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Frammenti di un sogno erotico

By 7 Febbraio 2004Maggio 12th, 2020No Comments

Il tram del desiderio
Franco odia la calca. Non sopporta di trovarsi in mezzo alla folla,
compresso tra corpi sconosciuti. Irene è sempre inviperita. Troppo abituata
alla mano lasciva che le si abbandona sulle natiche. Odia quelle mani, odia
la ressa.
Ogni mattina prendono lo stesso tram: il 24. Si conoscono di vista. Ritagli
di vita spesi insieme sullo stesso tram. Franco da tempo vorrebbe lanciarsi.
Gli piace il corpo di Irene e spesso fantastica su quello che farebbe a quel
bel culetto, come giocherebbe con quei seni tondi e gonfi..
Irene vede Franco e ne intuisce i desideri. L’idea la stuzzica. In fondo
Franco ha degli occhi scuri e lo sguardo intenso. Mediterraneo. Non le
spiacerebbe un incontro.
Questa mattina viaggiano molto vicini. In pratica lui è attaccato alla
schiena di lei. Approfittando del dondolio del tram lui urta con gentilezza
il sedere di Irene. Dopo qualche tocco “rubato” Irene si volta. I loro
sguardi s’incrociano. Lei accenna un sorriso, quasi compiaciuto. Lui ammicca
e ricambia il sorriso. Il viaggio continua. Mancano ancora quattro
fermate. Franco insiste, dopo il tocco rimane poggiato qualche secondo. Il
pene comincia ad inturgidirsi, tanto che Irene lo avverte, sentendolo contro
le proprie natiche. Non reagisce, anzi preme anche lei come per non perdere
il contatto. L’eccitazione di Franco sale. Mancano tre fermate e lui diviene
più audace. Adesso spinge con insistenza, preme la sua consistenza ormai
definita su quel sedere tondo. Lei accetta e ricambia la spinta. Irene sente
quella carne e la immagina mentre entra in lei. Irene sente il suo sorriso
nascosto bagnarsi piano. Si morde leggermente il labbro inferiore. Franco è
ormai eccitatissimo. Mancano ancora due fermate. Improvvisamente una mano si
poggia sul rigonfiamento di Franco. Dita leggere che sfiorano, poi
afferrano, poi sfiorano. L’imbarazzo di Franco è mitigato dal fatto che
nessuno può vedere in quella calca. Irene si gira e sorride, Franco ricambia
il sorriso con gli occhi ormai carichi di desiderio. Sente la mano e sente
il suo pene diventare duro come acciaio. Ora non approfitta più degli
scossoni. Si gode quel tocco. Già pensa che in ufficio oggi sarà difficile
non pensare a Irene. Manca una fermata. Irene si volta e sorride. Lui
risponde al sorriso e pensa di invitarla a pranzo. La mano lo sta toccando
con vigore adesso. Senza pudore. Come se davvero volesse prenderglielo in
mano adesso e farlo godere. Li sul tram. Franco suda. Arriva la fermata di
Irene. Ne manca una per Franco. Vorrebbe scendere e continuare a piedi,
parlarle, urlarle la propria voglia, ma rimane bloccato. L’imbarazzo. Irene
scende e mentre le porte si chiudono saluta con la mano Franco e gli regala
un sorriso. Lui risponde al sorriso, continuando a sognare. Il tram riparte.
La calca soffocante. Improvvisamente Franco sente ancora la mano. Rimane
sorpreso e crede di averlo solo immaginato. Il suo membro è ancora duro. La
mano continua. Resta senza parole. Sbigottito, immobile, incapace di ogni
reazione. Finalmente le porte si aprono e lui quasi cade fuori del tram. Dal
marciapiede si volta. In tempo per vedere quel biondino, molto elegante, con
la faccia da bambino. Mentre il tram riparte il biondino lo saluta con la
mano e gli sorride….

Il mare ed i suoi miraggi
Ti vedo, bella, slanciata. Il tuo corpo è statuario. Le natiche sode e
modellate dal vento. I capelli lunghi e neri ti cadono sulla schiena, mossi
dalla brezza leggera di questo mare. Una schiena perfetta, nuda ed
abbronzata. M’immagino i tuoi seni. Dolci colline che disegnano l’aria ad
ogni passo. M’immagino la tua bocca, labbra carnose e vellutate. Ti seguo
camminando piano. Il sole di questo mare ti bacia la pelle ed i riflessi
sono fili d’oro zecchino. Come sei bella. Come è elegante il tuo passo
morbido. Come è dolce vedere le tue natiche contrarsi ad ogni passo. Come è
sottile il filo del tuo perizoma. Solo un pittore potrebbe rendere merito
alla tua bellezza. Mi avvicino, fino a sentire il tuo profumo. Inebriante
miscela di mare, sole e sogni. Ti sono così vicino che la tua schiena è lì,
in fondo alle mie dita. Immagino che ora ti chiamerò. Tu ti volterai di
scatto ed i tuoi seni mi confonderanno la mente. Immagino la tua bocca. Le
labbra che si schiudono per sussurrare il tuo nome. Ti starebbe bene
Isabella, nome di regine Spagnole, calde e sensuali.
“Isabella scusa..” ora ti volterai, lo sento ed il cuore si ferma un
attimo..
“Scusa?” ecco ti sei girata…..
Chiudo un istante gli occhi, voglio riaprirli di scatto, per restare a
guardarti….

GULP!! chi s’immaginava che ti chiamavi ARTURO!!!

I sogni di Gustavo
Il suo viso è pallido. Gli occhi sono stanchi ed arrossati. è stata dura
oggi, troppi problemi e troppo poche soluzioni. Finalmente è quasi sera. L’
ufficio che stancamente si svuota. Non sente più rumori. Si affaccia alla
porta dell’ufficio e vede solo Gustavo, ancora intento a capire dei numeri
strani e complicati. Gustavo la vede. Da sempre ne è attratto con forza. La
desidera intensamente ma non ne ha mai fatto neppure un cenno. Timidezza o
sola soggezione. Uno dei mille amori mai confessati.
“Luisa, sei stanca?” chiede lui con dolcezza e amicizia
“si, oggi è uno di quei giorni storti..” la sua voce è quasi roca per lo
stress della giornata
“sai la cosa migliore è un massaggio.” detto a mezza voce, quasi con il
timore di disturbare
“dici? Forse hai ragione..”
“se vuoi ti massaggio i piedi, sono bravo” il tono serio e sornione di
Gustavo è invitante
“non mi sembra il caso..”
“perché? Nessuno ci vede.”
Lei acconsente, in fondo ha bisogno di rilassarsi e non di correre a casa.
Non ha voglia di cucinare, di sentire la giornata del marito, di accendere
la televisione. Vorrebbe cancellare il tempo e non pensare a nulla.
Si siede sulla sua poltrona. Ora che ha raggiunto la soglia della dirigenza
le spetta di diritto. Simbolo di potere, vacillante come il potere, effimero
come un simbolo.
Gustavo le sfila piano le scarpe. Scopre la caviglia di lei, affusolata e
perfetta. I piedi appena gonfi, le unghie curate e perfette. Uno smalto
color prugna, dita lunghe e magre. Un piede che Botticelli avrebbe aggiunto
alla sua primavera.
Lui comincia a massaggiare piano, sono carezze. Prima la pianta, poi le
dita, poi tra le dita. Deve stare attento. Troppo sfregare le farebbe male.
Lei prende un tubetto di crema idratante e glielo porge. Lui versa qualche
goccia di crema e inizia a massaggiare con più energia. Luisa si abbandona
sulla poltrona. Chiude gli occhi e si lascia trasportare dal tocco di
Gustavo. La sua gonna con lo spacco regala la vista di cosce lunghe e magre.
Cosce che Gustavo vorrebbe baciare. Si sente eccitato. Cambia piede ogni
pochi minuti, quasi che non potesse lasciare che l’altro si raffreddi.
Casualmente il piede di lei inciampa nella sua eccitazione. Luisa riapre un
attimo gli occhi per la sorpresa. Si sorridono. Lei allora lascia che il suo
piede giochi con il rampante desiderio di lui. Prima il destro e poi il
sinistro. La sua erezione è così forte che quasi gli da dolore. Gustavo
continua il massaggio e sogna.
“mi vuoi..?” la domanda di Luisa è dolce, intensa e profonda
“più della mia vita” risponde lui, ormai in volo sul corpo di lei.
“liberalo.. ”
Senza indugio lui si abbassa i pantaloni. Il suo membro bollente si butta
fuori dei boxer e si mostra nella sua fierezza. Lei lo carezza con il piede,
lo imprigiona tra le caviglie. Lo afferra tra le dita e lo scuote. Gustavo
afferra un piede e comincia a baciarlo con foga e desiderio. Luisa preme il
piede sul pene, contro il ventre di lui. Allentando appena la pressione lo
lascia scivolare ritmicamente tra la pianta del piede ed il ventre di lui.
Gustavo perde il controllo. Succhia avidamente le dita dell’altro piede. Poi
le afferra entrambi i piedi, li congiunge come in preghiera e comincia a
guidarli verso il suo piacere. Il desiderio di lei è così forte, la voglia
di lei così intensa che in pochi attimi lo zampillo denso e cremoso del suo
piacere cola dal glande e scende sui piedi di lei. Forte e copioso come una
valanga. Rimane per un momento a guardare il suo sesso, le ultime gocce che
ne escono ed i piedi di lei.
La guarda. Gli occhi si catturano. Legge nello sguardo di Luisa il desiderio
di non pensare. Si china e con la lingua raccoglie ogni minima goccia del
suo stesso piacere. Con dolcezza e con garbo. Come se volesse cancellare la
macchia della sua profanazione. Lei geme. Lei è volata su un’altra stella.
Lui resterà lì, ad aspettare altri mille anni. Gustavo è felice.

Sognandosi attore

Fin da adolescente aveva sognato corpi attorcigliati e amplessi infiniti.
Inseguiva con gli occhi ogni brandello di pelle che gonne e camicie
regalavano al suo sguardo mai sazio. Interminabili ore, trascorse sognando
paradisi a forma di letti enormi. Spazi pregni di odori e colmi di corpi da
possedere. Crescendo continuava a coltivare il suo sogno. Seni da baciare e
fessure da colmare. Il suo stesso pene andava via via assumendo una forma
nuova, fino a fondersi in un tutt’uno con la mente. L’arrivo della rete, la
diabolica Internet era per lui un regalo divino. Finalmente spazi immensi
dove veleggiare. Donne virtuali da possedere nell’etere maligno. Meretrici
reali, mascherate da giovani ancelle gli aprivano orizzonti sconosciuti.
Dietro un nome che aveva scelto con cura, Ragazzo Bellissimo, aveva celato
sogni e desideri. Decine di amplessi virtuali. Incontri sessuali intesi, con
corpi che si abbandonano su tastiere e si incollano ai monitor. Un giorno
l’illuminazione. Essere attore. ma non di film che lascino la mente
aggrovigliata intorno a trame complesse o finali commossi. Voleva film
carichi di denso desiderio, dove la sua maestria ed il suo pene così amato
potessero finalmente essere pane per tutti i mortali. Poteva così regalare a
donne bramose, litri di nettare e ore di gioia. Non voleva godere, voleva
che il mondo godesse del suo piacere. Un giorno, così per caso, inciampando
in un sito erotico aveva trovato un annuncio:
“cercasi attori, dotati di membro enorme, che sappia durare duro per ore.
chiamare lo 0335.33….”
L’illuminazione e subito la mano che estrae dal fodero il fedele cellulare,
anch’esso ormai divenuto parte del suo sesso vagante. Componendo il numero
sente l’eccitazione salire, mentre guarda quell’oggetto che gli ha permesso
infuocate telefonate erotiche. Uno squillo e la voce metallica della
segreteria lo invita a chiamare un secondo numero. Diligente e sempre più
eccitato digita il nuovo numero. Uno squillo e la segreteria, con la stessa
voce metallica lo invita a chiamare un secondo numero. Senza rendersi conto
continua a chiamare segreterie telefoniche. La sua eccitazione è tale che
fatica a tenerla a freno. Dopo la quinta telefonata finalmente un messaggio.
Una voce calda e sensuale. Una voce che ti prende il cervello e lo plasma a
forma di membro. una voce che vorresti possedere attraverso il microfono per
giungere all’orgasmo dell’auricolare. La voce lo eccita sempre più. Si
libera dalla morsa dei pantaloni e subito il pene si proietta fuori.
Obelisco issato come lode alla lussuria. La voce lo invita a chiamare un
altro numero. Lui continua così a chiamare numeri in sequenza, ascoltando
voci sempre più calde e sempre più dense di desiderio. Gli sembra persino di
sentire l’odore degli umori che sicuramente quelle voci hanno prodotto
rispondendo alla sua chiamata. Non resiste e con una mano regge il
telefonino e con l’altra comincia a masturbarsi. Dopo tre telefonate gode,
il suo seme schizzato lontano dal suo corpo. Come nell’amplesso più
infuocato. ma la sua brama di essere attore non è doma. Un turbinio di
chiamate si sussegue. Piano si fa strada in lui la disillusione, sente il
sogno svanire piano. Finalmente la voce non è più un nastro. é una voce
viva. calda come le precedenti, gli viene chiesto di fornire i propri dati,
lui come un automa detta e risponde alle mille domande. La voce gli comunica
che deve chiamare un ultimo numero. Lui turbato ma non domo ubbidisce. La
voce calda che risponde gli chiede:
“hai il pene ancora duro?”
“si, come una roccia e pronto a esplodere” risponde, amabile menzognero
“allora inizia a masturbati..”
“va bene ma… un aiutino…” mentre sente la sua mente rinvigorita e pronta
per un amplesso solitario
La voce calma diviene un susseguirsi di gemiti e ansimi. tra un respiro ed
un gemito la voce lo esalta, gli chiede di possederla, di fare di lei cibo
per il suo dardo di fuoco. Lui si abbandona ad una frenesia sessuale senza
precedenti. Un universo dei sensi concentrato in poco più di venti secondi.
tanto gli basta per godere e lanciare un urlo animalesco che segni il
trionfo del suo essere maschio. esausto e delirante attende un cenno. La
voce che sembra avere appena goduto del suo corpo lo invita a chiamare un
ennesimo numero. Abbandonato sulla sua poltrona. La batteria del cellulare
ormai consumata. Digita ancora un ultimo numero, con la decisione virile che
in ogni caso sarà l’ultimo.
“Caro amico…” la voce è gentile ma maschile
“si..” la voce maschile lo turba ma sente di essere vicino alla meta
“la tua resistenza è stata cronometrata in 21 secondi esatti..”
“no scusi, io vorrei spiegare che.. ” terrore, paura di perdere il traguardo
agognato per un banale malinteso
“si, mi rendo conto che si è trattato di un secondo coito privato..”
“ecco, volevo dirle questo.. sa io…” salvezza, rivede il traguardo che per
un attimo temeva perso
“in ogni caso è assolutamente insufficiente per le nostre esigenze..”
“ma no senta, mi faccia un provino..” decide di aggredire, non può
rassegnarsi così
“scusi, ma facciamo questo proprio per quello, non possiamo chiamare le
centinaia di persone che vogliono un provino..”
“ma allora mi faccia riprovare…. richiamo subito, no cioè domani… la
prego…”
“faccia come crede. Sappia comunque che con le sue 28 telefonate allo
00500…. lei ha contribuito con 1.525.000 alla produzione del film”
“come ?!”
” e per questo le siamo molto grati, le manderemo un invito alla prima
visione…. arrivederci…” e la voce scompare.
“ma come..”
la voce scomparsa lo lascia distrutto nel morale. Il suo sogno infranto e la
sua borsa alleggerita. ma lui non è uomo da essere domato così. Lui sa di
essere all’altezza. Si guarda il pene. Inizia con lui un dialogo, una sorta
di supplica, affinché rimanga duro e turgido. Gliela farà vedere lui se può
resistere solo 21 secondi. Si alza e va in bagno. Una doccia rigenerante,
acqua che cura le membra e le ravviva. Avvolto dall’asciugamano torna alla
sua poltrona. Cambia la batteria del suo cellulare. Lo guarda con aria di
sfida.
“ok, a noi due amico…” il pensiero è quasi palpabile. La mano pronta ed il
dito che digita: 0335.33….

Quiete dei sensi
Corpi stanchi, mollemente distesi su alcove lontane. Menti appisolare dalla
pace postorgasmica. Odori di corpi posseduti e lasciati. Di piaceri
assaporati ad ondate lente. Non importa la distanza tra questi corpi.
Migliaia di chilometri o pochi metri. Pelli a contatto e membra intrecciate.
Donne languidamente i cui corpi affusolati hanno vibrato. Uomini i cui corpi
disegnati dal tempo hanno cavalcato le onde del piacere. non ci sono più
gemiti e respiri contorti. Solo palpebre socchiuse e sospiri abbandonati.
L’orgia dei sensi si è consumata. Da Milano a Pompei. Da Bergamo a Roma.
Nord. ud. Est Ovest. Punti cardinali che scompaiono attraverso un invisibile
filtro elettronico. Finalmente la pace. I sensi sconvolti tornano lentamente
dentro scatole di tessuto. La bocca empia di nettare è ora socchiusa. La
lingua pregna dell’umore si schiaccia contro il palato in un ultimo anelito
di piacere. Una leggera brezza attraversa le stanze. L’aria
più fresca scuote le pelli degli amanti. Attimi come ore. Secondi come anni.
Il tempo si condensa in un rigagnolo. L’eternità sembra un ruscello. La
pace, dopo lo sfogo dei corpi. La pace, dopo membri infuocati e vulve
pulsanti. La pace, dopo bocche vogliose e labbra carnose. La pace dopo
lingue irrequiete e dita audaci. La pace, dopo le onde violente del piacere.
La pace dopo orgasmi celebrati da vite vissute. La pace senza chiedersi: “le
sarà piaciuto?”. La pace senza chiederle: “hai goduto?”
la pace die vinti e dei vincitori. La pace di chi ha saputo cogliere
l’attimo e di chi l’ha creato.
La pace …… senza domande e senza risposte.
Lode a voi, sonnecchianti amanti, lode a voi corpi rapiti da coiti virtuali,
lode a voi o taciturni abitanti di questi lidi di lussuria…..

Al cinema
La sua mano scivola stancamente sulla coscia della ragazza. Un primo tocco,
leggero come fosse casuale. Non c’è reazione. La mano insiste. Lei gli
regala un sorriso compiaciuto. Lui si fa audace. Nel buio della sala,
mescolato agli altri spettatori, la sua mano scivola lentamente sotto la
gonna di lei. Alla sua sinistra c’è la sua fidanzata, intrappolata dal film.
Alla destra della ragazza il fidanzato. Sembra sonnecchiare. Lui trova la
via per giungere al bordo dell’elastico e la sua mano si infila tra cotone e
pelle. Le dita scoprono due labbra carnose. Piano si schiudono e lui può
avvertire il lento bagnarsi di lei. è eccitato e il contatto con la
clitoride di lei aumenta la sua erezione. Piano riesce ad infilare un dito
nella passerina di lei. La vede socchiudere gli occhi. Avverte il suo
piacere e si eccita moltissimo. Ormai è incurante della sua ragazza.
Incurante del ragazzo di lei. La sua mente è scesa nel suo pene turgido e
vorrebbe possederla lì sulla poltroncina. Continua a toccare, a muovere le
sue dita. Sente i muscoli della fessura contrarsi sul suo dito. Vede lei che
ora ha gli occhi chiusi. Sente il suo respiro accelerato e i gemiti
soffocati. Si sente padrone. Il suo sesso è duro come marmo. Continua a
toccare. Si sente Dio. Si sente maschio. Gli umori di lei sono così
abbondanti, il suo orgasmo così intenso che sente la sua mano completamente
bagnata. Vuole godere anche lui. Sussurra alla ragazza di seguirlo alle
toilette. Lui si avvia. Dopo poco sente il rumore di passi. Si prepara a
riceverla. I pantaloni abbassati e il pene eretto come un obelisco. La porta
non si apre. Si apre quella del bagno vicino. Lui resta nella attesa. Dal
bagno a fianco arrivano gemiti e sospiri. Altri hanno avuto la sua stessa
idea. Li sente mentre godono e si scopano con foga. è così eccitato che si
masturba e accompagna i vicini di bagno e di piacere nel loro orgasmo. In
fretta si sistema ed esce. La curiosità di vederli è tanta. Prima esce la
ragazza da lui attesa invano. Un sorriso a denti stretti. Poi esce il
ragazzo di lei. Allora lui comprende che la ragazza non poteva. Poi. esce la
sua ragazza, sguardo beato di chi ha appena goduto come poche volte prima.

La signora Giulia

Una vita, 17 anni. Nel 1982, ai tempi d’oro del Mundial Spagnolo, lavoravo
in una azienda di Agrate Brianza. Ero incaricato di gestire la filiale di
vendita di articoli da campeggio. Lavoravo sodo, dovevo montare e smontare
tende da campeggio, piazzare roulotte e continuare a sistemare
l’esposizione. Il lavoro non era male, all’aperto ed in contatto con la
gente. Ma in estate con il caldo era dura. Ore sotto il sole, quello cattivo
che sceglie le autostrade per torturare corpi e menti.
La ditta era di proprietà di un signore sulla sessantina, quasi sempre in
giro a trovare nuovi fornitori o strozzinare i concessionari. La gestione
amministrativa era nelle mani di una donna, se non ricordo male intorno ai
35 anni, che era temuta da tutti per il fare dispotico e per l’essere la
fiduciaria del grande capo. Per avere una penna nuova, si doveva consegnare
quella vecchia e lei, personalmente, verificava che l’inchiostro fosse
finito.
Non era una bella donna, ma era un tipo. Capelli biondi (tinti), corpo
snello e seno ben messo. Non di quelle che ti fanno voltare quando passano,
ma di quelle che ti stuzzicano l’appetito. Io avevo 22 anni e facevo, allora
come oggi, sempre fatica a tenere a bada gli ormoni. Si chiamava (credo si
chiami anche ora…) Giulia.
Ogni due o tre giorni veniva da me per avere il resoconto delle vendite e
tutto il resto. Inizialmente non ci avevo fatto caso, ma poi ho realizzato
che la situazione fosse sempre la medesima: io alle prese con lavori
“pesanti” quindi sudato fradicio e per lo più a torso nudo.
Ripeto che io non avevo notato nulla, ma tra i colleghi si era iniziato a
malignare e alla fine il collega più maligno (o bastardo), mi aveva fatto
notare la circostanza. Sarà vero oppure no, ma in effetti era così.
Giulia indossava spesso camicie piuttosto larghe e comode, sotto le quali
non indossava mai il reggiseno (in realtà non lo indossava quasi mai). Le
gonne sempre appena sopra il ginocchio. Le piaceva apparire, anche se il suo
atteggiamento era costantemente guardingo. Non tollerava neppure le battute
alla macchina del caffè. Giocava nel suo ruolo di numero due e giocava bene.
Dopo che il collega (bastardo) mi aveva aperto gli occhi, ho cominciato a
leggere la situazione e soprattutto leggere l’atteggiamento di Giulia. Il
più delle volte si teneva a distanza, un paio di metri, e mi osservava
mentre lavoravo. Si, io lavoravo e parlavo. Avevo veramente bisogno di
lavorare e volevo dimostrare la mia efficienza. A volte ci sedevamo nella
roulotte che avevo adibito ad ufficio. Ma capitava di rado. Se ero intento a
lavorare in basso, ad esempio picchettando una tenda, lei si avvicinava
molto e si chinava, con quel gesto “naturale” di chi deve parlare con
qualcuno più in basso. Io avevo cominciato a sollevare la testa, memore
delle parole del collega bastardo. Ovvio che l’angolazione favorisse la
visuale di due seni rosa e sodi. Due colline che chiedevano solo di essere
conquistate.
Giulia si era resa conto del mio mutato atteggiamento. tanto che ogni suo
gesto, a me sempre apparso naturale, era adesso forzato. Anche al tavolo in
ufficio, aveva preso il “vizio” di appoggiarsi, in modo che la camicia fosse
solo il contorno bianco al suo seno. Come se i suoi seni avessero l’aureola.
Mi sono reso conto che le piaceva essere guardata. Me ne sono reso conto
perché a volte fissavo il seno mentre le parlavo. Non vi era possibilità di
equivoco. Le guardavo i seni e volevo che lei lo capisse. E lei lo capiva.
Il suo mettersi in mostra si faceva sempre più audace. Fino ad arrivare al
“ridicolo”. Non serviva più la scusa del resoconto. Veniva da me per
chiedermi le cose più stupide ed inutili. Aveva fatto in modo che si
mettessero in esposizione anche accessori, tipo seggiole e tavolini, sdraio
e lettini. Sapeva cogliere sempre l’attimo buono. Io sudato e intento a
sistemare le tende e le altre cose. Se stavo picchettando una tenda,
prendeva una seggiola e si sedeva di fronte a me. Le gambe “irrequiete”
continuavano a muoversi e mostrarmi quel bianco pizzo delle mutandine. Il
suo gioco era scoperto. Aveva capito che io avevo capito e sfruttava la
situazione per appagare il suo desiderio di essere guardata.
Il culmine lo aveva toccato verso fine luglio. Il caldo bestiale soffocava
anche la brezza generata dalla vicina autostrada e dalle macchine che vi
sfrecciavano. Era un sabato, durante la chiusura per il mezzogiorno.
L’esposizione sarebbe rimasta chiusa fino alle tre. Me la vedo comparire
davanti. La scusa era che si trovava di passaggio e che aveva notato una
tenda messa male. Siamo andati a controllare ed in effetti una parte di
tenda “svolazzava”. Mi sono messo a sistemarla, togliendomi la polo per non
trovarmela imbromba di sudore. lei è rimasta a guardarmi ed intanto mi
redarguiva per non avere verificato le tende io stesso. io sudavo, per il
caldo, per le sue tette a mezzo metro dal mio naso e per le menate che mi
stava facendo.

La sua camicia era molto, molto scollata. tanto che mi ero persuaso che se
la fosse slacciata in quel modo assurdo apposta. tanto non c’era anima viva
oltre a noi. Dopo la tenda ha voluto vedere l’esposizione degli accessori.
Seduta su una seggiola, gambe “nervose”, mi impartiva gli ordini. Sposta
questo, sposta quello. La gonna scivolava allegramente sulle cosce, tanto
che le gambe erano totalmente scoperte. Per fortuna anche lei sentiva il
morso della calura. Andiamo nel mio “ufficio”. Mi chiede se ho dell’acqua in
fresco. Servizievole le verso un bicchiere d’acqua e glielo porgo. Lei finge
di prenderlo, urta la mia mano e l’acqua si versa sulla camicia. Il bianco
scompare totalmente e il tessuto diventa una seconda pelle. Finge di essere
indispettita, mi accusa di essere maldestro e alza la voce, ma non troppo.
Va nel piccolo bagno della roulotte, si toglie la camicia e mi chiede di
prestarle la mia polo. Io prendo la camicia e la stendo ad asciugare. Mi
lancio in una battuta, ma lei mi blocca subito. L’episodio sembra essere
finito. Dobbiamo solo aspettare che il sole compia uno dei suoi doveri.
Intanto io sono sempre a torso nudo, anche se non più tanto sudato.
Con la mia polo addosso, tutta la sua carica erotica si spegne e lei se ne
accorge. Come si accorge che anche la gonna è bagnata. Per dire il vero
poche gocce. Si alza, la sfila e mi chiede di stenderla ad asciugare. Rimane
semi nuda, la mia polo che le copriva appena le mutandine. Ogni suo
movimento, ogni suo sguardo erano un invito ad afferarle i seni, a gettarmi
con la testa tra le sue gambe, a possederla lì, sul piano cucina di quella
roulotte.
Ero combattuto tra la mia voglia di possederla ed il timore di alzare un
dito verso di lei. Cerco le parole, un ingresso. Lei schiva, evita. Si
diverte a vedermi eccitato e ad eccitarmi. Mi fissa, poi fissa le mie parti
basse. I suoi occhi sembrano invitarmi, un istante dopo mi allontanano. Esco
a prenderle la gonna (asciutta) mentre la camicia è ancora appena umida. Non
indossa subito la gonna, ci gioca per un attimo, la guarda e la rigira tra
le mani. Poi la indossa e mi… chiede di aiutarla con lo zip. Il solo
sfiorarla mi sconvolge la mente ed i sensi, abbandono il mio timore e le
carezzo il sedere. Con uno scatto lei si gira e mi fulmina con lo sguardo.
Mi blocco e lei si ritrae, aggiustandosi la gonna. l’atmosfera che si era
surriscaldata si è raffreddata di colpo. Come una secchiata d’acqua su un
braciere. Passano secondi lunghi ed intesi, silenzi taglienti come rasoi.
Lei esce a controllare la camicia e mi chiama fuori. è tornata la Giulia
despota, il capo. Quell’attimo in cui mi sembrava vicina è lontano anni
luce. Vuole vedere quello che chiamiamo il gioiello. Un camper Americano di
quelli mastodontici. Tutto dentro è enorme. Lo metto in moto per attivare il
condizionatore ed in pochi minuti l’aria fresca attenua la sofferenza per
la calura. Si siede e si guarda intorno. Vuole che le spieghi tutto del
gioiello. Entro nella parte del venditore e le mostro ogni meraviglia
dell’oggetto. Quando usciamo l’effetto è micidiale. Bastano pochi passi e la
reazione dei corpi è immediata. Rivoli di sudore mi scorrono dalle tempie,
mentre la mia polo comincia ad appiccicarsi addosso a lei. La camicia è
asciutta, la raccolgo, faccio per dargliela ma lei è già due passi avanti.
Torniamo nel mio “ufficio”. Afferra la camicia e si “nasconde” nel piccolo
bagno. La porta è aperta e dallo specchio posso vederla. Si sfila la mia
polo, e me la passa. Lo fa apposta, così mi costringe ad avvicinarmi. Fingo
pudore, ma lei sa che posso vederla. Si rimira i seni, li carezza, li sfiora
gentilmente. Gioca con la sua carme e la mia mente. Indossa la camicia ma
non l’allaccia. Esce dal piccolo bagno. Io sono in piedi di fronte a lei.
Posso toccarla, sentirne il respiro. Comincia ad allacciarsi, partendo dal
bottone più in basso. Lo fa con una lentezza esasperante. Mentre i seni
brillano del mio desiderio. Lascia la scollatura ampia, un generoso omaggio
al mio sguardo carico di passione repressa. Non mi stacca gli occhi di dosso
neppure il tempo di un respiro. Io non stacco gli occhi dai suoi seni, dai
suoi capezzoli, dalla mia voglia di prenderla e rovesciarla sul divanetto.
Quando cerca di infilarsi la camicia dentro la gonna, i seni cadono fuori,
timidi ed arroganti. Cedo, non resisto più. La soglia del mio contegno è
ricordo. Le afferro un seno e lo bacio con foga. Afferro anche l’altro. le
mie mani piene della sua carne. le mie labbra avvolgono i capezzoli turgidi
e bollenti. Tre, quattro secondi. Uno spiraglio nel tempo. Mi permette
questo contatto, me lascia ubriacare dei miei ormoni. Un lampo, secondi che
valgono una vita. All’improvviso lei si ritrae, mi guarda fisso e mi molla
uno schiaffo violento. La mia guancia brucia, più del mio orgoglio e meno
del mio stupore. Incredulo e sbigottito la osservo, mentre con esasperante
calma completa l’opera di infilarsi la camicia nella gonna. Il suo sguardo è
una lama, piantata dritta nelle mie pupille. Esce dalla roulotte, mi guarda
ancora, mi saluta. La freddezza del suo sguardo e delle sue parole è tale
che un brivido mi corre lungo la schiena. Fa caldo, un caldo torrido, ed io
ho freddo come fossi al polo nord. Se ne va, così come era venuta.
lasciandomi con la mia voglia delle sue carni ed il timore di ciò che
avrebbe potuto farmi.
Nelle due settimane a seguire, ha continuato come nulla fosse a venire da
me. Ogni volta giocando con il rito subdolo della mia eccitazione. Non una
parola e neppure un ceno a quel sabato pomeriggio. Fino all’ultimo giorno,
quello della chiusura per le vacanze. Viene da me verso sera, l’ora della
chiusura. Vuole tutti i resoconti, precisi e dettagliati. Probabilmente
pensa di cogliermi impreparato. Ho la netta sensazione che stia cercando un
pretesto. Ma sono pronto. Numeri e dati che ho già messo in ordine sui
moduli. Ne è sorpresa, non so dire, una sensazione, ma lei vuole colpirmi in
qualche modo. Non si rassegna, vuole vedere come ho sistemato l’esposizione,
se ho ritirato tutto, se le cose sono in ordine. Una ispezione capillare e
crudele. Io sempre pronto, quasi con sfida, mentre lei mi offre carni da
desiderare e desideri da reprimere. Finalmente abbiamo finito. Chiudo
l’esposizione e le porto i moduli in ufficio. Poggio tutta la documentazione
sulla sua scrivania e aspetto un suo cenno. Lei mi guarda, sembra odio
quello che leggo nei suoi occhi. Si alza e mi viene così vicino che tra noi
non rimane neppure lo spazio per un respiro. Le sue labbra sono ad un
sospiro dalle mie.La sua mano mi sfiora l’erezione che è salita fiera, il
lino dei miei pantaloni non è una barriera sufficiente a mascherare il mio
stato e la sua mano sapiente moltiplica l’intensità della mia essenza. Si
allontana di qualche centimetro. Continua a toccarmi. Riesce ad afferrare il
mio pene, ringrazio me stesso per avere scelto pantaloni larghi e comodi.
Insiste, mentre io aspetto di cogliere una attimo di smarrimento del suo
sguardo affilato. Un battito di palpebre è il segnale. Irrompo nella sua
scollatura, le arpiono un seno trascinandolo vero le mie labbra. Lei ha in
mano il mio essere e stringe più forte. Le bacio il seno con foga, rabbia,
voglia, follia. Lei muove la mano, lo sento, sento la sua presa. Con la mano
libera mi allontana. Rimane a guardarmi e toccarmi. Vuole che io la osservi,
che le guardi il seno, che senta la sua mano. Vuole essere guardata, vuole
sentire la mia voglia arrivare alle soglie della follia. La lascio fare, poi
le tocco i seni, carezzandoli piano, affilo i suoi capezzoli con le dita,
fino a quando audace le infilo una mano sotto la gonna. Le mutandine sono
umide, le carezzo la fessurina, lei mi osserva, senza fermare la mano.
Scosto di lato il tessuto e con il dito penetro in lei. Preludio del mio
penetrarla con la mia carne rovente. Mi lascia fare, allarga un poco le
gambe. Le bacio i seni e le torturo la fessura. Avverto piccole vibrazioni,
tremiti che le scorrono lungo la pelle. Quando il mio timore diventa la mia
forza, quando ormai la mia mente ha aperto i cancelli della lussuria, quando
sono pronto a prendere il suo piacere, lei si allontana di scatto. Mi guarda
dura e cattiva. Non dice una parola, ma il suo silenzio è più intenso di
ogni altra cosa. Senza staccare i suoi occhi taglienti dai miei si sistema.
Non è più gesto sensuale e morbido. Ha un sapore di marziale e di rabbioso.
Prende i moduli e li getta per terra, con rabbia. Il suo silenzio tuona
nella stanza. Mi ordina di raccogliere i fogli, io obbedisco, paura e
sorpresa si spengono nell’incapacità di comprendere. Rimetto i fogli in
ordine. La guardo, mi guarda. Mi afferra la testa e mi bacia. Un bacio
violento. Nulla di dolce o di sensuale. la sua lingua sembra un arnese di
tortura. Mi bacia per quei secondi che bastano a cancella re ogni sorpresa
precedente ed accenderne di nuova. Si stacca da me. Mi guarda e alza un mano
per mollarmi uno schiaffo. Riesco solo a fermarla per una frazione di
secondo. L’altra mano si è già stampata sulla mia guancia. Cinque dita che
disegnano un tatuaggio rosso fuoco sulla mia pelle. Un attimo di silenzio
poi finalmente parole.
“Moreno, quando riapriremo dopo le vacanze, esigo ogni sera un rapportino
dettagliato…”
“Mi scusi Giulia, ma credo che quello settimanale sia…..”
“Moreno lei non è pagato per ritenere o pensare, lei si limiti a fare ciò
che le chiedo…”
“non mi sembra corretto… io…”
“se non le sembra corretto, può sempre dare le dimissioni!”
“buone vacanze signora Giulia….”

La mia lettera di dimissioni è stata recapitata il 22 settembre 1982.

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