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Fase 2

Messa a fuoco

Nelle puntate precedenti:
A pochi giorni dalla conclusione delle mie vacanze ai piedi delle Dolomiti, il mio amico Lucio mi propone una scommessa: se riesco a sedurre, portarmi a letto e scattare una foto all’ochetta dai capelli rossi di cui è innamorato, mi pagherà un’altra settimana di ferie. Normale amministrazione per me, non fosse per il fatto che la suddetta ochetta, nome d’arte Gala, è una influencer chiamata dall’albergo per avere pubblicità, circondata da ragazzi che le sbavano dietro nemmeno fosse già una diva famosa, e questo l’ha resa una stronzetta viziata che ha un bisogno patologico di essere costantemente al centro dell’attenzione, sfogando la sua frustrazione sul povero Arturo, il suo assistente, timido e scarso fotografo. Non mi serve uno sforzo per detestarla. Piuttosto, una sua fan mi ispira parecchio: Emma, una bionda che è venuta sulle Dolomiti per uno scatto che dimostri al suo ex di saperci fare con la fotocamera. Ovviamente, la decenza impedirebbe di approfittarne, ma non mi ci stava nei bagagli e ho dovuto lasciarla a casa…

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La mattina successiva, con il sole che aveva già raggiunto una certa altezza, Lucio, in uniforme da cameriere, mi scovò al bar. Si fermò accanto a me, mentre stavo bevendo un succo di frutta e sbocconcellavo un paio di crepes al prosciutto e formaggio di cui, in quell’occasione, non mi stavo affatto godendo il sapore tanto ero perso nella lettura dello schermo del mio telefonino.
Il mio amico non pensò nemmeno di nascondere nella propria voce il suo malcontento. – Credo tu non abbia capito bene quale sia la ragazza che ti avevo indicato: devi essere daltonico per non distinguere una rossa da una bionda.
Sollevai lo sguardo dallo smartphone, fissando Lucio dal bordo del bicchiere di succo da cui bevvi un sorso. Quando lo posai, le mie parole non avevano la minima inflessione di rabbia. – Sai qual è una tattica tipica femminile perché un maschio disinteressato o che dimostra poca attrazione nei suoi confronti la desideri e si faccia in quattro per averla, senza scoprirsi? Si introduce nella sua cerchia di amici, ne seduce uno, lo porta a letto facendo in modo che poi questo si vanti davanti agli altri, poi va con un secondo e ripete la sua strategia, poi eventualmente con un terzo… finché il suo obiettivo non decide che anche lui se la meriti e si metta in gioco per sedurla e averla solo con sé. In questo modo, a lui sembrerà di aver fatto tutto di sua spontanea volontà e, piuttosto che perderla considerando la fatica ed il tempo investiti, soddisferà ogni richiesta della donna.
Il volto di Lucio lasciò trasparire tutto il suo scetticismo. – E… funziona?
Tornai a concentrarmi sul testo che compariva sullo schermo. – Paradossalmente, con gli uomini no, o per lo meno io non mi porterei a letto la ragazza di un mio caro amico, anche se quella mi tempestasse di messaggi subliminali, ma con le donne, posso garantirlo di persona, funziona spesso, come nel caso di… – mossi la forchetta in aria, facendole tracciare dei cerchi – beh, non mi sembra corretto parlarne. Comunque, tre volte su cinque, per quanto mi riguarda.
– Ah-ha! – esclamò il mio amico con un volume un po’ troppo alto per un paio di clienti qualche metro più in là che si voltarono a guardare quale fosse la causa del loro disturbo. Se ne rese conto anche lui e abbassò la voce. – Quindi è tutta una tattica, la tua! Sei un dannato genio! Scommetto che stai studiando la biografia di Gala! – aggiunse, indicando il telefonino.
Sollevai le sopracciglia, guardandolo, per poi comprendere qualche istante dopo. Inclinai lo smartphone, mostrandogli le parole e le infografiche sullo schermo. – No, è il manuale della fotocamera di Emma.
E, quella mattina, sul volto del mio amico fece la sua comparsa anche lo sconcerto.
Fu poi la ragazza dai capelli biondi, qualche minuto dopo, a mostrare di essersi sentita presa in giro da me, sebbene senza essere realmente insultata.
– Sei un bugiardo! – esclamò Emma. Probabilmente voleva apparire offesa ma tratteneva a stento le risate mentre fingeva di assestarmi un paio di sberle sui pettorali. – Mi hai detto di non saper fare le fotografie, ma ho trovato il tuo profilo su Flickr e sono stupende!
A mia volta non mi fu possibile celare troppo il piacere che quel contatto fisico, seppur fintamente violento, mi provocava. – Non ho detto che non so fare foto, ma ho parlato delle dita davanti all’obiettivo.
– Sì, certo, come no! – ribatté lei, volendo fare l’oltraggiata sebbene il sorriso le rovinasse il tentativo.
– No, non scherzo – giurai. – Ho una splendida foto scattata in un’alba nuvolosa con i primi raggi del sole che filtrano attraverso i fiori del grano saraceno in un campo, il tutto impreziosito da un indice che occupa mezzo scatto. Vabbè, l’ho fatto con il telefonino: l’obiettivo della reflex è troppo lungo perché mi succeda. Beh, quasi sempre.
Feci un passo indietro, contemplandola: al posto dell’abito da sera del giorno prima indossava una maglietta bianca e dei pantaloncini color cachi che lasciavano vedere un paio di gambe ben tornite e prive di peli. Probabilmente, la sera precedente, il voler andare a letto presto era stato un pretesto per depilarsi, e sospettai non fosse un caso la tracolla che le passava in mezzo al petto, dividendo e mostrando con ben poca morigeratezza i seni sotto la maglietta.
Distolsi lo sguardo da quello spettacolo, guardando la borsa appoggiata al suo fianco destro. Il logo della marca della fotocamera di Emma non lasciò adito a dubbi sul suo contenuto. – Ottimo. Andiamo? – chiesi, mettendo in spalla lo zaino che avevo lasciato accanto alla gamba del tavolo dove avevo consumato la colazione.

Erano quasi le undici quando giungemmo nel pianoro sopraelevato a sud delle tre cime, che apparivano come oggetti alieni in mezzo ad una pianura, tre dita scheletriche che perforavano la superficie terrestre per innalzarsi verso il cielo. Mi stupiva sempre come qualcosa al pari della roccia, priva di qualsiasi attrattiva per me, al contempo formasse, nella figura di quel massiccio, la materializzazione del fascino.
Ci fermammo con un principio di fiatone, ammirando il soggetto dell’”epica foto” di Emma. Un paio di nuvole si erano impigliate nelle sommità di due montagne, sfilacciandosi nelle correnti di alta quota. La ragazza, dopo aver chiacchierato per tutto il tempo dell’escursione, riempiendo il silenzio che avevo volontariamente lasciato per buona parte del tragitto lungo i sentieri dall’albergo fino a lì, sembrò anche lei priva di parole, persa per un attimo in quello che sembrava un mutismo reverenziale. In realtà, più proseguivamo nell’escursione, più le sue argomentazioni scivolavano subdolamente verso argomenti e domande sempre più intimi, e il culmine avvenne quando arrivammo: mentre cercavo di prendere fiato senza farglielo notare, un piede sopra un masso, intento a far decelerare il battito del cuore, perso nella vista delle tre cime, lei si avvicinò, mi abbracciò al collo e mi baciò su una guancia, assicurandosi che un suo seno spingesse contro un mio braccio.
– Grazie, – mi disse, – sei stato gentilissimo a portarmi qui.
Non ebbi difficoltà nel riconoscere nella sua voce una nota che, se fino a quel momento era stata presente, la ragazza aveva tenuto molto più celata, trattenendosi dal palesarla a me. Sorrisi. – Sto pensando che potremmo fare una foto con le cime sullo sfondo a destra e tu nel terzo sinistro ripresa in mezzo primo piano. Potresti appoggiarti all’angolo di quel masso, così sfruttiamo l’inclinazione della luce naturale – le proposi, indicando una roccia delle dimensioni di un furgoncino adagiata a qualche metro da noi, probabilmente lasciata dai ghiacci durante il loro ultimo ritiro.
Un’ombra di dubbio, forse dovuto alla terminologia tecnica, apparve sul viso di Emma, ma, dopo un attimo di titubanza, si avvicinò all’angolo della roccia e vi si adagiò.
Presi la fotocamera dalla borsa, la misi al collo, l’accesi e ruotai la ghiera da ‘panorama’ a ‘priorità al diaframma’, controllando le impostazioni di apertura. Quando sollevai lo sguardo dal display, notai che Emma appariva tesa, nervosa. La interrogai con lo sguardo.
Lei sembrò scossa da un brivido. – Io… perdonami, ma… – abbassò lo sguardo, intimidita da qualcosa.
Pensai al suo ex che l’aveva ingiuriata riguardo alle sue capacità di fotografa, rendendola probabilmente insicura anche come modella per uno scatto.
Coprii la distanza che ci separava togliendomi la fotocamera dal collo e appoggiandola su un sasso, poi le posai un dito sulle labbra. – Shhhh… – le feci, poi la baciai con dolcezza. Lei non oppose resistenza ma appoggiò una mano sulla mia nuca e l’altra in fondo alla mia schiena. La mia lingua scivolò nella bocca di Emma e subito la sua le si fece incontro, dandole il benvenuto strisciandosi contro come fanno due gatti quando si salutano.
La sentii sciogliersi tra le mie braccia, rilassarsi come nemmeno era accaduto la sera precedente. Aveva messo qualche goccia di una fragranza prima di raggiungermi al bar, ma dopo due ore di camminate profumava di attività fisica, sole e spensieratezza, e colmandomi le narici mi faceva impazzire.
Fu una sofferenza staccarmi da lei. Nonostante ciò, la guardai soddisfatto per il piacere che mi aveva donato la sua bocca. Lei sorrise, gli occhi che le luccicavano: era evidentemente intenzionata a voler dire qualcosa, ma le emozioni che aveva appena vissuto sembrava le avessero tolto le parole. Sarebbe stato comunque superfluo, perché il suo volto esprimeva perfettamente tutto quanto.
I suoi occhi si spalancarono ancora più e lo stupore si aggiunse al suo viso quando percepì una mia mano scivolare sotto i suoi pantaloncini e le sue mutandine. Forse avrebbe voluto dire qualcosa, come ricordarmi che eravamo praticamente nel secondo punto più visibile di tutta la zona, che chiunque avrebbe potuto vederci, ma quando la punta del medio e l’anulare della mia mano destra solcarono, fendendo, i petali del suo bocciolo di rosa e poi scivolarono dentro di lei, l’unico uso della sua bocca che riuscì a trovare fu appoggiarla sulla mia spalla sinistra e mordere la maglietta, mentre tutte le parole che pareva volessero uscirle in una volta si tramutarono in gemiti di piacere. Mentre le mie dita lavoravano dentro di lei, nelle mutandine che si stavano inzuppando di rugiada, le baciai con passione il collo, percependo il suo cuore che stava galoppando incontro al piacere.
– Sei bellissima, Emma… – le sussurrai quando spinsi il polso contro il suo clitoride ormai eretto fuori dalla sua tana, facendolo ondeggiare a sinistra e a destra. Le grida che la mia clavicola soffocava salirono di volume fino a diventare quasi isteriche e, oltre alle mie dita, anche la mia spalla cominciò a bagnarsi con i fluidi corporei di Emma.
Non ci volle molto, ormai, prima che Emma finalmente avesse il suo meritato orgasmo: mi conficcò i denti nella spalla in uno spasmo di piacere, mentre le sue grida divennero un gorgoglio basso e alternato a profonde inspirazioni. Mi strinse con le braccia mentre intuivo i muscoli delle sue gambe perdere forza.
Rimase diversi secondi in quella posizione mentre il piacere, raggiunto il culmine, iniziava a sfumare in una sensazione di appagata soddisfazione. Sollevò la testa dalla mia spalla respirando lentamente, gli occhi chiusi. Cercò la mia bocca con la sua e mi baciò lentamente, succhiandomi le labbra. Estrassi lentamente le dita dalla sua fica, cercando di non macchiarle i vestiti, poi, quando si allontanò da me, succhiai davanti ai suoi occhi il medio e l’anulare che scintillavano per il suo desiderio che li aveva bagnati.
Mi godetti il sapore del suo utero, sottolineando il piacere con un basso gemito soddisfatto. Le mutande mi stringevano e non so cosa mi trattenne dal possederla su quel pianoro, contro il masso.
Lei mi guardò quasi sconvolta. Evidentemente non era abituata a vedere un uomo apprezzare il gusto del suo sesso. Ma, da quanto aveva raccontato, era stata per anni con un idiota che ne aveva minato in continuazione la sua autostima. La provocai sorridendo soddisfatto e promettendole che la volta successiva era mia intenzione suggere quell’ambrosia dalla fonte. Lei divenne rossa in viso, ma l’imbarazzo non riuscì a prevalere nei suoi lineamenti sulla speranza che succedesse realmente.
In un ultimo slancio di passione, le presi il viso e le appoggiai un bacio sulle labbra. L’imbarazzo scomparve.
Afferrai la fotocamera per la cinghia, la misi al collo e chiesi alla fanciulla di rimettersi in posizione mentre eseguivo un nuovo, veloce controllo delle impostazioni. Sollevai la macchina, posi l’oculare davanti all’occhio sinistro e composi l’immagine.
Emma compariva adesso ben più felice e sicura di prima, uno splendido sorriso illuminava il suo incantevole viso. Però avremmo potuto fare anche di meglio.
– Sei davvero calda, bambina… – le dissi, – Il suono del tuo respiro mentre le mie dita erano dentro di te è la musica più dolce che abbia mai sentito. Voglio ancora sentirti gemere contro la mia spalla, la mia mano bagnarsi del tuo piacere…
La vidi attraverso l’obbiettivo gonfiarsi trattenendo il fiato, il suo seno apparire più grosso, i suoi capezzoli diventare perfettamente visibili sotto il tessuto della maglietta, il sorriso perdere l’allegria a favore dell’eccitazione, i denti superiori mordere il labbro inferiore, i suoi occhi luccicare come le stelle nella notte…
“Le stelle nella notte”, pensai: l’immagine delle stesse fece sorgere un’idea nella mia mente.
Quasi senza rendermene conto, premetti il tasto e la fotocamera fece una serie di scatti in raffica per qualche secondo con un suono meccanico appena udibile ma ben riconoscibile.
Fu Emma, correndo verso di me, impaziente di vedere come fosse venuto nei miei scatti, che mi riportò alla realtà. Batteva davvero le mani e saltava come una bambina di sette anni davanti ai regali sotto l’albero o ad un cucciolo. – Fammi vedere! Fammi vedere!
Voltai la macchina verso di lei perché potesse avere visione sul piccolo display e premetti il tasto di visualizzazione. Si appoggiò di nuovo a me, il suo seno che entrava in contatto con un mio braccio, il cuore che le batteva al ritmo della felicità.
– Ma è bellissima! – esclamò, per poi darmi un bacio su una guancia. – Grazie!
Sì, era bellissima, al punto da togliermi il fiato: dietro di lei, le tre cime di Lavaredo erano solo dei sassi strani privi di senso. In quanto alla foto, il passaggio in un paio di programmi di fotoritocco non avrebbe fatto che del bene, aumentando leggermente la saturazione e il contrasto, e raddrizzandola di una manciata di gradi. Sì, d’accordo, non faceva poi nemmeno così schifo, lo ammisi, per essere una foto scattata al volo con una macchina che non conoscevo e senza un filtro polarizzato sull’obiettivo, con un dito ancora bagnato di trasudo vaginale e la mente invasa dal piacere che avevo donato ad un angelo.
– Questa voglio pubblicarla su Instagram – decise, con il buon senso di non aggiungere che avrebbe fatto mangiare le dita al suo ex.
Apprezzai il suo entusiasmo, ma mi fu impossibile non suggerire: – Avrei un’idea per una foto migliore…
Lei sollevò lo sguardo dal piccolo display e mi fissò come se avessi detto di aver appena scorto uno yeti dietro ad un macigno che si sparava una sega dopo averla vista godere per due dita nella sua fica. – Cioè? – domandò.
Non risposi subito, guardando per un istante verso le montagne, prendendomi un attimo per riordinare velocemente le idee e assicurarmi che non solo la cosa fosse fattibile, ma che avrebbe portato a qualcosa di decente. Dopotutto, stavamo cercando di fare una foto alle tre cime di Lavaredo, forse uno dei soggetti più famosi al mondo, immortalate sotto qualunque luce, ora del giorno, clima e con ogni tecnica fotografica mai concepita, ed essere minimamente originali sarebbe stato impossibile, quindi dovevo puntare su qualcosa che richiedesse un certo impegno ma che portasse, nelle mie capacità limitate, a un risultato che potesse rispecchiare la bellezza ed il valore della ragazza accanto a me.
Tornai ad ammirare il suo volto. Mi spiacque non averlo contemplato mentre era illuminato dall’orgasmo. – Ci sarebbe la possibilità di fare qualcosa di… fuori dal comune – proposi, restando sul vago, ma Emma sembrò ancora più felice di prima. Mi sentii in obbligo di aggiungere: – Ma dovremo tornare qui questa sera e restare la notte.
Mi sarei aspettato un raffreddamento dell’entusiasmo della ragazza, e invece prese una mia mano, l’appoggiò al suo inguine e quella che le restava libera strinse un mio gluteo. Lei mi fissò negli occhi, le sue pupille che si dilatavano, i denti che tornavano a mordere il labbro inferiore. – Io e te, da soli, questa notte? – chiese.
Non aggiunse altro, ma sarebbe stato difficile fraintendere.

Continua…

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