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Caro Diario,

ora sono più rilassata e posso riprendere a raccontarti.

Me lo sentivo scorrere su e giù dentro il ventre, mentre cercavo di mantenere in tiro il più a lungo possibile la potenza dell’attrezzo del mio godimento. Più durava e più godevo. Ero tanto presa dal moto continuo che mi venne in mente di profanare il suo sedere, infilandogli il dito medio nel culo. Il ritmo che lui mi trasmetteva era pari a quello del mio dito che lo penetrava.

Il suo sfintere, appena sfiorato, strinse la mia falange, sorpreso, quasi volesse sottrarsi, per poi allargarsi in un abbraccio consenziente, aprendosi all’incontro voluttuosamente, mentre la sua libidine esplodeva in me con la potenza centuplicata di un tifone che riversava su Shanghai scrosci violenti di liquido bollente.

Investita da quel getto inusitato e caldo, mi scosciai ancora di più per accoglierlo tutto, aderendo saldamente al tronco che si radicava saldamente dentro di me. Lo strinsi contro di me con la potenza dii una ventosa esaurendo tutte le forze che avevo, mentre si susseguivano i getti violenti di linfa che si riversavano nel cavo del mio scolmatore. Continuai ad agitarmi sotto di lui, scossa da orgasmi ripetuti, inbriata dall’impatto potente che m’impediva di solo immaginare la soluzione dell’amplesso.
Teo aveva smesso da parecchi tempo di eruttare lava e rallentava, mentre cercavo disperatamente di soddisfare la mia fame di inesauste nuove sensazioni. Con protervia, quasi con rabbia, avevo assunto l’iniziativa. Ora il suo corpo si articolava come un pupazzo sbattuto di qua e di là, avendo completamente perduto l’ardore iniziale per il calare del desiderio. Infuriata, l’agguantai per le palle e cominciai a strizzarle. Un guizzo di dolore lo fece sobbalzare, mugugnando qualcosa. Cercò di riprendersi; continuò ad oscillare, ma con inesistente vigore. Gli tenevo i condotti deferenti fra l testicoli e la base del pene, impedendo al sangue di rifluire, abbandonando l’asta al suo miserando destino. Non potevo permetterlo. Era la ragione del mio piacere! Finché non arrivai alla mia stazione dopo quattro o cinque prolungati orgasmi che mi annientarono definitivamente.

Teo rotolò sul fianco. Ebbi la sensazione che mugolava per il dolore, mentre si accartocciava su se stesso, stringendosi il basso ventre. Io respiravo a fatica, sconvolta, rossa in volto. Le guance mi bruciavano, le tempie battevano e provavo un caldo insopportabile nonostante fossi rivestita della sola mia pelle. Restai a lungo a gambe aperte, le ginocchia sollevate a protezione della mia vulva sventrata ed ebbra di sperma. Il tremore del piacere continuava a scuotermi. Lentamente mi acquietai. Nel torpore che mi assalì mi embrava di percepire ancora dei mugolii soffocati e carne che sbatteva una contro l’altra. Il tipico rumore della ciccia che viene pestata, scontrandosi.

In un moto istintivo, girai la testa dal lato da quei provenivano quei rumori, cercando di sollevare le palpebre che mi si erano incollate per lo stordimento. Mi sembrò di riconoscere i due corpi che si agitavano uno contro l’altro, uno inserito nell’altro. Non so come fossero spazialmente composti; chi fosse sotto e chi sopra, chi comandasse il gioco e chi lo subisse. Erano come una poltiglia unica che si muoveva rimbalzando a colpi di reni ora da una parte ora dall’altra, rotolando sul letto. Vidi chiaramente il lungo bastone nodoso che si agitava forsennatamente cercando di penetrare nella fossa anale dell’altro che gemeva restando supino. Ero intontita, ma distinguevo la violenza della penetrazione che faceva sobbalzare chi la subiva come un sacco di patate scosso. Il trattamento era bestiale, ma non potetti fare a meno di forzare con due dita la mia passera, irretita dallo spettacolo, che subito cominciò a lubrificarsi mentre muovevo il picciolo che s’affacciava al vertice delle piccole labbra ormai violacee.

I due bruti continuavano a violentarsi. Ora era l’altro a cavalcare, mentre il primo riceveva l’asta del suo drudo e si masturbava, agitando la sua verga fra le mani.

In quel momento avvertii il grattare di una raspa che mi strofinava la passera. Il mio Teo allontanò la mano che avevo incollata nella fessura vaginale e mi leccò, sfruttando l’ampiezza della sua lingua per scostare i lembi carnosi della mia vulva. Mi gettò nella frenesia totale. Non riuscivo più a contenere i movimenti peristaltici della passera. Sollevavo le reni per aderire alla sua bocca e andavo su e giù, cercando il contatto continuo con quella lingua che penetrava e leccava, succhiando il clitoride, fino a provare dolore. Il godimento era nella continua ricerca di nuovo piacere oltre il dolore. Il mio uomo era rinvenuto dalla catarsi che l’aveva assalito dal precedente svuotamento delle palle. Il membro che accolsi nella mano era di nuovo duro e andava aumentando di dimensioni.

Mi costrinse a ruotare, posizionandomi in modo supino. Piegai le ginocchia, mostrandogli le terga rotonde e morbide che apprezzò, palpandole per qualche minuto come fossero di seta delicata per scendere, poi, con le dita fra le chiappe. Prese confidenza col mio buchetto, giungendo a penetrarmi da dietro con le dita nella passera. Mi sentivo una vacca che attende di essere montata e mi girai di lato per osservare quel che stava facendo. Aveva gli occhi chiusi e muoveva lentamente con una mano l’asta che era diventata di nuovo tesa e gigantesca, così mi parve dal mio punto di osservazione. Insalivò le dita della mano libera e mi toccò il buco dell’ano. Avevo sempre aborrito quella pratica; mi sembrava abominevole, ma in quell’occasione, vedendo l’esempio dei due ganimedi che si pestavano e sbattevano a spron battuto, unica possibilità che vevano per possedersi in modo completo, non potetti fare a meno di considerar quella via come complementare al piacere che avevo già provato in precedenza. Mancava al novero delle mie conoscenze.

Lo vidi accostare la testa del glande alle chiappe e la sentii strisciare contro la mia carne in su e in giù, provocando la reazione involontaria della chiusura del mio povero sfintere. Finché non mi abituai al passaggio ripetuto e cercai di rilassarmi, accettando l’ingrato ingresso, purtuttavia agognato. Non volli pù guardare, anche perché la mia aspettativa cresceva. Avvertii la sensazione di fresco del liquido lubrificante che lui, evidentemente, faceva colare sul mio buchino. Lo spalmò con lo quello strumento che mi stava adescando da cinque minuti.
Non ne potevo più di aspettare che si decidesse e mugolavo di desiderio come una cagna in calore. Con grande precisione fece scivolare il grande cono nello sfintere, costringendolo nella strettoia dell’ingresso. Non trovò difficoltà a raggiungere il primo girone. Sentii che s’era fermato, sfiatando anche lui di desiderio. Con le braccia rigide sollevai il busto, mentre il culo si offriva alla degustazione. Respirai profondamente, attendendo la prossima mossa con un senso di inquietudine.
Ahhhhh! All’improvviso avvertii un colpo di spada e penetrò nel colon, in un’area che sentii subito come completamente devastata. Mi abbassai sulle braccia per reggere l’emozione e la spinta di penetrazione. Un bruciore intenso mi invase. S’arrestò nuovamente, aspettando forse qualcosa che doveva succedere. Infatti, il bruciore diminuì, lasciando in me il desiderio di essere penetrata. Ricominciò a muoversi con moto quasi rotatorio, come per divaricare di più le pareti che stringevano l’asta. Ora ero io che mi muovevo lentamente avanto e indietro, mentre lui iniziava l’ andamento alternato, ritirando e affondando nuovamente il randello. Il moto era perfettamente coordinato. Un’andatura da crociera. Com’era dolce assaporarlo in quel modo! Lo sentii sprofondare all’interno della mia voragine che lo risucchiò. Una sensazione di pienezza mi invase. Ero pregna di lui. L’avvertivo come un corpo estraneo nella pancia di cui non volevo liberarmi e, pian piano, diventava mio. completamente inglobato, assorbito, vissuto.

Continuò l’andatura costante ed estenuante, finché non cominciò la frenesia finale che mi coinvolse totalmente. Caro, caro, dolce Amore! Non so se glielo dissi o lo pensai soltanto. Mi sembra di aver gridato di piacere, sicuramente l’ho pensato. Mi montava velocemente menando botte di reni pazzesche, facendo sobbalzare le mie mammelle a cui, rapido, s’afferrò come a delle briglie per non essere sbalzato dalla giumenta in calore. Stringeva e tirava le mammelle senza che io mi potessi o volessi sottrarre. Con le dita stimolava i capezzoli tesi nello stato di eretismo in cui erano. Provavo dolore, ma era nulla in confronto al godimento che mi raggiungeva al cuore.

Entrambi in un bagno di sudore, bruciavamo di un unico ardore. Era un sobbalzare, un guaire, uno sfiatare continuo da parte di entrambi. Finché non sentii il peso del suo corpo che, nel tentativo di possedermi completamente, mi schiacciava sotto di lui. Le gambe si allargarono, cedendo, e caddi faccia in avanti fra le lenzuola. Continuò ad agitarsi freneticamente come un meccanismo impazzito dentro di me che cercavo di agevolarlo in tutti i modi. Finché non s’arrestò, invadendomi del suo liquido calore che avvertii ristagnare nella pancia. Restò così, sopra di me fino a togliermi il fiato. Poi si rivoltò faccia in alto, respirando affannosamente. Mi sembrò che quel prezioso liquido di cui mi aveva colmato uscisse, colloso, viscido, dal buchino squassato.
Intanto, anche Patroclo e Achille giacevano bocconi, respirando faticosamente, satolli delle loro secrezioni spermatiche.

S’erano fatte le quattro di mattina. Era stata una danza forsennata e ne avevamo beneficiato tutti e quattro ampiamente. Non so se ci si possa aspettare di più per la prossima volta, ma sarà sicuramente una sorpresa. Ora, nuovamente e, questa volta dolorosamente, esausta, ti lascio. Ciao, caro Diario. (continua)

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Nina Dorotea

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