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Ti desidero ancora, l’ammetto. Volevo farti visita da tempo, ma non mi risolvevo. Anche oggi, nonostante l’avessi deciso, all’improvviso ho titubato. Non sapevo più se venire direttamente o preannunziarmi con una telefonata, un sms, un whatsapp. Ho girovagato a lungo intorno a casa tua. Poi, preso da una smania improvvisa, ho premuto il tasto, quasi senza accorgermene. Hai risposto quasi subito, mentre, trasalendo, già pensavo di scappare, prima che rispondessi.
Ho farfugliato velocemente il mio nome e ti ho chiesto se potevo salire. “Sì, certo. – non sembravi sorpreso – Sali.”

Sono qui, davanti a te; indossi solo un perizoma. Mi porgi le labbra. Arrossisco e ci scambiamo due baci sulle guance. “Vieni…” mi prendi la mano e mi esorti a percorrere il brevissimo spazio dalla porta d’ingresso alla camera da letto. Mi spoglio lentamente, ammirato dalla sinfonia di fasci muscolari che adornano il tuo corpo giovanile. “Vuoi un porno etero o trans?” – mi offri la scelta dei filmini. “Per me…! Quel che vuoi. Anzi, no. Trans, forse è meglio.” – ti ho risposto senza sapere perché. Poi t’ho chiesto:”Hai della musica classica, invece?” “No, mi spiace, ma devo prendere qualcosina perché diversa gente me la chiede.” – e così mi sono sentito infilato in una schiera di amanti … della musica che si dilettano del tuo corpo. Certo non ne ero granché soddisfatto, ma, tant’è!.

Già, dimenticavo: non lo fai per affetto, ma per professione. Il bello di fare l’amore con te è che non ti tiri indietro come fanno le puttane. Quelle sono suscettibili; devi stare attento. Non puoi assumere in bocca le mammelle. Sembra che siano di cristallo, di più: sacre! Non puoi giocare con i capezzoli senza rischiare un manrovescio. Non puoi profanarle da dietro se no ti arriva un urlaccio: “Non le faccio quelle porcherie!” – quelle no, ma il resto sì! – “No, solo in bocca col guanto e poi in fica.” Te lo costringono in quella fessa slabbrata dai troppi coiti e devi sborrare in fretta, sennò sbuffano e guardano l’ora come se stessero per perdere il treno. Puttane stronze!

Mi hai intrattenuto un’ora sul letto, ieri, e poi ti sei attardato a parlare con me, chiedendomi quale autore di musica classica preferissi. Ti ho dettato: “Chopin e Debussy.”. Lettera per lettera hai preso nota. T’ho consigliato anche dove trovare delle edizioni più vecchie e meno costose di quelle recenti. Mi hai ringraziato come a un vecchio amico. E, forse, a ragione, lo sono diventato. In confidenza, m’hai parlato d’una zia ottantenne che vive in una città del nord. Una professoressa di lettere. Insegnava latino e greco. La vai a trovare in agosto e approfitti per una visita al Santo Patrono della città. Forse per implorarne la protezione, ho pensato. Solo più tardi ho scoperto che, invece, andavi a trovare un frate. Guida spirituale, ho ritenuto; invece, poi, mi hai spiegato che andavi per farlo divertire, per farlo sfogare. Non ho approfondito.

Sei molto dolce quando baci, delicato, non invadente. T’ho accarezzato sulla schiena fino ai glutei. “Mettilo dentro…!” m’hai sussurrato; eccitato? O solo per eccitarmi. Ho accennato soltanto a penetrarti col dito medio, ma non sono andato a fondo. Ti ho allargato le crespe, mentre tu m’accompagnavi con un: “Siiiì!” convinto, ma non so quanto veritiero. Per effetto, mi si è inturgidito l’ingombro davanti. Ho allungato la mano, scendendo alle tue palle. Le ho tastate, girate e poi strette fra le dita. Tu hai lasciato che giocassi con loro. La pelle era morbida, completamente depilata. Un bel sacchetto gonfio! L’uccello, invece, non era turgido, ma si apriva a forma di tubero allungato. Non inerte, ma poco partecipe, come se fosse abituato a controllare le sue reazioni. Professionalità o mancanza di erezione? Hai continuato ad accarezzarmi i capezzoli e a succhiarmeli senza forzare, al punto giusto. Poi sei sceso sul ventre, massaggiandomi sapientemente. Quindi hai imboccato il mio cannolo, provocando la sua reazione.

Ben presto ho dovuto allontanarlo dalla bocca vorace per impedire che provassi un eccesso di partecipazione che portasse al prematuro godimento con connessa immediata eiaculazione. Hai sospeso l’operazione, rinviandola a più tardi ed hai ripreso a giocare con le mie mammelle, aspettando che mi passasse l’eccitazione. Disteso completamente, mi sono rilassato, cercando di ritrovare il controllo per poter continuare il gioco con calma. Alla mercé dei tuoi tocchi sapienti, mi sono girato di spalle. Con la lingua hai prontamente cominciato a deliziarmi le vertebre, ad una ad una, fino all’ultimo anello, prima di passare ad assaporare l’occhio dell’ano, l’ocello della mia farfallina posteriore che si dilatava e si restringeva per i brividi di lussuria che provava.

Per evitare che mi penetrassi troppo in fondo, provocando la mia reazione, mi sono girato verso il tuo “uccello” e l’ho preso in bocca. Un po’ di delusione m’ha preso perché non aveva raggiunto le dimensioni che sarebbe stato naturale trovare. L’ho accarezzato, agitato, allungato, imboccato, titillato con la lingua, succhiato, ma con poco effetto. Un leggero inturgidimento senza erezione vera e propria. L’ho agitato ancora sbattendolo contro le palle. Hai lasciato fare mentre ti sorreggevi, sovrastandomi, con le braccia distese per reggere il corpo, ginocchioni sul letto. Alla fine ho abbandonato la presa. Ti sei schiacciato contro di me in un abbraccio ardente, baciandomi ancora una volta, sulle labbra, come sai fare tu.

Sei sceso di nuovo sulle mie mammelle, giocando con i capezzoli. Rizzato, il “fratellino” mi si agitava fra le gambe.ad ogni strizzata L’hai preso in mano, misurandone la lunghezza e l’hai scecherato con molta calma, facendo scorrere la pelle sul prepuzio, richiudendola sul glande, per poi estenderla, a provare la elasticità del tessuto. Hai lasciato che ondeggiasse in aria, cercando un ricovero sicuro, e, reggendoti con le braccia sul lenzuolo, hai permesso che entrasse da solo nella tua bocca. Leggeri tocchi di lingua miravano ad attizzare il fuoco, infervorando il ciocco che ormai ardeva con mille scintille. La tua azione mirava al cono terminale del mio…razzo che pretendeva un ingoio sempre più profondo. Ma tu lo illudevi, continuando col superficiale strofinio delle morbide labbra. Impazzivo dal desiderio, ma mi tenevi ancora in sospeso. Ad arte, ti ritraevi. Ed io smaniavo sempre più! Mi agitavo, cercando di contenere l’ebbrezza, anche se il travertino, ormai tirato a lucido rischiava di rompersi. Il desiderio cresceva e la trivella avanzava la pretesa di scendere a fondo nella tua bocca.

Più a fondo, più a fondo… saliva e scendeva! Ti reggevo la testa ferma sul pozzo artesiano da cui emungere lo zampillo fatato che inseguivo; anelavo che uscisse. T’aiutavi spronandolo con la lingua ed io avvertivo il trambusto che provocavi nelle mie visceri che si torcevano. Avvertivo ogni movimento della tua lingua, della tua bocca, delle tue labbra che mi parlavano nell’unico linguaggio ch’ero in grado di comprendere in quegli istanti. Ti tenni così, sospeso su di me! Ore d’inseguimento fra Ganimede e l’Aquila, finché l’Aquila non ebbe il sopravvento. Ma fu anche la sua misera fine. Il pennello ormai spento, esaurito ondeggiava ancora nelle bocche di Cerbero. Passato, presente e futuro non esistevano più. La misura del tempo sfuggiva. Non c’era alcuno scopo. Tutto era raggiunto ed esaurito. Un buco nero mi girava introno, confondendo la mente.

Mi lasciasti esanime; neanche me ne accorsi. Esausto, in quello stato di nirvana consolatorio che, purtroppo, avrebbe avuto breve durata, disteso sul letto, affondavo, lento, nelle sabbie mobili. Lo schermo annerito; il DVD finito. Anche il trans dello schermo doveva essere rimasto soddisfatto, senza che io me ne fossi accorto se non per fugaci apparizioni che inframmezzavano, nella mia mente, le tue più carnali visioni. Giacevo mentre tu andavi in bagno o non so in quale altro posto il diavolo ti portasse. Silenzioso, ti avvicinasti al mio corpo che galleggiava, levitando nella stanza, e mi copristi il sesso, ormai inutile orpello vuoto, con un foglio di carta igienica, tamponandomi ben bene.

De paroles vacante et ce corps alourdi
Tard succombent au fier silence de midi:
Sans plus il faut dormir en l’oubli du blasphème,
Sur le sable altéré gisant et comme j’aime

Ouvrir ma bouche à l’astre efficace des vins!

Couple, adieu; je vais voir l’ombre que tu devins.

Senza parole e questo greve corpo
Tardi ancora cedono al silenzio del mezzodì:

Subito dormiamo nell’oblio della bestemmia,

Sulla sabbia smossa e com’io amo

Offrir la mia bocca agli fluenti fumi dei vini!
Coppia, addio; andrò a vedere l‘ombra che diveniste. (libera traduzione)

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Nina Dorotea

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