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La mia vicina di casa era una donna come tante, eppure aveva un congenito portamento, un innato e accattivante atteggiamento, in quanto era parecchio seducente, giacché spesso diventava per me un’istigazione istintiva e un pungolo involontario, almeno nei primi anni. Dopo due traslochi, siamo andati ad abitare in un palazzo di nuova costruzione quando io avevo vent’anni e lei ventinove, essendo già una sposina novella. Lei non era della mia città e non avendo amicizie né appoggi né contatti in paese, entrava sovente a casa mia per chiedere qualcosa a mia madre, dal momento che lei l’accoglieva trattandola quasi come se fosse una figlia. In primavera, laddove diventava possibile frequentare i balconi, iniziava il rito stagionale del caffè, una volta da noi e una volta da lei, mentre io facevo in modo di trovarmi all’orario stabilito sul terrazzino per ricevere l’invito. Trascorrevamo una buona mezz’ora assieme e riservavamo quell’appuntamento abitualmente dopo l’ora di cena, dove lo impiegavamo ognuno nel proprio balcone per conversare in modo amabile.

I balconi erano vicinissimi, in pratica erano distaccati e separati unicamente da una di quelle piccole vetrate trasparenti che restituivano rifondendo interamente la luce all’interno delle scale. Alcune volte, invero, capitava di proseguire fino a tardi, io, mia madre e lei, però raramente c’era anche suo marito, giacché per ragioni di lavoro lui quasi giornalmente era fuori sede e pertanto appena rientrava andava a letto. I primi anni e la presenza costante, stazionaria e inalterata di mia madre, che in questi momenti non erano a tal punto fastidiosi né scomodi più di tanto, io non avevo la consona accortezza né l’adeguata destrezza e nemmeno la furbizia per pensare di provarci, cosicché la mia vicina mi considerava in ultimo ritenendomi sennonché un ragazzino, malgrado ciò fu meglio così, perché lei non si difendeva né si riparava dai miei sguardi non impensierendosi né preoccupandosi della mia regolare presenza sul balcone, infatti, non era raro beccarla cogliendola in atteggiamenti e in comportamenti naturalissimi, che però producevano in me uno scompiglio intimo e un accalorato turbamento interiore non indifferente.

Lei era abituata e allenata al ritmo e alla vita della grande città, dal momento che non badava né si curava dell’abbigliamento. Noi abitavamo al quarto piano e di fronte a noi non c’era nessuno, quindi anche se lei s’affacciava con una sottoveste che al minimo alito di vento si sollevava scoprendo così il suo splendido culetto, non s’impensieriva né si preoccupava di nulla. A dire il vero chi poteva vederla, se non una signora che aveva passato e superato gli anni dell’astuzia e della malizia e un ragazzino che non c’era ancora arrivato? Tutto legittimo, naturale e spontaneo dunque, visto che lei era sempre e comunque semplicemente provocante e tentatrice, mentre io ero sempre lì presente a pedinarla e a spiarla con discrezione e con naturalezza. Gli anni però passavano inflessibili e silenziosi, così arrivammo entrambi a varcare i trenta. Ormai i miei genitori erano divenuti anziani, mia madre non reggeva più come una volta il ritmo delle conversazioni notturne e quindi di frequente rimanevamo soltanto io e lei a conversare sul balcone. In una di queste notti io ebbi quasi una folgorazione, una specie d’intuizione e mi chiesi, giacché lei avendo due bambini piccoli che stavano spesso a casa, essendo il marito fuori per tutta la giornata, per il fatto che gli unici momenti che potevano riservare alla loro intimità erano quelli che lei trascorreva sul balcone fino a tarda notte, quindi non mi rimaneva che passare saltando irrevocabilmente all’attacco.

Da quella sera, infatti, ogni mia singola parola e ogni mio gesto divennero razionalmente e scientificamente calcolati e misurati, perché potrei affermare d’avere cominciato già d’allora la mia pratica proprio su quel balcone, visto che ogni incontro era diventata un’autentica opportunità, una prova, una sfida d’aggiudicarsi e infine da vincere. Io avevo in realtà l’abitudine, sfruttando peraltro l’ombra pomeridiana di leggere o di studiare sul balcone, cominciai così a sistemare lo sdraio in modo che fosse sempre posizionato e rivolto verso di lei, che con regolarità s’affacciava sia per fumare quanto per leggere le riviste, per stendere il bucato e per tante altre faccende, che mi confermavano suggerendomi che lei cercasse inseguendo amabilmente la mia compagnia. Nel frattempo le discussioni notturne cominciavano a diventare più coinvolgenti e interessanti, non era raro infatti che s’approfondissero sviscerando per giunta argomenti e materie “piccanti e spinte” sulle nostre considerazioni e le valutazioni sul ragionamento della dedizione e della fedeltà. Io ero promesso sposo, lei mi suggeriva segnalandomi i suoi gusti sulla biancheria intima, che io maliziosamente confermavo, tenuto conto che mi stendeva sotto il naso dei perizomi e dei reggiseni di gran classe, a quel punto decisi che era giunto il momento di provocarla e di stimolarla apertamente, senza più allusivi atteggiamenti né sottintesi gesti.

Il pomeriggio dell’indomani fu decisivo, prendemmo il caffè assieme, a quel punto io ripetei più volte che avrei avuto un gran da fare sul balcone, perché era l’unico posto fresco, lei m’assecondò dicendo che aveva tanta roba da stirare e per via del caldo si sarebbe sistemata sul balcone. Due scusanti perfette, due pretesti ottimali, per non insospettire né per far preoccupare nessuno, però specialmente un’occasione eccezionale in cui saremmo stati di sicuro uno di fronte all’altra, costretti a tal punto a guardarci, perché era arrivato il momento esatto per attuare il mio lussurioso e lascivo intento. Io indossai i pantaloncini del pigiama cortissimi, tolsi gli slip e mi piazzai sul balcone seduto di fronte a lei accavallando opportunamente le gambe. In quell’occasione non fu difficile far uscire dai pantaloncini una porzione del mio cazzo, giacché questa situazione bastava per attirare la sua attenzione senza darle l’impressione né il segno che fosse una trappola.

Io faticai non poco nel tenere in quell’occasione il furibondo e infervorato soldatino a riposo, però la soddisfazione mi ricambiò ripagandomi di tutti gli sforzi compiuti, perché lei guardava eccome, sicché dopo un leggero rossore per l’improvviso stupore, lei cominciò una danza di movimenti per trovare la prospettiva che le consentisse permettendole di scrutare la scena per procurarsi la visuale migliore. Non so quante sigarette fumammo in quel pomeriggio, eppure alla fine dovetti correre sotto la doccia per placare il mio cazzo, visto che lui imprecava maledicendomi rlò di svariati argomenti, però nessuno voleva dire l’inevitabile e la necessaria buonanotte, ormai l’attrazione si era stabilita, ma come fare la mossa successiva? L’occasione tanto cercata arrivò quasi alla fine dell’estate, in verità io ho sempre detestato il caldo, però quella sera lo benedissi. A settembre, come per il canto del cigno, l’estate ci servì una serata di caldo fastidiosa e persino insopportabile. Eravamo sul balcone io, lei, suo figlio e suo nipote, momentaneamente ospite da loro a boccheggiare e con la certezza di non riuscire a dormire, a quel punto lei con una maniera creativa e geniale m’annunciò:

“Perché non entri qui da noi, così disputiamo una partita a carte?”.

Io accettai al volo quell’invito dividendoci in coppie secondo il criterio più logico: i grandi contro i piccoli, suo figlio e suo nipote avevano pressappoco tredici anni, così nel rispetto delle regole del gioco ci trovammo seduti di fronte, lei indossava uno dei suoi mini abiti e dopo qualche mano lei propose di bere qualcosa: whiskey e coca per noi, i ragazzi s’accontentarono della coca cola e dell’odore del whiskey. I bicchieri consumati stavano superando le mani della partita, benché la voglia di togliere i freni era enorme e quando si presentò l’occasione non me la lasciai sfuggire. I ragazzi ci stavano mettendo in difficoltà, io dovevo scegliere che carta buttare per crearci il minor danno possibile: in quell’istante la fissai negli occhi ormai lucidi per due interminabili secondi e le dissi allusivamente:

“Scusami, però devo provarci”.

La mia mano rilasciò una carta a caso, però il mio piede occulto s’avventò tra le sue gambe, un suo sorriso appena accennato mi confermò che potevo osare e mi spinsi per cercare il contatto con quelle mutandine, che quando le vedevo stese ad asciugare io avevo la piena sensazione che emanassero spargendo tutto l’odore delle sue intime secrezioni. Chi se ne fregava, sentivo che le sue mutandine avevano la necessità d’essere stese ad asciugare, tutto ciò era meraviglioso. Verso le due della notte il whiskey bevuto a grandi sorsi con tanta generosità volle ricambiarci, lei disse che doveva andare in bagno, s’alzò, e appena uscita i ragazzi mi chiesero delle sigarette, che avrebbero fumato di nascosto sul balcone, approfittando in tal modo della sua assenza. Lì capii celermente, che i ragazzi sarebbero rimasti in disparte senz’uscire dalla stanza, così in quel momento decisi in modo determinato di giocarmi la carta dell’incosciente dicendo in modo avventato:

“Va bene, mentre voi fumate, approfitto anch’io per andare in bagno”.

Uscii dalla stanza e vidi al buio del corridoio la luce che filtrava dal foro della serratura del doppio servizio; lei era lì, mentre si sentiva dalla stanza da letto il marito che ronfava rumorosamente. Adesso oppure mai più, ripetei risoluto e senza tentennamenti verso me stesso, azzardai sulla serratura sbirciando a volontà, evidentemente a casa non avevano l’abitudine di chiudersi con la chiave, entrai e la trovai mentre con il pelosissimo nero pube bene in vista, si stava tirando su il perizoma. In quel frangente scossi la testa come per dire di no, lei timidamente e in silenzio m’intimò riservatamente d’uscire, però non era per niente convinta. In un attimo io l’abbracciai in maniera focosa, per aria schioccò un bacio d’asfissia, le afferrai una coscia e le appoggiai il piede sul bordo della vasca, una breve toccata alla sua intimità e appena sentii i suoi fluidi abbondanti la penetrai lì in piedi.

Il nostro irruente e passionale contatto fu un ondeggiare vibrante, frenetico e vivo, impreziosito, abbellito e manifestamente condito dai morsi che presi sulla mano, mentre tentavo di metterle le dita in bocca per bloccarle i suoi chiassosi, strepitanti e intemperanti gemiti. Trascorsero pochi attimi, poiché esigui e intensissimi, furono i minuti di passione e di trasporto che esplosero manifestamente marchiandola interamente, seguito dal flusso abbondante e lattescente della mia lussuriosa e libertina sborrata finale, sopra la sua pelosissima e deliziosa nerissima fica. Bagnato di sudore io ritornai in cucina e trovai i ragazzi, che scherzando allegramente e felicemente tra di loro, ridevano beatamente e spensieratamente sul balcone.

Il marito prosegue presentemente a oziare ronfando, i ragazzi oggi sono diventati grandi e affermati giacché abitano distanti dalla madre, la nostra relazione procede attualmente in modo appagante e piacevole, intervallata palesemente tra l’altro in un crescendo di scopate assurde, impensabili e stravaganti.

{Idraulico anno 1999} 

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