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Francesca – Il gioco della seduzione

By 14 Novembre 2016Dicembre 16th, 2019No Comments

Quella di Francesca non era una vita semplice, né tantomeno facile, sempre presa dal tran-tran quotidiano, al punto da non potersi permettere alcuna distrazione al difuori del tragitto casa-lavoro lavoro-casa, anche quel giorno, uno dei tanti di quella sua vita monotona e tediosa, era in ritardo con la sua tabella di marcia; come al solito del resto. Fu così che, accomodato un morbido asciugamani bianco per contenere la miriade di lunghi capelli bagnati, ancora nuda dopo aver fatto la doccia, si diresse verso la camera da letto per scegliere dei vestiti da abbinare sotto il camice. Quello della farmacista era un lavoro che la appassionava molto, il lavoro per cui aveva passato anni di duro studio sopra i libri, ma che non le permetteva concretamente di poter avere una vita sociale soddisfacente. Non si possono creare delle amicizie solide soddisfacenti da dietro il bacone di una farmacia: prima di tutto perché di solito si ha a che fare con gente che ti vede solo come una semplice rivenditrice di farmaci e poi perché si passa tutto il tempo accanto a colleghi d gran lunga più in là negli anni di te e con cui, nonostante il profondo rapporto di stima, sei sicura di non poterci uscire insieme.
Era in ritardo, e questo, Francesca lo sapeva bene, ma si trattenne ancora un po’ ad osservare il proprio riflesso nel lungo specchio dell’armadio; godendosi quell’unico e fugace momento di civetteria che gli ricordava ancora di essere una donna. E che donna!
I suoi grossi occhi scuri studiavano con cura le dolci curve del viso, allungandosi pian piano giù per il collo e sulle spalle, osservando nel dettaglio come la dolce linea dei suoi fianchi, dapprima si incurvasse morbidamente a formare il suo florido seno, e poi si allargasse leggermente per formare il paradisiaco profilo del suo tonico culetto. Col fisico asciutto e ben proporzionato che si ritrovava non avrebbe faticato di certo a trovare un buon compagno per la vita; ma per quanti anni la sua bellezza atavica avrebbe sorretto al peso dell’età che avanza senza soccombere? Francesca non lo sapeva, ma proprio in quel momento qualcosa di più imminente aveva catturato la sua attenzione: doveva depilarsi.
Nulla di grave, giusto qualche peletto sbarazzino che, sfuggito all’occhio vigile ed indagatore della sua amica Marta, estetista/carnefice a cui Francesca si rivolgeva per fare la ceretta alle gambe, continuava a svettare prepotente in mezzo a quel roseo tripudio di femminilità, e che ora toccava a lei estirpare. Ma ora non c’era tempo. Dopotutto quei peletti superflui avevano deciso di dare un aspetto un po’ più ‘disordinato’ alla sottile striscia di peletti neri sul suo monte di venere, nulla che richiedesse un intervento tempestivo. Fu così che Francesca, infilato un anonimo slip bianco a vita bassa, si diresse nuovamente in bagno per completare la sua opera di trucco e parrucco, conscia del fatto che, anche se fosse andata a lavoro struccata, nessuno lo avrebbe notato. O forse sì? Di solito si truccava più per dare un tono serio a quella sua faccetta da ragazzina acqua e sapone, a cui era difficile credere si accompagnasse la fervida mente di una scienziata ma, col tempo, anche quel semplice gesto quotidiano aveva cominciato col perdere senso per lei. Era più un’abitudine. Impiegò quasi un’ora abbondante per finire, di cui venti minuti buoni solo per tracciare una linea d’eyeliner accettabile, che non la facesse assomigliare ad un quadro di Picasso, ma alla fine, dopo aver indossato una camicetta di seta bianca che nascondesse le forme del suo reggiseno a balconcino e un paio di pantaloni color caff&egrave, poté inforcare le decolté di pelle beige, dal tacco basso, che sono ancora comode anche dopo otto ore dietro un bancone; e di gran lunga preferibili a quelle antiestetiche ciabatte bianche da infermiera, molto di moda tra i suoi colleghi.
Era già pronta ad uscire di casa quando qualcuno la fece trasalire bussando al vetro della porta-finestra della camera da letto; cosa non così eccezionale se il suo appartamento si trovasse al nono di un edificio di dodici piani. Il sorriso sornione dell’operaio fece capolino da dietro il vetro, mentre continuava a muovere la mano in segno di saluto. Cazzo! Si era proprio dimenticata che quel giorno sarebbero cominciati i lavori di rifacimento della facciata di quel vecchio rudere che chiamava casa. Chissà da quanto tempo era lì’ Imbarazzata come non mai ricambiò il saluto dell’uomo e fulminea sgusciò via di casa per recarsi a lavoro, con un po’ di fortuna l’autobus che prendeva quotidianamente per andare a lavoro non era del tutto perduto.

Durante il viaggio in autobus, che Francesca era riuscita a prendere al volo, non fece altro che ripensare a quanto fosse appena accaduto e, più lo faceva, più si sentiva avvampare dalla vergogna. E se’ Il fuoco lambì le sue gote come tizzoni ardenti. Essendo il suo appartamento al nono piano e il suo il più alto tra i palazzi del quartiere, che a stento raggiungevano il quinto piano, Francesca non si era mai preoccupata di procurarsi delle tende per le finestre, preferendo di gran lunga godersi, senza interferenza alcuna, anche il più flebile raggio di luce che permeava nel suo appartamento; ma quel giorno, e se ne rendeva conto sempre più, a penetrare nel suo appartamento non erano stati solo i timidi raggi solari, ma anche gli sguardi indiscreti degli addetti ai lavori di montaggio dell’impalcatura. Al sol pensiero un fremito le percosse tutta la schiena, turbandola dal di dentro, mentre si sentiva sprofondare sempre più dalla vergogna. Quel giorno, per la prima volta, qualcuno aveva violato la sua intimità, guardandola mentre, se non completamente nuda, con le tette al vento continuava a prepararsi per andare a lavoro, e lei nel rendersene conto ne restò turbata; piacevolmente turbata. Solo allora si rese conto che quel suo mesto e anonimo slip bianco si era completamente inzuppato dei suoi umori, e se ne chiese il motivo ma, forse, lo conosceva già.
Per tutto il giorno Francesca non fece altro che pensare a quanto fosse successo quella mattina, e a come il suo corpo avesse reagito alla cosa. Distrattamente serviva i clienti della farmacia rimuginando su quanto quell’incontro inaspettato, seppur fugace, l’avesse spaventata, ma soprattutto eccitata. Che cosa le stava accadendo? Non si riconosceva più. Davvero si era eccitata all’ipotesi che qualcuno, un perfetto estraneo, avesse potuto vederla nuda? Ma che cosa aveva in testa? Di una cosa era sicura però: avrebbe voluto rifarlo. Per quel giorno la storia finiva lì, all’ora prevista per il suo rientro a casa, la squadra di operai avrebbe sicuramente smontato da un pezzo. Ma c’era sempre domani’
Scacciò quel pensiero come se fosse un tafano fastidioso, ma nulla poté contro il lago formatosi nelle sue mutandine. Sì, si era bagnata di nuovo, ma la cosa ormai non la sorprendeva più di tanto; non più ormai. Come previsto rientrò a casa all’imbrunire, ed ancora sotto quella specie di trance che l’aveva accompagnata tutto il giorno, decise di farsi una doccia, di mettere qualcosa sotto i denti e di fiondarsi al letto, esausta per la lunga giornata di lavoro; ma non meno eccitata. Aveva deciso di serbare tutto nell’angolo più remoto della sua coscienza, ma sapeva benissimo che quel lato sopito della sua personalità, che non avrebbe mai neppure immaginato di possedere, era stato risvegliato e mai più nulla sarebbe stato come prima.

Fu risvegliata direttamente dal rumore degli operai all’opera, mentre un pacato senso di beatitudine si fece strada dentro di lei nel momento stesso in cui aprì gli occhi e si stiracchiò. Nulla era rimasto di quello strano senso di eccitazione del giorno prima, o almeno così le parve. Non curandosi degli spettatori, si diresse in cucina per far colazione. La differenza di temperatura da dentro a fuori dal letto le fece immediatamente indurire i capezzoli. Ma era davvero solo per quello? Indossava uno dei suoi soliti pigiamini di maglina, quello giallo pastello, nulla di così estroso insomma da poter richiamare l’attenzione su di lei. Nel tragitto incontrò il suo riflesso nello specchio della cappottiera: i suoi capezzoli svettavano maestosi nascosti solo dalla sottile stoffa del pigiama. Avrebbe dovuto indossare un reggiseno. Avrebbe dovuto, ma non l’avrebbe fatto; che diamine quella era pur sempre casa sua! E poteva decidere di girovagarci nel modo che riteneva più opportuno, senza doversi preoccupare di eventuali spettatori; anche perché, da quella distanza lì, sarebbe stato alquanto difficile notare l’esile profilo dei suoi capezzoli. Dopotutto non aveva certo a che fare con Superman e la sua vista telescopica! Decise perciò che anche quel dì si sarebbe comportata con naturalezza, non lasciando la minima possibilità a quella storia degli operai e delle tende di modificare la sua routine. Fece quindi colazione come sempre, con una buona tazza di caff&egrave e qualche fetta biscottata spalmata di marmellata. Terminata la colazione si diresse direttamente in bagno per prepararsi. Quel giorno avrebbe dovuto lavorare solo il pomeriggio, e di solito approfittava della mattinata libera per dedicarsi alla pulizia della casa. Già’ le pulizie. Di solito si dedicava le faceva indossando una tenuta ginnica alquanto succinta, una canotta striminzita e degli shorts che poco lasciavano all’immaginazione. Era proprio il caso di restare in casa con una mise del genere? Ci stava ancora pensando quando dallo specchio si accorse che qualcuno, munito di casco antinfortunistico, aveva fatto capolino dalla finestra e la guardava.
– Cavolo sì! ‘ si disse ‘ Se proprio mi devono guardare che mi guardino pure, ma voglio divertirmi un po’ anch’io. Se quello era stato solo uno sguardo di sfuggita, adesso avrebbe dato a quell’operaio un valido motivo per restare imbambolato davanti alla finestra. Non aveva ancora ben chiaro cosa avrebbe fatto per attirare ancora di più l’attenzione su di se; ma l’inventiva non le mancava di certo. Andò in camera sua per prendere dal cassetto dell’armadio la canotta e i sexy shorts abbinati, e tornò in bagno. Non aveva alcuna intenzione di bruciare le tappe, quello era un gioco da portare avanti molto, molto lentamente, ma doveva pur giocare’ e così, controllando dallo specchio che il suo ammiratore la stesse ancora guardando, si sfilò la maglia del pigiama, tenendo cura di mostrare al suo indomito spettatore solo la bianca pelle nuda della sua schiena. Francesca Sentì i capezzoli indurirsi come non mai. Reclamavano la loro dose di attenzione, la pretendevano; ma il gioco non era ancora finito. Indossato la canotta, era ora il turno dei pantaloncini; ma non appena sfilò quelli del pigiama, decise di cambiare programma e di restare con le sole mutandine blu. Se solo le avesse sfiorate’ molto probabilmente le avrebbe già trovate zuppe. La sua patatina non chiedeva altro che di essere sgrillettata come si deve; ma poi tutto sarebbe finito lì. Invece a Francesca quel suo nuovo gioco di esibizionismo piaceva, cominciava a piacerle sempre più. Ne gustava con calma ogni attimo, presa da una libidine che sarebbe stato difficile spiegare razionalmente. Fu per questo che, con molta nonchalance, decise di avvicinarsi direttamente alla porta-finestra del balcone da cui il viso paonazzo dell’operaio continuava a fare capolino di tanto in tanto. Così, con addosso solo quella misera canotta e quel paio di slip semitrasparenti, Francesca, spinta più dal desiderio che dal coraggio, si sporse fuori dalla finestra, per chiedere al suo acuto spettatore se gradisse del caff&egrave, oppure una bella bottiglia di birra fredda. L’uomo sgranò gli occhi, forse non si aspettava che una ragazza come lei potesse essere così sfacciata, ma, abbozzando imbarazzato un mezzo sorriso, ringraziò per la cortesia ed accettò il caff&egrave.

Il caff&egrave

Mentre il caff&egrave risaliva lentamente le pareti della moka, Francesca sentiva lo sguardo dell’operaio percorrere ogni centimetro della sua pelle. Avrebbe potuto sottrarsi in ogni momento a quella specie di radiografia, ma non lo fece. Il tempo passava inesorabile mentre, con i capezzoli duri come chiodini e fasciati dalla sola stoffa del top, intraprendeva una conversazione alquanto imbarazzante con quell’uomo. Si fermò ad osservarlo meglio: Non era un adone, né un modello di quelli delle pubblicità di Dolce e Gabbana. Era alto, questo e vero, ma quell’accenno di barba incolta gli donava un aspetto un po’ troppo rude e attempato. E forse era proprio questo ad intrigarla. La eccitava l’idea che un uomo del tutto comune, un tipo normale come quel povero operaio sudasse freddo nel vederla così svestita; morisse di voglia ogni volta che impunemente si piegava sul tavolo per riporre zuccheriera, tazzine e cucchiaini. Avrebbe potuto spingersi ancor più in là, magari stuzzicarlo voltandosi e, dandogli una visione perfetta del suo sedere, piegarsi per prendere qualcosa da sotto il lavello’ ma lì per lì non sapeva proprio quale scusa utilizzare. Avrebbe dovuto pensarci prima, studiare un piano, ma si disse che semmai l’avesse fatto, se ci avesse ragionato troppo su, a quest’ora sarebbe di certo morta dalla vergogna. Ora, invece, sentiva l’eccitazione salire prorompentemente; farsi largo dentro di lei proprio come stava facendo il nero liquido profumato raccolto nel brico della macchinetta del caff&egrave. Strinse forte le gambe, di lì a poco sarebbe impazzita, e dominando per quel poco che poteva i propri sensi, versò il caldo nettare d’arabica nelle due tazzine. Sorseggiarono quel caff&egrave in silenzio, lui sempre perduto nelle sue forme procaci, lei preoccupandosi di dare un tono alla sua vena esibizionista. Resistere era sempre più difficile. Ancora qualche momento e si sarebbe strappata lei stessa quelle mutandine di dosso e, afferrata la nuca di quell’operaio, l’avrebbe costretto a bere qualcosa di ben più dissetante di un innocente caff&egrave. Oh sì che lo voleva. Voleva sentire quella lingua tra le sue labbra, le sue grandi labbra. La voleva sentire mentre tintillava impunemente la sua clitoride, succhiava via ogni traccia della sua eccitazione. Avrebbe voluto morire sulla verga dura e nodosa che come un bozzo faceva capolino tra i jeans strappati ed attillati di quell’uomo. Assaporare il sapore del nettare che inzuppava le sue gambe sulle labbra di lui. La sua mente vorticava su pensieri osceni, peccaminosi; pensieri dannatamente eccitanti. Già immaginava la sua lingua percorrere quella mazza marmorea sino al prepuzio, le sue labbra dischiudersi come in un bacio su quella fontana zampillante di desiderio. La sua bocca ingorda inondata da un fiume di latte, di crema preziosa; di sborra fumante. Lo desiderava con ogni fibra del suo essere. Al sol pensiero sentiva il fuoco farsi strada tra le gambe. Ma non ne ebbe il tempo; l’operaio, finito il caff&egrave, ringraziando timidamente per l’ospitalità, ritornò al suo posto di lavoro, lasciandola così: sola, eccitata e del tutto inappagata. Oramai Francesca non si riconosceva più, quel turbine erotico stava agendo su di lei più di quanto aveva immaginato. Ogni occasione, ogni pretesto, era buono per la sua mente per vagare indisturbata su pensieri tutt’altro che casti. Chiunque le girasse intorno, all’improvviso, diventava il venerabile oggetto dei suoi pensieri sconci. Francesca non era mai stata preda dei suoi sensi, si era sempre reputata una ragazza piuttosto ‘seria’, razionale; ma quel fremito in mezzo alle gambe la spingeva ad osare di più. Sempre di più. Era stata una stupida a non approfondire il discorso con quel muratore, aveva giocato male. Avrebbe dovuto battere il ferro mentre era ancora caldo. Ora non sapeva più come fare per rendere il gioco interessante, anche perché le appariva abbastanza sciocco ripetere le stesse mosse dell’ultima volta. No, adesso era pronta per qualcosa di nuovo; qualcosa di tremendamente più eccitante. Fu proprio una mattina, mentre come al solito si recava a lavoro in bus, che una piccola idea si fece strada in quella sua testolina furbetta, bagnandole le mutandine all’istante. Si sentii avvampare di calore mentre con occhi vogliosi osservava gli altri passeggeri del bus. C’era sempre poca gente a quell’ora del mattino: un paio di ragazzini che facevano comunella sul fondo del mezzo, un paio di signore distinte che sicuramente si recavano in centro, e poi qualche vecchietto che prendeva quel bus per recarsi ai giardinetti. Di solito nessuno faceva caso a lei e questo la rincuorava, di solito, ma ora’ ora che il fremito dell’esibizionismo si era fatto strada dentro di lei, ora che quel tocco di lascivia aveva sfiorato le sue labbra, desiderava, agognava essere vista, desiderata; ammirata. Un paio di volte aveva persino beccato uno di quei vecchietti indugiare un po’ troppo sul suo decolté e si era anche infastidita, ma non era sicura che adesso avrebbe fatto lo stesso, soprattutto visto lo stato fisico in cui si trovava. Il calore fu tale che piccole gocce di sudore cominciarono ad imperlare quello stesso decolté che così impunemente oggi aveva appositamente lasciato abbastanza scoperto per essere ammirato attraverso la scollatura a V del maglioncino. Quanto avrebbe voluto che la vedessero adesso, che la ammirassero, che affondassero i loro sguardi peccaminosi tra quelle morbide forme.
Indugiava ancora su quei pensieri quando giunse il momento di scendere. L’occasione era ghiotta. Senza pensarci poi troppo si slanciò verso uno dei pali di ferro su cui era posizionato il pulsante di richiesta della fermata, e nel farlo aveva finto quasi di perdere l’equilibrio, spingendosi in avanti al punto da permettere al suo spolverino di restare completamente aperto, donando ad uno di quei vecchietti una panoramica perfetta delle sue tette gonfie di desiderio. Durò un attimo, il tempo di un sospiro, ma gli provocò una scarica di adrenalina che la fece tremare. Tempo di aprire le porte, e i suoi tacchi già si muovevano agili sul marciapiedi di fronte alla farmacia. Qualche passo ancora e nessuno dei passeggeri del bus avrebbe potuto più vederla, ne avrebbe potuto vedere il rossore che incendiava le sue guance, o quello che bagnava le sue gambe.

L’interno della farmacia sembrava ancora assorbito dalla sonnolenza della notte. Non c’erano che pochi avventori sparsi qua e là all’interno del negozio, ma se ne stavano già preoccupando i suoi colleghi. Francesca si diresse direttamente nel retrobottega che, attraverso un piccolo corridoio conduceva al magazzino, al laboratorio galenico, ai bagni, ed ad una specie di cappottiera dove si poteva indossare il camice in santa pace. Ed &egrave proprio quello che si accingeva a fare, se non fosse che la sua micina reclamasse la sua dose di attenzione. Era certa che se solo si fosse sfiorata, le sue mutandine si sarebbero inzuppate ancor più di quanto già non fossero. Ma che fare? Non poteva certo lavorare in quello stato. Ci pensò su per un po’, non poteva certo mettersi a sgrillettarsi la passerina lì, nella cappottiera, rischiando di essere colta sul fatto da un momento all’altro’ Oppure era proprio questo quello che voleva? Non si riconosceva più. Con quel minimo di raziocinio che le era rimasto, Francesca si infilò nel bagno e, chiusa a chiave la porta, non aspettò neppure un attimo per abbassarsi le mutandine e portare il suo dito indice a sfiorare la clitoride, trovandola gonfia e turgida. Per fortuna non indossava pantaloni quel giorno, o avrebbe bagnato anche quelli per come si era eccitata; era un lago. Le sue dita saettavano sulle grandi labbra, spingendosi a sfiorare anche buchetto. Ma voleva di più. Dopo aver alzato per bene la gonna rossa, si poggiò al freddo marmo del lavabo per dedicarsi per bene a quel focoso momento di piacere. Le sue dita esploravano tutti i meandri della sua passerina, donandole sensazioni che non era certa di aver mai provato neppure con il suo ex. Ma forse era solo a situazione ad essere eccitante. Lei lì, sola, nel bagno di servizio della farmacia, intenta a strizzarsi i capezzoli attraverso la scollatura del maglioncino bianco e a sgrillettarsi la passerina come se non ci fosse un domani. Non poteva ancora credere di riuscire a provare tanto appagamento da una situazione del genere. Ma cosa le stava accadendo? Era come se il timore di essere scoperta avesse reso tutto molto, molto più eccitante. Ad un certo punto pensò anche che fosse un peccato che in quel bagno non ci fosse un foro nella parete come aveva visto in quei film di Pierino che davano la sera in tv; il suo spettacolo sarebbe stato di gran lunga più interessante rispetto ad una semplice doccia. L’orgasmo era vicino, non mancava molto, ad un certo punto sentii qualcuno bussare alla porta.

– Francesca tutto bene? ‘ La voce era quella di Massimo, il figlio della titolare della farmacia. Sembrava preoccupato. ‘ Siiiì ‘ disse Francesca incapace di trattenere un gemito. Immediatamente la maniglia della porta si mosse, ma Francesca ancor più lesta la bloccò spingendosi contro con tutto il suo peso ‘ Fammi entrare! – disse l’uomo dall’altro lato ‘ Non sembra proprio che tu stia bene! ‘ Ma Francesca già non lo sentiva più. Il solo pensiero di essere trovata dall’avvenente figlio della proprietaria mentre con una mano tenta di tener chiusa la porta e con l’altra si trastullava la fica, le provocò un lungo ed impetuoso orgasmo; un senso di beatitudine e appagamento che si fece strada dentro di lei, ed ebbe la forza di sconquassarla tutta. Non si rese neppure conto per quanto tempo restò in quella posizione, con le dita ancora immerse negli umori della sua passerina, quella situazione così imbarazzante l’aveva fatta squirtare come non mai e, quando si riprese, notò che il tono di Massimo era molto più preoccupato di quanto già non fosse. ‘ Francesca? Francesca tutto bene? Rispondimi! ‘ Sì Massimo’ sto bene, arrivo subito! ‘ A me non sembra! Ti ripeto fammi entrare! – Quello era un tono a cui non ci si poteva opporre. Ma che fare? Si diede un occhiata. Squirtando aveva inzuppato a tal punto le sue mutandine da poterle strizzare’ Un’idea le balenò in testa, ma avrebbe mai trovato il coraggio di fare una cosa del genere? Sarebbe stata all’altezza della situazione? Francesca non stette lì a pensarci molto e dopo aver sfilato del tutto le mutandine ed essersi data una ripulita, avvolse per bene quel piccolo pezzo di stoffa in una bustina di plastica che ripose con cura nella sua borsa. Adesso c’era solo quel sottile strato di stoffa a separare le sue parti più intime da occhi indiscreti; e la cosa la eccitava come non mai. Infilato in tutta fretta il camice e data un’ultima sistemata al trucco ed ai capelli, Francesca era finalmente fuori dal bagno; a tu per tu con Massimo e il suo grugno preoccupato. ‘ Come ti senti? ‘ le chiese ‘ mai sentita meglio ‘ rispose lei. Ed era vero. Ciò che era successo in quel bagno l’aveva cambiata. Irrimediabilmente. Ed anche se ancora non sapeva bene come avrebbe fatto a convivere con questo suo lato esibizionista, come sarebbe scesa a patti con quella nuova parte di lei che era sempre rimasta nascosta; Francesca, finalmente, si sentiva libera.
Non fu una giornata di lavoro come le altre quella lì, ogni occasione era buona per osare, per mostrare qualcosina in più. In fin dei conti nessuno dei clienti della farmacia avrebbe potuto sapere che sotto quel camice e quella gonna a balze non indossava le mutandine, ma la possibilità di essere scoperta, spiata nella sua intimità; le provocava delle sensazioni che difficilmente sarebbe stata in grado di descrivere. Il gioco era proprio questo e le piaceva: tentare senza che nessuno se ne accorgesse, esibirsi senza che a qualcuno potesse balzare agli occhi. Tutto questo la scioccava, la intimoriva’ la mandava in visibilio, specie quando era costretta a prendere o riporre di farmaci nelle scaffalature più alte, lì dove serviva adoperare una piccola scaletta per raggiungere i lunghi cassetti d’acciaio. Bastava uno spiffero, una debole brezza proveniente dalla porta lasciata aperta da qualche cliente, e la sua gonna si sarebbe mossa, alzata, forse al punto da scoprire ben più di quanto le sue gambe toniche e lisce lasciassero vedere. Senza contare che bastava piegarsi per prendere delle compresse dal cassetto più basso che ecco, la soffice stoffa della gonna, risaliva ancora, sempre più su sino a scoprire quel po’ di pelle in più che la mandava in estasi. Quella giornata Francesca la passò così: tra la paura e la voglia di essere scoperta, ma niente di più. Fu proprio mentre tornava a casa con lo stesso bus che aveva preso la mattina che Francesca si trovò a desiderare ancora di più. Quel gioco ormai la stava coinvolgendo al punto che il ‘mostrare e non essere visti’ non le bastava più. C’era un ragazzino seduto proprio difronte a lei. Doveva avere su per giù la stessa età di quelle pesti che ogni giorno prendevano il bus con lei al mattino. Era intento a giocherellare col suo smartphone; e non l’aveva degnata neppure di uno sguardo. Francesca prese tutto questo come una sfida. Doveva ricevere la sua attenzione; e con ogni ‘mezzo’. Specie quelli che piacevano a lei. Sapeva bene che sarebbe potuta passare per una pedofila ma, in fin dei conti, pensò lei, non se lo sarebbe mica portata a letto. Si sarebbe ‘limitata’ a mostrare a quel ragazzetto molto più di quanto non avesse mai fatto prima. E poi avrebbe proprio voluto vedere se sarebbe stato ancora capace di giochicchiare con quel telefono invece di badare a lei. Studiò la cosa con calma. Prese un vecchio specchietto dalla borsa e ‘Sbadatamente’, approfittando di un sobbalzo improvviso del bus, lo fece cadere ai suoi piedi. La cosa, come sperava, non passò inosservata e il ragazzino educatamente si chinò per raccogliere lo specchietto; ‘giusto in tempo’ perché Francesca si ricordasse di allargare imprudentemente le gambe mostrando all’imberbe osservatore uno spettacolo che difficilmente avrebbe dimenticato. Durò solo qualche attimo, poi Francesca tornò a chiudere diligentemente le gambe e portò la gonna in zona di sicurezza. Ma era stata brava? L’aveva vista? L’attesa di una qualche reazione da parte di quel ragazzino la stava uccidendo. E se quel cretino era stato tanto imbecille da non guardare quando gliene aveva dato occasione? Come fare per saperlo? Non poteva certo sbottare dicendo: Ehi tu, che ne pensi della mia fica? Francesca si sentiva percorsa da un turbinio di sentimenti contrastanti. Intanto il ragazzino, paonazzo come un peperone, le porse inebetito lo specchietto; adesso Francesca era sicura di aver fatto centro e la cosa la mandò in brodo di giuggiole. Aveva avuto ragione, il ragazzeto ora non faceva altro che sbirciarle le gambe alla disperata ricerca di un bis. Cosa fare ora? Voleva davvero esporsi così tanto? Se si fermava lì il ragazzino avrebbe anche potuto dubitare d’ aver visto bene’ e lei non avrebbe rischiato di essere presa per una pedofila. Ma in fondo ‘ si disse ‘ non voglio mica portarmelo a letto’ Cosa c’era di male a mostrare un po’ di carne in più? Dopotutto quel ragazzino era già nell’età in cui ci si spara le seghe davanti agli schermi dei pc. Francesca gli aveva mostrato solo quanto si può comodamente raccattare sul web, anzi, gli stava facendo un favore; quel ragazzino aveva finalmente visto da vicino qualcosa che aveva potuto apprezzare solo in foto o in video. Era una benefattrice. Fu pensando queste cose che Francesca fece appena in tempo a rendersi conto di essere quasi giunta alla sua fermata, e con mossa calcolata spalancò le gambe per mettersi in piedi. Il fremito di un attimo ed eccola già fuori dal bus che percorre con passo svelto i pochi metri che la separano dal portone del suo palazzo; scomparendo alla vista degli altri passeggeri e di un timido ragazzino che quella sera, ne era sicura, le avrebbe sicuramente dedicato una sega.

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