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119 – Maria violentata diventa la puttana del gruppo

By 21 Gennaio 2014Dicembre 16th, 2019No Comments

Spesso si dice che sono gli uomini a far divenire noi donne delle troie. Ma nel mio caso mio marito non c’entra per niente. Oggi, nel duemilaquattordici ho raggiunto i quarantotto anni, ma vorrei partire dalla mia infanzia. Sono nata in un paesino di campagna, nel sud della nostra Italia. Mia madre era una santa donna, tutta dedita ai lavori di casa e ad accudire la nostra famiglia numerosa. Mio padre lavorava la terra, poi la sera tornava a casa e dopo aver mangiato guardava in modo significativo mia madre e lei capiva, ci salutava e dava la mano a mio padre, lui teneramente la conduceva su al primo piano nella loro camera da letto, con quel lettone altissimo che aveva delle molle molto rumorose. Noi, ragazzi li sentivamo benissimo anche da sotto e i più grandi già capivano cosa stesse succedendo e ridevano di gusto. Io sono la più piccola di sei fratelli, mi chiamo Maria e all’epoca dei fatti che vorrei raccontarvi, avevo diciotto anni. Prima di me, c’è Rocco che aveva vent’anni, quindi Antonio che ne aveva ventidue, le due sorelle, una di ventitre e una di venticinque che si chiamano Rosalia e Concetta e poi c’è il primogenito Salvatore che a quei tempi ne aveva ventinove. La famiglia di mia mamma, era anch’essa una famiglia numerosa, lei era la prima di undici tra fratelli e sorelle. Solo per farvi comprendere la situazione generale, su undici solo due non avevano scelto di dedicare la loro esistenza alla chiesa. Quattro ragazze si erano fatte monache mentre cinque maschi erano diventati preti.
Dopo questi presupposti capirete che la religione nella famiglia di mia madre e di conseguenza anche nella nostra assumeva una importanza più che rilevante. Nessuno dei miei fratelli scelse la vita ecclesiastica ma comunque l’aspetto religioso ci condizionò per molti anni. Tutti i giorni, la mamma ci conduceva in chiesa a seguire la Santa Messa e il prete ci plagiava pesantemente, minacciando l’inferno a chi faceva determinati peccati. La mamma poi rincarava la dose e per tutto il tragitto che percorrevamo a piedi al ritorno, sottolineava i punti salienti della predica di Don Carmine. Sia io, sia i miei fratelli crescemmo molto timorati di Dio e formati al suo ‘Divino insegnamento’ . Poi successe che dopo la festa patronale del paese, mentre da sola camminavo tranquilla verso casa, io fossi presa a forza e infilata in un furgone, quindi portata, da cinque ragazzi, in mezzo alla campagna e fossi ignobilmente violentata. Di quanto successo io informai mia madre, lei mi consolò a lungo e poi mi chiese di non dire niente a nessuno. La mia gioventù, meno avvezza a rispettare alcune leggi non scritte, che dalle nostre parte vanno per la maggiore, avrebbe voluto andare dai carabinieri e sporgere regolare denuncia, farli sbattere in galera quei porci maiali e invece la mia cara e dolce mammina mi disse di non farlo assolutamente per nessun motivo. Insomma, non lo si poteva dire a papà perché lui si sarebbe fatto giustizia da solo e men che meno ai miei fratelli che sicuramente avrebbero regolato i conti con i bastardi malavitosi in modo autonomo. C’era il pericolo che qualcuno della mia famiglia andasse in galera per omicidio plurimo premeditato. Denunciare il tutto alle forze dell’ordine avrebbe comportato la divulgazione del fatto in tutto il paese e sarebbe stato un disonore!
Già la ragazza disonorata sarei poi stata io. Come si dice dalle mie parti ‘cornuta e mazziata’ !!
Un mese più tardi non vidi più il mio ciclo mestruale e portai le urine al laboratorio in città che dopo un paio di giorni mi consegnò il referto. Ero incinta, aspettavo un figlio, un povero bambino generato da cinque figli di lurida puttana. Dopo quindici giorni compii diciotto anni e decisi, contro il parere di tutti di tenerlo. Per dimenticare i problemi accettai l’invito di un ragazzo carino e simpatico, figlio del farmacista, e anche se non perdutamente innamorata, feci di tutto per farci l’amore e una ventina di giorni dopo gli dissi che lui e io aspettavamo un figlio. Organizzai con lui, quella che dalle nostre parti si chiama ‘fuitina’ e un mese dopo me lo sposai. Dopo sette mesi nacque ‘precocemente’ il nostro bambino che chiamammo Luca. Era proprio una bellissima creatura e riconobbi subito le spiccate sembianze con uno dei cinque malviventi che mi avevano stuprata. Passarono alcuni anni e a mano a mano che Luca cresceva assomigliava sempre di più a Vincenzo. Così quando mio figlio aveva otto anni un pomeriggio, mentre passeggiavo con lui in centro al paese, incontrai il bastardo. Lo guardai intensamente e lui scambiò quello sguardo in interesse per lui. Eravamo uno di fronte all’altro e gli dissi di guardare bene il bambino. Lui abbassò lo sguardo e vide la sua fotocopia solo un po’ più giovane. Rimase sbalordito e gli chiesi che cosa ne pensasse, lui non parlò, non sapeva, molto probabilmente cosa dirmi. Una frotta di ragazzini qualche metro più in là giocava a pallone in mezzo alla strada, io ne approfittai e mandai Luca a giocare con loro. Rimasi sola con il mio carnefice e lo affrontai a viso aperto dicendogli tutto ciò che mi veniva in mente di dirgli. Lui mi disse che era un peccato che io mi fossi già sposata con un altro, perché lui di me era innamorato, ma visto che in passato avevo sempre rifiutato il suo corteggiamento lui, quella fatidica sera, si era vendicato in quel modo. Fu in effetti veramente un caso, che mio figlio fosse nato proprio grazie al suo seme. Era sempre stato un bel ragazzo e io non lo avevo respinto perché non mi piaceva, lo avevo fatto solo per il fatto che la chiesa, la religione e i miei genitori mi impedivano anche solo di guardare un essere di sesso opposto al mio. Al sud, specie in quei tempi, ma purtroppo succede ancora oggi, le donne contavano meno del due di picche. Dagli uomini, che tutto decidono, siamo sempre state considerate come corpi e carne da usare, indispensabili è vero, ma solo perché, siamo educate fin da bambine a rispettare la loro volontà e i loro desideri e ad essere le loro serve e amanti. Salvo poi buttarci via quando il nostro corpo non risponde più ai canoni della gioventù e della bellezza. Certe violenze, vengono considerate e valutate come un diritto che gli uomini vantano su di noi. In certe regioni, specie nella mia, su mille casi di stupro, anche casalingo intendo, ne vengono denunciati si e no tre o quattro, gli altri le stesse donne non li denunciano perché in fondo fanno parte dei diritti che i maschi hanno nei nostri confronti.
Queste cose, ai miei tempi ci venivano inculcate dalle nostre madri stesse e nel mio caso specifico mi resi conto che guardando uno degli uomini che mi aveva stuprato, non riuscivo a dimostrargli rancore, in fondo si era preso solo ciò che era suo diritto pretendere. Così successe che lui, mi accarezzasse il viso e che io non facessi nulla per impedirglielo e che il bellimbusto mi chiedesse un appuntamento e che io, imbambolata, persa nei suoi occhi di ghiaccio, glielo concedessi.
Un paio di giorni dopo, lasciai il bambino in custodia ai miei e con una scusa mi allontanai. Uscii dal paese e mi inoltrai a piedi per una stradina, di quelle con il muretto di pietre da entrambi i lati, che serpeggiava fra gli ulivi e mi conduceva verso una cava abbandonata. Dopo una decina di minuti giunsi a destinazione, mi fermai lì e attesi, lui arrivò con una bella macchina dalla strada principale, si infilò in una strada sterrata e si fermò al riparo di un grosso masso. Lo raggiunsi e mi sedetti al suo fianco, parlammo forse per cinque minuti, poi per noi parlarono le nostre mani. Più le sue delle mie, pareva che ne avesse una decina di mani, mi toccava dappertutto, ripassava la antica lezione, ma lo faceva con più attenzione, dolcemente, con perizia e capacità. Sapeva toccare i miei punti sensibili e così io non capii più nulla e ottenebrata dai sensi lasciai che agisse sulla leva del sedile facendolo scendere lentamente. Poi tirò fuori dal portafogli un preservativo e lo indossò quindi mi fu sopra, io sotto il suo magnifico corpo, pieno di muscoli e in continuo movimento, gli concessi la mia intimità ancora una volta. Beh, la prima volta se l’era presa, mentre ora io ero perfettamente consenziente. Mi piacque in modo pazzesco, fu molto, ma molto diverso da ciò che provavo quando lo facevo con mio marito, il mio orgasmo fu una esplosione che mi lasciò ansimante e tramortita, lui mi accarezzò nuovamente il viso, mi guardò negli occhi con il suo sguardo torbido e velato dalla passione, mi baciò dolcemente sulle labbra e infine mi rimise seduta e mi aiutò a ricompormi. Da quel momento divenni la sua amante. Divenni anche una troia vera, una femmina perennemente in calore, disposta a tutto pur di soddisfare le voglie più strane del mio pretenzioso maschio. Trascorsero una decina di giorni da quella volta nella cava e lui un giorno si fece trovare quasi davanti a casa mia. Finsi di non vederlo ma lui passandomi vicino lasciò cadere nella mia busta della spesa un bigliettino. Sopra erano scritte le indicazioni per un altro appuntamento. Il giorno seguente presi la bicicletta e pedalai verso il luogo prefissato, era la collinetta del bosco, una collina che fuoriusciva da un fitto bosco e per una ventina di metri c’erano solo piante sparute qua e là e poi delle rocce lisce che formavano un piccolo pianoro. Lui era li seduto su quel pianoro, con un filo d’erba in bocca che mi aspettava. Io indossavo un vestitino corto leggero e delle mutandine bianche ridottissime, lui mi baciò appassionatamente e poi si mise a parlare, volle sapere come stava suo figlio e come stavo io, poi io mi accorsi che sotto di noi al limitare del bosco vi era un uomo che ci guardava. Glielo dissi e lui sorrise maliziosamente, mi fece sedere sulla pietra e poi mi accarezzò le gambe. L’uomo guardava attento, certamente da quella posizione poteva vedere sotto il mio vestito tranquillamente. Notai che il tizio si toccava il cazzo da sopra i pantaloni e mi accorsi anche che Vincenzo ne era consapevole. Mi fece tenere le ginocchia piegate e poi mise la mano sotto e iniziò a toccarmi la figa da sopra le mutandine, poi me le spostò e cominciò a sditalinarmi. Cercavo di tenere le gambe un po’ chiuse ma lui mi suggerì sottovoce di aprirle per bene. Ora l’uomo aveva il pene fuori, era anche un bel membro grosso e nerboruto e se lo masturbava furiosamente. Anche il mio amante era eccitato e lo aveva tirato fuori, me lo fece prendere in bocca, mentre io oscenamente mi esibivo a cosce spalancate e la figa al vento. Con la coda dell’occhio vedevo che il guardone non era più solo, assieme a lui c’erano ora altri due uomini, tutti e tre si smanettavano il cazzo. A questo punto Enzo sfilò il cazzo dalla mia bocca e mi sborrò sul viso. Appena riuscii a liberarmi gli occhi dalla spessa crema, mi guardai attorno e i due maschi allupati erano li vicini a noi. Mi aspettavo che Vincenzo mi proteggesse dai due uomini panzuti e invece lui non fece assolutamente nulla. Loro mi vennero vicini mi toccarono le tette pastrugnandomele in modo alquanto violento e indelicato, poi con il cazzo mezzo duro si masturbarono vicinissimi al mio viso e in breve mi colarono sugli occhi e sulla bocca la loro sborra. Enzo, mi lasciò così, con il viso ricoperto di sperma, e mentre gli altri due rinfoderavano il loro ormai flaccido pene lui, si chinò verso di me e mi strappò le mutande poi mi sditalinò velocemente e io eccitata e porca venni urlando il mio intenso piacere.
Che uomo bastardo che avevo, mi stava traviando un po’ per volta, aveva cercato e ci stava riuscendo a farmi diventare la sua puttana, la baldracca alla quale si può far fare di tutto.
In effetti nei giorni a venire mi resi conto che la sua mente era troppo perversa, lui studiava le cose più strampalate e poi me le faceva fare, ogni volta un passo in più verso il baratro, verso il punto del non ritorno. La volta seguente lui organizzò un pomeriggio al mare, da casa mia c’erano pochi chilometri per raggiungere la spiaggia più vicina, ma lui mi disse che ci saremmo andati in barca e che avremmo guadagnato una caletta dove saremo stati più liberi e lontani da sguardi indiscreti e così””.

Buon sesso a tutti da parte di ombrachecammina
e-mail: alexlaura2620@libero.it

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