nulla di decente… Ho decine di foto con le cime ma non ce n’è una che valga la pena vedere.
Apprezzai la sua onestà, e non ebbi il ritegno di non approfittarne. – Potrei aiutarti.
Lei mi guardò con un misto di curiosità e dubbio. – E sai fare buone foto?
Feci spallucce, come se fosse una cosa di poco conto, una grande passione ormai decaduta quasi in un vizio privo di particolari soddisfazioni che un piacevole passatempo con cui staccarmi dalle tribolazioni della vita. – Spesso ricordo di togliere il dito dall’obiettivo – le confidai con un accenno di sorriso di complicità.
Probabilmente comprese che stavo scherzando e che ero solo un falso modesto, oppure i suoi scatti erano talmente deprimenti che già non immortalare le proprie impronte digitali sarebbe stato un miglioramento. In ogni caso la mia proposta venne accettata con entusiasmo. – Oh, grazie! Saresti gentilissimo.
Le chiesi che modello di fotocamera avesse, e venni a conoscenza che ne aveva una simile alla mia, sebbene qualche anno più recente. In realtà, il suo ex non aveva risparmiato nell’acquisto della fotocamera.
Annuii. – Va bene. Domani mattina io ho in programma di andare a fare un’escursione fin lassù, – dissi, indicando attraverso i finestroni un pianoro appena a destra delle tre cime su cui le ultime luci del tramonto stavano perdendo terreno nella battaglia con le ombre della notte imminente, – e se volessi accompagnarmi, cosa che mi farebbe piacere, potremmo cercare un posto adatto dove scattare la tua “epica foto”.
– Oh, sì! – rispose lei, con gli occhi che iniziarono a splendere all’idea.
Restammo ancora un momento a chiacchierare o, più esattamente, io ad ascoltarla parlare dei suoi futuri progetti e delle sue passate esperienze, poi lei disse che voleva andare a preparare il necessario per il giorno dopo. La salutai, ricordandole di portare la sua fotocamera. Mentre, rimasto ormai solo, finivo il mio the ormai freddo, accarezzando l’idea di ordinare qualcosa per cena e poi andare anch’io a dormire, notai che qualcuno mi si era avvicinato. Mi aspettai fosse Lucio, e invece erano Miss influencer e il suo fidanzaschiavetto, come mi aveva rivelato Emma.
Lei doveva essersi finalmente liberata dei suoi fan, oppure lui aveva di nuovo prosciugato la batteria della reflex, e se ne stava accanto a me, le mani ai fianchi e mi fissava adirata. Va detto che era una gran bella ragazza, forse un paio di centimetri più bassa di Emma, i fianchi un filo più pieni, ma il seno sembrava più grosso. I capelli, di un rosso chiaro, non potevano fare molto per quel viso splendido ma deturpato da tanto di quel trucco che sembrava essere finita sotto le manine di una bimba che sognava di essere una make-up artist ma a cui non avessero spiegato bene il significato del termine “moderazione”. Cosa che mi aveva stupito anche prima, quando Lucio me l’aveva indicata, a differenza delle tipiche influencer non metteva in vista la mercanzia, ma anzi indossava una camicetta bianca a maniche corte abbottonata fino al collo, piena di sbuffi, ed un paio di jeans scoloriti, lunghi fino ai piedi.
– Oh, – dissi senza trattenere un sorriso di scherno, mentre lei era ancora nell’atto di aprire la bocca per, scommisi, insultarmi, – hai finito di abbagliare i tuoi follower?
Evidentemente il sottile gioco di parole non venne recepito o, comunque, apprezzato. Lei si lasciò sfuggire un altro ruggito di rabbia. Vibrò tutta, pronta a dire qualcosa, ma evidentemente non era suo il compito di trattare con hater, troll, leoni da tastiera e altre figure simili, quindi fece un segno iracondo al ragazzo di intervenire lui: – Mi ha mancato di rispetto! Fai qualcosa!
Lui la guardò sconcertato e, a giudicare dal suo sguardo terrorizzato, sembrò gli avesse appena ordinato di mettere una mano in un nido di tarantole. Quando si girò verso di me sudava e credetti stesse per svenire tanto si era sbiancato.
Mi alzai in piedi davanti a lui lentamente, come si vede nei western, quando il banditos fallito della cittadina attacca briga con lo sconosciuto ancora sporco di sabbia del deserto, guadagnandosi un pugno in faccia e dando inizio ad una scazzottata in tutto il saloon. Lui mi guardò sgranando gli occhi mentre scopriva che ero alto almeno dieci centimetri più di lui e le spalle larghe il doppio delle sue. Ma, a differenza di John Wayne, non feci conoscere al suo volto le nocchie della mia mano destra. Ignoravo quale fosse la sua età, ma giudicai che doveva avere almeno dieci anni in meno di me.
– Ragazzo, – dissi con un tono di voce paterno che strideva con quanto Arturo si sarebbe aspettato fosse stata la mia mossa, – dai retta ad uno che ne ha conosciute a dozzine: trovatene un’altra, che ti tratti meglio. – Quindi spostai il mio sguardo sulla vippetta. A sua volta mi guardò, e sembrò che la sua ira si sciogliesse in imbarazzo. – Quella… principessa ha bisogno di un uomo con il pelo sul petto che la sappia… – la fissai negli occhi, e certo non con la benevolenza che avevo riservato a Emma, ma al contempo con una briciola di interesse ben poco casto – …raddrizzare e mettere al posto che le compete.
Gala divenne rossa ed il suo seno sembrò crescere di una misura quando i suoi polmoni si riempirono di aria, dimenticando di espirare mentre le sue pupille si dilatavano come un diaframma a f/1.4.
Arturo, a sua volta, si scordò di dire qualsiasi cosa ma rimase immobile come mi sarei aspettato da qualcuno che seguisse il consiglio di non fare movimenti inconsulti davanti ad un predatore.
Volli lasciarli così, prima che potessero riprendersi dallo shock e rispondere. Se avessi potuto prendere un ombrello appeso al bordo del tavolo o un soprabito dalla spalliera della sedia avrebbe aumentato la drammaticità della scena, ma dovetti limitarmi ad augurare loro la buona sera con la massima compostezza, trattenendomi dal mettermi a sghignazzare per la situazione ridicola che avevo appena creato, poi mi voltai come se nulla fosse accaduto e me ne andai di sopra, in camera mia. Quella sera ordinai la cena via telefono alle cucine dell’albergo.

Continua…

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