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Come iniziò

By 4 Giugno 2018Dicembre 16th, 2019No Comments

Il giovane guerriero guardò la preda, l’arco teso nella sua mano. Scoccò la freccia, centrando il cinghiale al collo.
L’animale morì dopo qualche istante. Il giovane rese grazie agli déi per quel dono.
Caricatoselo in spalla tornò verso il campo.
Il giovane vestiva dei pantaloni usurati e lisi, in testa aveva una zazzera nera arruffata e degli occhi vispi e feroci. Come tutti, era figlio dell’isola.
Fin da piccolo aveva affrontato malattie e bestie feroci, come tutti loro. I Rakyat erano sopravvissuti, passando inosservati lungo l’arco della storia umana.
-Alla buon’ora!-, esclamò una voce femminile.
La voce apparteneva a una giovane. Poco più giovane di lui. Capelli lunghi, gambe scultoree, un seno in crescita e un’espressione canzonatoria in viso.
-&egrave stata dura trovarlo.-, protestò il guerriero.
-Devi ascoltare la Giungla. La Via del Guerriero prevede che tu lo faccia, Vaas.-, disse lei.
-Non so se sarò capace da solo, sorella..-, disse lui.
-Dovrai riuscirci.-, disse la giovane. Lui annuì. Ce l’avrebbe fatta.

Il suo rapporto con sua sorella era… bizzarro. Lui lo sapeva bene. Avevano ucciso insieme i primi animali, a dodici anni. Citra, così si chiamava, era particolare. I sacerdoti anziani parlavano di lei come di un’eletta.
Vaas invece… lui era solo un guerriero, neanche molto bravo in quel che faceva.
“Ma migliorerò. Lo prometto!”.
Sapeva anche perché. Per amore di sua sorella.
Non l’amore fraterno, no. Lui provava qualcosa per lei.
Lo aveva scoperto a sedici anni, quando l’aveva vista fare il bagno nuda. Ma lei pareva inavvicinabile.
“Farò tutto quello che dovrò per averti!”, si era ripromesso. Ancora non immaginava quanto in là quelle parole lo avrebbero spinto.

Il Tempio era chiuso ai più. Solo i guerrieri ne conoscevano la corte interna. L’esterno aveva visto i secoli passare. Era in rovina ma manteneva una tale espressione di potenza da non apparire diroccato.
-Citra! In te vedo i segni del comando!-, esclamò il vecchio sacerdote accarezzandole la schiena.
Lei sorrise fiera.
-Stranieri sono giunti sull’isola a sud. Come sai non é bene. Quest’isola é nostra e nostra soltanto!-, proruppe il sacerdote. Tossì. Ma riprese presto il controllo. Citra ascoltava. E basta.
-Vanno sterminati! Così come i miei padri sterminarono gli stranieri venuti dall’Europa e io sterminai i diavoli giapponesi e gli americani che osarono calpestare il nostro sacro suolo!-, esclamò.
Citra ascoltava, senza parlare. Il vecchio sorrise.
-So che non vedrò la fine dell’inverno.-, disse il vecchio, -E ormai tu sei divenuta una donna. Pronta a prendere il mio posto. Citra, Talmugai dei Rakyat!-.
-Cosa desideri che faccia?-, chiese Citra.
-Tuo fratello… Vaas. Io vedo su di lui stelle infauste. Giunge il tempo in cui dovrà scegliere.-, disse.
Citra annuì. Suo fratello. Un giovane guerriero ma ancora così… insicuro.
-Saprò motivarlo.-, disse lei.
-Lo saprai? Io vedo su di te stelle diverse. Uomini verranno. Alcuni abbracceranno i nostri usi e il nostro credo. Altri saranno distruttori. Uno, in particolare…
Lui sarà come la folgore sulla giungla e scatenerà un incendio da cui tutto muterà!-, esclamò il vecchio.
Citra annuì. Non capiva sino in fondo ma sapeva che il sacerdote stava parlando del futuro. E lei, come tutti, aveva ascoltato i racconti degli avi. Sapeva che quelle isole appartenevano ai Rakyat. E ai Rakyat sarebbero dovute tornare.
-Fai ciò che va fatto. Forgia tuo fratello nell’uomo che dovrà divenire.-, le ordinò il sacerdote. Tossì nuovamente. Nella veste sacerdotale vecchia e stracciata pareva tremante e giunto alla fine.
Ma Citra non si fece impressionare: sarebbe divenuta il capo della tribù. E avrebbe condotto i Rakyat alla gloria.

Vaas passeggiava lungo la costa. Aveva un occhio nero. Si era azzuffato con Abdul e quel bastardo gli aveva dato tante legnate che ora il giovane non riusciva quasi a camminare. Si sedette.
Sabbia bianca… Uno squalo che nuotava in acque basse. La sera che calava su di lui.
Bellissima. E terribile, lo sapeva bene.
La amava e la odiava. Vaas odiava quell’isola e odiava i Rakyat per averlo costretto a vivere all’ombra di tradizioni ed esempi che non riusciva a eguagliare.
D’altronde come avrebbe potuto eguagliare Shistar, il guerriero che da solo uccise mille nemici? Come poteva correre più rapido di Danath, o esser versato nella caccia come Ildevith?
Come poteva eguagliare quegli uomini se non si sentiva così vicino affine a quella vita?
Lui dalla vita voleva altro. Molto altro.
-Fratello.-, disse la voce di Citra. La giovane si sedette accanto a lui. Vaas sorrise.
-Citra. Che bello vederti!-, esclamò. Bello per ovvi motivi e, se la giovane avesse osservato meglio avrebbe anche capito quali ma non parve interessata ad essi. Guardava l’oceano che sciobordiava piano.
-Che hai fatto?-, chiese.
-Una rissa… Abdul mi ha picchiato.-, disse lui.
Solo allora lei lo guardò e Vaas notò del disprezzo nei suoi occhi. La rabbia tornò, decuplicata. Desiderò uccidere Abdul. Picchiarlo fino a ucciderlo.
Ma non poteva.
-Ti fa male, vero? Vorresti aver vinto, vero?-, chiese Citra. Vaas avrebbe solo voluto starsene in pace.
-Sì.-, rispose invece, consapevole che nessun’altra risposta avrebbe soddisfatto sua sorella.
La desiderava. Voleva farsela lì e in quel momento. Sulla spiaggia. Come un cazzo di animale.
In fin dei conti era quello che erano tutti loro, no?
-Allora vai: prenditi la rivincita. Picchia Abdul. Fallo per me.-, disse Citra. Vaas sorrise.
Sentì una volontà implacabile svegliarsi. Si alzò.

Citra sorrise. Sapeva che Vaas provava qualcosa per lei ma non si sarebbe fatta scrupolo a usare quel sentimento per i suoi fini. Il Talmugai voleva che Vaas divenisse un guerriero? E lei l’avrebbe accontentato.
Guardò lo squalo. Girava in tondo, come alla ricerca di prede. Ecco, quello Vaas doveva diventare, no?
Da sempre lo squalo era simbolo di forza tra i Rakyat.
Era uno dei tre animali sacri per antonomasia, gli animali che i guerrieri incidevano nella loro pelle per ottenerne la forza. Ragno, Squalo e Airone.
I guerrieri più forti e più vecchi avevano il Tatau dipinto su tutto il corpo, finanche sul volto, Vaas invece no. Doveva ancora rivelarsi degno di esso.
E Citra avrebbe dovuto far sì che lo fosse.
Per poi inviarlo verso l’Isola a Sud. A uccidere gli stranieri.

Vaas trovò Abdul che rideva, appoggiato alla parete di un bar mentre parlava con una ragazza. Strinse i pugni. Dimenticò l’idea di fare piano e con calma.
-Hey!-, esclamò. La ragazza e Abdul si girarono.
Abdul fece per reagire ma Vaas si era già lanciato contro di lui. Pura furia. Non perse tempo a parlare: iniziò a picchiarlo, ancora e ancora e ancora. Dopo averlo fatto cadere con un primo pugno si accanì ancora. La ragazza fece per mettersi in mezzo ma lui la spinse via. Continuò a infierire.
Infine dovettero staccarlo da Abdul a forza.
Abdul sarebbe sopravvissuto ma sicuramente non avrebbe mai osato mettergli una mano addosso. E Vaas si sentì bene. benissimo. Potente.
Sorrise. Citra aveva ragione.

Di ritorno da Citra, sorrideva. Sapeva che avrebbe approvato. Le sorrise mentre raccontava ciò che aveva fatto, fieramente. Si era battuto e aveva vinto.
-Hai fatto un buon lavoro.-, disse la giovane.
Profumava di fresco, aveva un profumo che mandava i sensi di Vaas in visibilio. Fosse stato per lui…
Ma non lo era, per niente. E cercare di forzare Citra avrebbe voluto dire perderla. Per sempre.
-Vieni.-, disse lei. Si alzarono e andarono verso la foresta. Vaas la seguì col cuore in gola.
La giungla palpitava di vita e suoni. Un universo a parte rispetto al villaggio dei Rakyat o alle calme spiagge. Uscendo dai sentieri battuti Citra e Vaas s’immersero in quel verde che pareva volerli fagocitare.
-Dove stiamo andando?-, chiese finalmente Vaas dopo quasi mezz’ora di camminata.
Citra non rispose. Lui annuì. Continuò a seguirla sino alle rovine di un vecchio bunker. Sapeva che un tempo laggiù erano arrivati uomini da un paese lontano. Dal Giappone.
E sapeva che c’era stata guerra, ma quello era normale. Il conflitto pareva lo stato naturale a Rook Island.
Citra si fermò davanti a un bunker. Vecchio e diroccato pareva l’emblema del decadimento, una rimanenza di eventi accaduti anni prima.
-&egrave successo anni fa. Stranieri che giungono a distruggere e conquistare ciò che é nostro. Succede oggi e succderà ancora. E tu, Vaas, dovrai guidarci.-, disse Citra in tono solenne.
Lui annuì. Catturato da quelle parole e dalla bellezza di sua sorella. Lei sorrise.
-Non temere. Farò di te un guerriero.-, disse.
Lui desiderò abbracciarla, baciarla, stringerla, farla sua. Averla così vicina e saperla inavvicinabile gli era intollerabile.

Citra sorrise. Vaas non era uno stupido ma i sentimenti lo offuscavano. E lei era pronta a sfruttare quella che evidentemente si presentava come una possibilità. Avrebbe ottenuto ciò che voleva.
Avrebbe regnato sui Rakyat e i Rakyat avrebbero ripreso a regnare su quella terra. Ad ogni costo.
-Dimmi cosa devo fare.-, sussurrò suo fratello.
Lei sorrise.
-Così mi piaci.-, disse.
-Sulle proppaggini dell’isola a nord sono arrivati degli stranieri. Mercenari, credo. Vai a ucciderli.-, disse.
Improvvisamente lo sguardo di Vaas mutò da fiero a titubante. Aveva paura? Forse. Ma cercava di nasconderla. Bene.
-Sarò da solo?-, chiese.
-Per ora. Ma una volta che avrai colpito, altri ti seguiranno. Ora…-, Citra gli sorrise porgendogli una boccetta ripiena di liquido.
-Cos’é?-, chiese Vaas.
-Una risposta alle tue domande.-, rispose lei, -Bevi.-.

Vaas guardò la boccetta. Doveva essere qualche mistura di erbe. Indugiò solo un istante. In fin dei conti che male poteva fargli. Bevve.
Un sapore amarognolo in bocca, un capogiro e cadde a terra, la mente scagliata in un abisso senza fine.
Vide cose, sangue, morte. Ma non suoi. Dei Rakyat.
E capì: se non avesse fatto la sua parte, tutto ciò che conosceva sarebbe stato spazzato via. Vide Citra.
Sorrise. Il sogno durò un anno, un giorno o qualche istante. Fatto stava che, dopo quella rapida carrellata di immagini, vide Citra che lo guardava, preoccupata e il buio della sera che ammiccava da oltre le fronde.
-Capisci ora?-, chiese Citra.
Lui annuì. Capiva. Sì.
-Farò ciò che va fatto.-, disse.
-Bravo.-, disse lei, -Guadagnati il Tatau.-.
Lo baciò su una guancia. Lui si trattenne a stento dal supplicarla di non fermarsi.
Ma forse lei capì qualcosa. Lo guardò con uno sguardo che lui non riuscì a interpretare.
-Sai che non dovremmo.-, disse. Nessun accenno di pentimento. Lui sorrise, incapace di dire alcunché.
-Se ci scoprissero sarebbe la fine. Di entrambi.-, disse Citra. Non per questo smise di baciargli le labbra. Ora anche lui si permetteva una simile libertà. La voleva.
-Non m’importa. Ti voglio.-, sibilò lui.
-Mi avrai.-, sussurrò lei. Lo baciò stendendosi su di lui. Si spogliarono rapidamente, all’interno del bunker in rovina. Citra lo cavalcò brutalmente, freneticamente.
Vaas sentì solo il calore di lei, il suo profumo come un sudario. Poi i gemiti, suoi e di lei. Incontrollati e animali. Pelle contro pelle, graffi e baci simili a morsi. E infine si sentì prossimo a venire. Lei lo capì.
Con un abilità da contorsionista, Citra gli evitò di venirle dentro e fece sprizzare il suo seme verso il terreno. Sorrise.
-Quando avrai fatto ciò che ti ho chiesto, a quel punto ti permetterò di godere dentro di me.-, disse, -E nostro figlio dominerà queste isole.-.
Vaas sorrise, estasiato e incapace di dire alcunché.
Tornarono al villaggio che era notte fonda.

L’indomani Vaas e due guerrieri partirono per andare a combattere quegli stranieri.
Citra lo guardò partire. Sapeva che avrebbe avuto successo. E se lo avesse avuto, il vecchio sarebbe finalmente potuto morire in pace.
E lei avrebbe potuto regnare su quelle isole.
Vaas era solo… uno strumento. Suo fratello era un brav’uomo ma non era un guerriero (quantomeno, non ancora). E lei intendeva fare sì che continuasse ad essere un utile schiavo, con ogni mezzo.
Concedersi a lui era stato divertente ma niente più. Nulla di eccezionale. Si era già concessa a Pathil, un cacciatore di dieci anni più vecchio di lei.
Quella con Vaas non era stata ricreazione. Solo un premio, un incentivo. Ed aveva funzionato.

Vaas e i suoi due compagni giunsero in vista dei mercenari allo scadere del giorno. Una marcia estenuante a cui però erano abituati.
Vaas sorrise. Presto avrebbe spazzato via quei nemici dalla sua terra!
Strinse il kalashnikov con rabbia e determinazione. Vaas tornò alla tribù lentamente.
I mercenari erano morti, tutti. Era sporco di sangue, terra e ferito. Si sentiva bene. Vivo.
La Giungla gli aveva permesso di trionfare. I due che erano con lui erano morti. Aveva vinto.
E Citra l’avrebbe premiato, sicuramente.
Persino l’anziano Talmugai della tribù si sarebbe dovuto rendere conto della sua abilità.
La cicatrice che aveva in faccia bruciava. Uno dei mercenari l’aveva costretto a un duello di pugnale. Uno scontro difficile che aveva lasciato a Vaas uno sfregio lineare dalla fronte fino allo zigomo passando per l’occhio. Una ferita di guerra.
Arrivato al Tempio, vide Citra.
-Sorella!-, esclamò, -Ho conquistato onore e gloria!-.
Lei lo guardò, annuì e sorrise.
-Gli stranieri sono morti. Nessuno di loro tornerà a tormentarci!-, proclamò con gioia.
Accanto a Citra, il vecchio Talmugai sorrise e annuì.
Benevolo.
-Vaas! Oggi tu hai provato a tutti noi di essere degno del Tatau. Degno di calcare la Via del Guerriero.-, disse il vecchio. Di quello, Vaas se ne fregava.
Sapeva di essere un guerriero e non sarebbero dovuti essere un tatuaggio rituale o un vecchio decrepito a dargliene conferma. Però sorrise.

Hoyt Volker era un uomo impegnato.
Quando seppe che il suo primo contingente di dieci mercenari inviato in esplorazione era stato massacrato, la prima cosa che fece fu chiedere all’unico, febbricitante superstite di raccontargli tutto.
L’uomo eseguì. Hoyt rifletté pensando che i Rakyat fossero dei selvaggi. Ma andavano comunque benissimo come schiavi, se solo si fosse potuto piegare il loro orgoglio.

Citra, sdraiata supina, sorrise al vecchio. Il Talmugai iniziò. Dipinse il Tatau del Comando sulla spalla, il fianco e la coscia della giovane, completamente nuda. Uno spettacolo.
Citra si sentiva ebbra, eccitata. Consapevole del potere che le veniva offerto e smaniosa di esercitarlo.
Subito.
Il vecchio terminò il tatuaggio.
-Ora, Citra.-, disse mentre la giovane si alzava e lui s’inginocchiava porgendole un coltello, -Fa ciò che devi.-. Citra prese il coltello. Guardò il vecchio e annuì. Gli piantò il pugnale nel collo.

Vaas guardava la giungla. L’oceano alla spalle, sorrideva. Il Tatau gli sarebbe stato tatuato all’indomani. Guardò dietro di sé.
Gli altri lo guardavano con ammirazione. Ma lui sentiva qualcosa. Aveva la sensazione di aver mosso i primi passi lungo un sentiero terribile.
Ma poi la vide. Citra. La gente s’inchinava a lei.
Perché? Poi capì. Era la nuova Talmugai.
Sì, doveva essere così. E questo significava che lui era suo fratello… Il più grande guerriero dei Rakyat.
SI alzò per abbracciarla ma lei scosse il capo.
E lui capì, intuì che ormai qualcosa fosse cambiato.
-Vaas… Hai fatto un ottimo lavoro.-, disse.
Lui sorrise. Fiero e lieto ma conscio che ora tutto sarebbe cambiato.

I mercenari sbarcarono sulla spiaggia, erano un ventina. Il doppio del contingente precendente ed erano guidati da un comandante che godeva della massima fiducia di Hoyt. Montarono il campo e attesero ulteriori istruzioni.

Vaas imprecò. Citra era divenuta inavvicinabile. Erano due giorni che non la vedeva.
Non gli avevano ancora elargito il Tatau. Ma lui sentiva che non gli interessava. Si mise in cammino.

Citra sospirò. Era la Talmugai, la leader indiscussa della tribù. Alla fine aveva il potere che aveva sognato, che le era stato promesso. E uccidere era stato facile, inebriante. Proprio come lei già sapeva.
-Vaas dov’é?-, chiese a un guerriero.
-&egrave andato nella giungla.-, disse. Lei annuì.
Tanto meglio per ora.
-Come ti chiami, guerriero?-, chiese lei.
-Marius.-, disse lui. La Talmugai sorrise.
-Ti piaccio, Marius?-, chiese.
-Sei splendida.-, disse. Citra annuì. Anche lui era decisamente bello. Sì, decise, lo voleva.
-Ma…-, sussurrò Marius, Citra si avvicinò.
-Sei un guerriero. Trapassami con la tua spada.-, disse lei. Lui sorrise. La baciò e lei sentì che lo voleva. Lo fece distendere e s’impalò su di lui.

Vaas attraversò la giungla. Uccise cinghiali a pugnalate e sfuggì a un leopardo. Poi li vide.
Per un istante pensò di sbagliarsi. Lo sperò.
Ma c’erano ed era inutile negarlo. Gli stranieri erano tornati. Scacciò il desiderio di affrontarli e fece marcia indietro. Tornò verso casa.

Citra godette. Quante volte era venuto lui? Quante volte lei? Tante. Eppure ancora ne voleva.
Marius sospirò, distendendosi accanto a lei.
-&egrave stato un onore.-, disse.
-Lo sarà di nuovo.-, replicò la givoane.
Poi lo sentì. Scalpaccio di passi. Si affrettò a rimettersi addosso gli abiti e Marius fece lo stesso.
Un istante dopo che si furono rivestiti, Vaas entrò.
-Abbiamo provato a fermarlo.-, dissero le guardie.
Vaas gratificò di uno sguardo strano Marius.
Citra si chiese se avesse capito. Probabilmene sì.
-Dimmi, Vaas.-, disse.
-Gli stranieri… Sono tornati.-, disse lui. Lei annuì.
-Lo immaginavo. Torneranno sempre.-, disse.
-E noi li combatteremo.-, disse Vaas.
Citra sorrise. Sì, li avrebbero combattuti. Vaas meritava una ricompensa.
-Lasciateci.-, disse alle guardie. Sparirono.
-So che sei stata con lui.-, disse Vaas. Sembrava deluso, infuriato. Citra gli sorrise.
-&egrave solo un trastullo.-, disse.
-Credevo mi amassi!-, esclamò Vaas.
-Io ti amo, come un fratello.-, ribatté lei.
-Non mi sembra sia stato così qualche notte fa!-, esclamò il giovane. S’indicò la cicatrice.
-Questa me la sono fatta per te! Non conta un cazzo?!-, chiese. Rabbia. Pura. Citra ne fu travolta.
-Quello che speri non accadrà, Vaas. Accetta che ciò che é stato é stato e vai avanti.-, disse.
-MI RIFIUTO!-, l’ira di Vaas pareva uno tsunami, un’onda anomala. Citra mise una mano sul pugnale.
-Accetta e vattene, Vaas. Non farmelo ripetere.-.
Un confine era stato superato, lo capì. Ora, come detto dal vecchio Talmugai, Vaas avrebbe dovuto scegliere. Il giovane scosse il capo.
-Io ti amo, Citra. Ti amo! Hai capito?!-, ringhiò lui.
-Beh, io no.-, disse lei. Si voltò, lasciando Vaas a fissarla andarsene verso la corte interna del Tempio.

La rabbia di Vaas lo portò a isolarsi. Guardava l’oceano, pensava agli stranieri.
E decise. Non poteva avere Citra? Avrebbe avuto tutto il resto! Tutto! Decise. Avrebbe agito.

I mercenari pattugliavano il perimetro. Poi lo videro.
Un tizio con una canotta rossa e dei jeans scoloriti.
-Ehi? Posso parlarvi un istante?-, chiese.
Era fermo appena fuori dal perimetro esterno.
-Fermo o apriremo il fuoco!-, esclamò uno dei trooper.
-Voglio parlare col vostro capo. Ho parecchia roba da dirgli.-, disse il giovane.
-Polsi in avanti, neinte scherzi!-, esclamò uno dei mercenari. Gli infilarono delle manette.
-Ehi, non fate scherzi!-, esclamò.
-Ma chi? Noi? Mai!-, esclamò un’altro mercenario.
Poi girò la presa sull’arma e stordì il giovane. Si svegliò in una cella, frastornato dalla botta ricevuta.
Quanto tempo era passato? Non lo sapeva.
-Hey!-, urlò, -Voglio parlare col vostro capo!-, esclamò.
Niente. Nessuna risposta. Neanche un imprecazione.
Solo un dolore alla testa che gli rimbombava dentro.
Passò del tempo, forse qualche ora.
-Allora?-, chiese una voce.
-&egrave lui.-, disse un uomo.
La porta si aprì. Vaas era ammanettato e guardò davanti a sé.
Un soldato gli puntava addosso una pistola. L’altro uomo invece indossava abiti diversi. Una camicia spiegazzata e sorrideva, forse persino con benevolenza.
-Bene. Tu sei uno di quelli che hanno massacrato i miei uomini.-, disse. Vaas non rispose.
-Metà dei miei vorrebbe che tu morissi. L’altra metà vorrebbe che tu parlassi. La domanda é: tu cosa vuoi?-, chiese l’uomo.
-Sei tu che li guidi, mi pare. Perché non dovresti fare come cazzo ti pare?!-, chiese Vaas. Era esasperato. E stanco. Se non volevano il suo aiuto, allora avrebbe riso in faccia alla morte.
-Ah, l’hai sentito, Marc? Dovrei fare come mi pare!-, l’uomo pareva aver apprezzato la battuta.
-Il solo motivo per cui non ti ammazzo, brutto idiota é perché si da il caso che tu sia il primo di quei selvaggi che riesco a catturare vivo. Da altri ho saputo poco e niente. Ma tu… Tu puoi fare molto di più. Quindi te lo chiedo di nuovo: cosa vuoi?-.
Il tempo parve dilatarsi. Vaas sorrise.
-Voglio tutto. Voglio donne, potere, voglio essere… libero.-, disse.
-Libero?-, chiese l’uomo.
-Libero da…-, Vaas non riuscì a continuare. Non riusciva a dire il suo nome. Anche se avrebbe dovuto.
-Libero da qualcuno? E forse vuoi poterlo uccidere, questo qualcuno, eh? Perché, si da il caso che possiamo lavorarci ma prima possiamo presentarci come persone civili.-, disse.
-Il mio nome é Hoyt Volker.-, disse. Aveva occhi che parevano capaci di scrutare fin nell’animo di Vaas.
-Vaas. Vaas Montenegro.-, rispose lui.
-Bene… Vaas. Parlami dei tuoi amici selvaggi.-, disse Hoyt con un sorrisetto.
-Cosa mi dai in cambio?-, chiese lui, -Sono stufo di essere il galoppino di turno per chiunque!-.
-Oh, beh, se la metti così!-, Hoyt estrasse qualcosa dalla tasca. Una busta di qualcosa. Droga di qualche tipo, forse. Vaas sapeva che gli stranieri a volte usavano roba del genere. I Rakyat la disdegnavano, ritenendo la droga ciò che li abbassava a divenire degli animali senza cervello ma Vaas non si sentiva più molto Rakyat.
Era stato un eroe ma non era bastato. Ora forse avrebbe dovuto far capire a Citra la portata del suo errore.
-Dimmi ciò che sai… ed é tua. E non solo questa. Vedrai. Grazie a queste, diverrai invincibile.-, disse Hoyt.
E Vaas prese a parlare. Hoyt annuì. Prese nota.
E, al termine di tutta la conversazione, gli fece togliere le manette.
-Ora sei pronto, Vaas. Sai, ci sono alcuni dei miei, gente indisciplinata e incapace che… ragionano più o meno come te. Ora… forse dovrei affidarteli. Forse dovresti avere un tuo esercito, no?-, chiese. Vaas non ci pensò neppure. Annuì sorridendo.
-Allora vieni che te li presento.-, disse.

Erano in venti. Gente con abiti casual, devastati dallo sguardo demente, armi a tracolla, tatuaggi da deficenti, espressioni da encefalogramma piatto.
Ma a Vaas andavano bene. Avrebbe forgiato quegli idioti nel suo esercito. E avrebbe mostrato a Citra cosa voleva dire perdere. Annuì.
-Per le prossime due notti, svagatevi pure. Ma poi voglio che torni sull’isola a Nord. E che incominci a far capire ai Rakyat da che parte gira il vento.-, disse Hoyt.

Le successive due giornate passarono in un delirio di droga, allucinogeni e sesso che Vaas non sarebbe mai stato in grado di ricomporre. Non che gli importasse. Ricordava di aver posseduto due donne allo stesso tempo. Ricordava di aver bevuto birra a litri.
Ricordava di aver sentito la coscienza sprofondare.
Tutto ciò che restava era lui, Vaas. E il suo proposito.
Per il giorno in cui dovette guidare i suoi, si era rasato i capelli facendosi una cresta, aveva sostituito i jeans con pantaloni militari ed aveva assunto tutt’altra prospettiva delle cose. Ora voleva tutto. E avrebbe avuto tutto!
Poi qualcuno, un vecchio glielo disse.
Era al bar Crazy Cock e il vecchio doveva essere un rudere che veniva lì ad accorciare la poca vita rimastagli.
Cappello floscio in testa, bocca sdentata, perennemente avvinizzito eppure, ancora lucido e spavaldo quanto bastava da apostrofare Vaas.
Dopo quasi dieci ininterrotti minuti che Vaas perdeva a poker, il vecchio lo disse.
-Follia é fare e rifare la medesima cosa sperando che qualcosa cambi.-, tali parole.
Vaas lo fissò.
-Scusa?-, chiese. Il vecchio ripeté.
E Vaas esplose. Tirò fuori la pistola fornitagli da Hoyt e sparò al vecchio. Credendo che sarebbe finita lì…
Invece quelle parole lo avrebbero tormentato per molto tempo ancora.

Vaas e i suoi arrivarono sull’isola a Nord prendendo terra sulla stessa lingua di terra su cui avevano precedentemente fatto campo i mercenari.
Accompagnati da una decina degli uomini di Hoyt si piazzarono. Vaas e i suoi ovviamente diedero subito un tocco di personalizzazione alle strutture fornite loro.
Graffiti, visioni psichedeliche. Cose così.
Alcuni degli uomini di Vaas svilupparono un insana vena piromane ma lui non li limitò, anzi.
In breve tempo, il loro numero crebbe, sia grazie ai Rakyat catturati e convertiti, sia grazie a nuovi arrivi sull’Isola dall’esterno.

Citra sospirò. Marius l’aveva posseduta spesso ma mai ingravidata. Lei intendeva portare in grembo quel guerriero predetto dal vecchio Talmugai.
Un giovane eccelso guerriero.
Marius si avvicinò.
-Mia signora. Vaas non ha fatto ritorno.-, disse.
Citra non se ne preoccupava particolarmente. Vaas era sicuramente uscito nella giungla e sarebbe tornato.
-Sono giunto sino all’altra estremità dell’isola e ho visto… questo.-, disse Marius mostrandole alcune foto.
Tra di esse ve ne fu una che attirò l’attenzione di Citra.
Vaas, riconoscibile nonostante il nuovo taglio di capelli che uccideva dei Rakyat.
I pugni di Citra si chiusero al punto tale che le unghie le affondarono nella carne.
-Uccidilo, Marius! Uccidilo e finisci quel che doveva fare lui!-, ordinò lei. L’uomo annuì.

L’imboscata fu preparata per bene. Marius scelse i suoi dodici migliori guerrieri per attaccare l’Isola a Sud.
Avrebbero distratto il nemico. E lui e gli altri undici avrebbero fatto il resto.
Si sincronizzarono in modo tale da colpire al tramonto.

Marius e i suoi avanzarono verso il fortino. Marius sorrise. Nessuno li aveva visti. Sarebbe stato facile.
D’un tratto la notte si popolò di grida, spari, esplosioni e imprecazioni. I Rakyat erano caduti in trappola. Vaas li aveva giocati o era solo stato prudente? Inutile chiederselo. Marius sparò. Abbatté due di quei pirati pazzoidi e lanciò il fucile scarico contro un terzo.
Estrasse il pugnale e ne uccise un’altro.
Poi se lo trovò davanti.
-Vaas…-, sussurrò. La rabbia lo congelò prima di dargli nuove energie. Ma il proiettile che il giovane gli sparò in petto mise la parola fine alla storia di Marius.

Citra attese. Attese di sapere che Marius aveva vinto. Attese per un giorno e una notte. E infine le giunsero notizie. Di guerrieri morti. Prigionieri affogati nel cenote meridionale. Di pirati pazzi che vessavano i Rakyat.
Di guerrieri che cadevano in battaglia.
E capì. Ora l’ultima speranza era davvero lui. Il Guerriero.
Colui che doveva giungere!
Sfiorò le pitture murali del tempio sperando, pregando, che quell’uomo giungesse presto.

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