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Due spicchi d’aglio

By 26 Giugno 2013Dicembre 16th, 2019No Comments

C’è voluto un bel po’ per pulire i funghi, ma ne valeva la pena.
La padella con l’olio è pronta sul fornello.
L’aglio! Ecco cosa mi stavo dimenticando. Mi dirigo dietro la porta dove lo tengo appeso.
Accidenti, l’ultima testa rimasta si è seccata ed è inutilizzabile.
Non posso cucinare i funghi senza aglio.
Va be’, faccio una scappata da Marisa e me ne faccio prestare un paio di spicchi.
Marisa è la mia vicina, abitiamo in due villette a schiera contigue ed è l’unica persona con cui ho veramente fatto amicizia da quando sono venuta ad abitare in questa città.
La camicetta e la gonna che uso in casa sono discretamente stinte e sdrucite, ma non devo veramente uscire, anche se, tecnicamente, devo varcare la soglia di casa mia, percorrere il vialetto ed uscire sul marciapiede, da lì, solo pochi metri prima di rifare lo stesso cammino a ritroso, questa volta verso la casa di Marisa.
Anche i vecchi zoccoli che porto ai piedi, declassati ultimamente dal mare allo stare in casa, non sono il massimo, ma, come ho appena detto, non devo uscire e non mi vedrà nessuno.
‘Mi spiace, Elena, Marisa non c’è, è andata a Milano per il fine settimana e tornerà domani sera.’
E’ vero, me l’aveva pure detto.
‘Veramente, signor Vincenzo, mi servivano solo due spicchi d’aglio.’
Vincenzo è il marito di Marisa, ha superato la sessantina, come anche la mia amica, ma mentre con lei mi sono data da subito del tu, con lui non mi è mai riuscito, anzi, continuo, anche dopo diversi anni, a chiamarlo buffamente signor Vincenzo.
Mi sorride dietro i folti baffi grigi e mi fa cenno di sedermi.
‘Mettiti pure comoda, mentre cerco l’aglio, chissà Marisa dove lo tiene?’
Così mi siedo in cucina mentre lui fruga in giro alla ricerca dell’aglio.
Mi ha preso di sorpresa. è arrivato improvvisamente da dietro e mi ha spinto contro naso e bocca un tampone bagnato.
L’odore forte, un misto di medicinale e di disinfettante mi penetra nelle narici e mi stordisce, cerco di scostarmi, ma lui mi schiaccia il tampone contro la faccia.

Non ho idea di quanto tempo sono rimasta senza conoscenza.
Ora mi sento strana, stordita ed allo stesso tempo leggera, come se fluttuassi nell’aria.
In un certo senso è proprio così, perché sono appesa al soffitto con delle corde.
Le braccia sono tese in verticale sopra la mia testa, con i polsi legati insieme ad una robusta fune, ancorata alle travi del soffitto del garage.
Infatti sono nel garage del signor Vincenzo, dalla parte opposta, verso il cancello basculante chiuso, c’è la sua vecchia Uno grigia.
Altre due funi, più sottili, mi passano sotto le ginocchia, costringendomi a stare con le gambe allargate e sollevate.
Lui mi si avvicina sorridendo, ma la sua espressione, un misto tra il cinico ed il sardonico, non promette nulla di buono.
Una volta di fronte a me, inizia a sbottonarmi la camicetta.
Non posso far nulla, immobilizzata dalle funi ed ancora intontita dall’anestetico, posso solo assistere.
Mano mano che la camicia si apre, lui guarda con sempre maggior interesse quello che c’è dentro.
Mi passa per la mente il pensiero stupido che, siccome ero sola in casa, avevo indossato il reggiseno più vecchio e più malandato, ed ora farò brutta figura.
‘E’ un vero piacere osservare da vicino le tue belle tettone da balia.’
Ho sempre avuto il seno grande, quando facevo il liceo eravamo in due, io e Silvana, a portare la quinta, solo che lei era una specie di grassa balena, e la pancia le nascondeva le tette, mentre invece io, alta e magra, facevo ben altra figura.
Mi piace quando gli uomini mi guardano il seno e, a volte, mi diverto a tenere un bottone di troppo aperto, ma del signor Vincenzo non mi ero mai accorta, perché lui è un tipo tranquillo e riservato, che non si era mai permesso il minimo atteggiamento indiscreto.
L’accenno alla balia, una figura desueta nella società di oggi, mi ha colpito.
Per un attimo me lo immagino attaccato ai capezzoli, che succhia latte dai miei seni, facendomi il solletico con i baffi grigi.
Ma è soltanto un attimo, subito dopo vengo presa dalla paura, sono sola con lui, sua moglie tornerà soltanto domani sera. Si sta preparando a violentarmi e magari, per impedire che io possa spifferare tutto a Marisa, alla fine mi ucciderà.
Inizia a carezzarmi le tette, che ora, a trentacinque anni compiuti, sono un po’ meno sode di quando ne avevo diciotto, ma anche più voluminose.
Tutto sommato non mi dispiace, ha un tocco leggero e quando mi solletica i capezzoli attraverso la stoffa bianca del reggiseno, avverto una certa eccitazione.
Improvvisamente si ferma, la sue mani scorrono dietro, sulla mia schiena e lo sento armeggiare con i gancetti.
Il reggiseno, ormai aperto, libera il suo contenuto che si appoggia mollemente sul mio busto.
Il signor Vincenzo affonda il viso nei miei seni, ora sento veramente il solletico dei suoi baffi sulla mia pelle, dovrei ribellarmi, o almeno protestare, ma non ci riesco.
Inizia a carezzarmi, mentre la sua lingua mi stuzzica i capezzoli, che rispondono subito indurendosi, insomma, mi sta piacendo.
Mi scappa un piccolo gemito di piacere e lui ricambia con un sorriso di soddisfazione, mentre allontana definitivamente dalle mie tette il reggiseno, sistemandolo intorno al collo e sulle spalle.
All’improvviso si scosta da me facendo un passo indietro, e mi fissa. Il suo sguardo si è posato più in basso, sul mio ventre appena coperto dalla gonna che, data la posizione delle mie gambe, è risalita scoprendomi completamente le cosce.
Ecco, ora mi scopa. Io sono immobilizzata e non posso far nulla per impedirglielo.
‘Per favore ‘ signor Vincenzo ‘ non …’, riesco appena a farfugliare.
‘Non cosa, Elena?’
‘Non ‘ non mi scopi!’, riesco a dire tutto d’un fiato.
‘Ma certo che ti scoperò, ci penso da un mucchio di tempo, praticamente dalla prima volta che ti ho vista, quando sei venuta ad abitare qui. Vedrai che non sarà così male.
Però non subito, c’è tempo, sono sicuro che alla fine sarai tu stessa a supplicarmi di essere scopata.’
Posa le mani sulle mie ginocchia e sento le dita che risalgono lentamente lungo le cosce.
Ha veramente un tocco piacevole e mi rendo conto che, istintivamente, mi viene voglia di allargare ancora di più le gambe.
Mi sento strana, forse dipende dalla posizione, oppure ‘
‘ le pillole. Ora ricordo. Appena ripreso conoscenza, prima che iniziasse a sbottonarmi la camicetta, mi ha fatto aprire la bocca e mi ha poggiato sulla lingua due pillole colorate, una rosa ed una verde.
Ero così stordita che non ho opposto la minima resistenza, lui mi ha avvicinato alle labbra un bicchiere d’acqua ed io ho mandato giù tutto. Anche se non le avevo mai prese prima d’ora, le avevo viste usare diverse volte da alcuni miei amici. Certo, da un tipo come lui, non ti aspetti che sia fornito di roba che si usa per cercare lo sballo in discoteca.
Ora mi sento sempre più strana e le pillole devono essere responsabili di ciò, almeno in parte.
Intanto le sue dita sono arrivate alla fine delle mie cosce. Mi solleva completamente la gonna sul davanti.
Ho le mutandine bagnate, al punto che la stoffa è diventata completamente trasparente e si vede perfettamente lo spacco semiaperto del mio sesso.
Lui ci passa sopra delicatamente un dito ed io inizio a respirare a bocca aperta. Continua a stuzzicarmi, poi si ferma di colpo.
‘Brava, Elena, ti stai comportando bene, ma siamo solo all’inizio.’
La sua mano si infila dentro le mutandine, da sopra, e le dita iniziano a scendere verso il basso.
Prima gioca con la mia folta pelliccetta, poi scende più giù e mi scappa un grido.
Accidenti, non sono mai stata così sensibile, non so se dipende dalla circostanza, dalle pillole o dalla sua abilità, ma inizio a capire il senso delle sue parole riguardo al fatto che sarei stata io a supplicarlo.
Mi sta facendo un massaggio delicato e, mano mano che lei si apre, le sue dita si fanno più intraprendenti, allargando la fessura ed entrando in profondità.
Si ferma solo quando il mio ansimare si è fatto così forte che non mi riesce di mascherare minimamente l’eccitazione che sta crescendo in me.
Si allontana ma torna subito tenendo in mano un piccolo cilindro di plastica bianca.
Lo sistema dentro il mio slip, lasciando la parte posteriore che spunta fuori e, prima di togliere la mano, mi allarga le labbra della vagina, in modo che l’aggeggio penetri in parte ed aderisca bene.
Per ultimo, aziona il piccolo interruttore posto sul retro e si siede di fronte a me, a cavalcioni di una sedia, a godersi lo spettacolo.
Il ronzio acuto del vibratore rompe il silenzio del garage.
Non riesco a stare ferma e il movimento che imprimo alle corde che mi tengono appesa al soffitto mi fa oscillare avanti e indietro, mentre l’eccitazione aumenta e si fa insostenibile.
Grido, gemo, mi agito, finché non perdo uno zoccolo che cade a terra, con un tonfo sordo.
Lui si alza e mi sfila anche l’altro, mi tiene dolcemente tra le dita entrambi i piedi, carezzandomeli, mentre io grido di piacere.
Sono venuta.
A forza di agitarmi, il vibratore si è spostato ed è venuto a contatto con il clitoride, sono bastati pochi secondi per farmi raggiungere l’orgasmo.
Non ho mai fatto una cosa simile davanti ad un uomo che conosco appena e, per l’età che ha, potrebbe essere mio padre, ma non me ne importa niente.
Il signor Vincenzo spegne il vibratore e poi lo sfila dalle mie mutandine.
è impregnato dei miei umori e sgocciola abbondantemente. Anche il mio slip, completamente zuppo, sgocciola e, in terra, si è fatta una piccola pozza.
‘Allora, Elena, di’ la verità, vorresti essere scopata?’
Sì, vorrei, ma sono così sfinita, che riesco solo a far cenno di sì con la testa.
‘E’ presto, non sei ancora cotta a puntino.’
Si allontana di nuovo, fruga in un cassetto e torna con un luccicante paio di forbici.
Ho di nuovo un momento di paura, temendo che possa farmi del male.
Inizia a tagliarmi le mutandine subito sotto l’elastico che le tiene in vita. Procede lentamente, senza fretta, scendendo in verticale.
Sento il freddo del metallo che avanza sulla mia pancia, ora è arrivato , continua lentamente, gira in mezzo alle gambe e prosegue dietro.
Si ferma solo in prossimità della parte posteriore dell’elastico e allarga con le mani i due lembi lungo il taglio.
Si sofferma un attimo ad osservare il lavoro compiuto e passa delicatamente un dito sulle labbra della mia vagina, rossa, umida e dilatata.
Ecco, è giunto il momento, ora mi scopa, penso io. Ma mi sbaglio.
Tiene in mano un affarino di gomma verde, che mi ricorda vagamente l’arbre magique, quel deodorante che si mette in macchina. Più o meno ha una forma simile, stretto in cima e che si allarga a cono, ma non è piatto come quello.
Me lo piazza in mezzo alle chiappe ed inizia a spingere.
Fa male ed io grido.
‘Tranquilla Elena, allarga il culetto e respira profondamente.’
Io ubbidisco e sento quel coso entrare dentro.
Più che far male, diciamo che ora mi da fastidio e mi fa stare in tensione.
Avvicina la sedia e si siede proprio in mezzo alle mie gambe divaricate.
Accosta le labbra e mi tocca con la punta della lingua.
è come se fossi stata colpita da una scossa elettrica, emetto un grido e spingo indietro la nuca.
Mi tocca di nuovo, più in profondità ed io grido ancora.
Con due dita mi scappuccia completamente il clitoride e ci appoggia la bocca stringendolo leggermente.
Sento la sua lingua sfiorarlo e capisco cosa ha intenzione di fare.
è troppo.
‘Signor Vincenzo ‘ basta …’
‘Basta cosa?’
‘Per favore …’
‘Cioè?’
‘La prego, mi scopi, ora’
‘Non è ancora il momento.’
La sua lingua si appoggia al mio clitoride, poi inizia a stuzzicarlo, girandogli intorno.
Grido, mi agito, ma lui continua imperterrito, finché non gli vengo proprio in faccia.
L’ho spruzzato di brutto, ma lui non sembra preoccuparsene, si asciuga con il dorso della mano e mi sorride.
‘Brava. Stai facendo progressi.’
Vuol dire che ancora non basta? Sono sfinita e le corde che mi bloccano polsi e ginocchia cominciano a farmi male, e, come se non bastasse, l’arbre magique piantato nel culo mi da sempre più fastidio.
‘Signor Vincenzo, la prego, sono stanca …’
‘No, Elena, non è ancora il momento.’
‘La supplico, mi scopi, ora e poi mi liberi, per favore, non resisto più.’
Come aveva previsto all’inizio, lo sto implorando di scoparmi, se potessi, mi prostrerei in ginocchio davanti a lui.
‘Devi resistere ancora un po’, non manca molto.’
Ha di nuovo in mano il vibratore.
Lo accende nuovamente, ora fa più rumore, deve avere più di una velocità.
Lo passa delicatamente sull’attaccatura delle cosce, poi risale leggermente solleticandomi i peli pubici.
‘Dentro, dentro, me lo metta dentro!’
E lui mi accontenta. Il vibratore affonda nella mia carne e ricomincia tutto come prima, anche peggio, o meglio, a seconda dei punti di vista.
Mi agito, grido, mi dibatto, mentre il vibratore esplora il mio sesso, sento l’orgasmo che si avvicina nuovamente.
Sono venuta ancora, spero che sia l’ultima, o che almeno mi dia un po’ di tregua, invece il vibratore è ancora acceso e continua a frugare dentro di me, strappandomi momenti di piacere irrefrenabile ma ormai intollerabile.
‘Basta, basta, la prego, la scongiuro.’
La punta del vibratore va a cercare per l’ultima volta il punto più sensibile del mio sesso e vengo ancora.
Devo essermi assopita un attimo, sono sfinita.
Il signor Vincenzo è in piedi di fronte a me, con i pantaloni aperti.
‘Brava Elena, ti sei comportata bene.’
Avanza verso di me, a passi lenti, con il pene eretto che oscilla leggermente.
‘Allora, sei pronta per essere scopata o devo scaldarti ancora un po’?’
‘No, sono pronta, sono pronta.’
Sono così aperta e bagnata che, nonostante lui abbia un cazzo di ragguardevoli dimensioni, entra subito dentro come un coltello caldo nel burro.
Lui sta fermo, una volta infilatolo, fa muovere me, sfruttando il dondolio delle corde.
Dura un bel po’ perché lui vuole prendersi tutto il tempo che gli serve, aumentando e diminuendo il ritmo a suo piacimento.
Mi tiene le mani sulle chiappe ed il dondolio del mio corpo lo fa entrare ed uscire, finché non decide che può bastare, allora sento le sue unghie, corte e forti, piantarsi nella carne dei miei glutei, mentre il ritmo si fa più concitato.
Lo sento venire dentro di me, mentre, con il viso affondato nei miei seni, mi mordicchia i capezzoli e così raggiungo l’ennesimo orgasmo di questa strana serata.
è fuori e la mia vagina erutta fiotti di sperma che vanno ad ingrandire la pozza fatta in terra dai miei umori.
‘Brava, ora ti metto giù.’
Le corde sotto le ginocchia si allentano ed i miei piedi toccano terra.
‘Allarga un attimo le gambe.’
Io ubbidisco e sento le sue dita frugarmi in mezzo alle chiappe, ci mette un attimo a sfilarmi l’arbre magique.
Per ultimo allenta il cavo che mi tiene i polsi, ma deve sorreggermi, perché le gambe mi si piegano e non riesco a stare in piedi.
Mi trovo abbracciata a lui, con i seni nudi contro il suo petto, e la pancia che preme contro il suo pene bagnato.
Mi lascia lentamente scivolare a terra e così mi ritrovo in ginocchio e, d’istinto glie lo afferro ed inizio a succhiarlo.
Lui ha aspettato che tornasse duro, poi mi ha fatto abbassare un po’ e lo ha piazzato in mezzo ai miei seni.
‘E’ l’uso migliore che si possa fare per due belle tettone come le tue.’
Mi tiene le mani premute contro i seni e li fa muovere in su ed in giù.
Vedo la punta rossa del suo pene affiorare a tratti in mezzo ai miei seni, mentre il ritmo si fa di nuovo veloce ed io attendo il gran finale.
Data la posizione, mi ha riempito di sperma la faccia, poi, subito dopo, ha aperto la porta del garage e mi ha spinta fuori.
è notte fonda ed io mi incammino a fatica sul vialetto.
In mano stringo due spicchi d’aglio, ma penso che ora sono troppo stanca per cucinare e per mangiare.

Questa storia è avvenuta più di sei mesi fa.
Marisa va a Milano, a trovare il figlio, più o meno una volta al mese.
In queste occasioni mi accorgo sempre di aver finito l’aglio.

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