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Racconti Erotici Etero

Eneide Postmoderno – Della resa dei conti

By 16 Aprile 2020Maggio 31st, 2020No Comments

La mattina, appena prima dell’alba, Janus uscì dalla sua stanza, recandosi da Asclepia insieme a Maghera. Non visti, entrarono nel Sanatorium dove trovarono Brutus, convenientemente legato.
L’Apotecaria spiegò loro che la sistemazione era temporanea: se Cassius avesse indagato non vi sarebbe stato modo di nascondere il prigioniero. Tolto il bavaglio, Janus fissò il traditore.
Provava solo disprezzo per quell’uomo e per ciò che rappresentava.
-Puoi scegliere: dirci tutto quello che sai e vivere accettando il mio comando, o morire.-, esordì.
-Che fine ha fatto il tuo onore licaneo? Non saresti tu il primo a opporti all’idea di uccidere un uomo disarmato?-, chiese Butus con un ghigno sprezzante e un’occhiata d’odio rivolta a Maghera.
-Non osare parlare d’onore. Tu ti sei accompagnato ad assassini e traditori. Maghera mi ha detto cos’ha trovato. E mi ha detto anche di te. Ci hai traditi tutti, Brutus. Hai infangato il tuo nome e quello della tua famiglia affossandone l’onore. Sei l’ultimo che dovrebbe giudicare le mie scelte.-, replicò Janus. Brutus tacque. Asclepia tossì appena, per richiamare l’attenzione.
-La scelta rimane, traditore.-, disse senza curarsi di celare il proprio disprezzo né minimamente turbata da quello evidente nello sguardo d’odio dell’uomo.
-Allora?-, rincarò la dose Maghera. Aveva estratto uno dei suoi coltelli, saggiandone appena la lama col pollice. Brutus parve temporeggiare ancora, Janus semplicemente gli piantò gli occhi nei suoi, il viso inespressivo che tradiva solo disprezzo, puro e semplice nei confronti di quell’uomo.
E, a quel punto, Brutus capì. Non bluffavano. L’avrebbero ucciso, anche a costo di iniziare una guerra civile tra gli Esuli rischiando la morte di tutta la loro cultura.
-Ok… Parlerò.-, disse. E lo fece. Confessò del suo ruolo, parlando anche degli altri congiurati.
Di Aniseus, Tia, Letha, Betea, Cassius, Meterus e  Ossius. Quando concluse, reclinò il capo.
-E di me ora che ne sarà?-, chiese.
-Ci aiuterai ad abbatterli.-, disse Janus, -E poi vedremo.-.

Tia si svegliò piano, riprendendo coscienza a poco a poco. Era nuda, distesa sul petto di Cassius.
Avevano fatto sesso, un sacco, finché non erano collassati. La giovane sorrise pensando che quell’uomo pur focoso e duro fosse in grado di regalarle momenti di piacere assolutamente sconosciuti ad Aniseus o agli altri suoi ex-amanti. Sentì qualcosa scivolarle fuori, lordarle appena le cosce. Sperma. Cassius le era venuto dentro. Non che fosse un mistero, e non che le dispiacesse, anzi! In effetti, l’idea di portare in grembo un figlio suo le piaceva non poco.
Sorrise sfiorandosi appena la vulva, sentendo il vischioso liquido seminale sotto le dita. Le portò alla bocca succhiandole. Il sapore era buono, tutto sommato. Il desiderio inclazava ancora ma lei lo dominò con volontà ferrea.
“Beh, ora basta. Abbiamo da fare.”, si disse. Cassius si svegliò proprio in quel momento.
-Giornata stupenda per uccidere.-, disse baciandola. Lei rispose al bacio con passione ma senza esagerare. Avrebbero festeggiato dopo il loro trionfo. Si vestirono rapidamente, prendendo i coltelli. Quello era il giorno che Tia aveva tanto aspettato. Il giorno della vendetta e della vittoria.
Sorrise immaginando la lama forgiata con materiali di scarto da Meterus trapassare il petto di Janus. Si prepararono e stavano per passare all’azione quando il trambusto li costrinse a cambiare piano. Rapidamente occultarono le armi e seguirono la folla verso il ponte.

Cassius non era uno sprovveduto e sentiva che c’era qualcosa che non andava.
Ne ebbe la conferma vedendo chi stava arringando la folla dall’alto del cassero di poppa.
Janus. Il giovane era smunto, il viso smagrito, evidentemente non aveva mangiato o dormito molto in quei giorni ma pareva assolutamente determinato a non cedere le redini del potere. Il cuore del guerriero perse un battito nel vedere quell’uomo che aveva creduto vinto.
“Dannazione, non ora! Non adesso che c’eravamo così vicini…”, si scoprì a implorare Cassius.
-So che non sono stato presente e avete tutto il diritto di dubitare di me o della mia attitudine al comando.-, stava dicendo Janus, -Nondimeno vi sono regole per casi come questo.-.
-Regole che abbiamo seguito!-, insorse Ossius, -Abbiamo un sostituto comandante. Come vuole la tradizione!-, esclamò lo studioso avanzando verso il cassero dove Janus, affiancato da Maghera, si ergeva malgrado il pallore.
-E dov’eri tu, che per tre giorni ci hai abbandonato?-, chiese Betea con tono velenoso, -Perché continuare l’errabonda ricerca di un lido promesso a te soltanto quando in realtà io e molti come me voglion solo godere della tranquillità di una di queste isole?-.
-Oseresti tu, o Betea, sfidare il mandato dei nostri padri? Oseresti tu vanificarne le morti?-, chiese Janus di rimando. La donna tacque, sicché suo marito era morto durante la caduta di Licanes.
-Resta che una casa ci vuole. Abbiamo figli e figlie da accudire! Non posson certo crescere su una nave!-, esclamò Letha.
-Curioso che queste opinioni non siano state dette a Janus! Curioso vengano dette solo ora!-, esclamò Maghera di rimando. Anche nei suoi occhi, Cassius vide quel fuoco, quello dei traditi, dei feriti, degli uomini e delle donne decisi a vendicarsi.
-Ditemi, è forse tanto temuta l’ira mia funesta da suggellar le vostre favelle?-, chiese Janus, -Non ho forse io fatto del mio meglio per esser un buon capo?-.
-L’hai fatto!-, esclamò Asclepia, -Sarei cieca se negassi codesta verità.-.
-Certo! L’hai fatto, o Janus! Ma hai mancato. Ci hai condotti lungo lidi perigliosi e acque ignote, a sfidar pericoli che nulla ci hanno dato se non proroghe per proseguire il nostro girovagare. Errando tra i mari nemici altro che morte e sventura non abbiam trovato! È tanto ingiusto chiedere di smettere codesta folle erranza?-, chiese Ossius.
-No, o Ossius. Non é ingiusto. Ma questa é la nostra parte di destino.-, disse Janus.
Vi fu un vociare improvviso. Cassius vide con sollievo che la gente che protestava contro quelle parole era ben più di quanta avrebbe immaginato. Janus aveva esagerato e lo sapeva.
-ASCOLTATEMI!-, tuonò il giovane. Si fece silenzio, improvviso.
-I nostri avi fondarono Licanes dopo una visione! Il nostro ultimo re, Thedosius, accolse la medesima visione per istituire il Consiglio. Fu la visione di Oranteus a persuaderlo a mappare i lidi attorno a Licanes stabilendovi le nostro colonie un tempo florido vanto della nostra perduta patria!-, nessuno osava parlare, nessuno osava interromperlo, persino Cassius dovette ammirarne la retorica mentre Janus andava riportando alle loro menti il ricordo degli eroi dei secoli passati e le loro gesta. “Costui é invero un uomo eccelso. Quasi un dispiacere ucciderlo.”, ammise.
-Perché mai la mia visione dovrebbe essere diversa?!-, chiese, -Perché dovrebbe essere meno veritiera? Perché dovremmo noi sottrarci al fato dagli déi sancito?-.
Vi fu improvviso, assoluto silenzio. Cassius capì. Quell’affondo, quel ricordo agli onori del passato, quella rimembranza di tanti eroi aveva catturato i cuori di molti dei presenti. Comprese che era tempo di fare qualcosa, o Janus avrebbe vinto.
-Invero un’ottima domanda, Janus.-, disse alzandosi con un sorriso. Notò Tia, Betea e diversi altri guardarlo mentre saliva verso il suo avversario, -Invero, non trovo modo di risponderti se non nel chiederti… per quanto? Per quanto ancora gli déi ci metteranno alla prova? Non abbiamo forse noi diritto alla pace, alla tranquillità? Non ci siamo forse guadagnati col sangue e col sudore, con dolore e incertezze, con rabbia e tristezza la possibilità di una vita lieta, almeno in questo suo tramonto?-, chiese.
-Sì!-, esclamò Ossius. Fu un “sì” ripreso da Betea, da Letha e da altri.
-E a cosa rinunceremo, fratelli miei?-, chiese Janus, -Volteremmo le spalle agli déi, reietti tanto qui in questo mondo di lacrime e sangue come dinnanzi a loro nel giudizio che segue la fine della vita. Saremmo traditori e nemici di noi stessi!-.
-Questo non puoi saperlo, Janus.-, disse Tia, -Come puoi tu, o uomo, conoscere la volontà del Cielo?-, chiese.
-Sicuramente vero, Tia dell’Isola di Gunkal.-, a Cassius non sfuggì quel titolo. Era preoccupante.
“Che abbia capito qualcosa? Ha parlato con Brutus?”, la domanda divenne un tarlo.
-Invero, io non conosco la volontà degli déi, ma so che un uomo deve vivere al suo meglio e sino in fondo, cercando di assicurare il futuro ai suoi discendenti.-, disse, -Se ci sistemassimo su una di queste isola… cosa saremmo? Cosa se non una delle tante comunità. No, non é questo che volete, fratelli e sorelle! Non é questo a cui ambite!-, il suo tono salì appena di voce.
-Non volete esser preda di razzie o vedere la nostra gente morire per il capriccio del fato o dispersa dai predoni e dalle malattie. Siamo Licanei e guerriere del Kelreas. Siamo molto di più di questo.-.
Calò un silenzio, un velo. E la terra stessa parve smettere di respirare o di girare sul suo asse.
-Noi siamo gli eredi di quella perla che fu Licanes! Siamo la nuova schiatta del Kelreas! Siamo i figli e le figlie di due grandi regni, uniti in un nuovo popolo! Non siamo prede, non siamo predatori. Siamo i guardiani di un destino ed esso sarà dei nostri discendenti solo se sapremo dimostrarci all’altezza di poterlo donare loro!-, esclamò Janus. Oltrepassò Cassius.
-Letha, sorella! Tu hai lasciato la tua gente perché hai creduto nella nostra?-, chiese.
-No! L’ho lasciata per amore…-, ammise la giovane.
-E dov’é il tuo uomo?-, chiese. Lei abbassò gli occhi.
-Morto… Sull’isola di Gunkal.-, Janus scosse il capo, indicando il ventre della giovane.
-No! Il tuo amato vive qui! E con lui vive la speranza!-, esclamò. Andò a fronteggiare un altro uomo. Un cuoco, avvolto in una toga coperta da un gembiule unticcio.
-Dolassius, fratello mio! Non sei forse tu un cuoco?-, chiese. L’altro sorrise.
-Lo sono, o Janus.-, disse.
-Lo sei! E non vorresti tu che i tuoi figli e i loro figli cantino del tuo nome come quello di un eroe?-, chiese il giovane. Il cuoco annuì, cercando di capire dove stesse andando a parare.
-E allora dai retta a me, amico mio! Perché così, tra mille generazione, nessuno potrà dimenticare il tuo nome tra i mille discendenti della nostra gente!-, esclamò Janus. Passò a un altra donna.
-Asclepia di Licanes, somma Apotecaria! Come possiamo noi non tenere in conto tutto ciò che hai fatto e sei stata? Come possiamo noi non tributarti onore?-, chiese.
-Nessun’onoreficenza necessaria, o Janus. Sei il nostro condottiero per nomina di alti regnanti che tutti onoriamo dinnanzi agli déi e ti seguirò sino all’inferno se darai ordine in tal senso.-, disse la donna. Janus le strinse la spalla. Passò oltre.
-Cthea di Kelreas! Tu tra le tue sorelle mai hai trovato il conforto di un uomo tra noi! Ma ci hai seguiti. Perché?-, chiese. Cthea lo fissò fiera.
-Per la gloria.-, rispose semplicemente.
-E quale cosa più gloriosa che essere tra i fondatori e le fondatrici di un impero che dominerà i mari sino all’occidente del tramonto?-, chiese Janus. Lei esitò.
-Sei tu una codarda, o Cthea del Kelreas?-, chiese lui. Improvvisamente la giovane parve avvampare di rabbia a stento contenuta. Presso le amazzoni un simile insulto era ben grave.
-Mai!-, sibilò. Janus sorrise, fissandola negli occhi.
-E allora osa! Osiamo insieme fratelli e sorelle! Sino alla destinazione che gli déi hanno decretato esser nostra! Sino all’entrata nella leggenda! Non ci aspetta nulla di più né di meno!-, esclamò.
-Janus!-, gridò Maghera sollevando il pugno.
-Janus!-, urlò Asclepia a sua volta.
-Janus!-, esclamò Dolassius levando alto un mestolo. Altri si unirono, persino la stessa Letha.
-Janus! Janus! Janus!-, l’intera nave pareva vibrare sotto il peso di quel nome.
Tia rivolse uno sguardo a Cassius. Disperazione e rabbia, questo egli vide nel suo sguardo.
“Doveva essere il nostro trionfo! il nostro soltanto! E invece…”, pensò.

-Io ti contesto, Janus di Licanes!-, ringhiò Tia in mezzo al fragore che andava scemando, -Non é forse vero che il comandante é ora Cassius?-.
Si fece silenzio. Janus la guardò. Improvvisamente, lei notò che sorrideva.
-Invero, mi domandavo quando l’avresti fatto, Tia.-, disse lui.
-Lieta di non deluderti. Ma resta che secondo le vostre leggi, il comandante é Cassius.-, ribatté lei.
-Così é. Ma le nostre leggi dichiarano che nessun comando può essere assunto tramite tradimenti o per coercizione o tramite omicidio e corruzione.-, fu la replica. Tia sentì il sangue abbandonarle il viso, la rabbia che la scuoteva facendole quasi dimenticare il senso di quelle parole.
“Lo sa. Sa quel che ho fatto…”, realizzò. Si accorse di quanto non le importasse.
-Il comando mi fu affidato, votato da codesta gente che ora inneggia a te, o Janus.-, insorse Cassius, -Certamente comprenderai che una simile accusa richiede prove e testimoni!-.
-Io vidi il corpo di Sullastius!-, esclamò Maghera al di sopra della folla vociante, -Ucciso da un arma licanea, la tua!-, il dito indice della giovane puntava Cassius come una freccia incoccata.
La folla prese a rumoreggiare ancor più. Tia urlò dinieghi che furono inghiottiti dal clamore.
-Quant’é comoda sifatta testimonianza da parte della donna che tanto docilmente apre le gambe per te, o Janus!-, esclamò Ossius, -Invero essa é valida? Chiedo se vi sono altre testimonianze!-.
-La mia. Pongo la mia vita sul filo di lama!-, esclamò Asclepia.
-La tua vita, nobile Apotecaria? Anch’essa una convincente messinscena, considerata la tua aperta ostilità alla nomina di Cassius.-, replicò Ossius, -Due testimonianze decisamente poco attendibili e senza prove… Son ben deboli e poco s’adatterebbero a un tribunale licaneo!-.
La folla taceva. Janus sospirò. Sul ponte avanzò una figura.
-Brutus! Fratello! Invero hai da giustificare la tua assenza!-, esclamò Cassius.
Brutus non lo guardò neppure. Sguainò il proprio pugnale, puntandoselo alla gola.
-Io proverò onta per l’eternità, sicché concessi il mio braccio e la mia lealtà alla più cupa e turpe trama mai ordita da uomini! Cotanto il disonore che decido quivi e ora di entrare nelle sale del giudizio.-, disse.
-Che stai dicendo?-, domandò Tia, il viso bianco per lo shock e il labbro tremulo.
-Io, Cassius, il defunto Aniseus, Betea e Ossius fummo convinti dalla qui presente Tia, dell’Isola di Gunkal a tradire la fiducia che Janus ripose in noi. Con inganno e meretricio essa ci ha indotti a tradire il più sacro dei vincoli che giurammo sulle fumanti rovine della patria che fu nostra!-, esclamò Brutus.
-Menzogne! Bugiardo!-, ringhiò Tia.
-Invero, tali epiteti valgon ben per te, sicché non ti facesti problemi a prostituire il tuo corpo convincendo noialtri a prostituire la nostra lealtà!-, esclamò l’uomo di rimando.
-Brutus! Anche tu!-, esclamò Cassius. Il morituro sorrise tristemente.
-Addio, Cassius! Ti aspetterò nell’Ade, laddove i traditori scontano la condanna che fu loro.-.
Detto ciò, Brutus abbassò il pugnale trafiggendosi tra due costole. Crollò sul ponte senza un gemito. Si fece silenzio mentre il grido dei gabbiani pareva lamento funebre. 
-Il sangue di ben tre vite bagna ora le tue mani!-, esclamò Janus a Cassius, -Osi ancora negare?-.

Cassius fissò Janus. Come poteva il fato, un tempo benevolo, averlo così abbandonato?
Come poteva quell’uomo ancora vincere, nonostante tutte le sofferenze inferte e subite?
-E sia allora il fato a decretare il comando! Io ti sfido, Janus! Per le leggi dei nostri avi, ti sfido!-, esclamò Cassius con rabbia. La folla prese a dargli campo ed egli estrasse il coltello.
-Coraggio! Vieni! O manderai nuovamente la tua sgualdrina?-, chiese con sprezzo.
-Sebbene io sia convinto che tu non sia degno di quest’onore, non mi esimerò dalla sfida.-, disse Janus, -Mandai Maghera contro Parceval poiché così voleva il Cielo.-.
-E allora vediamo cosa vuole sino in fondo!-, esclamò Cassius. Janus annuì.
Sguainò il pugnale, entrò nel quadrato attorno all’albero maestro e presero a duellare.

Tia si sorpese a pregare. Stretta tra i Licanei, non avrebbe potuto aiutare sebbene lo stesso valesse per chiunque patteggiasse per uno dei due sfidanti. La folla faceva muro, immobile e silente nel vedere i due affondare, schivare, fendere e parare.
“Vinci Cassius. Vinci e vendica la mia gente!”, supplicò.

Anche Maghera supplicava la Dea Madre del Kelreas.
Implorava piano che l’Esule vincesse rapido, poiché sapeva che i cinque giorni di digiuno e meditazione non gli avevano giovato. Supplicò la Dea con tutta la sua anima, conscia che ormai il suo destino fosse legato a quello dell’uomo che stava battendosi in quello scontro impari.

Cassius sorrise. Janus era debole. Lo vedeva bene. Fese, versando il sangue dell’Esule ledendone il braccio destro. Lui contrattaccò. Fiacco. Troppo fiacco. E troppo debole. Aveva già vinto.
Sferrò altri due fendenti. Janus incespicò, evitandoli. Colpì a sua volta.
Parò e colpì, colpì e parò. Tutto sommato si stava battendo bene. E, improvvisamente Cassius se ne rese conto: Janus non era lì.

Di fatto, Janus non era lì. Il suo corpo lo era ma la sua mente era scivolata in un non-essere. I monaci Zhen-Shura ne avevano a lungo parlato senza mai riuscire a descriverla e a lungo sedevano in meditazione, assorti al punto tale da poter udire il canto delle sfere celesi, si diceva.
In quel momento Janus non era Janus. Non era neppure impegnato in duello contro un avversario e non c’era nessun avversario da abbattere. Deviò una pugnalata senza neppure avere coscienza di starla deviando. Schivò e piroettò. Sorrise senza sorridere. Rise senza realmente farlo.
Udì esclamazioni di sorpresa, voci che non sentiva ma capiva perfettamente e non capiva davvero.
Improvvisamente, i suoi movimenti presero ad aumentare di velocità.  Colpì, costringendo Cassius a schivare Girò su sé stesso, assecondando il moto e colpendo il suo nemico. Il pugnale trapassò il nemico al fianco. Crollò a terra, tenendosi la ferita.
-No… no!-, esclamò Cassius. Inutile: la gamba non lo sorresse nel suo alzarsi.
Janus sferrò un calcio, disarmando Cassius del pugnale. Gli puntò il suo alla gola.
-Fallo. Uccidimi, grande condottiero. Mostra che non sei diverso dai Cimanei.-, lo sfidò Cassius.
-No.-, disse Janus, -Non lo sono. E non ti darò questa soddisfazione, traditore.-, disse.
-Arrestate i congiurati!-, esclamò rivolto agli altri. Ossius non oppose resistenza, né tantomeno Betea. Meterus cercò di resistere ma fu rapidamente sottomesso.

Tia vide l’ultima sua illusione crollare. Folle d’ira, estrasse il suo pugnale e ferì due Licanei.
-Muori, Janus!-, esclamò lanciandosi in avanti. Non terminò il movimento.
Maghera si era preparata per quell’evenienza. Scagliò una freccia, l’arco teso al massimo.
L’impatto fu tale da sospingere la giovane contro la murata. L’amazzone tirò di nuovo.
La seconda freccia trapassò Tia allo sterno, facendola cadere fuoribordo.
-È finita.-, dichiarò Janus. Gettò uno sguardo a Cassius e ai prigionieri.
-Uccidici, allora. Vedo che la tua donna non ha avuto remore a uccidere Tia.-, disse Cassius.
-L’ho uccisa perché, unica fra tutte, non si é voluta piegare.-, puntualizzò Maghera.
-Ha fatto quello che tutti noi siamo disposti a fare!-, esclamò Meterus.
-A morire? Per cosa? Le grazie di una sgualdrina straniera?-, chiese Maghera.
-No. Per la giustizia. Per la libertà. Perché non siamo burattini nelle mani degli déi.-, disse lui.
-E sia.-, disse Janus con un sospiro.

La decisione di Janus, sottoposta alla totalità degli esuli fu unanime.
Per il reato di tradimento consumato ai danni del loro comandante, concorso e occultamento nell’assassinio di un eroe riconosciuto e amato i congiurati furono abbandonati sull’isola del Tempio. Betea, Ossius, Meterus, e il ferito Cassius furono accompagnati sino all’isola sotto scorta.
Solo Letha fu graziata, poiché chiese clemenza e per il suo intervento nel sottomettere Meterus.
-Quivi potrete crearvi il vostro destino, se proprio lo ritenete ciò che volete. Liberi da quella che definite “la mia tirannia” o “la mia follia”.-, disse Janus, -Questa é la vostra condanna: vivere sapendo che in lontananza, oltre i mari, Licanes risorgerà a nuova gloria senza di voi.-.
-Prego gli déi di dannare la tua anima.-, ribatté Cassius. Janus lo guardò con triste sprezzo.
-La mia anima é già dannata, o Cassius. Invero, tua é la responsabilità per quanto accaduto. Miaperò é la condanna, sicché il fardello del comando nuovamente pesa su di me. Invero, non sapevi ciò che ti sarebbe arrivato addosso. Hai visto il mio guidare codesta gente attraverso la tribolazione e hai pensato che fosse facile farlo e invero folle il mio agire. Ma hai visto solo la superficie.-, si avvicinò a Cassius, afferrandolo per la toga.
-Se tu sapessi, o traditore indegno di baciare la terra su cui camminarono i tuoi avi, la tortura, i dubbi, gli orrori e le difficoltà! Se tu sapessi, vile borioso guerriero!-, ringhiò.
-Ma tu non sai e invero la tua ignoranza ti sarà salvifica.-, disse lasciandolo. Tornò verso la scialuppa mentre i prigionieri indietreggiavano sotto la minaccia delle armi.

Seguirono sulla spiaggia i riti funebri. Per Sullastius e Brutus furono celebrati secondo l’uso licaneo, le monete sugli occhi e il rogo funebre.
Per Draupadi, Janus fu in dubbio. Infine fece ciò che aveva fatto anche per gli altri, pregando gli déi in cui ella forse non credeva di accordarle la grazia di un benefico aldilà e una felice esistenza ventura, se ve n’era una. Celebrati quei rapidi riti, guardati dai prigionieri che schiumavano rabbia impotenti, gli esuli ripresero il loro vagare.

Non si sa che fine fecero Cassius e i suoi esuli. Si dice che abbiano infine fondato una loro colonia, ma che essa non abbia avuto vita lunga. Si dice che siano divenuti pirati. Altri asseriscono che siano morti l’anno dopo maledicendo Janus e i loro compagni.
In realtà, é un mistero e di certo uno che difficilmente sarà svelato ché nessuna nave si spinse più tanto in là tra le isole tormentate di quel braccio di mare.

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