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Booty Call

By 23 Febbraio 2016Dicembre 16th, 2019No Comments

Appoggio la mia birra vuota sul bancone della cucina. Ho bisogno di smettere di pensare, e in questo momento, b&egrave, tu sei quello che mi fa smettere di farlo. Le mie dita scorrono sullo schermo del telefono.
Rispondi al secondo squillo.
“ehi” mi sento un solletico nella pancia a sentire la tua voce. &egrave sbagliato, ma mi fa sorridere.
“ehi. Non dovresti tenere sempre il cellulare in tasca. Fa male.”
“era sulla scrivania… Che c’&egrave?” Sei ancora in redazione, poverino… Dovrò farti rilassare.
“chiama Elisa, dille che hai da fare in ufficio e torni tardi, c’&egrave un imprevisto” dico con tono serioso, pacato, questioni della massima urgenza che fanno tremare la tua voce, stanca dopo ore di lavoro.
“… Che imprevisto?” Sento il tuo cervellino che comincia a scavare in ogni direzione come un piccolo roditore in cerca di cibo, qual’&egrave il problema? Quale può essere? Mi godo la sensazione del tuo panico per un istante, mordendomi un labbro.
“… Ho voglia di sentirti dentro. Adesso. Subito. Vieni qui, immediatamente. Ti voglio dentro di me.” Non saprei come altro esprimere la voglia che mi attanaglia le viscere.

So che stai correndo da me. La mia voglia di te &egrave un mezzo per staccare la testa, mi serve. Mi appoggio al bancone guardandomi i piedini. L’ho fatto ancora. Ho chiamato te per del sesso occasionale, del sesso strumento per rilassarmi, del sesso contro il vincolo del tuo matrimonio. Sono una persona sporca.
Non che tu ti opponga. Basterebbe dirmi no.

Ma come puoi dire no a me, che mentre aspetto la tua scampanellata tolgo abiti dal letto, e sculettando lascio scivolare il perizoma in mezzo al salotto. Lo vedrai, inevitabilmente. Sono bollente. Ustionante. Non puoi resistermi. Dovrò fare qualcosa io.

*driiiii!!*
Sobbalzo io, il fondo della birra, i miei seni dai capezzoli ritti e tutta la mia agitazione nel pancino quando suoni, e come una bambina la mattina di Natale saltello da un piede all’altro aspettando dietro la porta che il lento ascensore arrivi al piano. Sento i tuoi passi dietro l’angolo, arrivi, ci sorridiamo.
La porta si chiude mentre già sono adesa a te e ti bacio, ti sfioro, mi stringo.

Dammi la lingua, dammi la tua bocca, fammela esplorare, ho voglia di danzare con il mio muscolo attorno al tuo, di intrecciarli assieme, senti quanta voglia ho…
“santo… Ma che hai?” Sospiri affannato appena ti concedo di staccarti. Guarda la mia bocca carnosa. Guardala. Ti tengo il mento con una mano per assicurarmi che tu lo faccia.
“ho voglia di farmi scopare da te anima e corpo. Spegni il cervello, accendi il cazzo.” Sorrido sentendo il turgore pulsante adeso al mio inguine “esatto. Cosi.”

Quanti minuti ci abbiamo messo a trovarci nudi? Un paio? Non ti ho stracciato i boxer solo perché devi tornare a casa.
Solletico questo grosso e pulsante organo con vivaci danze di lingua, arrovello la punta sul tuo glande profumato di maschio, ingurgito tutto. Fino. Alle. Palle.
Mi fa impazzire l’odore del tuo pube, la tua cappella nella mia gola, e pure a te.
Elisa non lo fa. E quando lo fa, non lo fa così. Io sì. Per questo corri da me, anche se ti sto usando come un cazzo per fottermi fuori ansie e pensieri.
Perché nessuna nella tua vita ti massaggerà mai l’asta con piccoli sobbalzi di lingua, nessuna ti porterà le mani alla sua nuca, tra i capelli, e si sfilerà il tuo cazzo lercio di saliva bollente solo per dirti “scopami in bocca.”

So che ti fa impazzire, sento saltare la tua inibizione e cominciare rudemente a muovermi la testa. Sì. Così.
Fammi astrarre dai miei pensieri, concentrata a respirare, deglutire, non rigurgitare saliva e umori, sono solo respiro, respiro e il rumore bagnato e viscido del tuo cazzo nella mia testa, non solo metaforicamente.

Sento che rallenti, cosa credi di fare, di venire e non fare altro? No caro, so che dopo la prima esplosione ci sono buone probabilità che ti rimanga in tiro e poco sensibile. Quello che mi serve, quindi…
Scivolo con la testa indietro, sento la tua cappella che scorre nella laringe, sul palato, sulla lingua.
Stacco con uno schiocco le mie carnose e fradice labbra, deglutisco istintivamente mentre ti fisso.
“ho detto di scoparmi in bocca, stronzo.” Non sopporti proprio che ti insulti, lo so e per questo lo faccio.
Mi sfugge un gemito di fastidio quando mi afferri i capelli con una mano. B&egrave, non tirare, fa male.
Il primo colpo del tuo uccello sulla mia guancia arriva viscido e deciso, il secondo più atteso, socchiudo gli occhi sorridendo.

Mi stai schiaffeggiando con il tuo membro, tenuto da una mano tremante.
“… Porta rispetto, Vik.” Dici serioso. Stiamo giocando tutti e due, perché sarò pure qui in ginocchio con il tuo cazzo che mi passa sulla bocca, ma sei tu quello corso qui, quello sposato.

Lo leggi nel mio sguardo. “No. Nessun rispetto. Sei uno stronzo.” Afferro il tuo cazzo e lo sego con ferocia. Vieni, sarai più a lungo il mio giocattolo. Voglio che tu venga. Devi venire. Ti ordino di venire, stronzo.

Io sono in ginocchio, con una mano a tirarmi i capelli, ma ti sto strizzando fuori sperma e dignità.
Le parole mi escono ustionanti come lava dalla bocca.
“Sei solo il mio giocattolo scacciapensieri.
Sei la mia booty call. Sei il vibratore ecologico senza pile. Il mio porno interattivo. Tu, perché scopi bene, se non rispondevi, chiamavo un altro.”

Ansimi e rantoli, li sopra. “… Ti odio…” Piagnucoli, sentendo montare l’orgasmo. “non &egrave vero.” Dico tranquillamente, ficcandomi il cazzo in gola e sentendo la tua contrazione eiettare getti di seme e piacere.
Hai un buon sapore, e non &egrave da tutti. I giocattoli vanno scelti di qualità.

Osceno, flaccido, lurido rumore del tuo cazzo che risucchia la mia cavità orale uscendone, strizzo l’asta che si rilassa e la punta della lingua indugia a bere le tue ultime gocce mentre già mi rialzo con le gambe indolenzite. Due falcate e sono al tavolo, bevo un’altra birra, mentre ti guardo ansimare, in piedi. Sei un lavoro ben fatto. Sei il bozzetto di un quadro, ben realizzato, ora devo dipingere il resto.

“perché siamo sempre cosi?” Chiedi stupidamente avvicinandoti al tavolo, tremebondo. Sei mio e lo sai.
“perché siamo due merde.” Rispondo seccamente. “tu, marito cornificatore che corri da me ad ogni schiocco di dita. Io, stronza che ti chiama perché le scopi bene il cervello.” Poggio la birra con un colpo secco. “Due merde. Vieni in camera da letto, voglio stare comoda mentre mi scopi.”

Attraverso la sala e il corridoio fendendo l’aria del mio piccolo regno. Incrocio lo sguardo della gatta che se ne esce da chissà dove, c’&egrave un’intesa predatrice tra di noi, sicuramente sente l’odore delle mie voglie, del mio calore, del mio essere femmina, e del tuo venirmi appresso dopo un sorso di birra, ipnotizzato dal mio culo di marmo e dal suo dondolare.

Mi fai morire come la lecchi. E ti lascio portarmi al piacere perché tu sei solo la mia booty call, se ti fermassi saresti inutile. Vibratore scarico. Non sarebbe un buon affare per me, giocattolino.
Mi fai godere decisamente bene. Dammi un minuto mentre galleggio nel mio orgasmo di donna, scivolo nell’assenza di peso e pensieri, mi ricompongo, inalo ossigeno fissando il soffitto.

“fatti succhiare il cazzo.” Sibilo, ordino. A cavalcioni me lo porgi subito. &egrave venoso, pulsante, intrigante, appagante. Ed &egrave bello teso, rimbalza sotto al mio dito, mentre ci tamburello sopra, mentre con l’unghia del pollice stuzzico dove dovresti avere il frenulo. Sospiri. Sto solo controllando il mio giocattolo. Non sei altro. Tutto bene, ispezione passata, e la voglia di averti dentro…

Beh, &egrave tantissima. Ti mangio ancora un po’ guardandoti negli occhi.
“sbattimelo dentro, girami, schiaffeggiami, fottimi, fammi urlare, fammi godere. Fai tutto quello che vuoi, ma fammi godere.”sussurro lasciando cadere la mano e fissando il tuo cazzo pulsante e lucido della mia bocca.

Arretri, mi apri le cosce, poggi la cappella e in un colpo sei dentro. Non &egrave fare l’amore. Non c’&egrave altro tra noi che l’essere due merde che vogliono godere. Mi sento sporca. Non mi importa, stringo le lenzuola mentre mi fotti il cervello.

Remissiva mi giro, mi lascio prendere per i capelli e premere nel letto culo all’aria, tu fai come ti pare, basta che mi fai godere e dimenticare tutto.
E lo fai. Per quello sei la mia booty call affidabile.

Mordo un lenzuolo mentre ormai sei quasi in piedi sul letto e io sono con il sedere in aria, totalmente disarticolata nel piacere di sentirti affondare cosi dritto in me. Socchiudo gli occhi e vedo la gatta che mi fissa.

Mi mette a disagio, ma lei sa cosa si prova. Lei &egrave femmina come me, attraente per i maschi che la corteggiano e desiderano. Sono femmina, mia gatta, e lui &egrave un cazzo che affonda in me sbattendomi in un punto che mi fa impazzire, e sento i miei umori scivolare dal sesso fradicio giù per il pancino. Culo in aria, lui sopra di me, un martello pneumatico.

“&egrave solo un maschio capace” sorrido al felino. “come??” Ansimi tu, sopra di me. “niente. Parlavo alla gatta. Le ho… Mmh… Spiegato la situazione.”
“…nn… Ffh… Sei matta, Vik.”.
“taci e chiavami, merda.”
Obbedisci e taci perché questa sensazione di poter essere solo un maschio non te la dà tua moglie.

Solo io. Godo, godi, svuoti le tue voglie in me, in un denso getto caldo che sento tutto.
Finiamo a letto sdraiati vicini e affannati. Sono sporca di tutto, dentro e fuori, metaforicamente e no.

“vai a lavarti. Chiama Elisa. Dille che la porti fuori a cena visto che &egrave tardi.” Dico fissando il soffitto.
“come?” Quanto sei coglione.

“chiama tua moglie, portala fuori a cena, comprale un fiore. Dille che la ami. Non rispondermi più al telefono.”
Mi guardi, capisci che sono seria. Il tuo seme mi cola un po’ fuori dal sesso, esce come voglio che esca tu.

Un quarto d’ora dopo ho chiamato io un ristorante che so ha sempre posto se glielo chiedo. Sei pulito, non hai il mio odore. Ti bacio sulle labbra lentamente, non posso oltre perché sono ancora nuda e sporca. Ci guardiamo un minuto.

“Stammi bene.” Sorrido sull’uscio, mentre chiami l’ascensore.
“Lo farò.” Apri la porta della cabina.”Ah… Vik?”
“sì?”

“non sei poi troppo una merda.”

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