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131 – La giovane Erica e il cazzone del nonno

By 14 Febbraio 2014Dicembre 16th, 2019No Comments

Mi chiamo Erica ed ho 27 anni, sono sposata con l’amore della mia vita ed ho un figlio maschio di cinque anni. Che dire di me, mi dicono che sono carina, un bel visino delicato con gli occhi azzurri e il nasino all’insù, una boccuccia ben disegnata, porto i capelli biondi lunghi oltre le spalle e ho un fisico magro da modella con un bel seno di terza misura.
Ritornando indietro di molti anni, vorrei raccontarvi delle esperienze un po’ particolari da me vissute durante questa mia sia pur breve vita. Quando ero piccolina, diciamo dai sei, fino ai dodici, tredici anni, i miei genitori, durante le vacanze estive, mi mandavano sempre a casa dei miei nonni materni. Loro abitavano a Portico, in provincia di Forlì, un paesino di settecento anime ai confini con la Toscana, possedevano un grande cascinale di campagna, con un ampio cortile sterrato e polveroso, dove io, instancabilmente, giocavo dal mattino alla sera con il mio cuginetto Moreno, mio coetaneo e anche lui ospite dei nonni. Rammento, gli scuri accostati e la frescura all’interno della casa, ricordo, all’esterno, i bagni fatti nella piccola piscina fuori terra, dentro alla quale l’acqua, riscaldata dai potenti raggi del sole, era bollente quasi da non poterla resistere. Mille, bellissimi e malinconici ricordi di quella infanzia serena e spensierata.
Poi verso i quattordici anni, divenuta un poco più grandicella, mi stufai di quel piattume della campagna, senza compagnie e senza amici, così i miei mi spedirono in vacanza a casa dei nonni paterni. Loro abitavano in una bella casa sulla riviera Ligure, dalla quale il mare distava meno di cento metri. Per me quelle vacanze rappresentarono la crescita, la consapevolezza di aver terminato il periodo della fanciullezza e di stare per iniziare quello molto importante della adolescenza. Su quelle spiagge ebbi i miei primi casti e puri amorucci, lì ci fu, con un mio altrettanto inesperto pari età, il mio primo bacio. Ricordo come se fosse adesso la grande confusione che quel semplice e innocente atto provocò dentro di me. Poi crescendo, mi rammento che non vedevo l’ora che finisse la scuola per poter partire, con la mente libera da impegni, andando letteralmente a tuffarmi dentro l’acqua limpida di quel mare meraviglioso. A diciotto anni, conobbi a scuola, un ragazzo di nome Massimo, non era bellissimo, ma molto simpatico e gentile, premuroso e disponibile e così iniziai con lui una storia d’amore veramente indimenticabile. Quando arrivarono le vacanze, gli dissi che sarei andata in riviera, al mare e lui rammaricato mi confessò che a lui il mare non piaceva e che sarebbe andato dai suoi zii in campagna a Portico. Lo guardai come se la cosa che mi aveva appena detto non fosse possibile e gli chiesi: A Portico?????? Si, mi rispose lui, a Portico, in provincia di Forlì. Gli spiegai così tutti i miei trascorsi dai nonni e lui colse la palla al balzo, chiedendomi di andare a trascorrere le vacanze da loro che così, magari la sera, ci saremmo potuti vedere. Quando dissi ai miei che non volevo più andare al mare ma volevo tornare dai nonni di campagna, ci fu una specie di rivoluzione.
In effetti, avevo fatto fuoco e fiamme per andare al mare e dopo qualche anno’.
Spiegai loro il vero motivo per cui avevo fatto quella scelta e i miei con sorrisi vari e ammiccamenti molto significativi telefonarono a Nonno Stefano e nonna Agnese. I miei nonnini, si dissero entusiasti di rivedermi dopo così tanto tempo e fu così che assieme a Massimo partii per le vacanze estive. Lui mi accompagnò a casa di miei nonni e raggiunse la casa dei suoi zii. Erano trascorsi alcuni anni da quando avevo visto per l’ultima volta il nonno e la nonna e così quando scesi dalla macchina, loro mi vennero incontro con stampata in viso un misto di incredulità e sorpresa. Mi avevano lasciata bambina appena dodicenne ed ora si trovavano dinnanzi una donnina ormai maggiorenne e fisicamente cresciuta e formata. Mille complimenti e come al solito una accoglienza molto affettuosa e ossequiosa, come se io fossi la regina d’Inghilterra. Immersa in quella pace così rilassante e rigenerante, trascorsi i primi giorni di vacanza, di giorno stavo con i nonni, il più delle volte a prendere il sole sotto l’albero del fico, che fungeva da naturale ombrellone, mentre la sera uscivo con il mio dolce e innamoratissimo Massimo. Si andava in località vicine a bere qualcosa e a passare il tempo passeggiando in mezzo a quei vicoli antichi, pieni di archi fatti con le pietre, dove l’acciottolato irregolare rischiava di compromettere seriamente le mie deboli ed esili caviglie. Era un paesino molto romantico e noi ci fermavamo spesso dentro un incavo di un muro o all’interno di un portone aperto per scambiarci fuggevoli baci e ansiti soffocati. In quei momenti le nostre mani esploravano timidamente e fugacemente i nostri corpi alla ricerca di passioni a lungo sopite, poi un passante o un gatto che fuggiva, ci metteva in allarme e quindi lestamente ci ricomponevamo, ed uscivamo guardinghi da quel provvisorio nascondiglio e con fare indifferente camminavamo mano nella mano. Considerammo che almeno, quando eravamo in città, o a casa sua o a casa mia, il tempo e lo spazio per scambiarci effusioni e non solo quelle lo trovavamo. Qui, non sapevamo dove andare e la proposta di lui che mi invitò a farlo in macchina mi trovò contraria e spaventata. Si, mi spaventai a priori, avevo paura dei guardoni, dei mostri, tipo quello di Firenze, insomma gli dissi che non mi andava e che piuttosto durante quelle vacanze ci saremmo tenuti le nostre rispettive fregole e sicuramente avremmo poi recuperato una volta giunti nuovamente a casa. Trascorsero altri tre giorni e il dì seguente, al mattino presto, i nonni mi comunicarono che sarebbero andati a Bologna da un medico specialista per una visita agli occhi che avevano prenotato tempo addietro per la nonna. Appena loro se ne furono andati, presi il cellulare e telefonai immediatamente a Massimo, quale migliore occasione per fare l’amore? Peccato che la segreteria telefonica mi comunicava che non era raggiungibile e di provare più tardi. Quella mattina, dopo aver tentato innumerevoli volte a contattare il mio fidanzato, mi decisi a dare una riassettata alla casa e cominciai dalla camera dei nonni.
Erano partiti sicuramente in ritardo e il letto era sfatto, mi misi a rifarlo e iniziai a togliere un po’ di polvere dai mobili. Sulla destra a fianco della grande finestra vi era una libreria colma di libri con il dorso dorato sul quale si leggevano i titoli.
Incuriosita ne tirai fuori qualcuno, li sfogliai e poi li rimisi a posto. Al fondo della fila di opere, vi era un dorso di colore rosso, diverso dagli altri, lessi il titolo: Fanny Hill di John Cleland. Lo tirai giù, la copertina era giallastra con all’interno una greca di colore rosso che conteneva il titolo, l’aprii e notai che le pagine erano molto ingiallite e frastagliate sui bordi. Presi a sfogliarlo e subito compresi che si trattava di un libro altamente erotico. Lo chiusi e feci per rimetterlo al suo posto, quando dal fondo di copertina scivolarono a terra una decina di fotografie. Le raccolsi e rimasi a bocca aperta. Erano foto in bianco e nero ma i soggetti raffigurati si vedevano benissimo. Nella prima vidi la mia dolce e cara nonnina, coricata di traverso sul letto, a gambe aperte, con il pube e la vagina fittamente coperti da peli scuri, lei non era del tutto nuda, indossava una gonna scura che si teneva con le mani sollevata sul ventre, le gambe erano coperte da metà coscia in giù da calze di nylon trasparenti agganciate ad un reggicalze nero. Il voluminoso seno era sostenuto da un bustino, tipo i moderni reggiseno a balconcino, che gli lasciava le grosse poppe interamente scoperte. Ma la grande sorpresa fu vedere il nonno, con i pantaloni gessati indosso, sostenuti da larghe bretelle, con la patta aperta e il suo mostruoso cazzo duro in bella mostra.
Pensai per un attimo a quello di Massimo, era come un fuscello messo a confronto con una quercia. Il nonno ce l’aveva molto largo e parecchio venoso, solcato da rivoli bluastri in rilievo, completamente scappucciato, con il glande tumido e rosso violaceo, che sbordava dal fusto come la cappella di un carnoso fungo porcino. Era veramente grosso, molto grosso, ma soprattutto era lunghissimo, io lo valutai attorno ai ventiquattro, venticinque centimetri. Ecco perché la nonna era sempre così felice!!! Guardai anche le altre e mi feci una vera cultura sessuale. Vidi la bestia del nonno penetrare in tutti i buchi disponibili della nonna, lei lo succhiava, lo prendeva nella figa e nel culo, in tutte le posizioni, anche le più strane. Vidi una foto fatta fuori nel cortile vicino alla fontana di pietra, mentre attorno le galline razzolavano tranquille, lei, a pecorina, appoggiata alla pietra e lui da dietro che la prendeva analmente. Mi accorsi che le mani mi tremavano dalla forte emozione, posai il tutto e tentai ancora di chiamare Massimo. Nulla, ancora una volta segreteria telefonica.
Sentivo dentro di me una specie di tremolio nervoso, ero tremendamente eccitata, mi chiusi in bagno e mi sfilai le mutande, le immagini che avevo appena visto mi scorrevano davanti come un film, la mia mano fra le cosce e le dita abili fra le pieghe umide della mia fighetta.
Fu il mio ditalino più veloce, venni in fretta, come se il mio corpo non vedesse l’ora di trovare il suo naturale sfogo dopo la lunga astinenza forzata.
Dopo una decina di minuti il mio cellulare trillò, era Massimo che mi spiegò di aver tenuto spento il telefonino per non essere disturbato e di essere andato a letto a causa di un forte mal di testa.
Gli spiegai la faccenda dei nonni che erano partiti e che io l’avevo cercato per eventualmente” Si rammaricò per l’occasione persa e mi disse che mi sarebbe venuto a prendere verso le ventuno. Avrei voluto dirgli delle foto, ma poi, non sapendo come l’avrebbe presa, pensai bene di lasciar perdere. La sera, in macchina, presi da un impellente desiderio, ci infilammo in una strada che portava in mezzo ai campi e Massimo mi fu addosso, freneticamente mi sollevò il vestito e mi tolse le mutandine, si mise sopra, armeggiò per tirarselo fuori e quindi mi prese, senza alcun preliminare, a testimoniare la grande voglia che lui aveva di me ed io di lui. Massimo non era superdotato come il nonno, ma sapeva scopare bene, era molto resistente e soprattutto altruista, mi penetrava senza mai fermarsi, a fondo, dentro e fuori lentamente, poi quando capiva che ero ormai sull’orlo del baratro, accelerava i movimenti e cominciava nel vero senso della parola a sbattermi con forza, come piaceva a me ed io godevo tantissimo, facendomi avvolgere da un piacere intenso e appagante. Quella sera, forse eccitato per l’insolito posto, non smise di fottermi nemmeno dopo il mio primo orgasmo, continuò come se nulla fosse successo ed io in pochi altri minuti venni per la seconda volta. Per fortuna che il ‘mostro di Firenze’ non era in zona se no mi avrebbe sicuramente sentita urlare. Poi, me lo sfilò dalla figa e si sedette al posto di guida, io sapevo già come gli piaceva finire il rapporto e mi piegai verso di lui lo baciai sulla bocca e poi scesi a leccargli i capezzoli, la sua mano sulla mia nuca mi spinse verso il basso, le mie labbra incontrarono la sua cappella, bagnata dai miei e dai suoi umori ed io la accolsi nella mia bocca scivolando giù fino alla radice. Lui con la mano mi dava il ritmo, e con la voce, invece di chiamarmi come al solito amore, mi chiamava semplicemente ‘troietta mia’; io capii che stava per venire nel momento in cui iniziò a supplicarmi di non smettere, mi chiese volgarmente di succhiarglielo e poi finalmente si svuotò le palle e mi venne copiosamente in bocca, me la riempì totalmente con il suo denso e saporito succo che io mi affrettai golosamente ad ingoiare.
Ci risistemammo ed uscimmo a fatica da quella stretta e tortuosa stradina, in pochi minuti fummo in centro al paese. Guardai l’orologio, erano solo le dieci e venti, lui mi propose una passeggiata, ma io mi sentivo spossata e stanca e così gli chiesi di riaccompagnarmi a casa.
Da fuori si intravedeva, al pian terreno, solo la luce della camera dei nonni che trapelava dalle persiane socchiuse. Curiosa, mi avvicinai alla loro finestra e dalla stretta fessura fra gli scuri, guardai dentro. Il nonno, era in piedi con le sole mutande addosso, la nonna indossava un reggipetto bianco e delle mutandine ascellari altrettanto bianche. Fisicamente il nonno, nonostante i suoi sessant’anni, era in perfetta forma, muscoloso il giusto, insomma quel che si dice un omone. La nonna intanto si slacciò e si tolse il reggiseno, poi si calò le mutande. Le tettone, seppure pesanti erano comunque abbastanza sode, e devo dire che aveva un bel culone che faceva venir voglia di sculacciarlo. Il nonno, si tolse le mutande e comparve il mostro di Loch Ness, formava un arco che scendeva verso il basso, di dimensioni assolutamente surreali. Pensai alla mia tenera fighetta, con quella grossa mazza che mi sprofondava all’interno, lui guardò sua moglie e le disse semplicemente: Girati ! Lei ubbidiente si mise di traverso al letto e si girò con il sederone in aria, lui si chinò e si mise a leccargliela, in verità leccava la figa ma anche il buco del culo. Quando si rimise in piedi, la tour Eiffel puntava dritta verso le parti intime della nonna. Vidi il nonno che se lo impugnava alla base e notai che se avesse avuto altre due mani, forse sarebbe riuscito a coprirne l’intera superficie.
Glielo ficcò nella figa, e le sprofondò dentro con estrema facilità. La nonna era circa quarant’anni che se lo prendeva e certamente ci era abituata a quelle dimensioni!!
Nella penombra rischiarata solo dalla luce del lampioncino esterno, io me ne stavo lì buona buona a godermi l’elettrizzante spettacolo. Ero certamente una bella porcellina. Se in quel momento, mi avessero vista i miei genitori, loro che mi consideravano una santarellina, forse avrebbero cambiato idea sulla mia integrità morale. Il nonnino, se la scopò a lungo fino a farla venire. Poi cambiarono posizione, lui sopra e lei sotto, quindi ancora lei sopra e lui sotto e per concludere lei sul letto a pecorina e lui da dietro che se la inculava. Seguii attentamente la penetrazione anale e compresi dalla facilità con cui il cazzone le si infilava nelle viscere, che il buco del culo di nonna era sicuramente, dopo tanto tempo, parecchio slabbrato. Mi sembrò strano, vedere che i miei nonni a quella età facessero ancora l’amore con tanta passione, lo facevano come lo facevo io con Massimo, ma la differenza che noi avevamo quarant’anni abbondanti di meno.
Lui tolse il proiettile da bazooka dal culo di nonna e lei da esperta amante si girò repentinamente e glielo prese in bocca.
Le labbra di nonna erano tesissime attorno allo spaventoso glande, ma lei con l’esperienza che aveva se lo fece scendere lentamente fino in gola. Era veramente straordinario che riuscisse a ingoiarlo tutto senza lasciarne nemmeno un centimetro fuori!! Che pompino la nonnina!!! E che sborrata sul viso il nonno!!!! Il dolce viso di nonna non si vedeva più, interamente coperto dallo sperma del suo carissimo sposo!! Si baciarono affettuosamente i due vegliardi innamorati e poi dopo pochi secondi spensero la luce. Fu in quel momento che combinai uno dei più grossi casini della mia vita. Mi dimenticai del bordo del marciapiedi e ci inciampai, caddi a terra spostando rumorosamente con un calcio involontario un secchio di metallo. Dentro a quel silenzio, fu un frastuono terribile, vidi la luce della camera riaccendersi ed io zoppicante riuscii a malapena a girare l’angolo per non farmi vedere. Altre luci si accesero e purtroppo dietro la porta d’ingresso trovai il nonno coperto da una veste da camera color cammello, dietro di lui la nonna con indosso la camicia da notte. Dissi loro che mi ero inciampata nel secchio e lui mi chiese in poche parole che cazzo ci facevo io nel posto dove c’era il secchio. Biascicai una scusa adducendo la colpa al buio esterno e passando loro davanti mi infilai in camera mia. Una volta dentro ansante, mi addossai con le spalle alla porta e la chiusi con la chiave.
Fu una notte parecchio agitata e al mattino, in cucina, a colazione, i due nonni porcelli, mi ridomandarono come mai mi ero inciampata nel secchio. Finsi di incavolarmi un po’ dicendo loro che già avevo risposto a quella domanda la sera prima. Mi videro alterata e cambiarono discorso. La nonna, verso le undici inforcò la bicicletta, e se ne andò dicendo che andava a fare la spesa. Io andai in camera mia e indossai un bikini giallo, piazzai poi il lettino nei pressi del fico, presi il libro di Harmony, mi sdraiai e mentre prendevo il sole mi misi a leggere. Dopo un po’ vidi il nonno, portarsi la solita sedia fuori e sedersi al contrario, appoggiando le braccia sulla spalliera. Con lui lì presente non riuscivo a concentrami nella lettura, mi accorsi che leggevo almeno dieci volte la stessa riga prima di comprenderne il significato. Era in pantaloncini corti blue e una canottiera più o meno dello stesso colore.
Pensavo a quel incommensurabile batacchio che c’era sotto a quei pantaloncini. Ogni tanto, lui mi guardava di sottecchi, io mi fingevo assorta nella lettura e per non destare sospetti giravo le pagine anche senza averle lette. Poi lo vidi alzarsi e venire nella mia direzione. Mi sorrise e si sedette sul bordo del lettino, mi guardava negli occhi con stampato in viso un sorrisino malizioso. Poi la domanda a bruciapelo: Ci hai spiati ieri notte vero???
Divenni paonazza in viso e lui capì senza nemmeno attendere la mia risposta. Volle poi sapere se mi era piaciuto, io con la gola secca, non riuscii a rispondergli. Mi domandò ancora se avevo gradito il suo coso, così lo chiamò lui. Lo guardai negli occhi, mi sentivo sprofondare, sapevo che il mio sguardo valeva per lui più di mille parole. Mi posò una mano sulla coscia, timidamente cercai di allontanargliela, lui mollò per un solo attimo la presa e poi ancora la sua mano sulla mia coscia, stavolta un poco più in alto di prima. Lo sguardo mi cadde sui suoi pantaloncini, il volume del suo pisellone, non era nascondibile ed io lo notai chiaramente duro e teso. Il vecchio se ne accorse e mi prese la mia piccola manina e me la tenne sopra a quel grosso cilindro di carne dura. Poi sentimmo scattare la serratura del cancelletto e lui si alzò immediatamente in piedi, finse di parlarmi di piante e fiori e andò incontro a sua moglie. Mi parve di sentire, là dove la sua mano si era posata, un intenso senso di calore, la mia fighetta porcella si era inumidita alquanto ed io percepivo in me un irrefrenabile desiderio di fare l’amore.
Per un paio di giorni non successe più niente, poi la nonna un mattino partì presto con la macchina, c’era il mercato grande al paese vicino e così io rimasi sola con il nonno.
Mi alzai dal letto indossai la camicia da notte e andai in cucina, mi preparai il latte e il caffè e mi sedetti a spiluccare qualche fetta di pane tostato con la marmellata. Da fuori, arrivò il nonno, si era alzato presto, per andare a raccogliere le verdure fresche nell’orto. Arrivò con una cesta piena e la posò sul tavolo della cucina. Mi salutò allegramente e dopo essersi lavato le mani se ne andò in camera sua. Quando lo vidi tornare, per poco non mi prese un colpo, il vecchio satiro era completamente nudo e si avvicinava a me con estrema determinazione. Gli dissi di non avvicinarsi ma non servì a nulla, mi chiese di toccarglielo, poi visto che non ubbidivo, mi prese con forza la mano e me la portò sul suo cazzo ormai duro. La mia piccola mano riusciva a circondargliene poco più della metà. Mi chiese ancora se mi piaceva, stavolta ebbi la forza di rispondergli timorosamente di si. Mi prese la mano e me la guidò su e giù sul cazzo, voleva chiaramente che gli facessi una sega. Mi disse poi di prenderlo con due mani e io lo segai, lui allungò la mano destra sotto la mia camiciola e superò abilmente le mie mutandine ormai fradice scivolando fra le pieghe della mia figa allagata. Mentre constatava che mi ero eccitata, mi chiamò spudoratamente ‘puttanella’ . Mi chiese se lo desideravo dentro, io non capivo più niente e nemmeno sapevo cosa fare. Lui mi incalzava con domande su domande ed io non riuscivo ad essere decisa e a dirgli di no. Come un fuscello mi sollevò dalla sedia e mi fece sedere sul massiccio tavolo della cucina, mi sollevò la camicia da notte e prendendomi sotto le cosce mi attirò con la figa sul bordo del tavolo, infilò due dita dentro le mutandine e me le lacerò, quindi vidi il mostro avvicinarsi e lo sentii appoggiarsi al mio stretto orifizio vaginale. Spinse, il mio nonnino bastardo, me lo spinse dentro, fu come perdere per la seconda volta la verginità, grugnendo in modo bestiale me lo sbatteva dentro, lo supplicai di fare piano, lui si adeguò alle mie piccole dimensioni ed evitò di spingermelo fino in fondo. Quando cominciai a non sentire più dolore, il piacere invase il mio corpo, la mia anima e il mio cervello, cominciai a rilassarmi e a godere come non mai, lui mi scopava alla grande e io venni una, due, tre volte, poi, come aveva fatto quella sera con la nonna, lo tirò fuori e mi prese per i capelli attirando la mia bocca ad accoglierlo dentro. Lo spompinai con difficoltà, lui affondava ed io respiravo a stento, ebbi veramente paura di morire soffocata, poi mi sborrò in bocca ed io per non perire ingoiai tutto il suo fiume di sperma caldo.
Mi ringraziò e si raccomandò di non dire niente alla nonna, poi mi disse che se avessi fatto la brava ci saremmo divertiti ancora io e lui.
La settimana seguente, l’ultima di vacanza, una sera, successe che””..

Buon sesso a tutti da parte di ombrachecammina
e-mail: alexlaura2620@libero.it

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