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Racconti Erotici Etero

GIALLO FRA I TULIPANI

By 30 Maggio 2008Dicembre 16th, 2019No Comments

Il vecchio, calvo, canuto, giaceva immobile sulla collina del mulino a vento, allora ammantata di tulipani gialli e fili d’erba verde. Il sole era triste quel giorno e forse, per l’afflizione, non avrebbe nemmeno voluto mostrare il suo volto. Il vento freddo toccava quelle braccia irsute, avvezze al lavoro e alla fatica, quei lineamenti ormai senili, quegli occhi chiusi, quella testa deforme.
Nessuno conosceva il colpevole, ma il vegliardo era stato freddato con una martellata sul capo, che era rimasto sfigurato. Il martello, rugginoso, gelido e macchiato di sangue, era rimasto sul prato, a pochi passi dalla vittima. Il freddo canto delle allodole non avrebbe mai risvegliato l’infelice!
Io ripensavo ai petali dei tulipani gialli, a quei petali aguzzi, dalle sagome nordiche, che ondeggiavano nella brezza’ Oh, sì, la voce del vento ripeteva il nome dell’assassino, di chi aveva ucciso!
Il villaggio si mise in lutto perché era morto il vecchio mugnaio, che tutti conoscevano ed amavano come un nonno. Le donne ‘ giovani fiamminghe dalle lunghe chiome bionde ‘ piangevano sconsolate, grosse lacrime di tristezza bagnavano le loro guance morbide. Erano vestite con i loro costumi tradizionali d’Olanda, portavano gli zoccoli di legno e il grembiule ricamato. Dieci pariglie di cavalli bianchi traevano innanzi il pesante carro funebre, che era nero, ornato d’oro e pietre preziose. Un cocchiere in livrea stava a cassetta, sul volto suo era dipinta la morte.
C’erano tanti uomini intorno, vestiti con i loro abiti migliori; alcuni erano borghesi e indossavano il frac e i guanti bianchi, altri erano contadini, che si erano messi i vestiti della festa. Oh, ma quale festa? Quale, oh, festa di pianti, di sconsolati abbracci, di promesse infelici, di rimpianti!
I braccianti, che tornavano dai polder con le zappe e i badili sulle spalle, nell’apprendere la terribile notizia lasciavano cadere al suolo i loro arnesi da lavoro, alzavano le braccia al cielo, dicevano che non poteva essere vero.
Una donna, dalle labbra scarlatte e dagli occhi più celesti del cielo, facendo ritorno al villaggio con un cesto di vimini colmo di tulipani, apprese da un’anziana l’infelice avvenimento e gettò un grido appassionato’ Era lei, sì, lei, la giovane sposa del mugnaio assassinato! Me la ricordo mentre piangeva sulla spalla di una delle vegliarde. Nessuno riusciva a consolarla.
Al paese, tutti avevano amato il buon vecchio. E per questo, le pale dei mulini a vento furono messe a lutto per tre giorni. Nessuno andò più a lavorare per tre giorni. Nessuno più, no, nessuno più’
Piangevano i mulini a vento, piangevano i tulipani, dai mille colori, che adornavano i colli d’Olanda, piangevano i campi dorati di frumento e il mare sospingeva le sue nubi grigie sopra la terra, che sospirava di malinconia.
Eppure, la felicità avrebbe brillato nuovamente al di sopra di ogni cosa.
L’amore era nella giovinezza delle donne, dalle chiome bionde o scarlatte, dagli occhi di zaffiro o di smeraldo, l’amore era nei dolci baci delle loro labbra, meravigliose e morbide, l’amore era nella loro pelle bianca, vellutata, casta, sbocciava nei fili d’erba verde di quella primavera tarda, il mare lo sospirava al cielo e il cielo lo sospirava al mare. L’amore era nella brezza, che muoveva i mulini, nella vita languida che era nata da esso e che in esso, per esso, fioriva di giorno in giorno, in una sorta di gioco allegro e senza fine. L’amore era nei sospiri delle giovani, nelle loro voci di bambola, nelle loro parole colme d’affetto e di lusinghe, nella loro lingua arcaica, che sapeva di tutte le felicità e di tutti gli affanni di un popolo.
L’ispettore K. era un uomo non ancora anziano, amante delle donne. Si diceva che prima di iniziare il suo mestiere avesse stuprato una ragazza. Ma erano voci di paese, non confermate da nessuno.
Era un tizio non ancora canuto, col naso aquilino. Amava avvolgersi nel suo impermeabile grigio, mettersi un bel cappello a cilindro sul capo e andare a spasso col bastone con il pomolo d’avorio in mano. Nondimeno, quando si calava nei panni di ispettore, aveva una precisione ed una flemma comuni a pochi uomini.
Ricordo che quel giorno il vento soffiava forte, tanto forte e sospingeva senza sosta i mulini a vento della valle. Il cielo era pieno di nubi e sulla collina dei tulipani c’erano l’ispettore K. e tre giovani contadine olandesi, abbigliate con i loro costumi tradizionali e gli zoccoli di legno, i lunghi capelli biondi al vento. Non fui colpito dal colore delle loro labbra, che facevano innamorare e forse erano così scarlatte per natura, bensì dalla vista di tre gendarmi, in uniforme, che tenevano a tracolla dei fucili con le baionette inastate. La visione di quelle divise marroni, a righe, di quelle giubbe dai bottoni d’oro, di quei berretti militari avrebbe ispirato soggezione e fascino a chiunque, non solo ad una donna. Rammento che il cuore di quelle giovani batteva forte, per la passione e l’innamoramento innati che suscitava in loro il discorrere con quegli uomini.
Parlavano della vittima, sì, della vittima, del buon mugnaio assassinato’
– Io non so niente di questa storia ‘ diceva una delle donne, nel suo dialetto dei Paesi Bassi. ‘ Lo conoscevo appena’
Così dicendo, la sconosciuta si morse la lingua, a sangue.
Anche le altre due compagne confermarono le parole della prima interlocutrice.
Alla fine, l’ispettore K. guardò il suo orologio da tasca, tutto dorato, scrisse qualcosa sul suo taccuino e disse ai gendarmi, come parlando tra sé:
– Tutte ciarle! Giurerei che quelle donne hanno mentito!
Egli ad ogni modo sapeva che, nel villaggio, c’era un usuraio, persona molto poco raccomandabile, al quale il mugnaio, prima di morire, aveva chiesto del denaro in prestito.
– Sì, non posso negare di avergli dato dei soldi ‘ disse il sinistro usuraio, allorché l’ispettore K. si recò a fargli visita. ‘ Ma di qui ad ucciderlo, ce ne vuole’ Il vecchio era uno che pagava i suoi debiti. Non mi ha mai deluso’
Così dicendo, lo strozzino quasi sogghignava. Era tutto vestito di nero, tanto, che quasi faceva paura. C’era un gusto misterioso nel suo abbigliamento, lussuoso e ben curato. C’era qualcosa di cupo nel tono della sua voce, perché sembrava che nascondesse qualcosa. Teneva in mano la penna con cui faceva firmare i contratti agli sventurati che stipulavano accordi con lui’ In quegli istanti, quel calamo sembrava insanguinato e forse, lo era veramente.
All’improvviso, una folata di vento fece volare via dalla giacca del vecchio usuraio un biglietto misterioso.
– Lasciate stare, ispettore! Lasciate stare, &egrave un foglio senza importanza! ‘ urlò lo strozzino, prima che il suo interlocutore potesse raccogliere quel foglio.
– Se &egrave così, perché mai lo tenevate in tasca? ‘ gli chiese l’altro.
– Io non c’entro niente con questa storia.
– Può darsi, ma non lasciate la vostra casa.
Nel villaggio c’era una donna bellissima, dal corpo degno di Venere. L’ispettore K. ebbe modo di farsela amica e fu tanto fortunato da poterla ammirare nuda. Ricordo che la meravigliosa gli stava davanti, ritta in piedi e senza veli, i grandi piedi scalzi ed i calcagni leggermente sollevati, uno dei suoi ginocchi era piegato, teneva entrambe le mani sulla nuca, onde mostrare al suo amico le sue enormi ascelle lisce, femminili, glabre e profumate. Sembravano scolpite. Sorrideva.
Aveva la fica arida, tanto che lui dovette sputarci dentro per bagnarla ed eccitarla. Non c’era molto pelo. La lingua sul monte di Venere, il clitoride e le piccole labbra di lei fece il resto. La ragazza non era vergine. Qualcuno l’aveva già fatta strillare per il dolore ed il piacere che una donna prova al suo primo coito. Tuttavia, sentendosi infilare nella vagina quella verga lunga e carnosa, la bella prese ad ansimare e le sfuggirono dei lamenti, simili a quelli di un cagnolino. Lei avrebbe voluto che lui stesse attento, sì, stesse attento, ma non osò dirglielo, perché la passione ed il piacere la travolsero. I loro corpi nudi si toccavano talmente che’ Oh!
– Fallo ancora! Fallo ancora! Ti prego! Ah!
Così diceva la bella al suo amico. E accadde due volte, sì, due volte. Nell’intervallo tra la prima e la seconda, lei gli stuzzicò i testicoli con le sue meravigliose mani dalle dita lunghe e gli fece provare il massaggio delle sue mammelle giovani e sode sulla schiena nuda.
L’estate che venne fu triste e piena di malinconia. Nessuno ancora conosceva il mistero del mugnaio assassinato, né il nome del colpevole. Un amore vago soffiava nel vento, passava nell’etere ingombro di nuvole bianche e di turchino, salutava le stelle d’argento, indorava i tetti fiamminghi dei villaggi. C’erano sempre la bellezza di quelle giovani donne e il colle dei tulipani, in mezzo ai mulini a vento.
Tre ragazzacci fecero un brutto scherzo all’usuraio, di cui or ora vi ho narrato. Lo invitarono a salire fin sul colle, gli strapparono il mantellaccio nero fino a ridurlo a brandelli, gli fecero a girotondo tutt’intorno, cantando, fino a fargli girare la testa, lo ubriacarono ed infine lo chiusero in una botte di legno, servendosi di chiodi e martello.
– Fatemi uscire! ‘ strillava il malcapitato, con voce minacciosa. ‘ Fatemi uscire o vi mangio vivi!
Ma i tre ragazzacci sghignazzavano forte, perché ne avevano architettata una delle loro.
I fiori gialli dell’estate sbocciavano in mezzo all’erba verde. La collina dei tulipani era allora ricoperta di quelle piante malinconiche.
– Dai, date una spinta alla botte! Dategliela! ‘ dicevano in coro.
Pensavano di liberare il mondo da quel cattivo. Allora, il vento soffiava impetuoso, tanto che sembrava fosse tornata la primavera e faceva lavorare alquanto i mulini suoi fratelli, che avevano i colori dell’arcobaleno.
E fu così che la botte di legno ruzzolò giù dal colle dei tulipani, con l’usuraio dentro. I tre discoli la videro prendere fuoco, sotto il sole del mezzogiorno. Erano fiamme accecanti, cupe, rossastre. Prima di morire, l’usuraio gridò forte, tra gli spasimi della morte!
Io ricordo l’avvenenza di una di quelle giovani donne, una contadina con gli zoccoli ed il vestitino olandese. Teneva sottobraccio un cesto colmo di fiori, aveva sciolto i suoi capelli d’oro e li faceva volare nella brezza lieve. Mi sorrideva, mostrandomi i suoi denti bianchissimi e le sue labbra disegnate per l’amore. Fu come se mi baciasse sulla bocca. Era donna.
E l’eterna giovinezza era con me, era in me, mormorava in me, sbocciava tutt’intorno a me.

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