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Stavo guardando il fuoco quando successe qualcosa di particolare; era una fredda domenica di Dicembre e fuori nevicava. in realtà non stavo semplicemente guardando il fuoco; ero nudo, col cazzo duro, eccitato e mi accarezzavo il corpo sudato mentre la mia gamba destra riposava sul bracciolo della poltrona. Mi stavo masturbando pensando a mia sorella Marta, con la divisa del liceo, mentre le sborravo tra le tette ancora acerbe e le mutandine rosa sotto la gonnella. Il fuoco sussultò, ebbe un guizzo, uno spasimo nel quale vidi muoversi una figura umana. Stringendo ancora più forte il glande turgido tra le mani callose, mi rizzai sullo schienale, sgranando gli occhi. Quelle che erano senza dubbio fiamme sembravano capelli, le braci sembravano membra, e le scintille di un fuoco rovente parevano lampi di uno sguardo vivo. Mi strinsi sulle spalle e con fare incuriosito mi avvicinai al camino, col cazzo ancora bello stretto in mano. Incontrai lo sguardo della Donna mentre avanzavo carponi sul tappeto. Mi trafisse come una saetta. Di fronte a quegli occhi infuocati non potei che indietreggiare. Con le mani dietro la schiena mi trovai a fissare una splendida e flessuosa figura emergere dalle braci e avvicinarsi al mio corpo fremente.
Tremavo di caldo, di freddo, di paura, di angoscia. Sembrava un sogno e il buio della stanza mi circondava. La fonte di luce mi attirava come una calamita ma il terrore mi respingeva come se di una bestia feroce si trattasse. La luce delle fiamme si rifletteva sulla sua pelle lucida, di essere etereo, mentre avanzava, nuda, verso il punto in cui ero rimasto immobile ad osservarla.
Lei avanzava lentamente verso di me emergendo dalle fiamme. Non poteva essere vero. Era impossibile, pensai. La sua pelle era colore dell’oro. I capelli, lunghissimi e biondi, le cadevano sulle spalle nude e sul petto. Il corpo era flessuoso ma atletico. Procedendo a gattoni sul tappeto mi si avvicinò sorridendo maliziosa. Vidi le fossette ai lati dell’osso sacro, proprio sopra il culo. Seguii la schiena fino ad incontrare il suo sguardo da grandissima troia. I seni perfettamente sodi incorniciavano dei capezzoli turgidi e duri al centro di un’aureola ambrata.
Senza indugiare mi prese in bocca ed io, insicuro, sentii il calore della sua lingua rimestare sulla mia carne. Era brutale. Socchiusi leggermente gli occhi e mi lasciai trasportare dal piacere selvaggio che emerse dalle profondità del mio corpo e si posizionò stabile sulla punta del mio cazzo enorme. Lo sentivo pulsare tra le labbra di quella bellissima sgualdrina. Non aveva detto nulla, non aveva perso tempo, mi stava succhiando come mai nella vita, probabilmente ero morto e arrivato in paradiso.
Vedevo i suoi capelli arruffati cadere sulle mie cosce in ciuffi di cotone argentato. Appoggiai la mano, larga, al centro della sua schiena inarcata, mentre scrutavo il gioco delle fiamme riflettersi sulla pelle affacciata al fuoco. Inginocchiata ai miei piedi, succhiava avidamente il mio idrante, mentre lottavo per schiacciarla ancora più verso il basso, verso i coglioni gonfi e pieni che volevo scaricarle addosso. Seduto sul tappeto, offrivo poca resistenza alla sua famelica furia.
Fiera liberatasi dalle fiamme dell’illusione, giaceva ora nel mezzo del mio salotto, nutrendosi della mia libidine. Era una belva tremenda. La afferrai per i capelli costringendola a guardarmi. Mi trovai davanti un viso da ragazzina innocente che mi osservava con compassione. Una lacrima, quasi sembrava rigarle il volto: non voleva che le facessi male. La scaraventai a terra montandole sopra. Mi chinai sul suo viso imbrattato di me obbligandola a ingoiare il mio attrezzo fino in fondo. La scopai in gola mentre le mie palle sbattevano contro il suo mento umido. Lei era la bestia dalla quale dovevo difendermi. Lottai pugnalandola al cuore con la verga madida del suo sudore. Penetrai il suo petto attraversando il collo e la bocca. Godevo, mentre lei si nutriva di me. nonostante le lacrime rigassero il suo volto violentato, in realtà stava solo giocando. Mi afferrò con le mani scaraventandomi di lato. Girandosi agile, mi atterrò in grembo, cavalcioni, si sedette sopra la mia mazza imberbe impalandosi da sola. Mi cavalcò, amazzone ribelle di un gioco senza regole mentre io sfinito, dopo tempo infinito, mi trovai alla sua mercé. Non avevo più cazzo. Non avevo più fiato, non avevo più palle. Lei, indomita, desiderava altro da me.
Si allontanò dal mio corpo esausto, senza smettere di osservarmi, cauta. Si avvicinò alle braci ed estrasse un tizzone ardente delle dimensioni di un manganello. Mi trafisse l’orifizio anale col bastone che si tramutò in una verga ghiacciata. Mi penetrò gli intestini mentre lottavo contro il dolore e il piacere che bruciava le mie viscere. Rotolando sul tappeto tentavo di sfuggire alla sua paradisiaca violenza. La donna di fuoco rideva del mio terrore muovendosi felina alle mie spalle. Con uno strappo svuotò il mio retto e mi ritrovai vuoto ed ansimante sul tappeto, mentre lei mi offriva nuovamente se stessa. Il dolore non si placava ma dovevo lottare.
Non mi rimaneva altra soluzione che attaccarla nuovamente. La agganciai mentre si apriva di fronte a me sorridendo vogliosa. Gettò la testa indietro quando spinsi profondamente il mio corpo tra le sue gambe umide. Sospirò. Sospirammo giunti in un amplesso infuocato. Una forza animale, una resistenza sconosciuta si era impossessata del mio corpo illuminato dalle braci incandescenti. Spinsi; spinsi ancora. Ci trovammo a pochi centimetri dalle fiamme. Il suo braccio, intorno al mio collo, per non cadere nel fuoco, mi fece capire che non aveva finito di godere del piacere dell’amore. Mi sollevai portandola con me. sembrava piccola ora. Leggera, l’adagiai sulla poltrona e mi chinai ai suoi piedi. Ne assaggiai la carne pulsante dalla ferita grondante umori e succhi. Avrei voluto sbranarle le labbra e farla morire di piacere. Ma il suo corpo non era debole. Mi controllava con la mano sul capo. Le unghie feline tra i miei capelli scompigliati mi ricordarono che era lei a comandare il gioco. Credevo di essere il padrone ma ero lo schiavo di una energia sconosciuta. Mi limitai ad ascoltare il mio desiderio, che corrispondeva a quello di lei, che era lo stesso bruciante calore delle fiamme. Abbandonata sul velluto cremisi, spalancava la sua intimità al diverso; le gambe alte sopra le mie spalle, i piedi tesi nell’ansia del piacere. Il clitoride turgido, il ventre teso, schiacciava anelante il mio viso tra le sue pieghe. Occhi chiusi. Capelli sciolti. Bocca aperta, canini assetati di piacere. Voleva essere sfamata ma a mangiare ero io.
-scopami!- urlò cambiando tono ed io rimasi muto. Spaventato mi resi conto che non eravamo soli.
Taci, troia! fu l’unica cosa che fui capace di dire. Da qualche parte, fuori della stanza, c’era mia sorella. La mia sorella adorata, che riempiva inconsapevolmente i miei sogni di studente col suo sguardo ingenuo e le sue curve ancora fresche. La Donna mi guardò in silenzio. Implorante tornai a leccarle la figa come un cane una ferita fresca. Credo che si mise a ridere della mia goffaggine. Avrebbe potuto sentirci, pensai, tremando all’idea che Marta ci scoprisse in terribili atteggiamenti. Tremavo anche dalla rabbia e dal furore, ma non potevo fare nulla. era senza dubbio più forte di me. era un demonio.
-vattene! , implorai alzando il volto triste verso di lei: non si mosse. Anzi. Mi guardò con un sorriso. Sembrava voler giocare ancora con me. non era ne stanca ne soddisfatta.
-Ragazzino, mi disse. Alzandosi dalla sedia mi si avvicinò con fare sensuale e flessibile. Gli occhi mandavano strani bagliori bluastri. Tornando a inginocchiarsi sul tappeto mi afferrò il cazzo con forza, -Non ho ancora finito con te.
Muto dal terrore, non potevo replicare. Sembrava tutto un sogno. Era un orribile sogno. Ma era anche eccitante. Volevo svegliarmi. Volevo segarmi. Il cazzo, nella sua mano calda, tornò a crescere e lei rimase in silenzio ad osservarlo gonfiarsi e pulsargli tra le dita. Era magnifico. Senza dire nulla, la spinsi verso il basso. Nuovamente la scopai in bocca ma in quello stesso istante sentii la porta girare sui cardini.
Marta sbirciò con fare curioso dentro la stanza dove stava Marco. Aveva sentito strani rumori e voleva capire cosa stava succedendo. Appena maggiorenne, ingenua e curiosa, adorava quel fratello forte e riservato che purtroppo le dedicava poca attenzione. Infilo’ la testa tra la porta e il muro, e vide qualcosa che non comprese: scarsamente illuminata dal fuoco del camino scoppiettante una stupenda donna, bionda e magra, quasi atletica, chinata ai piedi del fratello, lo morsicava agitata tra le gambe. Il corpo di lui era gonfio e rosso. Marco, inspiegabilmente, sospirava e si muoveva al ritmo di quei dolorosi morsi, senza ritrarsi, e non faceva nulla per allontanare quella bella strega.
Incredibilmente la scena non la spaventò: si portò una mano alla bocca e si fermò ad osservare curiosa quello strano quadretto; una indistinta energia si impossesso’ del suo fragile corpo. Sentiva dei brividi caldi sotto le mutandine; avrebbe tanto voluto avvicinarsi a quella donna misteriosa, sorridente, affamata, che sembrava un po’ la loro madre. Spinse la porta, che si mosse con un cigolio.
Fu in quel momento che Marco si accorse della sua presenza. Trasalì, per un momento, ma poi il piacere di quelle labbra serrate intorno alla sua verga umida tornò prepotente; quella donna, quella puttana, ai suoi piedi, era troppo esperta per farla smettere. Con la coda dell’occhio, però, non poté evitare di osservare la sorella Marta, timida, avvolta da una minigonna troppo corta, con quelle dita innocenti infilate in bocca, attraversare la stanza, lentamente, camminando sullo spesso tappeto persiano. Lei si fermò affianco a loro, scrutandoli, affascinata, ammutolita.
Rimase immobile alcuni minuti guardando quella donna, che mangiava il corpo caldo del fratello, muovendo la testa, avanti e indietro, facendolo godere. Una abbondante bava le colava sul mento e sul tappeto. Il corpo del fratello era grande. Era enorme, come mai lo aveva visto prima. Era forte, sudato. Quasi pulsante, sotto le spinte della donna. La vita si era impadronita di lei, invitante. Voleva baciare anche lei il corpo del fratello.
Fu in quel momento, tra una spinta e l’altra, che la Strega allungò una mano sfiorando le dita della giovane. Questa si spaventò, ma subito porse la mano ingenua che la donna non tardò ad attirare a se con dolcezza. Ora le due donne erano vicine, inginocchiate ai piedi del ragazzo, mentre la più matura ingoiava avidamente la mazza inumidita di lui. Marta scrutava le cosce muscolose, seguì fino ai testicoli, gonfi, e la cosa, così dura, invitante. Voleva assaggiarla anche lei. Fu tutto in un istante. La donna si ritrasse; Marco scivolò verso destra; Marta si ritrovò il cazzo di lui sopra di se. Scivolò quest’ultimo fluidamente nella bocca della giovane, giungendo rapidamente fino alla gola. Per un momento venne soffocata, quando il glande gonfio sbatté sulle pareti del palato. Era caldo, duro ma morbido, umido, saporito, pulsante. Vivo, buono.
Le scivolai dentro con facilità. Marta era sempre stata al mio servizio. Mi riveriva, mi ascoltava. Mi amava. La scopai in bocca per la prima volta. All’inizio fece fatica, sforzandosi di trattenere le lacrime; poi divenne tutto naturale. La strega scivolò al suolo e si introdusse furtiva sotto la sua gonna. La guardavo mentre si muoveva rapida ma silenziosa. Scostò il tessuto con il naso e avvicinò la bocca all’inguine. Marta lanciò un gridolino quando le morse le mutandine. Poi, credo, si bagnò abbondantemente. C’era odore di sesso nell’aria. Sospirava e gemeva mentre l’altra le mangiava le labbra, lontano dai miei sguardi, sotto la gonna troppo lunga. Intanto io spingevo il mio attrezzo profondamente nella sua gola recalcitrante.
Poi Marta non resistette più e si lasciò cadere sul tappeto.
-Cos’hai, sei stanca? Chiesi mentre mi inginocchia ai suoi piedi.
-No, rispose sospirando, voglio tremare, non posso… Questa donna’ mi fa male!
-Non fa male. Ti piace, Marta. Ora sarà ancora meglio, dissi sfilandole le mutandine.
-No! Cosa fai; chiuse le gambe, pudica.
-Lasciami fare. Vedi come lei &egrave brava e non protesta. Con un dito le esplorai la ferita, che sporcò con umori umidi e saporiti la mia pelle, e si aprì alla mia ispezione. La Strega, nel frattempo, ci stava guardando, con quel suo sguardo enigmatico e segreto. Cosa pensasse era impossibile da capire. Cosa volesse era scritto nei suoi occhi di fuoco. Affondai con la mano dentro mia sorella, poi scivolai col corpo sopra di lei e la guardai dritta in viso. Tolsi molto lentamente la mano; lei gemendo si rilasso tutta: la presi alla prima spinta. Entrai con fatica sebbene fosse già aperta. La sentii urlare di dolore e piacere; poi si calmò. Iniziò a muoversi al ritmo dei miei affondi e mugolare, soffiare, ansimare. La stavo scopando. Stavo scopando mia sorella, mentre una sconosciuta uscita dal camino ci stava guardando masturbandosi la figa glabra e umida. Anche io ero eccitato. La carne fresca di Marta era come un panino fragrante uscito dal forno del panettiere: caldo e croccante. Avevo il fiato corto, ma continuavo a spingere. Non sapevo quando sarei venuto. Sentivo il cazzo duro e umido. Il fuoco alle nostre spalle bruciava come quello dentro ai nostri corpi. Non mi ero mai sentito così forte. Quella strega, era una fattucchiera. Mia sorella venne prima. Iniziò a piangere, mentre gridava di si’ di no’ sussultare, tremare sotto il mio corpo che affondava in lei. Sorrisi. Ero contento di farla godere. Stavo facendo del bene a qualcuno che amavo.
-Non ti fermare!, disse per la prima volta la bella fattucchiera.
Raddoppiai i miei sforzi e finalmente Marta esplose in un universo di grida e spasmi e convulsioni. Mi buttò fuori dal suo utero contraendo fortissimo i muscoli del ventre perfettamente liscio, singhiozzando e mugolando come una cagnetta. Zitta! Avrei voluto dirle, ma tanto la casa era vuota.
-Vaffanculo a tutti, dissi da solo e tornai a penetrarla con furore: mi aveva fatto incazzare. Continuai a spingere, mentre, inspiegabilmente, la strega si allontanò da noi avvicinandosi al camino. Sentivo ormai la punta del cazzo bruciare. Le palle stavano per scoppiare. Una spinta di piacere iniziò a scorrere partendo da un punto vicino al buco del culo, correndo per tutto l’intestino fino allo stomaco e ai reni. All’altezza delle palle una scossa elettrica mi pungeva ad ogni colpo. Iniziai a scaricare una quantità infinita di sperma tra le candide gambe di Marta, che non seppe trattenere il piacere. Si abbandonò una seconda volta all’estasi mentre una serie di gridolini e sospiri le uscivano dalla bocca. Culminò in un grido acuto e vibrante al quale mi unii. Il mio fu un urlo animale, da maschio ferito. Continuai a scoparla mentre le scaricai tutta la mia sborra sulle piccole labbra e il clitoride gonfio. Avrei voluto che continuasse all’infinito, e all’infinito avrei voluto godere davanti a mia sorella, mentre lei godeva con la mia mazza tra le sue gambe. Crollai sul suo corpo abbandonato al suolo. Mi abbracciò mentre riprese a singhiozzare sussultando.
Quando la madre tornò dal lavoro e trovò i due fratelli amanti ancora sdraiati sopra il tappeto del soggiorno, dormienti, rimase senza fiato. Sbagliando, decise di allontanarsi senza fare rumore. Lui aveva peccaminosamente due dita infilate tra le gambe di Marta, mentre questa afferrava con onirica forza il cazzo barlozzo di lui, con le vene in vista e il glande lucido. Mentre si chiuse la porta alle spalle, con un prurito al basso ventre, diede un’occhiata alla stanza. Il fuoco era più vivo che mai. Avrebbe potuto giurare che qualcuno, tra le fiamme, la stesse osservando con un sorriso di sfida. Scappò colpevole ma contenta.

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