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Fase 5

Sviluppo dei .raw

Nelle puntate precedenti:
La gente pensa che se sei un seduttore tu voglia chiavare qualunque donna che respiri: Lucio, poi, sembra proprio non capire che chi che mi interessa è Emma e non Gala. Gala, poi, come ha visto su Instagram la foto di Emma scattata dal sottoscritto dà fuori di matto, inizia ad insultarmi perché costretta a farsi fotografare da quella mezzasega di Arturo e non da me (ma immagino che la sua rabbia sia causata soprattutto dalla didascalia che la mia amante ha aggiunto alla foto, descrivendo con dovizia di particolari l’orgasmo che le ho dato con un paio di dita).
Per lo meno, la scopata alle luci delle stelle con Emma è stata fantastica e soddisfatto entrambi, mentre la sua fotocamera scattava foto a lunga esposizione alle Dolomiti con le stelle che scivolavano lentamente nella volta celeste.

Per contattarmi, critiche, lasciarmi un saluto o richiedere il racconto in PDF, scrivete a william.kasanova@email.it

Rientrammo al Cadore la mattina successiva, verso le sette, quando sembrava che tutti i clienti dell’albergo fossero ancora immersi nel sonno.
Io mi ero svegliato attorno alle quattro, quando il sole, maledetto infame, quel giorno aveva deciso di sorgere proprio nel passo tra due montagne. Emma, abbracciata a me e che aveva dormito come un sasso e con un continuo sorriso sul viso, si era ridestata poco dopo. Aveva fatto letteralmente le fusa strofinandosi sul mio petto, mi aveva salutato augurandomi il buon giorno con una voce afona, quasi impercettibile, quindi aveva abbassato una mano sul mio cazzo che, in parte per il suo tipico comportamento mattutino ma soprattutto per i due seni conficcati nel mio fianco, aveva deciso di presentarsi alla nuova giornata con un vigore che gli invidiai.
Dopo la notte passata, mi ero chiesto come avesse la forza di avere un’erezione.
A Emma, evidentemente, la cosa non importava: prima lo aveva afferrato, segandolo lentamente, baciandomi con ardore sul collo, poi era scesa completamente fino al mio inguine e se lo era messo in bocca. Passò i minuti successivi a succhiarlo, nonostante fosse stato incrostato di sborra e ambrosia secchi, scaglie di liquidi sessuali che avevano smesso di essere in forma liquida già da un pezzo.
Non aveva detto comunque nulla. Probabilmente aveva sentito il bisogno di ringraziarmi per il sesso della notte appena trascorsa, o per le tre ore di sonno che era stata costretta a passare su delle rocce…
In ogni caso, le ero venuto di nuovo in bocca, la sua lingua che aveva accarezzato il bordo sensibile del mio prepuzio mentre svuotavo il poco che si era formato nei miei coglioni in quella manciata di ore di riposo. Per un istante mi era passata per la mente la domanda se fosse stata così brava anche con il suo ex che la denigrava o se era un impegno riservato solo a qualche ‘diversivo’ che di tanto in tanto (o di spesso in spesso, lo ignoravo completamente) si concedeva. Magari, avevo pensato, io ero uno di quelli, e il suo ex non era affatto ‘ex’. In quel momento, comunque, non mi importava affatto.
Mi ero appropinquato anch’io al suo seno, ma mi aveva risposto con dolcezza che, per quanto volesse ancora gli orgasmi di quella notte, in quel momento una doccia e una colazione le sembravano più urgenti.
Le avevo risposto che la comprendevo, e cinque minuti dopo aver indossato di nuovo i nostri abiti, sporchi e sgualciti, aver riposto la fotocamera, il treppiedi e tutto il resto, ci eravamo messi in viaggio lungo il sentiero verso il fondovalle.
Io ero stanco morto, ma dopo un paio di chilometri dovetti prendere anche lo zaino di Emma perché non ce la faceva più. La prossima volta che mi sarei scopato qualcuna in montagna, avrei fatto meglio a lasciarle l’energia per tornare al punto di partenza con le proprie gambe e la sacca in spalla. Se il meteorologo che ci aveva scarrozzato la sera prima fin lassù fosse rimasto al rifugio tutta la notte e sceso in quel momento non ci avrebbe fatto di sicuro un torto.
Comunque, fu tutta discesa o quasi, tranne l’ultimo tratto di strada che era in piano. Arrivammo all’albergo prima che i raggi del sole avessero avuto anche solo il tempo di lambire il colmo del tetto dell’edificio. Beh, dimostrammo di essere più veloci della luce, letteralmente.
Non c’era molta gente all’esterno, nel parcheggio o nel giardino, se non qualche addetto alla raccolta dei rifiuti o alla preparazione dei mobili da esterno. Salutai la ragazza che stava sistemando uno dei divanetti in vimini, ricevendo in cambio uno sguardo incuriosito e sorpreso, che divenne un sorriso a stento trattenuto quando scorse dietro di me Emma che si trascinava stanca e sporca. La ragazza dimostrò l’educazione di non commentare, ma sembrò comprendere cosa avessimo fatto quella notte. Per lo meno il sesso, riguardo la raffica di foto a lunga esposizione alla volta celeste avevo qualche dubbio.
Le domandai quando avrebbero aperto il bar: dovetti controllare sull’orologio quando sarebbero state le sette, scoprendo che mancavano ancora venti minuti. Il mio stomaco sentì la necessità di informarmi del suo disappunto con un paio di brontolii con i quali non potei che essere d’accordo.
Emma sospirò confidando che voleva fare una doccia, ma era troppo stanca e affamata per arrivare nella sua stanza. Le proposi di sedersi e aspettare che le avrei offerto un’abbondante colazione.
– Figa, se ho fame… – mormorò, quasi dolorante per la stanchezza.
– Aspettami lì – le proposi, indicando il divanetto, – io salgo in camera a prendere il computer, così preparo le foto e compongo l’immagine finale, così puoi averla prima di dover partire. – Fu quasi un dolore fisico pensare che quello sarebbe stato l’ultimo giorno che avrei passato con lei…
– Devo fare pipì – spiegò, trascinandosi verso l’interno dell’edificio.
– Mi sa che non hai dormito abbastanza, questa notte.
Lei si girò verso di me, il viso che tradiva la stanchezza. – Non è stato il poco sonno… – spiegò, lanciandomi un’occhiata che non potevo fraintendere. Comunque, nel caso non avessi capito, chiuse a pugno una mano e la mosse avanti e indietro, in un gesto che intendeva solo una cosa. La ragazza nel giardino, notai con la coda dell’occhio, intercettò quel segnale e voltò il capo per non farci scorgere il sogghigno che era comparso sui suoi lineamenti.
Lasciai che Emma entrasse nell’albergo e poi lo feci anch’io. Non potevo che essere d’accordo con la mia amante sul fatto che non era stato il poco sonno a ridurci in quello stato, ma quella ragazza mi faceva impazzire e non ero riuscito a trattenermi. Alla fine, dopo il quinto orgasmo, Emma era praticamente svenuta e non avevo potuto fare altro che stenderla, nuda e sporca di fluidi sessuali e sudore, sopra una coperta e sdraiarmi accanto a lei, abbracciandola per assicurarmi che il mio corpo la tenesse al caldo durante la notte. Peccato che il sole avesse avuto tutta quella fretta di sorgere…
Dopo essere arrivato nella mia stanza, mi tolsi la maglietta, mi lavai sommariamente, mi concessi una soddisfacente pisciata e mi feci un bidet: mi dispiaceva togliermi dall’inguine il profumo del sesso di Emma e della sua ambrosia, ma l’odore della mia sborra stava diventando imbarazzante. Una volta completato, presi il mio laptop, indossai una maglietta un po’ decente e scesi in giardino.
Emma era tornata al divanetto, appoggiata alla spalliera, le mani sul grembo e con gli occhi chiusi, probabilmente addormentata o sulla buona strada. Notai che, come me, era andata in camera sua e adesso indossava una camicetta pulita, ma non si era lavata se non per sommi capi. Guardandomi attorno, mi accorsi che la fotocamera era scomparsa.
– L’ho riportata in camera, come lo zaino – rispose, quando le chiesi che fine avesse fatto la sua macchina fotografica. Fortunatamente, aveva tolto la scheda di memoria che estrasse da una tasca e mi porse.
Appoggiai il computer sul tavolino davanti a noi e misi nel lettore la scheda. Mi sedetti accanto a lei e, dimostrando di non essere addormentata del tutto, appoggiò il capo su una mia spalla e cinse il mio braccio sinistro.
Le adagiai un bacio sulla testa e fui sicuro che stesse sorridendo, sebbene appena. Appoggiai il laptop sulle gambe e lo accesi, attesi che fosse pronto al lavoro e scaricai le foto.
Avevo fatto programmare da Emma la fotocamera, ma una volta fatto partire il processo non l’avevamo più controllata: se n’era stata sul treppiedi a scattare foto fino a quando non si era scaricato il pacco di batterie, esposizioni di due minuti terminate solo quando non era morta letteralmente per inedia. Giudicando dalla quantità di file che erano stati creati durante la notte, supposi che la sua resistenza fosse stata maggiore della nostra. Mi impedii di essere invidioso di una macchina fotografica ma non ce la feci del tutto.
Mentre il sole cominciava a illuminare il giardino e a creare fastidiosi riflessi sullo schermo del computer portatile, avevo appena finito di creare un preset per migliorare le immagini in formato .raw e lanciato una modifica in batch di tutte le foto per far risaltare le stelle nel buio della notte e la loro conversione in formato .jpeg con una dimensione minore. Foto in ventiquattro megapixel per Instagram sono memoria del disco rigido gettata via.
Emma aprì un paio di volte gli occhi, osservando l’immagine che avevo sullo schermo e che stavo modificando. Fu stupita che le stelle apparissero come dei trattini e non dei punti nel cielo. – Beh, almeno la scopata è stata memorabile – commentò, prima di richiudere gli occhi e riassopirsi.
Non ribattei: evidentemente non aveva idea di cosa stessi facendo, e sperai che avrebbe apprezzato il lavoro finale.
Fortunatamente, tornò la ragazza a chiederci se volessimo qualcosa. L’appetito non mi mancava e, a giudicare da quanto ordinò, Emma non aveva mentito nel sostenere, qualche minuto prima, di essere affamata come un lupo.
Chiusi il coperchio del computer, lo appoggiai sul tavolino e, quando ci fu servito, consumammo la colazione. La ragazza al mio fianco sembrava non riuscisse a terminare nessun piatto se prima non spiluccava anche da questo e da quello, compresi i miei, con continui “mi fai assaggiare il toast?”, “com’è l’omelette?” e “vuoi un po’ di muesli?”. Sono dell’opinione che se avessero ribaltato tutto in una insalatiera, mescolato un po’, versato una tazza di caffè e un bicchiere di succo all’albicocca e portato ad Emma con un cucchiaio, se lo sarebbe mangiato senza troppi problemi. Forse non tutto, ma non ne sono sicuro.
Ci vollero quasi venti minuti prima che finissimo di rifocillarci, durante i quali il computer lavorò per i fatti suoi, modificando gli scatti. Diverse persone uscirono in giardino e poi se ne andarono in escursione o si sedettero, consumando a loro volta la colazione. Anche la nostra vippetta di fiducia ed il suo fidanzaschiavetto erano scesi a scattare qualche foto per il profilo Instagram di lei e forse anche per il sito e la pagina Facebook dell’hotel, ma ero talmente concentrato nella chiacchierata con Emma che mi resi conto della loro presenza solo dopo un momento che si erano installati nel giardino.
Le due tazze di caffè sembrarono fare effetto sulla mia amante, che finalmente smise di sbadigliare e lasciar ciondolare il capo in preda al sonno ma cominciò a riprendere vita. Ovviamente, il soggetto del suo discorso non poteva essere altro che la notte appena passata. Per quanto mi piaccia parlare di sesso con una ragazza, l’idea che non avrei più potuto vederla mi aveva rovinato l’appetito, e cercai di far scivolare la discussione su altri argomenti, ma Emma appariva caparbia a non allontanarsene: sorrideva, gli occhi le luccicavano, e cercava di parlare di quanto avevamo fatto sul pianoro alla fioca luce delle stelle, cercando di non usare termini volgari ma sfruttando qualche immagine poetica per indicare i cunnilingus che le avevo fatto o gli orgasmi che aveva ricevuto. Ma, per quanto provasse a usare termini “in codice”, l’eccitazione con cui ne parlava lasciava ben pochi dubbi sull’argomento a chi vi avesse posto orecchio. O, da come ci stava fissando Stefania, in arte Gala, anche chi ci stava guardando: in effetti, dai movimenti e dal linguaggio del corpo della ragazza accanto a me, appariva piuttosto evidente cosa avessimo fatto noi due, e quanto Emma l’avesse gradito.
Gala continuava a scoccare sguardi nella nostra direzione, ma non avrei saputo dire se d’invidia o disprezzo, o entrambe le cose, distraendosi dal servizio fotografico molto alla buona che stava facendo. Non ne sono sicuro, ma propenderei per l’ipotesi che Emma se ne fosse accorta a sua volta, e per questo, terminata la colazione, si strinse di nuovo al mio braccio sinistro, appoggiando di nuovo la testa sulla mia spalla. Quasi rimasi deluso dal fatto che non avesse anche cominciato a fare le fusa come una gatta.
Presi, cercando di non far staccare da me la ragazza, il computer dal tavolino e sollevai il coperchio: il programma stava finendo di salvare le ultime immagini in formato .jpg in una cartella appositamente creata.
– Adesso che ne fai di tutte quelle foto? – domandò Emma, osservando i file che comparivano distribuiti ordinatamente sullo schermo. – Da quello che avevo capito, ce ne sarebbe stata solo una.
– Sì – le spiegai, godendomi il calore del suo corpo e il leggero profumo di sesso che emanava ancora. – Adesso lancio un programma apposito che prende tutte le foto, le impila come se fossero delle diapositive, le fonde e crea l’effetto che ti avevo promesso.
– Non ci capirò mai nulla di queste cose – confessò la ragazza con un accento di delusione nella sua voce.
Le baciai i capelli. In realtà ci capivo ben poco anch’io: mi sono sempre limitato a fare esperimenti e a ripetere le operazioni che sembravano portare a qualcosa di apprezzabile. Per lo meno, le operazioni che mi ricordavo da una volta all’altra… – Sai fare ben altro di meglio. – Dovevo ammettere che era una delle poche ragazze che avessi conosciuto che sapesse fare una sega superlativa.
Lanciai il programma e vi caricai i file delle foto di quella notte, poi gli fornii le informazioni necessarie per compiere ciò che volevo. Un attimo dopo, sullo schermo comparve una finestra che indicava l’avanzamento dell’operazione: dal timer che aveva cominciato a decrescere compresi che ne avrebbe avuto ancora per un bel momento.
Una mano della mia amante si staccò dal mio braccio e scese lungo il mio addome fino a scomparire sotto il portatile che avevo sulle gambe, adagiandosi sul mio inguine e massaggiandolo. Sobbalzai, più per il fatto che lo stava facendo davanti a tutti che per la sorpresa. – La batteria del computer mi sembra un po’ bassa – mi fece notare con una voce che lasciava comprendere ben altre intenzioni rispetto alla preoccupazione dell’alimentazione del mio portatile. – Ricordo di aver visto nella mia stanza una presa della corrente – aggiunse, con una punta di ironia.
Le lanciai un’occhiata di tralice. La scoprii che sorrideva. – Avrei preferito ammirare la tua collezione di farfalle, ma vedrò di accontentarmi…
– Ne ho solo una, di farfalla – ribatté sussurrando, le labbra che trattenevano a stento un sorriso malizioso – ma mi sembra che ti piaccia parecchio giocarci…
Ci alzammo, Emma che mi stringeva una mano, conducendomi verso l’interno dell’albergo, il computer chiuso sotto un mio braccio. Ma, nonostante il desiderio di avere di nuovo la ragazza che mi faceva fremere, non potei trattenermi dal lanciare un’occhiata verso l’improvvisato set fotografico.
In effetti, la voce lagnante di Arturo era come il buco nero attorno al quale l’attenzione di tutti era costretta a orbitare, continuando a richiamare Gala al suo dovere di modella per la pubblicità dell’albergo. Intercettai lo sguardo della ragazza che ci fissava con una profonda espressione di dolore emotivo sul viso e rabbia nel resto del suo splendido corpo, teso come la corda di un violino. Se solo ne avesse avuto la forza, più psicologica che fisica, in realtà, probabilmente la vippetta avrebbe picchiato qualcuno, sebbene non avrei saputo dire chi tra il suo fidanzaschiavetto, Emma e me.
La ragazza che mi stava conducendo nella sua alcova si accorse che avevo rallentato il mio cammino e che stavo guardando la sua rivale. Sicuramente Emma provò un attacco di gelosia, ma fortunatamente non si mise ad urlare. Anzi, si fermò, si girò verso di me e mi baciò. Appoggiò una mano su una mia guancia, si alzò in punta di piedi e mi limonò davanti a tutti, ad un paio di metri dall’ingresso del bar.
Fu qualcosa di improvviso, che mi colse di sorpresa, ma non per questo sgradito. Anzi, se già ero eccitato per l’idea di chiudermi in camera con lei, in quel momento sentii un’erezione riempire i miei boxer, probabilmente visibile a chiunque fosse di passaggio.
Sono sicuro che Gala abbia visto l’azione di Emma, come tutti i presenti nel giardino, e l’abbia presa come una sfida, un affronto nei suoi confronti. Se poi aveva visto la mia eccitazione gonfiare i miei pantaloncini, la cosa assumeva sicuramente l’aspetto di un’offesa ancora più sfrontata.
Ma non lo seppi mai, e in quel momento non mi posi nemmeno il problema: lasciai che la mia amante mi seducesse con quel bacio, poi la seguii in camera sua, accompagnati dallo sguardo di chiunque fosse nel giardino o nel bar. L’invidia nei miei confronti era palpabile, e solo la vippetta sembrava vivere un’emozione differente.
In realtà, devo dire, non fu solo Gala a non apprezzare la situazione: Lucio, in quel momento in piedi, con la sua uniforme da pinguino e con un vassoio in equilibrio su una mano, non apparve molto felice che mi imboscassi con la ragazza sbagliata, almeno secondo la sua opinione.

La camera di Emma non differiva molto da quella che avevo occupato io negli ultimi giorni: spaziosa, muri rivestiti di assi di legno, un letto singolo e una larga vetrata che dava sulle montagne, sebbene fosse affacciata dalla parte opposta dell’albergo rispetto alle Dolomiti più iconiche.
Appoggiai il computer su un tavolino simile a quello che vedevo ogni mattina, accanto alla fotocamera della ragazza, e infilai la spina dell’alimentazione nella presa della corrente. Lo schermo del portatile divenne un po’ più luminoso, e probabilmente anche la velocità delle operazioni della CPU aumentò, come sembrò suggerire l’improvviso calo del tempo previsto per completare il lavoro di fusione delle immagini.
Un braccio mi avvolse alla vita. – Su, che il computer sa da solo quello che deve fare… – mi assicurò Emma sussurrando ad un mio orecchio.
Voltai appena la testa verso di lei. – E come vuoi impiegare il nostro tempo, intanto?
La mano scese di nuovo sul mio inguine, accarezzandolo brevemente. – Secondo te? – mi domandò, usando quel tono di voce che solo una donna eccitata al punto da non vedere l’ora di essere posseduta riesce ad emettere.
– Dai, – risposi, fingendomi poco propenso, – l’abbiamo fatto tutta la notte. Non ho più diciotto anni, quando riuscivo a tirare avanti tutto il giorno.
– A me sembra che il nostro amico non sia della stessa opinione – mi svelò lei, saggiando con le dita il mio uccello sotto il tessuto dei pantaloncini e delle mutande, che, con la sua erezione, non aveva avuto intenzione di reggere il mio gioco.
“Cazzo stakanovista” pensai, trattenendo un sorriso. Avessi avuto pure io tutta la sua passione per il lavoro, sarei stato milionario…
Emma tolse le sue mani dal mio corpo. Quando mi girai verso di lei, aveva quasi finito di sbottonarsi la camicetta. La stoffa era abbastanza spessa da non far notare i capezzoli perché solo in quel momento mi accorsi che non indossava più il reggiseno. Una volta che anche l’ultimo bottoncino bianco uscì dalla sua asola, mosse le braccia verso il dietro, lasciando scivolare l’indumento sul parquet.
Mi guardò negli occhi, il suo sguardo che non poteva celare il desiderio che stava ardendo nel suo petto. Si morse il labbro inferiore prima di chiedermi: – Ti piacciono le mie tette, William?
Doveva essere stata distratta, la notte passata, per pormi una domanda simile. Avrei saputo descrivere i suoi seni ad occhi chiusi, la loro consistenza e il loro sapore dopo il tempo che avevo passato a adorarli alla luce delle stelle, ma nonostante questo mi fu impossibile non contemplarli di nuovo come se fosse stata la prima volta. Allungai le mani e li sollevai, saggiandone nuovamente il peso, provando un piacere nel basso ventre che mi diede alla testa. – Adoro le tue tette, bimba.
Lei sorrise imbarazzata ed eccitata allo stesso tempo, e nel frattempo sentivo le sue dita scivolare sotto l’elastico dei miei pantaloncini e delle mie mutande. Un attimo dopo scivolarono lungo le mie gambe, il mio uccello che si alzava come stirandosi, la pelle che si tirava restituendomi una sensazione incredibilmente piacevole.
– A me piace tanto il tuo cazzo, William – sussurrò lei, inginocchiandosi davanti a me e prendendolo con una mano. Con un movimento lento e dolce lo scappellò.
– Ti accontenti di poco – la schernii.
Non rispose alla provocazione. Si appoggiò invece prima l’asta del mio pene ad una guancia, accarezzandolo con il viso, poi lo baciò. Passò i dieci minuti successivi a riconfermare la mia opinione che fosse una delle migliori segaiole che abbia mai avuto la fortuna di conoscere: la sua abilità di concentrarsi appena oltre le mie zone erogene con le dita e quella che sembrava devozione al mio cazzo mi fecero impazzire. Venirle in bocca fu quasi al livello della stimolazione che mi aveva donato.
Si sollevò in piedi, sorridendomi quasi più soddisfatta di me, pulendosi con una mano le labbra. Labbra che subito baciai con passione, stringendola a me come se temessi che se ne andasse. Una mia mano scivolò sulla sua nuca, le dita che si perdevano tra i capelli biondi, l’altra mano che prima si fermava a coccolare un seno diventato turgido, i capezzoli che puntavano contro i miei pettorali attraverso la mia maglietta, per poi salire al collo e massaggiarlo.
Assaporai il sapore della sua bocca corretto con quello della mia sborra, il profumo della sua pelle aromatizzata dal ricordo della scopata di quella notte e una nota della luce delle stelle che si erano riflesse nelle stille di sudore che avevano imperlato il suo corpo nudo.
Staccai le mie labbra dalle sue, fissandola con uno sguardo deciso che cercava di nascondere le emozioni che sfuggivano al mio cuore che si stava spezzando all’idea che quello sarebbe stato il nostro ultimo giorno insieme. – Ti voglio, Emma. Voglio ancora sentirti gemere di piacere, voglio ancora provare il bollore della tua fica mentre ti possiedo e il suo sapore quando la tua ambrosia scivola sulla mia lingua. Ma soprattutto il respiro lieve e le tue carezze quando ti adagi sul mio petto, calda e soddisfatta, e in quel momento capisco che la mia vita ha avuto uno scopo.
A differenza mia, i suoi occhi furono incapaci di contenere le emozioni che esplosero nella sua anima: mi abbracciò al collo, saltandomi letteralmente addosso, mi baciò piangendo, il suo respiro rumoroso nel naso, i suoi seni che si muovevano al ritmo della felicità e del dolore che sciabordavano, mescolandosi nel suo cuore.
– Ti prego, come questa notte… – mi implorò con un filo di voce rotto dall’emozione.
Scossi la testa lentamente. – No, non come questa notte – le dissi, poi la spinsi all’indietro. Emma cadde sul letto, rimbalzando una volta. – Meglio di questa notte.
Passammo le tre ore successive a fare l’amore. Ci furono meno orgasmi ma molta più dolcezza: complice il materasso, molto più comodo di un letto di lastre di roccia e sassi, la spogliai con calma, la baciai a lungo, la massaggiai. Potevano anche non esserci la galassia a contemplare la meraviglia del suo corpo o il vento a portare tra le cime i suoi gemiti di piacere, ma la calorosa intimità che aveva preso il posto alla sfrenata lussuria compensò pienamente. Era ormai mezzogiorno quando, sudata e stremata, bagnata di sudore, ambrosia, sperma e saliva, Emma si appoggiò con il capo sui miei pettorali.
La vidi accoccolarsi meglio su un mio capezzolo, chiudere gli occhi e rilassarsi. Appoggiai una mano sul suo sedere e le misi il polpastrello del medio sull’ano, stuzzicandolo con un movimento lento e circolare. La sentii sorridere al solletico che le provocavo. – Ti amo, piccola – le sussurrai.
– Anch’io ti amo, William – rispose con un tono di voce che lasciava capire che non stava mentendo. Si allungò sopra di me, prendendo il telefono dal comodino alla mia sinistra, lo sbloccò con il viso e poi lo alzò sopra di noi. Nello schermo potei vederci ripresi dall’alto: l’immagine rimase fissa per un istante mostrando Emma che baciava la mia mandibola. – Voglio che questo momento rimanga per sempre – spiegò.
– Anch’io – le confidai, baciandola sulla nuca. – Mandami una copia, per favore.
Un attimo dopo il mio smartphone emise un trillo dai pantaloni che avevo lasciato sul pavimento.
Nonostante tutte quelle cazzate che quel pezzo di merda del suo ex le aveva messo in testa, quella fu la foto più emozionante che avessi visto da quando ero in vacanza. Fui felice che la nostra ultima scopata si concludesse così, con una bella foto che avremmo custodito per sempre nel cuore e, ovviamente, nella cartella apposita del mio cloud. Il viso di Emma illuminato da un orgasmo, sebbene non fosse stato immortalato in uno scatto, sarebbe stato per sempre uno dei ricordi migliori della mia vita.
Passammo almeno una mezz’ora distesi nel letto senza fare nulla se non farci le coccole e massaggiarle l’ano con un dito. Quanto avrei voluto far scivolare il medio dentro di lei e darle piacere, ma era una di quelle tecniche che richiedeva un affiatamento che, purtroppo, due giorni di ottimo sesso non garantivano ed Emma non aveva mai nemmeno accennato al desiderio che qualcosa entrasse nel suo retto.
Ci alzammo che mancava un quarto d’ora alle tredici e proposi di andare a pranzo nel ristorante dell’albergo insieme, riconoscendo che il mio stomaco, dopo il cazzo, avesse anche lui il desiderio di svolgere di nuovo il proprio lavoro e, a giudicare da come apprezzò l’idea, pure Emma aveva appetiti che non si limitavano solo al letto ma che richiedevano una tavola imbandita. Considerando quanto aveva mangiato a colazione, mi chiesi come bruciasse tutte quelle calorie. Sesso continuo, forse? Di certo un esercizio cardio che apprezzavo molto anch’io.
Tornai nella mia camera a lavarmi velocemente per togliermi, con grande dispiacere, l’odore di passione che quella mattina aveva impregnato la mia pelle, mi cambiai indossando l’abito più decente che avessi portato e non fosse eccessivamente sporco e controllai com’era venuta l’immagine dello startrail sul mio computer.
– Non male – commentai, orgoglioso del risultato più di quanto lasciassi trasparire. Era venuto davvero bene, con centinaia di strisce luminose a forma di semicerchi che solcavano il cielo notturno sopra le tre cime di Lavaredo, restringendo il proprio raggio man mano che si trovavano più vicine alla Stella Polare. Spedii una copia del file al mio cloud e un’altra la allegai ad una e-mail che inviai ad Emma. Sperai la apprezzasse anche solo la metà di quanto la trovavo soddisfacente.
Quando tornai davanti alla porta della ragazza, pulito e profumato, la trovai che stava uscendo in corridoio. Come mi vide, mi saltò nuovamente al collo, baciandomi.
Nel corridoio, una coppia di San Bartolomeo in Mare, giunta un paio di giorni prima all’albergo, ci fissò per un istante, per poi entrare nella propria stanza. Immaginai che ormai chiunque in quell’hotel sapesse o supponesse che Emma e io facessimo sesso in continuazione. La cosa non mi dispiacque affatto, lo ammetto: sono sempre stato terrorizzato all’idea che la mia vita sessuale possa essere l’unica cosa a caratterizzarmi a livello sociale, ma ammetto che non mi è mai dispiaciuto che la gente provi invidia per la stessa…
– Grazie, William! – disse la ragazza quando finì di strozzarmi. – La foto è bellissima. L’ho già pubblicata!
– Ma quella delle stelle o quella dopo il sesso? – ironizzai, prendendo il telefono e controllando il suo profilo Instagram per assicurarmi che le stelle si vedessero anche nell’infima dimensione dello schermo dello smartphone. L’allegria venne sostituita dallo stupore quando mi accorsi che le foto pubblicate erano due in un carosello, come dicono quelli bravi.
Passando dallo startrail a quella successiva, mi resi conto che la consapevolezza di noi due che ci scopavamo a vicenda non si sarebbe limitata a quella degli ospiti e dei dipendenti dell’albergo: la seconda foto era davvero quella di lei appoggiata sul mio petto nudo, croppata appositamente perché non comparissero i suoi capezzoli. Alcune macchie secche sui nostri corpi lasciavano intuire ancora più che dei liquidi avessero avuto un ruolo importante nell’attività che ci aveva coinvolto poco prima.
Era bellissima, incredibilmente sexy, la bellezza della donna soddisfatta. Mi chiesi comunque quanto tempo i censori avrebbero impiegato prima di bloccare la foto e spedirle un messaggio avvisandola che non rispettava le regole della community e menate simili. Come dire che Instagram non campasse di donne poco vestite in atteggiamenti discinti.
C’erano già diversi apprezzamenti a corredo della doppia foto, e mi chiesi quanti fossero davvero diretti alla foto notturna piuttosto che all’idea di cosa avesse fatto la ragazza e della porzione di seno comunque ben visibile. Chissà se ce n’era anche uno di Gala, mi chiesi, a stento capace di non sorridere all’idea dell’influencer che “amava le sue follower come loro amavano lei” toccando il cuoricino sotto la foto, stringendo i denti e ringhiando alla visione dell’appagamento sessuale di Emma.
– Beh, per essere uno che me le ha palpate per tre ore solo oggi, mi sembri parecchio interessato alla foto delle mie bocce – constatò la mia amante con un accento di divertimento. Appoggiò a tradimento la mano sul mio cavallo, stringendo un po’ sulla mia mezza erezione. Annuì. – Eh, sì: parecchio interessato.
Difficilmente resto basito, ma quella ragazza ci riusciva con la sua esuberanza. Il suo ex doveva essere stato un coglione per trattarla male e costringerla a lasciarlo.

Continua…

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