Skip to main content
Racconti di DominazioneRacconti Erotici Etero

Collaborare con il nemico

By 16 Maggio 2011Dicembre 16th, 2019No Comments

Ero distratta e non l’ho visto.
Di questi tempi, anche la più piccola distrazione può essere fatale, ma io stavo pensando a Mario, al mio Mario.
Io e Mario, uno di questi giorni, ci sposeremo.
Ci sposeremo quando sarà finita questa maledetta guerra ed i Tedeschi se ne saranno andati.
Ci sposeremo se i Tedeschi non lo ammazzano prima, ci sposeremo se io uscirò indenne da questo posto di blocco.
Se fossi stata più attenta li avrei visti da lontano ed avrei cambiato strada, ma ora è troppo tardi.
Mi sforzo di pensare se esiste una stradina laterale, un viottolo, che mi offra la scusa per deviare, ma in quel breve tratto, in cui la statale si snoda tra il bosco ed il muretto che costeggia la scarpata del torrente, non c’è nulla.
Finirò dritta in bocca a loro, come il topo con il gatto.
Ho rallentato la pedalata, cercando di trovare una soluzione che non c’è.
Torno indietro. Giro la bicicletta e torno indietro.
Già, così faccio la fine di zio Remigio: lui lo ha fatto, due mesi fa.
Non aveva motivo di farlo, solo non voleva la rottura di palle del controllo dei Tedeschi.
Si è fermato, quando ha sentito il rumore della moto che si dirigeva verso di lui.
Non sapremo mai se è anche riuscito a sentire il rumore della raffica di mitra.
La sua bici ce l’hanno ridata la sera stessa, il corpo due giorni dopo.
Non voglio fare la fine dello zio Remigio e continuo lentamente.
Non mi fermeranno, mi conoscono, tutti i soldati della guarnigione tedesca, conoscono la ragazza del bar.
Invece mi hanno fermata, perché loro solo Tedeschi e, il bar è il bar, ma quando sono in servizio non ci sono sconti per nessuno.
Mi hanno perquisita, fa un certo effetto sentirsi le mani di un uomo che ti frugano addosso e, naturalmente non hanno trovato nulla.
Io sto in piedi, sul bordo della strada, con le mani in testa, mentre uno di loro mi tiene sotto tiro.
Stanno controllando la bicicletta, uno la tiene per la sella mentre un altro fruga nel cestino. Ha esaminato le patate una ad una, come se fossero delle bombe e adesso sta guardando in mezzo alle foglie del cavolo.
Non li hanno trovati. Sono salva. Ora mi ridanno la bicicletta e posso arrivare in paese.
Mi danno il permesso di abbassare le mani e mi dirigo verso la bici ma ‘ quello che la regge fa cenno di aspettare e infila la mano sotto la sella.
Li ha trovati.
Stringe in mano il pacco di volantini arrotolati e legati stretti con lo spago, ha in mano la mia condanna.
Sto tornando in paese con la bicicletta, nel senso che io e lei siamo sul camion, in mezzo ai soldati.
è incredibile quanto ci voglia meno a tornare in paese con un mezzo a motore, rispetto alla bicicletta, siamo arrivati in un attimo ed io scendo in piazza, tenuta stretta da due soldati, sotto gli occhi spaventati della gente.

Mi hanno messo in una cella, ma non subito.
I due soldati che mi hanno fatto scendere dal camion, sono entrati nel palazzo del comune, che è stato requisito da loro, da quando sono arrivati, quattro mesi fa. Mi hanno fatto percorrere un lungo corridoio e poi hanno aperto una porta.
Nella stanza c’è Helmut.
Lo conosco, Helmut, è un soldato giovane e simpatico, ha diciannove anni e la fidanzata che lo aspetta in Germania. L’altro giorno al bar, mi ha pure fatto vedere una foto di lei, è bionda e carina, sembra quasi una bambina, con quel musetto magro e gli occhi da cerbiatta.
Gli altri due mi sollevano da dietro, mentre Helmut mi infila le mani sotto la gonna.
Io provo a gridare ma una baionetta piantata sotto la gola mi convince subito a non farlo.
Helmut mi ha sfilato le mutande ed ha un’aria molto meno simpatica.
Si tolgono le cinghie dei pantaloni e con una mi legano le braccia dietro la schiena, poi mi sdraiano su una scrivania.
Ridono e parlano tra di loro, in questi mesi, al bar dove lavoro, ho imparato un po’ di Tedesco e capisco che l’argomento della loro conversazione è se le donne italiane siano più pelose di quelle tedesche.
Visto che mi trovo senza mutande e con la gonna completamente sollevata, ho capito perfettamente a quali peli si riferiscono e immagino anche cosa mi stia per accadere.
Mi costringono a piegare le gambe e, con le altre due cinghie, mi legano strettamente insieme, le caviglie con le cosce, la sinistra con la sinistra e la destra con la destra. Le cinghie stringono forte e penetrano nella carne sfregando sui calzini di cotone grezzo.
Se avessi avuto le calze si sarebbero rotte, che guaio.
Le calze sono sparite da tempo, mi hanno detto che la seta serve per i paracadute, e non vorrei mai che un valoroso aviatore italiano, morisse a causa della mia vanità, così ho accettato i calzini, di cotone l’estate e di lana l’inverno.
Helmut è di fronte a me, con i pantaloni abbassati. Ha il cazzo grande, come quello di Mario e sta per scoparmi.
Mi allarga le ginocchia e comincia a strofinarmelo.
Gli altri due ridono, mentre sento che la mia fica si sta aprendo.
Che vergogna, non dovrebbe accadere, dovrebbe succedere solo con Mario, solo con quello del mio Mario.
Ridono e parlano veloce tra di loro, sento pronunciare la parola tro-ia, con le due sillabe staccate e la o curiosamente stretta, poi Helmut mi penetra.
Mi è entrato dentro di colpo e un po’ mi ha fatto male.
Mi tira verso il bordo del tavolo, mi costringe ad allargare ancora le gambe e lo spinge fino in fondo. Chissà che direbbe se un soldato italiano facesse una cosa del genere alla sua ragazza bionda col viso da bambina, e, soprattutto, che penserebbe se lei ci provasse gusto.
Io sto godendo, ansimo e gemo e lui si sta eccitando sempre più, allora chiudo gli occhi e penso a Mario, mi sembra che se sono convinta che si tratti di lui, sia meno grave.
è venuto, è venuto dentro di me e penso a quando ho avuto il ciclo l’ultima volta, non voglio restare incinta di Helmut.
Quando lo faccio con Mario stiamo sempre molto attenti: quando ci sposeremo, allora ‘
Helmut si è scansato ed io riapro gli occhi, sono piena di sperma, la mia fica e la mia pancia sono piene di sperma, che ora sta scolando sul tavolo di legno.
Il secondo mi entra dentro e non sembra minimamente preoccuparsi di tutto ciò.
Spinge forte dentro di me e chiudo di nuovo gli occhi.
Il piacere si fa sempre più grande e mi rendo conto che non regge l’alibi di pensare a Mario, forse sono veramente una troia, come dicono loro e, mentre penso questo, arriva l’orgasmo, ma l’uomo, tutto preso dal suo piacere, forse neanche se n’è accorto.
Ha finito anche lui e si fa sotto il terzo.
Prima di infilarmelo, si masturba un po’ per farlo diventare più duro e penso che a Mario, spesso gli lo succhiavo un po’ prima di farmi scopare. Potrei succhiare il cazzo anche a questo Tedesco?
Forse si è masturbato troppo, perché viene quasi subito. Io riapro gli occhi giusto in tempo per vedere il laghetto di sperma sul tavolo che si allarga sempre più ed inizia a colare per terra.
Ma non hanno finito.
Helmut mi spinge le ginocchia contro il petto e così scopre l’altro buco.
Sento il suo cazzo, di nuovo duro, che scivola sulla mia fica fradicia ed allargata e si posiziona sull’orifizio dell’ano.
Con Mario lo facciamo quando non riesce a trovare i preservativi, cioè quasi sempre, perché una donna non sposata non può andare in farmacia a comprarli e lui è meglio che si fa vedere poco in paese. Gli ultimi li ha presi ad un tedesco che ha ammazzato nel bosco.
Helmut mi incula brutalmente, non può essere Mario.
Piano, piano, per favore, mi fa male.
Poi il dolore si attenua e chiudo di nuovo gli occhi, perché mi sta piacendo.
Mi godo tutto fino all’ultimo, quando lo sento irrigidirsi, prima di scaricarmi lo sperma nell’intestino.
Esce ed aspetto gli altri due, sono proprio una troia.
Quando alla fine mi mettono giù, ho le gambe anchilosate dalla posizione a cui mi hanno costretto le cinghie e sono completamente bagnata.
Percorro il tragitto che mi separa dalla cella, camminando a gambe larghe, mentre lo sperma che continua ad uscirmi, mi scola lungo le gambe.
Prima di chiudere la porta della cella, Helmut si ficca una mano in tasca e mi porge le mutande.

‘Signorina, lei ha delle splendide mammelle’.
Davanti ad una frase così buffa mi dovrei mettere a ridere, nessun uomo italiano userebbe quel termine, medico-scientifico, per fare un complimento ad una giovane donna.
Potrebbe dire ‘lei ha un bellissimo seno’, oppure, se c’è più confidenza, ‘hai due tette fantastiche’.
Ma la situazione non è affatto da ridere, visto che sono nella stanza dove i Tedeschi tengono gli interrogatori e so bene di che tipo di interrogatori si tratti, in genere.
Sono al centro della stanza, sotto una luce forte, su una sedia, con le braccia ammanettate dietro lo schienale e le caviglie legate alle zampe.
Quella frase l’ha pronunciata il maggiore, che sarebbe il comandante della guarnigione tedesca.
Io sono lì da un’ora, ma lui è appena entrato.
Si è avvicinato a me ed ha cominciato a sbottonarmi la camicetta, con attenzione, come se avesse paura di sciuparla.
Quando ha finito, ha infilato le dita sotto il bordo del mio reggiseno e lo ha tirato verso l’alto, poi è rimasto in silenzio ad ammirare lo spettacolo.
Conosco bene il maggiore, viene spesso al bar e ogni tanto converso con lui.
Parla bene l’italiano, perché è stato diverse volte in Italia. è una persona educata, raffinata ed è anche un bell’uomo.
In un frangente diverso troverei molto gradevole la sua presenza, ma ora, il dover stare legata davanti a lui, con il busto denudato, mi mette una certa apprensione, anche perché quelle ‘esse’ stilizzate che decorano il colletto della sua giacca, mi ricordano che appartiene al corpo più crudele di tutto l’esercito nazista.
‘Peccato, è un vero peccato.’
Ha aggiunto queste parole mentre si accende una sigaretta ed io, dopo aver seguito i suoi occhi, che puntano dritti ai miei seni nudi, grandi e sodi, ho un brutto presentimento.
Aspira il fumo profondamente, due volte e poi fa cadere la cenere in eccesso.
La punta della sigaretta è di un bel rosso brillante e, quando me l’avvicina, faccio appena in tempo a sentirne il calore.
è questione di un attimo, preme una mano sulla mia spalla, bloccandomi contro lo schienale della sedia, mentre contemporaneamente poggia la sigaretta sul mio seno sinistro, poco sopra il capezzolo.
Il mio grido rimbomba nella stanza disadorna, ma lui mantiene, contro la mia carne, la brace rovente, poi la fa girare.
La sigaretta ruota e si sposta sulla mia pelle, continuando a bruciarmi, sta attento a non spingerla troppo per evitare di spegnerla, intanto mi parla.
‘E’ proprio un peccato sciupare un corpo bello come il suo, ma se lei era in possesso di quei volantini, sarà senz’altro in grado di dirmi chi glie li ha dati e a chi li doveva consegnare.’
Il tono della voce è tranquillo ed educato, non sembra affatto minaccioso, ma lui non mi sta minacciando, mi sta semplicemente torturando, causandomi un dolore insopportabile.
La sigaretta si è spenta, ho gli occhi pieni di lacrime e guardo in basso, ho una ustione orribile a vedersi, lunga qualche centimetro, che descrive un arco intorno al capezzolo.
Il maggiore taglia un pezzo di sigaretta con le forbici e la riaccende.
Quando la poggia sull’altro seno io riprendo a gridare.
‘Basta, basta, per favore, dirò tutto.’
Ma lui continua e la brace rovente riprende a tracciare il suo percorso che si lascia dietro una scia di pelle ustionata.
‘Bene, allora comincia a fare qualche nome.’
Ho parlato, ho iniziato a parlare e non mi sono fermata più.
Lui ha continuato con la sigaretta per un po’, poi, quando ha visto che avevo ceduto, l’ha buttata in terra e l’ha schiacciata con il tacco.
Ho reso una confessione completa, piena ed esauriente.
Ho fatto i nomi di tutti, anche di Mario, dicendo dove era possibile trovare ognuno di loro, dove si nascondevano, dove tenevano le armi e gli esplosivi, non ho omesso nulla.
Io parlavo e lui traduceva, ad alta voce, per il soldato che batteva a macchina la mia confessione.
Ogni tanto mi fermava, poi quando il ticchettio del dattilografo smetteva, mi faceva cenno di riprendere a parlare.
Il rumore di ogni singolo tasto premuto mi sembrava un colpo di fucile nel petto di Mario o di uno degli altri partigiani, ma il dolore delle bruciature era troppo forte ed ho continuato a parlare.
Ho denunciato tutti, quindici persone, dodici uomini e tre donne.
Quando ho finito di parlare ho guardato meglio il mio petto, le bruciature sembrano superficiali, ma sono molto estese e la pelle annerita si sta spaccando in più punti, lasciando apparire il rosso della carne viva.
Hanno finito con me, un soldato mi libera delle manette ed io posso finalmente slegarmi le caviglie.
Il maggiore è uscito e sono rientrati i due soldati che mi hanno accompagnato questa mattina.
Io vorrei almeno rivestirmi, ma loro mi trascinano fuori, con la camicia aperta e le tette che saltellano libere, per effetto dei loro strattoni.
Non mi portano subito in cella, perché prima decidono per una ulteriore passata nella stanza con la scrivania.
Questa volta sono solo loro due, Helmut non c’è, forse sta scrivendo alla sua fidanzata, ma sono sicura che non gli dirà che ha scopato con un’altra.
Mi sbattono di pancia sulla scrivania, facendomi strusciare i seni ustionati sul legno ruvido, mentre mi sento abbassare le mutande.
Mi scopano e mi inculano di nuovo, tutti e due, vanno di fretta e mi fanno abbastanza male quando me lo ficcano dietro, poi mi tirano su le mutande e mi rimettono in piedi.
Mentre percorro il corridoio che porta alla mia cella sento tutto quello che hanno ficcato nei miei buchi, scendere lentamente e inzupparmi le mutande.
Incrociamo Helmut che, osservando i miei seni, mi lancia uno sguardo dispiaciuto.
Ancora pochi passi, la pesante porta di ferro si chiude alle mie spalle e sono sola.
Per prima cosa mi sfilo le mutande, perché sono completamente piene del loro sperma, poi mi rivesto.
Mi rimetto a posto il reggiseno facendo molta attenzione a non strofinare la stoffa sulle ustioni, infine riabbottono la camicia.
La cella è piccola e scarna: un tavolato di legno che dovrebbe fungere da letto, un pitale di ferro smaltato ed una sedia con sopra un vassoio con un pezzo di pane ed una caraffa con l’acqua.
Ho usato il pitale, ho mangiato il pane e bevuto metà dell’acqua, infine ho versato quella rimasta sui miei seni, dopo essermi aperta di nuovo la camicia, nella speranza di alleviare il dolore, prima di sdraiarmi sul tavolato ed addormentarmi. Ho passato una notte pessima, tra il rimorso per aver tradito i miei compagni, il bruciore delle ustioni e la paura di quello che mi accadrà.
I Tedeschi in genere non lasciano in vita i partigiani, anche se io gli sono stata utile, dubito che mi libereranno.
All’ora di pranzo mi hanno portato dell’altra acqua ed una tazza di brodo con dentro una patata.
Nel pomeriggio sono venuti a prendermi sempre i due soldati del giorno prima.
Siamo passati davanti a quella porta, ma hanno tirato dritto.
Tutto mi sarei aspettata tranne che trovarmi nella stanza del maggiore.
‘Entra pure e mettiti a sedere.’
Indossa soltanto i pantaloni della divisa e gli stivali.
Guardo il suo torace asciutto e muscoloso e penso che è proprio un bell’uomo, poi ripenso a quello che è stato capace di farmi con una sigaretta e mi passa un po’ di entusiasmo.
‘Tu ora sei un problema.
Ho due soluzioni per te, ti metto insieme a quelli che abbiamo catturato vivi e ti faccio fucilare domani mattina all’alba, oppure ti lascio libera. Tu cosa preferisci?’
Cosa dovrei rispondere, ho venticinque anni e nessuna voglia di finire qui la mia vita, anche se non potrò sposarmi con Mario.
‘Attenta, non pensare che la seconda soluzione sia la migliore. Tu hai tradito i tuoi … concittadini (si dice cosi, vero?), penso che sarebbe meno dolorosa una fucilata in testa, rispetto a quello che ti farebbero se finissi nelle loro mani.’
Stanotte ci avevo pensato, mi liberano, io sono l’unica sopravvissuta, non ci vuole molto a fare due più due. Allora gli dico che mi hanno torturata, gli faccio vedere le bruciature.
E se non funziona?
‘C’è una terza possibilità, potrei tenerti con me. Sei una bella ragazza, sveglia ed intelligente, mi è sempre piaciuto chiacchierare con te, potrebbe essere utile a migliorare il mio italiano.
Naturalmente, non si tratterà solo di chiacchierare.’
Sorride maliziosamente mentre, dopo essersi sfilato gli stivali, si toglie i pantaloni.
Sono rimasta, perché comunque, non mi ha detto che potevo scegliere, perché mi sembrava l’unica via d’uscita per continuare a vivere, ed anche perché, devo ammetterlo, mi piace.
Lui si è sdraiato sul letto ed io mi sono chinata.
Ho succhiato a lungo il suo cazzo e, quando mi è sembrato pronto mi sono inginocchiata su di lui, una gamba di qua ed una di là, e mi sono abbassata lentamente.
Sotto la gonna non avevo le mutande, le avevo lasciate in cella perché erano sporche da fare schifo, così è stato sufficiente piegare le gambe per farlo entrare dentro di me.
L’ho cavalcato a lungo, finché non mi ha preso forte per la vita ed ha cominciato a sbatacchiarmi.
Appena è venuto mi ha sbattuto via, di lato, per non sporcarsi, poi si è messo addosso una vestaglia ed ha aperto la porta.
Un minuto dopo ero di nuovo nella mia cella.
Uno dei due soldati che mi ha accompagnato, faceva parte del terzetto del giorno prima ma non mi ha fatto nulla, anzi, si è ben guardato dal toccarmi, evidentemente è chiaro che io sono ormai di proprietà del comandante.

La seconda notte è trascorsa più tranquilla.
Visto che l’alba è passata e sono ancora viva, ho buone possibilità di restare viva anche nel futuro immediato, più di questo, in guerra non si può pretendere.
La guerra insegna a prendere la vita a piccole dosi, giorno per giorno, senza grandi aspettative, perché c’è sempre in agguato un evento che può porre fine alla tua esistenza: una fucilata, una bomba, o anche un posto di blocco.
Sono rimasta sola, nella cella, per tutta la giornata e, quando nel pomeriggio si è aperta la porta, ero sicura che sarei tornata da lui.
Mi aspettava, vestito di tutto punto, seduto davanti alla tavola imbandita.
Mi ha portato vicino al tavolo pieno di così tanta roba da mangiare, che quasi mi sentivo svenire dall’emozione.
La guerra insegna anche ad essere elastici: io prima detestavo le carote e non le mangiavo, perché c’era comunque dell’altro.
Da quando c’è la guerra è sempre più difficile scegliere, se ci sono le patate mangi le patate, se ci sono le carote mangi le carote e se non ci sono né patate né carote, mangi le bucce di quello che è avanzato il giorno prima.
Insomma, si diventa elastici, si accetta, per forza di cose, quel poco che c’è, senza fare storie.
Mi ha messo le mani sulla spalle, da dietro, poi ha iniziato a sbottonarmi la camicetta.
è la stessa che portavo il giorno dell’interrogatorio, perché non ho avuto la possibilità di cambiarmi e per un attimo mi è passato un brivido nella schiena, temendo che possa ricominciare con la sigaretta.
La mia camicia è in terra e lui sta palpeggiando i miei seni, poi apre la chiusura del reggiseno, mi sfila anche quello ed io rimango con il busto completamente nudo.
Le ustioni stanno facendo la crosta nei punti in cui la pelle si è spaccata, mentre intorno la carne è rossa e piena di grinze.
‘L’altro giorno ho sbagliato parola, le mammelle sono quelle degli animali, le mucche per esempio. Giusto?’
Io faccio cenno di sì con la testa.
‘Queste si chiamano ‘ seni, oppure tette, esatto?’
Le sue mani risalgono lentamente, l’indice ed il medio, serrati come le lame di una forbice, mi stringono i capezzoli, mentre il resto della mano mi solleva i seni.
è qualcosa di inquietante ed eccitante allo stesso tempo, mentre allo stesso tempo sento il suo pube che mi preme contro il culo.
Mi lascia di colpo e mi fa sedere.
Le guerra è anche strana, perché ti fa fare delle esperienze impensabili: non avrei mai immaginato che una sera avrei cenato con un ufficiale delle SS, lui perfetto ed impeccabile nella sua divisa ed io con indosso soltanto una gonna piena di macchie.
A tavola c’è un mucchio di roba, tanti cibi di cui noi abbiamo quasi dimenticato il sapore. Perché chi tiene il fucile in mano mangia quello che vuole e agli altri restano solo le patate e le carote.
Ho mangiato tanto ed ho anche bevuto del vino, mi sento pesante ed annebbiata, ma ora viene il resto.
Lui è sdraiato sul letto, beve un ultimo bicchiere di vino rosso e mi fa cenno di raggiungerlo.
è completamente nudo ed io mi stendo su di lui.
Comincio a baciargli e leccargli il torace, mentre i miei seni strusciano sulla sua pancia.
La cena è stata ottima, come non ne facevo da un mucchio di tempo e non voglio deluderlo, e poi mi piace, anche se penso a quello che è stato capace di farmi l’altro giorno con la sigaretta, anzi, forse mi piace anche per questo.
Lentamente scendo, le mie labbra si posano sulla sua pancia ed io continuo a scivolare verso l’inevitabile epilogo.
Il suo cazzo mi aspetta, dritto e duro, proteso verso l’alto, e non c’è più l’alibi di Mario.
Mario non c’è più, il suo corpo è sotto terra da qualche parte, è cibo per i vermi e basta.
La mia lingua lo prende alla base e risale lentamente, diverse volte.
Lo sento fremere ed ingrossarsi ancora, poi mi sento prendere alla nuca e spingere in basso.
Allora apro le labbra per accoglierlo nella mia bocca e inizio a succhiarlo.
Smetto di succhiare quando lui mi stringe il viso con le mani e mi fa muovere in su ed in giù.
Mi sta scopando in bocca, la sta usando come se fosse una fica e lo sento entrare ed uscire attraverso le mie labbra. Mentre mi eccito e mi apro sempre più.
è venuto, ha riempito la mia bocca con il suo sperma caldo, sembrava non finire mai.
Ho stretto le labbra intorno al suo cazzo ed ho cercato di aspirare tutto, fino all’ultima goccia.
L’ho lasciato andare solo quando ho sentito che stava irrimediabilmente perdendo la rigidità.
Subito dopo mi ha congedato, ho fatto appena in tempo a sciacquarmi la bocca con un sorso di vino, ed a rimettermi la camicia, senza abbottonarla completamente.
Sono uscita dalla sua stanza stordita dal troppo vino bevuto, con il reggiseno in mano e con le tette che mi ballavano libere dentro la camicetta.
Mi sono addormentata subito, perché dopo una serata così non si può che dormire bene, naturalmente dopo essermi masturbata fino quasi ad impazzire. Ho cambiato cella, non vivo più in quell’umida e squallida stanza sotterranea, ora ho la mia stanza, vicina a lui.
Sono sempre prigioniera, perché non posso uscire se non sono scortata dai suoi uomini, ma almeno ho un letto comodo, un bagno pulito a disposizione e mi posso pure cambiare d’abito.
Quando mi hanno portata nella stanza, ho visto un grande baule, dentro c’erano tutte le mie cose, che qualcuno era andato a prendere a casa mia.
Il maggiore è gentile con me, ma passo poco tempo con lui, sto chiusa nella mia nuova cella per tutto il giorno, poi, verso sera, lui apre la porta di separazione tra le due stanze.
Parliamo (poco), mangiamo (bene ed abbondante) e facciamo (tanto) sesso.
Mi chiedo cosa io sia diventata.
La sua donna? No, anche perché in Austria lo aspettano moglie e tre figli.
La sua amante? Forse, ma lo sono solo da quando la sera si apre la porta, cesso poi di esserlo quando, a notte fonda, la stessa porta si richiude alle mie spalle. Lui non dorme con me, gli servo solo per scopare.
La sua schiava? Sì, sono la sua schiava, sempre disponibile a soddisfarlo, ma anche a soddisfare me stessa, in cambio della mia sopravvivenza.
Se potevo avere ancora dei dubbi sulla mia condizione di schiava, me li ha tolti la cerimonia degli stivali.
è accaduto la prima sera in cui ho preso possesso della mia prigione dorata, ma poi si è ripetuta tutti i giorni.
Mi ha preso per una mano e mi ha trascinata fuori, sul balcone.
Il maggiore ha occupato la stanza principale del palazzo del comune, la cui porta finestra finestra conduce ad un grande balcone con la balaustra di colonnine di pietra grigia.
Il balcone affaccia proprio sulla piazza principale del paese e, a quell’ora, c’era un mucchio di gente.
Ho fatto la mia prima uscita pubblica a braccetto con il nemico, scalza, con i capelli sciolti e indossando solo una vestaglia corta e trasparente.
Lui si è seduto su una sedia che già si trovava lì ed io mi sono dovuta chinare per togliergli gli stivali.
A fianco c’era un catino di ferro smaltato con dentro dell’acqua tiepida, così gli ho fatto il pediluvio, poi, dopo avergli asciugato i piedi, gli ho anche praticato un lungo massaggio.
Ogni tanto davo un’occhiata in basso: erano tutti lì, in silenzio, con gli occhi puntati sul balcone, a vedere la troia traditrice che lavava i piedi al capo dei nemici.
Questo evento, me ne rendo conto, ha segnato un taglio irreversibile con quello che ormai rappresenta il mio passato, ma non avevo scelta.

Sto affinando la mia tecnica, devo soddisfare il mio padrone, perché solo così posso sperare di sopravvivere.
Giorno dopo giorno, individuo sempre meglio i punti in cui lui è sensibile, esploro centimetro dopo centimetro il suo corpo, con le dita e con la bocca, e questo procura piacere anche a me.
Lui se ne sta nudo sul letto mentre la schiava mette in atto tutte le pratiche possibili per farlo eccitare.
è sempre lui che decide quando è venuto il momento, quando può bastare, allora mi indirizza verso il suo cazzo, ormai duro e gonfio.
Io indietreggio lentamente, sempre carponi, finché le mie labbra non arrivano a sfiorarlo.
Inizio sempre leccandolo, a lui piace sentire la punta della mia lingua che scorre su e giù.
Ha una vena che, quando è al massimo dell’estensione, si fa sporgente, ed io la prendo come riferimento per guidare il movimento della mia lingua.
Poi passo alla cappella. Ci giro intorno, sempre con la lingua, e mi sembra che ad ogni giro si faccia più grande e più gonfia, finché lui non mi prende la testa tra le mani e mi fa abbassare.
Mi chino, lentamente, con le labbra semi aperte, ed il suo cazzo comincia ad entrare nella mia bocca.
Inizio con il succhiarlo, da principio il suo sapore mi dava un po’ fastidio, ora invece mi sembra quasi di non poterne più fare a meno.
Non procede sempre alla stessa maniera, perché è comunque lui che comanda, e che decide se e quando devo staccarmi.
Delle volte mi fa continuare fino in fondo, lo sento quando sta per venire e mi preparo a bere il suo sperma, fino all’ultima goccia.
Quando avverto che è arrivato il momento, lo stringo leggermente con le labbra, proprio alla base della cappella, allora lui si svuota dentro di me, per un attimo mi sento quasi soffocare, da tutto quello sperma che affluisce di colpo nella mia bocca, poi riesco ad inghiottire.
Me lo lascia succhiare per un po’, dopo, perché pretende che quando esce dalla mia bocca sia perfettamente pulito.
Altre volte, invece, mi fa sollevare il capo, allora io avanzo, carponi ed a gambe larghe, finché la mia fica non è all’altezza del suo cazzo.
A questo punto è così dilatata e bagnata, che non serve neanche che lo prenda in mano per guidarlo, perché, se mi sono ben posizionata, mi basta piegare le gambe per impalarmi sul suo cazzo.
Ho imparato il giusto ritmo, quello che lo gratifica di più. All’inizio, con le mani piazzate sui miei fianchi, mi guidava, ma ora non serve più.
Molte volte finisce così, la mia serata, e me ne torno nella mia stanza, sazia di cibo, ma non ancora di sesso.
Finisco da me, con le mie dita, come ho fatto tante volte, quando non mi potevo incontrare con Mario, poi vado in bagno a lavarmi.
Ma altre volte, se non è troppo stanco mi penetra anche dietro.
Gli piace molto ficcarmelo lì, dice che ho un gran bel culo e, in questo caso, è lui che prende l’iniziativa, io devo rimanere immobile, in ginocchio, con le cosce allargate ed il busto proteso in avanti, mentre me lo spinge dentro sempre più in profondità.
All’inizio mi fa un po’ male, ma mi piace, prima ho servito il mio padrone e poi lui mi prende, per ribadire la sua posizione dominante nei miei confronti: sono solo una schiava, una schiava di sesso. Allora, pensando questo, raggiungo subito l’orgasmo, mentre lui continua continua ad incularmi con sempre maggior foga, con le mani che mi stringono i seni.
Sento il suo ventre che preme sempre più forte contro le mie chiappe mantenute allargate dal suo cazzo che è ormai completamente penetrato nel mio corpo, e aspetto.
Aspetto l’orgasmo del mio padrone, che stabilisce la fine della serata.
Resta solo un ultimo atto da compiere, prima di tornare nella mia cella: dopo che è uscito, mi giro e mi chino su di lui, per succhiarglielo un’ultima volta.
Mi da il permesso di alzarmi solo quando è perfettamente ripulito da ogni traccia del suo sperma e di quello che ha trovato nel mio ano.
Per questo motivo ho imparato a lavarmi molto bene prima di andare da lui.
Queste sono le serate migliori, me ne torno nella mia stanza indolenzita e soddisfatta, e mi butto sul letto a pancia sotto.
Mi piace sentire lo sperma che cola lentamente fuori dal mio ano dilatato, e mi addormento così, senza neanche lavarmi.

è finita l’estate e la temperatura è più fresca, ma le mie giornate si succedono sempre uguali.
Mi sono un po’ ingrassata, è colpa dell’immobilità e penso che mi manca tanto la bicicletta.
I segni delle bruciature sono quasi scomparsi, è rimasto solo un piccolo alone scuro ed una piccola incisione, in un punto dove doveva aver indugiato un po’ di più con la brace della sigaretta.
Mi guardo allo specchio e mi dico che ho due belle tette.
Poi mi giro e storco il collo all’indietro: il maggiore ha ragione, quando dice che ho un gran culo.
Mi carezzo le chiappe morbide e rotonde e penso che, forse, questa sera, me lo ficcherà di nuovo lì in mezzo e mi comincio ad eccitare, ma non c’è tempo per il mio piacere, perché devo prepararmi, tra poco la porta si aprirà ed io sarò di nuovo a sua disposizione. E’ arrivato l’autunno con le piogge ed i primi freddi, ma per me non è cambiato nulla.
Diverse volte ho temuto di rimanere incinta, ma non è mai accaduto.
Quale sarebbe la sua reazione, nel sapere che la sua schiava gli avrebbe dato un figlio?
Giorni fa mi ha detto che, dopo il terzo figlio, si è fatto sterilizzare.
Io l’ho guardato perplessa ed incredula e lui ha sorriso.
Una delle poche volte che l’ho visto sorridere.
Mi ha detto che un uomo, dopo essere stato sterilizzato, funziona esattamente come prima e, per dimostrarmelo, mi ha offerto doppia razione del suo cazzo.
La guerra va male, per loro.
Una volta sarei stata contenta, perché quello che era male per il nemico, era buono per noi.
Ma io non faccio più parte di quel noi, sono solo la sua schiava condannata a seguire il suo destino.
Un giorno se ne andrà, il maggiore, perché va sempre così, i soldati arrivano e poi vanno via, alla fine restano solo gli abitanti, se sono sopravvissuti, mentre loro vanno a fare la guerra da un’altra parte.
Mi chiedo cosa sarà di me, quando i Tedeschi abbandoneranno il paese: mi caricheranno su un camion insieme a tutte le loro cose, oppure mi abbandoneranno qui?
Il maggiore si è fatto ombroso ed ha sempre meno voglia di parlare.
Giorni fa mi ha confessato che ha paura di non arrivare vivo alla fine della guerra.
Oggi avevo le mestruazioni e, dopo essere venuto nella mia bocca, mi a fatto mettere a pecorina.
Non gli piace scoparmi con il sangue.
Avevo freddo e mi ero buttata la coperta sulle spalle, ma lui me l’ha tolta perché gli piace vedermi nuda.
Lo ha spinto così forte nel mio culo che mi sono dovuta puntellare con le braccia, per evitare di finire a faccia avanti sul materasso, poi l’ho sentito entrare prepotentemente nel mio corpo, mentre con le mani mi allargava le natiche.
All’inizio mi fa sempre un po’ male, poi i miei tessuti cedono e lui comincia a muoversi liberamente.
Questa sera aveva voglia di farlo per bene ed ha preso un ritmo lento ma potente.
Alla fine ho staccato una mano dal materasso ed ho cominciato a toccarmi, lui in genere non vuole, perché dice che così gli faccio perdere la concentrazione, ma questa volta non ha detto nulla, ed io ho continuato.
Ormai lo conosco bene, nel senso che so i suoi tempi e le sue reazioni, così ho dosato perfettamente il tocco delle dita nella mia fica, aspettando il suo orgasmo.
Siamo venuti insieme, io che avevo cercato di reprimere i miei gemiti per non farmi scoprire, ho gridato forte quando ho sentito lo sperma caldo che mi riempiva, e lui non mi ha detto nulla.
è rimasto immobile sopra di me per qualche minuto e poi si è alzato, dopo avermi rimesso la coperta sulle spalle.

Ora che fa freddo, bevo parecchio vino a cena. Anche lui, che prima si accontentava di un paio di bicchieri, ha aumentato la dose e, quando il cibo nei nostri piatti è finito, sulla tavola apparecchiata rimangono sempre un paio di bottiglie di Chianti vuote.
Io ho sempre retto poco l’alcool e dopo tutto quel vino mi gira la testa.
Sapevo che bere troppo, per gli uomini, riduce la potenza sessuale, forse è vero perché mi sembra che ora lui impieghi più tempo, o forse è solo una mia impressione, perché sono così annebbiata dal vino, perdo la cognizione del tempo che passa.
Però così è meglio: più tempo significa che riesco a raggiungere l’orgasmo quando sono con lui e non mi devo più masturbare nella mia stanza.
Non mi sgrida per questo ed io posso gemere e gridare liberamente mentre lui mi scopa.
Quando finalmente mi ritiro nella mia stanza, mi cala addosso una stanchezza incontenibile e mi addormento con la testa che mi gira, pensando che sono sopravvissuta ad un altro giorno. E’ inverno pieno, e, nonostante il riscaldamento acceso, il freddo mi entra nelle ossa.
Questa è l’ultima sera, mentre mangiavamo mi ha detto che domani mattina, all’alba, se ne andranno.
Si ritirano più a nord, andranno a fare la guerra da un’altra parte, altri paesi da occupare, altri partigiani da ammazzare e forse altre donne come me …
Ho sempre pensato a cosa mi sarebbe accaduto quando loro avessero abbandonato il paese, però ora che sta per avvenire veramente, ho paura.
‘Portami via con te, quelli mi ammazzano.’
Lui sorride mestamente e fa cenno di no con la testa.
D’altra parte lo sapevo sin dalla prima volta, questo mi ha permesso di vivere bene, tutto sommato, però il mio destino era segnato.
Non c’è posto per me sui loro camion.
Dopo cena mi ha fatto bere un bicchiere d’acqua con dentro una polverina.
‘E’ una roba che si da ai soldati nei momenti difficili, aumenta le forze e combatte il sonno, questa notte ne avremo bisogno.’
L’ha bevuta anche lui e poi mi ha trascinato sul letto.
Avevo ancora in bocca il sapore amaro di quella roba quando ho iniziato a succhiargli il cazzo.
Mi è sembrato più grande e più duro del solito, chissà forse la droga che ha preso fa anche questo effetto.
Stranamente, non sento lo stordimento del vino che ho bevuto in abbondanza, sono lucida e sveglia e le mie labbra scorrono velocemente lungo la superficie del cazzo che si fa sempre più duro.
Ogni tanto mi fermo e lui protesta, allora lo lecco bene intorno alla cappella e poi riprendo.
Comincio a toccarmi in mezzo alle gambe, sono bagnata fradicia e voglio godere il più possibile questa notte, perché sarà l’ultima con lui, e forse anche l’ultima in assoluto.
Si è fermato e mi ha fatto sollevare il viso, poi mi ha preso per i fianchi e mi ha costretto ad abbassarmi.
Le mie gambe si piegano lentamente e lo sento entrare in me.
Per l’ultima volta la tua schiava si impalerà sul tuo cazzo, dritto e duro, maggiore.
Mi ha preso per i fianchi e mi fa muovere. Il movimento dapprima è lento, poi si fa più veloce, fino a diventare frenetico, così frenetico che un paio di volte esce fuori, allora io mi rialzo leggermente, lo prendo con una mano e me lo infilo di nuovo, mentre lui dice frasi sconnesse in tedesco, che non capisco.
è venuto e subito dopo sono venuta anch’io, sono rimasta seduta sopra di lui, senza fiato e con lo sperma che lentamente mi esce fuori e cola sul suo corpo.
Mi fa alzare e mi manda a prendere un’altra bottiglia di vino.
Brindiamo, con i calici pieni di vino rosso. Non so bene a cosa brindiamo, alla nostra ultima scopata, alla sua partenza o forse alla fine prossima della mia vita, poi torniamo a letto.
Sono inginocchiata sul materasso, con il culo proteso e sento il suo cazzo che mi si infila in mezzo alle cosce.
E di nuovo duro e sfiora più volte la mia fica così sensibilizzata che grido e gemo al più piccolo contatto, finché non lo sento spostarsi più dietro.
Mi dice che vuole incularmi per l’ultima volta ed io mi predispongo a farlo entrare.
Forse è il vino, forse la droga che altera le mie sensazioni, ma mi sembra molto più grande e, nonostante questo, non sento alcun dolore: mi entra dentro con estrema facilità, come un coltello caldo affonderebbe nel burro.
Lo abbiamo fatto un mucchio di volte, questa notte, non sono neanche in grado di contarle.
La mia fica ed il mio ano sono rossi e pieni del suo sperma, ho la faccia, il collo ed i seni così impiastrati che mi sembra quasi di nuotarci dentro.
Sono sopra di lui, di schiena e mi fa chinare un’ultima volta, per l’ultima volta prendo in bocca il suo cazzo, e allora succede una cosa nuova.
La sua testa si incunea in mezzo alle mie cosce divaricate e sento le sue labbra poggiarsi al mio sesso.
La sua lingua inizia ad esplorarmi, prima leggermente, poi sempre più in profondità.
Sto colando e sgocciolando un misto di sperma e dei miei umori, che gli bagna la faccia, ma lui insiste, per una volta sta volutamente procurando piacere alla sua schiava.
Sento l’orgasmo che si avvicina, potente ed irrefrenabile, lo deve aver avvertito anche lui e mi sembra di sentire il suo cazzo vibrare tra le mie labbra, poi l’esplosione.
Siamo venuti contemporaneamente.
Ora siamo distesi sul letto, uno accanto all’altra, nudi, bagnati e stremati, e la stanchezza, non più coperta dall’effetto della droga, si abbatte come un macigno su di me.

Abbiamo dormito insieme per la prima ed unica volta da quando sono sua prigioniera.
Per una notte sono stata la sua donna, la sua amante e non la sua schiava.

Sono stata svegliata dall’esplosione.
Un botto sordo e lontano, seguito da un altro identico, dopo pochi secondi.
Il ponte, il ponte della statale che attraversa il torrente, nel punto più stretto della valle.
Me l’aveva detto: ‘quando andremo via, faremo saltare i ponti dietro di noi’.
Dopo un minuto un’altra esplosione, sicuramente il ponte della ferrovia.
Sola.
Sono rimasta sola, nel grande edificio deserto, l’andirivieni dei soldati che imballavano e trasportavano ogni cosa è completamente cessato, poi all’improvviso il rumore della piena.
Mi è sembrato come il rombo minaccioso che produce a volte il torrente in primavera, un mormorio cupo che lentamente aumenta di volume, finché non ho cominciato a distinguerne i particolari.
Mano mano che si avvicina riesco a separare dal resto lo scalpiccio dei passi di numerose persone, poi le grida come se qualcuno stesse impartendo degli ordini e infine il rumore di porte che si aprono.
Stanno arrivando, stanno venendo da me per farmela pagare e non ho nessuna possibilità di fuga.
Così sono rimasta nel letto, nuda sotto le coperte ad aspettarli.
Mi sono tirata su le lenzuola coprendomi alche il viso e respiro l’odore penetrante dello sperma del mio amante-carceriere di cui è impregnata la mia pelle.
Una mano ha tirato via di colpo la coperta.
‘E’ qui, la troia è qui.’
Una piccola folla urlante mi trascina via dalla stanza.
Ho paura, ora mi massacrano, invece solo uno di loro mi ha colpita, una sola volta, con un pugno in faccia.
Una mazzata, che mi è arrivata a sorpresa tra l’orbita dell’occhio e lo zigomo.
Ho visto chi è stato, un uomo anziano, con i capelli grigi ed i baffi, è il padre di Mario, ha sicuramente un motivo in più, rispetto agli altri, per farlo.
Sento il sangue che mi cola dal sopracciglio spaccato ed un dolore fortissimo che mi costringe a tenere l’occhio chiuso, mentre loro continuano a trascinarmi per il corridoio e poi lungo le scale.
Sono tornata all’inizio, come quel giorno di tanti mesi fa, sono di nuovo nella stanza degli interrogatori, come quel giorno sono seduta sulla sedia in mezzo alla stanza, sotto la luce.
Non mi hanno legata, non serve, perché ormai non vado più da nessuna parte.
Me ne sto immobile, nuda, col viso insanguinato, paralizzata dal terrore, circondata da decine di persone che io ho tradito e che vogliono vendicarsi.
Si avvicina una donna anziana con delle forbici in mano, mentre altre persone mi tengono ferma per le spalle.
Una ciocca dei miei lunghi capelli cade a terra, poi un’altra ed un’altra ancora.
La donna continua a tagliarmi i capelli che si spargono ovunque: sul mio seno, sulle gambe e sul pavimento.
Sento il metallo freddo delle forbici a contatto del collo, delle orecchie, e capisco che è veramente finita.
Un uomo le porge un rasoio di sicurezza e lei, con grande cura, finisce di rasarmi completamente il cranio.
Mi portano fuori, proprio davanti al portone d’ingresso riesco per un attimo a vedermi nella grande specchiera tra le due colonne: sono un mostro completamente calvo, con il viso pieno di sangue ed un occhio così gonfio che sembra voglia scoppiare da un momento all’altro.
Per strada nevica, un nevischio duro e gelato che colpisce la mia pelle, mentre cammino nuda e scalza, tra due ali di folla.
Nessuno mi ha detto niente ma so già dove siamo diretti, al muro che costeggia il cimitero, dove i Tedeschi hanno fucilato tante persone. Vado a raggiungere Mario e tutti gli altri, con qualche mese di ritardo.
Chissà se il comandante riuscirà a tornare dalla sua famiglia in Austria.

Leave a Reply