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Borderline

By 19 Novembre 2012Dicembre 16th, 2019No Comments

Quello che vi racconto oggi è la vera versione della mia relazione con Ameliè, una relazione che ho opportunamente censurato con la polizia che adesso sta setacciando ogni angolo della mia casa. Ovviamente ho risparmiato i dettagli più scabrosi, mi sono limitato a dire che avevamo avuto una relazione sessuale piuttosto’ ‘piccante’ ma d’altronde è palese come la colpa non sia mia. E’ nella sua lettera la sua ammissione, io neanche c’ero.
Certo, lo avevo capito che era un po’ fuori’ ma di certo non immaginavo fino a tal punto.
E quando entrai in casa mia non potete immaginare la macabra sorpresa’ .

L’avevo conosciuta ad una mostra d’arte.
Era la tipica modella di costumi da bagno: biondina, esile, un po’ di curve e tutte al punto giusto, un bizzarro mix tra una più in salute Kate Moss e una altrettanto simpatica Cameron Diaz.
Era lì ferma, a fissare una bizzarra sedia a tre gambe, due anteriori e una grossa centrale posteriore, ricurva sul fondo, che nonostante la parvenza anteriore, le toglieva stabilità. Io lì per lavoro, lei invece stranamente interessata. La squadrava così intensamente da notarla muovere il capo a seguire le curve della bizzarra sedia rossa, innalzata di 20 cm da terra su un piedistallo bianco in una stanza altrettanto candida. E mentre la gente osservava le sculture in giro, mi avvicinai cercando di interessarla.
‘Fantastica opera, non crede?’
Lei annuì a malapena con la testa.
‘Lei cosa crede rappresenti?’ le chiesi.
‘Dovrebbe rappresentare la precarietà della vita, l’instabilità che c’è dietro all’apparente sicurezza di essere vivi’ tutti noi, qui’ adesso, oggi”
‘Si, ma’ secondo lei’ cosa rappresenta?’
Si voltò per un attimo e sfoggiò uno dei suoi migliori sorrisi. Sorrisi che poi imparai a conoscere’ fatti di sottile e lucida follia.
‘Io?’ disse ‘Io penso che ci scoperei su quella sedia”.
Mezz’ora dopo l’avevo caricata sulle spalle perché imballaggio per lei non ce n’era e avrei dovuto portarla a casa in qualche modo. Mi curai di passarle davanti’ mi era costata 3500 euro quella fottutissima sedia e mi aspettavo un qualche risultato. Assurdo ma vero, l’aspettativa era quella.
E ancora più assurdo, lei mi seguì per davvero. Le passai davanti fingendo più fatica del normale, abbastanza lentamente da farmi notare. La tenevo con la seduta su una spalla e lo schienale giù, frontalmente; le tre gambe svettavano per aria, le frontali più sottili e la posteriore più spessa e incurvata sul basso.
‘L’ha comprata lei?’
‘Si, signorina’ ci scoperei su volentieri anch’io, sa?’
Mi sorrise.
‘La inviterei a casa ma’ è fidanzata?’
‘Non più’.
Mezz’ora dopo eravamo a casa mia, con la maledetta sedia che avevamo caricato a fatica nella mia porsche. Eravamo nudi entrambi’ così veloci nello spogliarci da sembrare di non esserci affatto vestiti per uscire. Si impalava di voglia sul mio cazzo, io seduto sull’assurda sedia rossa e lei cavalcioni su di me. Si arrampicava addosso al mio corpo, si reggeva stretta allo schienale e mi fotteva mentre io la tiravo su dai glutei con le mani e l’aiutavo a ricadermi addosso. Nonostante il precario equilibrio che ci forniva, utilizzammo la sedia in tutti i modi possibili quindi dopo poco era lei ad avere le mani sulla seduta della sedia e il culo per aria per farsi prendere; minuti dopo io la leccavo bene tra le cosce, labbra e clitoride, e la riempivo mentre era a pecora, ginocchia sulla seduta e mani sullo schienale.
Non so se per la sedia o per virtù sua’ gridava follemente e godeva in un modo assurdo. Sembrava non averne mai abbastanza e dopo un po’ finimmo a terra, ripulendo coi nostri corpi ogni angolo del pavimento del mio bilocale in pieno centro.
Quando dopo un paio di ore si fermò, stanca anche di farsi masturbare seduta su quella stessa sedia, sporta in avanti il giusto perché potessi scoparla con un paio di dita nella sua fessura bagnatissima, le chiesi il nome.
‘Ameliè’.
‘Dario’.
Respirava a fatica e sghignazzava’ sembrava all’incirca vicina ai 30 ma il fisico troppo esile le dava un’aria più infantile.
‘Cosa ci facevi alla mostra Ameliè?’
‘Ero lì per far piacere al mio ex ragazzo’.
‘Ex ragazzo?’
‘Si, l’autore delle sculture!’
‘Ah’ beh, gran talento lui’ mi spiace sia finita”
‘Oh, figurati! Lui ancora non lo sa di essere diventato il mio ex ma gli telefonerò per dirglielo! Si riprenderà in fretta, vedrai!’
Quella sagoma assurda di donna era seduta nuda sul mio divano a dirmi di aver deciso di mollare il ragazzo neanche qualche ora prima per venire a scopare con me e il meglio fu’ che dopo continuammo. Continuammo fino a notte tarda e andò via solo l’indomani mattina dopo avermi ampiamente spompato e avermi lasciato il suo numero di telefono. Si curò di prendere a sua volta il mio numero. Mi disse avrei potuto chiamarla per scopare tutte le volte che mi andava e a me stava bene, era gnocca e porca, non avrei potuto trovare di meglio. Neanche la mia ultima amica di letto era goduriosa quanto lei.
Avrebbe voluto in regalo la sedia ma le dissi no e dopo 5 minuti di preghiere strappapalle le diedi copia del mio mazzo di chiavi (cosa inconsulta ma dopo la follia di quella notte, lo feci) dicendole che avrebbe potuto venire a trovare la sedia quando le pareva ma non portarla via o mi sarei seriamente incazzato.
Arrabbiatissima, con in mano il mazzo di chiavi, sbraitava e quasi me le tirò dietro. Poi, dopo avermi fanculizzato e dopo essersi altrettanto rapidamente scusata, visibilmente delusa le mise in tasca a se ne andò.
Pochi giorni dopo mi telefonò visibilmente allarmata. Mi disse di non saper chi chiamare, di essere in un bar di periferia con un ragazzo che la perseguitava e con apprensione mollai tutto e mi affrettai a raggiungerla.
Quando arrivai alla bettola in periferia che mi aveva indicato, la vidi seduta all’interno su di uno sgabello. Discuteva vivamente con un ragazzo nerissimo, sul bancone c’erano impilati almeno 5 o 6 libri stretti a più riprese in una liscia corda lucida.
Mi avvicinai impettito, pronto a darle all’importunatore se necessario, ma la vidi alzarsi e venirmi incontro sorridente.
‘Ciao Dario!’ mi si strinse al petto.
‘Tutto bene Ameliè?’
‘Oh si’ rispose candida ‘non voleva derubarmi o farmi del male! Voleva solo scoparmi!’
‘Ah’!’
‘E io gli ho detto, Dario’ che mi lascio scopare da lui solo se mi lega con quella robusta corda!’ e indicò il lungo cordone lucido che avvolgeva il malloppo di libri.
‘Allora tutto a posto? Posso andare Ameliè?’
‘Noooo! Devi restare!!!’ disse, arricciando la bocca come una bambina.
‘No? E perché? Io in tutto questo cosa centro?’ chiesi.
‘Ma tu devi badare a me, no? Potrebbe farmi del male, che ne so???’
‘Ameliè, di solito non seguo le mie amiche per badarle nelle loro scopate occasionali”
‘Eddai Dario, che ti costa? Non dirmi che non ti eccita una trasgressione del genere perché non ci credo!’ prese la mia mano e se la portò sul petto, nel solco tra quelle belle tettine dure che aveva. Negli occhi aveva la stessa luce folle del giorno in cui la scopai con la sedia e un sorriso assurdo ma vagamente conturbante. Iniziai a chiedermi se mi trovassi di fronte ad una ninfomane ma non mi sembrava propriamente tale.
Solo un bel po’ fuori ma non ninfomane. Mi dicevo che in un certo qual senso doveva essere malata di sesso, perversa, deviata. Qualcosa in lei chiaramente non andava ma era difficile capire cosa.
Inutile dire che accettai… ma si, ero già lì, e mi buttai in ballo con loro, titubante ma incuriosito.
Il nero, Alan, ci portò in un condominio poco lontano, 5 minuti a piedi in una stradina parallela. Pregavo per la mia porsche parcheggiata vicino al bar che rimanesse intatta’ che magari, vista la zona, neanche la mettevano in moto per fregarmela. Direttamente me la trascinavano via caricandola di peso.
L’appartamento si trovava in un vecchio condominio degli anni 60. Le pareti interne erano ingiallite quanto quelle esterne e non c’era ascensore. Fortunatamente facemmo poche rampe di scale per ritrovarci dinanzi ad una porta più di cartone che di altro. Dal suo interno veniva puzza di chiuso e umidità ma Ameliè sembrava non provarne fastidio o forse era troppo distratta dalla mano del nero che la ravanava dentro al pantaloncino di jeans già da un paio di minuti.
Arrivati dentro ci dirigemmo direttamente verso una camera da letto spoglia. Unico odore di pulito proveniva da un paio di lenzuola appena messe sul materasso e nonostante ciò ingiallite e vagamente macchiate. Iniziò a togliersi tutti i vestiti, prima la leggera camicetta di velo fiorata, poi il pantaloncino. Tolse gli slip e il reggiseno bianchi candidi e attese che il ragazzo slegasse il suo malloppo di libri.
Mi fissava quasi allucinata dalla voglia, traspirava da lei un senso di dominio e al contempo di concessione di se stessa. Una dea che si concedeva in adorazione.
Schifato dall’ambiente, decisi di restare solo per lei, perché non si facesse per davvero del male.
Ma decisi di non partecipare alla trasgressione in cui mi aveva coinvolto, mi sedetti su una sedia poco distante e li guardai.
In fondo non mi era stato chiesto nulla ma solo di badare a lei e, quasi a volerla punire, restai immobile e distaccato, del tutto vestito, seduto su una sedia parzialmente imbottita disposta a fianco al letto.
La grossa corda le si arrotolava attorno ai polsi e la congiungeva alle sbarre del letto. Era legata all’altezza di metà della inferriata superiore del letto, a pancia in sotto, e teneva le ginocchia piegate sul giaciglio. Con fare libidinoso muoveva il culo per aria invitandoci a prenderla.
Il nero tirò giù il pantalone mostrando un cazzo imponente più per larghezza che per lunghezza, una vera sbarra nera che svettava diritta davanti ai nostri occhi. Dopo avergliela mostrata e essersi posizionato dietro ai suoi glutei, la divaricò di poco con le mani per vederle bene la figa aperta e gli spinse il cazzo dentro e del tutto fuori, lentamente e più volte fino a ritenerla essere abbastanza bagnata da accoglierlo a dovere.
Dopo poco iniziò a divertirsi con lei, avvicinò il membro duro al suo culo e glielo sbattè un paio di volte sulle natiche sode, poi iniziò a strusciare il glande su e giù lungo lo spacco inoltrandolo di poco tra le labbra. Ed ecco che arrivò d’improvviso un profondo affondo e un sonoro ceffone sul culo.
Ameliè gridò dal dolore e il ragazzo mi guardò dritto negli occhi in cerca di consenso.
‘Beh, è una puttana. Merita più di uno sculaccione!’ dissi e il ragazzo mi sorrise.
‘Giusto’ rispose e ne mollò uno più forte del precedente dopo essersi bagnato la mano con un po’ di saliva affinchè facesse più male del precedente.
‘Non era nei patti!!!’ gridò Ameliè. Iniziò ad inveire contro di noi, a chiamarci stronzi, a dirci che ce l’avrebbe fatta pagare, ma né Alan né io battemmo ciglio. Si contorceva tutta dal dolore, le natiche erano rosse in modo incredibile. Alan le aveva aperto bene lo spacco con le mani e le dava rumorosi colpi ovunque, soprattutto sui punti più sensibili, facendola sobbalzare. Le strizzò forte il clito mentre mugugnava quasi in lacrime e quando fu gonfia e sensibilissima tutta, affondò di nuovo il cazzo dentro lei. Iniziò a sospirare, a gemere di piacere incitandolo a scoparla sempre più forte.
Alan ci sapeva fare, il letto tremava tutto e la loro vista aveva scatenato in me una potente erezione. Restavo comunque impassibile sulla sedia. Non mi aveva chiesto alcuna opinione, mi aveva trascinato lì contro il mio volere quindi non le avrei dato soddisfazione di godere né con lei né per lei.
Se fossero durati a lungo, credo sarei venuto dentro i pantaloni ma per fortuna, dopo averla rotta ben bene e dopo numerosi suoi orgasmi, la lasciò andare. La slegò e la vidi avvicinarsi a me sorridente camminando a gambe semiaperte come una papera.
‘Dario, sapessi! Sono rotta’ sono tutta rotta!’
Prima di salutare il nero, Ameliè volle la corda e lui gliela diede volentieri insieme ad una ulteriore pacca sul culo. Inutile dire che Ameliè sobbalzò poiché aveva colpito un punto dolente.
Raccolsi Ameliè, più stordita che altro e con un grosso sorriso ebete stampato sul viso. La portai in una stradina più centrale della città dove disse esserci casa sua e mentre vi ci recavamo mi raccontava quanto avesse goduto, inveendo contro di me al contempo per aver permesso ad Alan di sculacciarla. Ogni cosa da lei detta diventava poco dopo l’opposto dell’altra in un turbinio di sensazioni confuse e contrapposte ma non ci diedi molto peso, avevo il cazzo che continuava a spingermi nei pantaloni e sarei scoppiato a resistere ancora così.
La mollai senza tanti saluti e corsi nel primo bar vicino al mio ufficio per masturbarmi. Solo dopo aver goduto sborrando nel cesso, riuscii a tornare a lavoro seppur fossi molto agitato comunque. Passai quindi la giornata a chiedermi in che porca fossi incappato e non ebbi pace neppure a sera quando, tornato a casa, ripresi a masturbarmi a causa di Ameliè.

Dopo un paio di giorni iniziammo a frequentarci con assiduità, più che altro il ‘frequentarsi’ era una scusa per scopare in ogni dove’ nei bar, nei ristoranti e nei rispettivi bagni, nei parchi dove andavamo cercando di fare una innocente passeggiata, in auto sotto casa ancor prima di partire’ infine direttamente a letto, senza dover cercare alcuna scusa. I nostri incontri adesso si limitavano al trovarmela davanti alla porta di casa e infilarle una mano tra le cosce per tirarla dentro, senza neanche dirsi ciao.
Dopo un po’ di tempo però riuscimmo ad incontrarci fuori quasi come una coppia normale, senza però mai esserci raccontati più di tanto di noi né esserci chiesti se si stava seriamente insieme, senza promesse di fedeltà e amore per sempre. La stranezza del suo carattere emergeva tanto violenta quanto sporadica: se qualcosa non le piaceva, anche le più piccola e stupida, mi mandava senza ragione a quel paese e, come se le fosse stato fatto un torto personale, fuggiva via incazzatissima invocando tutti i santi e tutti i diavoli.
La cosa, sinceramente, non mi turbava più di tanto visto che la maggior parte delle volte in cui si presentava a me era allegra e soprattutto eccitata come fosse una tossica che aveva appena preso una dose ma ormai che fosse fuori di testa lo avevo ben capito ed ero consolato dal fatto che comunque non sclerava mai con me ma andava via in tutta furia smadonnando e questo mi levava d’inghippo dal maggior rompimento di palle possibile che ti possa rifilare una donna coinvolta con te in una relazione stabile. A volte invece, la vedevo prendere pasticchette colorate che d’improvviso ne stabilizzavano l’umore e che lei mi diceva essere per la sua ‘cefalea acuta’ che l’aveva tormentata fin da piccola e che, inevitabilmente, ne pregiudicava l’umore per il dolore che le procurava.
Per il resto, non poteva che andare tutto bene.
Un giorno di quelli in cui ci frequentavamo più assiduamente venne a prendermi in palestra.
Ero solito praticare un po’ di boxe, mi aveva coinvolto Stefano, un mio amico di università con cui era scattata una profonda intesa ed erano ormai anni che frequentavamo lo stesso posto. Era usuale per noi fare le cose assieme, è sempre stato una specie di fratello per me e non abbiamo mancato di condividere anche alcune donne così quando Ameliè varcò la soglia della stanza dove ci allenavamo, gremita di uomini sudati, e mi salutò da lontano con un gesto della mano, Stefano iniziò a chiedermi di lei.
‘Hai una nuova amica? Ma bravo! E non mi dici niente?’
‘Non è molto che la vedo.’
‘Ha un fisico niente male’ dovrei guardarle il culo però per darne un parere adeguato. E’ un po’ magrolina’ non è proprio il tuo tipo, non preferivi le donne con più tette?’
‘Scopa da indemoniata’ tirai un pugno al sacco e poi ancora un paio per completare l’allenamento. Frattanto Stefano si asciugava il sudore con un asciugamano e sfilava i guantoni. Con fare da duro e passo a gambe larghe, da sbruffone, si diresse verso Ameliè che mi aspettava in fondo alla sala ancora piena di ragazzi intenti ad allenarsi. Mi fermai ad osservarli, vidi Stefano fermarsi davanti a lei e porgerle la mano. Dopo essersi scambiati poche parole, lui mi indicò e lei si diresse verso me, lui la seguiva, osservava il suo culo e annuiva, mi faceva ok con le dita e la guardava da pervertito. Davvero non è mai cambiato in tanti anni’ sempre fissato coi culi.
‘Ciao Dariuccio’ mi stampò un bacio sulla bocca. Aveva labbra morbide e profumate, si guardava intorno, vedemmo la palestra svuotarsi progressivamente, era tardi e gli ultimi frequentatori stavano uscendo per la fine del loro turno.
‘Dariuccio mi porti a cena? Ho voglia di scoparti nel bagno di quel ristorante che hanno aperto due giorni fa proprio all’angolo della strada” mi disse con voce da gatta.
‘Ameliè sono un po’ sfatto”
‘Suuuuuuuuu’ ti preeeeego!!!’ sbatteva le ciglia di quei grandi occhioni’ cosa non avrebbe fatto pur di vedersi esaudita? Era capace di tentare qualsiasi cosa pur di coinvolgere il malcapitato di turno e, ultimamente, quel ‘malcapitato’ ero io.
‘Va bene, farò una doccia e ci andremo’.
‘Ehm ehm!!!’ si schiarì la gola Stefano.
‘Oh, si’ hai conosciuto Stef, si? E’ un mio amico dai tempi dell’università.’
Si guardarono e si scambiarono un sorriso.
‘Bene Stef, io vado.’
‘Speravo potessimo prendere un caffè tutti e tre assieme!’ mi guardò con un sorrisetto strano’ vuoi scopartela Stefano??? Cazzo, ma non posso condividere tutte le donne con te! Tu non mi caghi neanche quando sei in giro con qualcuna!
‘No, scusaci ma le ho promesso un’uscita, sarà per un’altra volta!’ risposi secco.
‘Si, Dario mi porta al nuovo locale che hanno aperto all’angolo’ così mi ci scoperà nel bagno”
‘Ah si’?’ rispose incuriosito.
Ecco, s’era svelata per la puttana che era, adesso civettava con il mio amico e ad un certo punto mi mise la mano proprio sui pantaloni. Il cazzo mi si rizzò all’istante, il tocco improvviso e inaspettato lo aveva risvegliato in modo repentino e la vedevo divertita a toccarmi il bozzo ormai evidente mentre scambiava battute con Stefano.
In quel momento non capii davvero più nulla e, giuro, neanche mi accorsi di come la mano di Ameliè fosse al contempo finita anche sul bozzo duro che sporgeva dal pantalone da tuta di Stefano. Mi guardai di nuovo attorno e notai che oramai la saletta era tutta vuota ma ci posso scommettere che, se ci fosse stato qualcun altro lì come noi, Ameliè non avrebbe affatto disdegnato che la situazione degenerasse in un’orgia.
Vidi la mano di Stefano afferrare una delle sue tettine dure’ da sopra la maglietta aveva stretto tra pollice e indice un capezzolo che campeggiava al di sopra del bordo del reggiseno. Ameliè gemeva dandomi le spalle, Stefano strizzandola mi guardava compiaciuto e mi diceva ‘Te la ricordi Martina? La barista del Castlebar800?’.
Martina era una gran porca, ce l’eravamo scopata occasionalmente a turno ai tempi dell’ultimo anno di università, senza che l’uno sapesse che se l’era fatta anche l’altro. Era stata lei a dircelo, dopo averci visto assieme ed aver appurato che eravamo grandi amici. Si era quindi deciso di comune accordo con lei di scoparsela assieme ma per una serie di imprevisti la cosa non andò in porto, poi Martina finì anche in ospedale per una settimana con una gamba rotta per una caduta dalla moto; la prognosi fu di qualche mese di riabilitazione e l’intento sfumò del tutto.
Ci rimase comunque come fantasia, come desiderio di farlo appena se ne fosse presentata l’occasione, ed era una parola magica adesso il suo nome, ‘Martina’.
Ameliè in quel momento doveva star sfoggiando uno dei suoi folli sorrisi, ne sono certo, lo leggevo nello sguardo da ebete (che credo di aver assunto anch’io più volte a causa sua) di Stefano il quale, dopo poco, afferrò l’elastico in vita e iniziò a calarsi i pantaloni da tuta. Mostrò una mazza dura, più ricurva rispetto alla mia, con una cappella dal colorito rosso che spiccava su un’asta quasi ambrata. Rispetto a me, Stefano era più bruno, mediterraneo, e l’asta si innalzava in una foresta di riccioli scuri. Infondo il suo cazzo lo conoscevo, tempo addietro avevamo anche diviso lo stesso appartamento e capitava di vedersi uscire nudi dal bagno.
In tali circostanze, ogni sguardo più insistente veniva apostrofato con un ‘Ma ‘cazzo guardi? Vuoi cambiar sponda?’ e una risata goliardica.
Ameliè si chinò in avanti per prendere in bocca l’arnese duro di Stef dandomi il culo e notai sotto la mini nera e corta uno striminzito perizoma viola e il bordino delle autoreggenti ben adese alle sue cosce magre.
Le scansai quella striscia di tessuto con due dita e come sempre ci trovai un lago di umori, una figa ben depilata ed completamente irrorata. Ebbe un sussulto al mio tocco e iniziò a succhiare con più intensità il mio compagno di scorribande. Approfittando della palestra vuota, la portammo in un angolo dietro un sacco di quelli appesi al soffitto, 1,50 m di altezza per 50 kg di peso, che ci faceva in parte da schermo ad occhi indiscreti.
Stefano la fece girare di spalle verso sé e le tirò giù la gonna.
‘Che bel culo, Ameliè! Piccolo e tondo! Sembra quello di una ragazzina!’ lo vidi affondarci dentro il viso e, ingelosito e mosso a rabbia dal suo godimento, le spinsi la testa sul mio cazzo in modo violento.
‘Ti piace Ameliè? Ti piace essere trattata da troia?’ le chiesi.
Lei cercò di annuire, la sua bocca piena di me mugugnò un sì e allora presi a scopargliela più forte.
Quando Stefano smise di leccarla e le puntò il glande contro lo spacco, la sentii mugugnare sempre più forte, il corpo suo tutto accompagnava la penetrazione facendosi sempre più rigida ad ogni spinta che le veniva inflitta.
Mi staccai dalla sua bocca e la condussi ad abbracciare il sacco.
Stefano pompava da matti tenendola stretta dai fianchi e quando mi avvicinai per poggiare le dita sul culo di lei, lui spostò lievemente indietro il busto e mi lasciò fare. Infilai il medio della mano destra nel suo buco del culo e potei sentire chiaramente come il cazzo di Stef le ravanasse dentro. Cominciai a scoparla con quel dito mentre i suoi gridolini erano alla ben meglio mal celati dalla maglietta che, sollevatale fin sulle tette, tratteneva in bocca dal bordo inferiore.
Le prendemmo a turno’ infondo lei era cosa mia, l’avevo fatta conoscere io a Stef ed era giusto che anch’io avessi il mio spazio. Il grosso sacco cui si reggeva, pur ondeggiando leggermente, l’aiutava a tenersi su mentre la scopavamo e sembrava goderne ad abbracciarlo.
Poi la portammo su una panca poco dietro, vicino al muro. Vidi Stefano tirarla più in centro e distendersi sopra, con i piedi poggiati a terra. Invitò Ameliè ad impalarsi su di lui e lei, da troia, senza farselo ripetere due volte, ci si sedette sopra con un gran sorriso lubrico.
La strinse al suo petto forte con un braccio e con l’altro allungò la mano verso il suo culo tirandolo da un lato per allargarlo.
‘L’hai mai presa qui questa puttana?’ mi chiese.
‘No’, non l’avevo mai presa lì, è vero.
‘Fallo ora’ mi incitò.
Vidi Ameliè controbattere debolmente mentre Stef continuava a tenerla stretta e a scoparsela lentamente.
‘Non vuoi? Sicura che non vuoi? Due uomini tutti per te’ entrambi addosso e dentro” le sussurrava ‘forse non sapevi che sarebbero state queste le conseguenze dell’averne due? Non negare’ chissà quante volte l’hai immaginato’ chissà quante fantasie ci hai fatto su’ fantasie da puttana’.
Stefano riusciva ad avere un certo ascendente su di lei, forse perché quelli occhioni folli lo avevano ammaliato ma di certo non abbindolato come aveva fatto con me.
Mi avvicinai a loro col cazzo duro, misi un ginocchio sulla panca su cui entrambi erano distesi, lei a cavalcioni su di lui. Mi guardavo l’asta diritta e rigida, bianca con la cappella rosea gonfia come mai. Ameliè protrasse le braccia e si allargò il culo con le mani. Vidi il buchetto bagnato di umori come scie perlacee’ mi insalivai una mano e la passai sul glande prima di spingergliela dentro, lenta e a fondo’ .
Sussultò.
Credevo si sarebbe spezzata in due ma poco dopo iniziò a muoversi leggermente.
Stefano trovava meno difficoltà ma il culo di Ameliè era davvero stretto e solo dopo un paio di colpi si fece sufficientemente largo ed elastico. Iniziammo a spingere alternativamente mentre lei gridava di piacere incitandoci a scoparla sempre più forte. Le misi una mano sulla bocca mentre Stefano prese a strizzarle le tette.
Non so cosa fu dopo’ troppo forte l’emozione del momento’ ma la riempimmo di sborra uno per volta e quando uscimmo da lei, dai suoi buchi colavano fuori rivoli di vari colori e densità, le scendevano lenti lungo le cosce, alcuni più liquidi e chiari, altri più scuri e densi.
Asciugandosi a malapena, decise che questo le era bastato come cena e che si sarebbe fatta rivedere l’indomani, lasciandoci inermi e semisconvolti a riprenderci dall’orgasmo.
Di quella sera ricordo il suo culo ben inguainato nei vestiti che ondeggiava indeciso sulle sue esili gambe che con fatica teneva strette.

Quando la rividi, pochi giorni dopo, concordammo di mettere un sacco da boxe in un angolo della mia casa perché la cosa di scopare in una palestra frequentata principalmente da uomini le era parsa così eccitante da meritare, secondo lei, un posto speciale in casa mia. Così, riuscita a convincermi, dopo pochi giorni chiamai un muratore che si curò di piantarmi un gancio ben saldo al soffitto, di modo da poterci appendere un sacco di grosso peso.
Naturalmente, il sacco l’avremmo scelto assieme, io e lei’ e forse assieme a Stef? A volte, ridendo, diceva di si.
Mi meravigliai della sua lentezza nell’accordarci sul quando comprarlo, visto che quando desiderava qualcosa diveniva irrefrenabile, e ho potuto ben capire il perché solo ora.
Proprio questa mattina, invece del sacco, appeso al gancio ci ho trovato lei.
Intorno al collo aveva stretto la corda del nero che se l’era scopata poche settimane fa e a terra, riversa, quella instabile sedia della mostra che me l’aveva fatta conoscere.
Su un tavolino poco distante un fogliettino in cui mi ringraziava’ era riuscita a suicidarsi con tre oggetti che per lei erano dei simboli sessuali. Poco oltre un paio di flaconcini vuoti con l’immagine impressa delle pasticchette colorate che diceva prendere per la cefalea.
Delirante, vero?
Quando la polizia è accorsa in casa mia, ha trovato come me la macabra scena e ha cercato di contattare i pochi numeri presenti nel suo portafogli. Sul cellulare c’erano poche chiamate perse prive di nome.
Tra questi numeri vi era quello di una psicologa che la seguiva da tempo. Era una cosa delle tante che non sapevo.
‘Delirio di onnipotenza’ aveva sentenziato. I flaconi vuoti indicavano un eccessivo uso di farmaci’ le erano stati prescritti da poco e le sarebbero dovuti durare per un mese, invece li aveva consumati in meno della metà del tempo con effetti inconsulti sulla sua personalità.
Il disturbo borderline la portava a toccare picchi di forte depressione alternati a sporadici momenti di gioia e i farmaci dovevano tenerle l’umore su. Un po’ troppo fu l’effetto, a giudicare dalla sua lettera di addio.
‘Mi uccido perché ora sono abbastanza forte da farlo! Sono così coraggiosa da poter sfidare me stessa e farmi finalmente fuori! Non sono più una codarda depressa! Oggi mi ammazzo, Dariuccio, e userò tutto ciò che mi ha eccitata per farlo, i tre simboli sessuali di questi ultimi folli giorni’ ci siamo divertiti un sacco io e te’ grazie! :-) ‘
Ecco’ che fosse fuori l’avevo capito. E me ne accorgo sempre più guardandola appesa al soffitto mentre dei poliziotti, insieme a vari uomini con camice, la tirano giù. In volto ha stampato un bizzarro ghigno.
Una sedia.
Una corda.
Un gancio appeso al soffitto.
Non avrei mai immaginato si sarebbe spinta fino a questo punto.

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