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I SUOI OCCHI SU DI ME

By 5 Settembre 2012Dicembre 16th, 2019No Comments

Il carrello della spesa avanza cigolante facendo voltare tutte le persone al mio passaggio. Io che cerco di non apparire a causa del mio carattere schivo ed introverso, mi ritrovo così al centro dell’attenzione per colpa di due ruote rumorose e del menefreghismo di mio marito. Dovrò ancora una volta ricordare a Gianfranco di metterci dell’olio lubrificante o forse del grasso ma lui, come sempre, sembra non sentirci. E’ distante, pensa solo al suo lavoro e i miei problemi diventano una piccola zanzara fastidiosa che si insinua nelle sue preoccupazioni quotidiane. Da scacciare o da eliminare definitivamente dalla sua vita come tutti gli insetti dotati di pungiglione, api comprese.
I filtri dei rubinetti del bagno da pulire, la lavastoviglie rotta ormai da tempo e la lampadina fulminata in corridoio sembrano non essere affari suoi. E’ come se non se ne accorgesse, oltre a non notare quasi più nulla di me: la mia nuova pettinatura o quel paio di scarpe comprate dopo infiniti passaggi davanti alla vetrina del negozio di calzature gestito dal signor Antonio. Lui si che nota tutto! Appoggiato allo stipite della porta d’ingresso del suo locale, si accorge persino dell’abbinamento tra abito e scarpe, sottolineandolo con complimenti gentili ma mai scortesi o fuori luogo. Insomma, un uomo di altri tempi o forse, a causa del suo lavoro, avvezzo ad osservare le donne e tutto quello che adorano, scarpe comprese.
Non sono da meno Franco il macellaio e Piero, il ragazzo addetto al banco salumi del piccolo supermarket situato vicino casa nostra. Tutti hanno occhi per me e, con i loro modi garbati, mi fanno sentire forse più bella di quello che sono. Io che non uso trucchi, non curo l’aspetto delle mie sopracciglia e mi concedo come unico vezzo il cambio giornaliero delle scarpe, ovviamente abbinate a borsa e giubbotto o al giaccone pesante quando fa freddo. Anche se ormai l’accostamento dei colori lascia il tempo che trova: blu e marrone, verde e azzurro e tante altre coppie di tonalità un tempo vietate si sono così affacciate nel mondo della moda, osando quello che una volta era considerato un sacrilegio.
Finalmente arrivo davanti al portone di casa ed entro nell’androne, dove mi aspetta il rituale del ritiro della posta dopo la spesa mattutina. Il postino passa solitamente verso le dieci e, pertanto, nel caso fosse arrivata la corrispondenza la troverei sicuramente nella buca delle lettere, con la speranza che non si tratti della ricevuta per ritirare una raccomandata, costringendomi così a rincorrerlo per la consegna. Tanto compie sempre lo stesso tragitto e, se non è trascorsa più di mezz’ora, lo posso tranquillamente aspettare alla fine della parallela alla mia strada. Anche lui, come tutti gli altri, è sempre gentile ed ossequioso nei miei riguardi, forse anche troppo. Ma tra arrossamenti e inibizioni, faccio finta di nulla e abbasso lo sguardo, come per evitare che il suo si vada a perdere tra l’azzurro dei miei occhi, visti da un osservatore estasiato dalla distesa del mare calmo in una stupenda mattina di settembre.
Stavolta niente ricevute ma una busta gialla, del tipo imbottito, che fuoriesce per buona parte dalla mia cassetta delle lettere. E’ indirizzata proprio a me, sul retro non riporta alcun mittente ed è stata spedita tramite posta prioritaria dalla mia stessa città. La curiosità mi chiede di aprirla subito ma la mia riservatezza e la paura che possa nascondere chissà quale mistero mi impongono di portarla a casa e di svelarne con calma il suo contenuto: peli, peli umani!!!
Infatti, all’interno della busta, trovo una piccola bustina trasparente ricolma di peli. Di uomo, di donna o di chissà chi? Visto che ormai le variazioni sul sesso umano sono divenute molteplici: trans, trav, transgender e chi più ne ha più ne metta, di peli ovviamente. Ma chi può essere stato a farmi uno scherzo del genere? Se di scherzo si tratta. O forse, è un segnale inviatomi da un mio ammiratore che, al posto delle banali rose rosse, si presenta con le sue formazioni pilifere in regalo. Sicuramente un originale cadeau per farsi notare tra i miei tanti corteggiatori.
Ma siamo sicuri che sia proprio uno di loro? Certamente molti conoscono il mio nome e indirizzo, avendomi portato la spesa a casa nelle giornate di pioggia o quando qualche linea di febbre mi ha costretta al riposo forzato dal mio compito di casalinga. Oppure, il nome impresso sulla mia carta di credito notato dal signor Antonio, ogni volta che inserisce la tessera magnetica nel lettore e, automaticamente, un paio di stupendi sandali entrano a far parte della mia vita. Senza dimenticare il postino stesso, che potrebbe aver spedito la busta per poi recapitarla personalmente. Un lungo elenco di sospettati che mi appresto a scrivere su di un foglio di carta e che stupisce anche me. Undici uomini e potrebbero venirne fuori anche altri, fortuna che non lavoro in ufficio o a contatto con il pubblico, perché diverrebbe veramente un’impresa impossibile cercare di identificare il colpevole.
Non dico nulla a Gianfranco e riprendo la vita di tutti i giorni, osservando però diversamente i possibili indiziati. Fino all’arrivo della seconda busta: sempre peli pubici ma differenti dai primi arrivati. Allora prendo una lente d’ingrandimento e comincio ad analizzare i reperti in mio possesso. Sono più fini, di colore più chiaro e più corti dei precedenti. Insomma, dovrebbero appartenere ad un’altra persona. Ma chi è che si sta prendendo gioco di me? O forse è qualcuno che vuole provocarmi? E come avrà fatto ad avere la possibilità di entrare in possesso di peli appartenenti a due persone differenti? Forse si tratta di una coppia oppure di due amici che cercano di coinvolgermi in chi chissà quale situazione. Certo che se potessi farli analizzare o richiederne il DNA sarei sicuramente avvantaggiata. Avrei la certezza del sesso e potrei così anche contrapporli ad altri elementi dei miei indiziati. Ma quanto tempo ci vorrebbe? E i costi?
I peli sono comunque rasati, non hanno il bulbo e quindi sono stati tagliati. Forse è stata usata una macchinetta per capelli del genere che si usano oggi. Pertanto, dovrei indirizzare i miei sospetti verso le persone con i capelli corti o addirittura rasati. Loro ne avranno sicuramente una in casa, visto che ormai gli uomini si recano sempre più raramente dal barbiere. Da quel che sento in giro, se li fanno tagliare dalla moglie ed alcuni riescono persino a farlo da soli. Perciò, ritorna prepotentemente in ballo l’ipotesi che sia una coppia. Magari dei vicini di casa che cercano di coinvolgermi nei loro giochi di letto. Inoltre, visto lo stato delle mie sopracciglia, non gli ci sarà voluto poi molto a capire che anche il mio inguine somiglia più al giardino di una casa abbandonata da anni che ad un prato all’inglese curato da uno stuolo di giardinieri in divisa da lavoro.
Forse è proprio per questo che hanno pensato a me. Io che non mi sono mai depilata, e in questo non sono stata spronata nemmeno da Gianfranco, a cui va bene tutto nello stato in cui si trova. Senza il minimo bisogno di cercare cambiamenti o di provare qualcosa di diverso dal solito. Fosse per lui, mangeremmo pasta in bianco a pranzo e a cena, andremmo in vacanza sempre nello stesso posto ed anche il divano potrebbe essere ancora quello che abbiamo acquistato quando ci siamo sposati.
La situazione creata dalle due buste ‘ a quando la terza? ‘ mi inquietava e mi metteva paura ma, al tempo stesso, creava in me una sorta di eccitazione nel pensare a chi potessero appartenere. Infatti, nonostante non ne conoscessi la provenienza, presi in mano i peli senza alcuna precauzione, li annusai e quasi percepii in quei ciuffetti morbidi, anche se un po’ ispidi, una voglia di sesso che si riversò prepotentemente tra le mie gambe, dandomi un inaspettato piacere che mai e poi mai credevo di poter avere con un feticcio, per giunta di provenienza ignota. Un po’ come quegli uomini che si eccitano al solo prendere in mano un paio di mutandine femminili, a volte senza nemmeno sapere a chi siano appartenute. Ecco, stavo diventando anche io una di loro!
Ma riprendiamo le mie indagini: subirono una brusca impennata quando, durante il mio solito giro mattutino per negozi, notai il macellaio con i capelli cortissimi o meglio, quasi rasati a zero.
‘Come mai questo taglio da marine?’ Chiesi al signor Franco, curiosa come non mai.
‘E’ stata mia moglie. Dice che non poteva più vedermi con quei capelli da barbone ed io l’ho accontentata. Anzi, me li ha tagliati lei stessa con la macchinetta.’
Intanto, la signora Paola annuiva sorridente da dietro la cassa, fiera di essersi appropriata dello scalpo del suo nemico, e chissà se anche lei lo conservava in casa per poi farci chissà che cosa.
Potevano essere loro, prima la moglie ha depilato il caro macellaio e poi ha pensato anche ai propri peli, per inviarmi successivamente il tutto per posta, e anche l’indirizzo indicato sulle due buste, nonostante il carattere in stampatello, sembrava scritto da una mano femminile.
Nel frattempo, mentre stavo elaborando le mie teorie sulla presunta colpevolezza del macellaio e di sua moglie Paola, mi arrivò sul cellulare un sms da parte della mia amica Valeria:
‘Vieni lunedì pomeriggio al bar delle bionde per il tè con dolci fatti in casa? Dai ti aspettiamo!!! Le tue amiche’.
Dovete sapere che tutti i lunedì, con ogni tipo di tempo e in qualsiasi stagione, il locale di Ilaria e Giorgia, le bionde in questione, essendo chiuso per riposo settimanale, accoglieva le amiche desiderose di fare quattro chiacchiere, oltre che per spettegolare e assaggiare le specialità della casa. Il tutto a serrande rigorosamente chiuse e nel sottonegozio adibito a sala video, con divanetti foderati di velluto rosso e tavolinetti bassi laccati di nero. Io non c’ero mai andata, un po’ per pigrizia ma anche perché era sempre presente Beatrice, persona con cui non ho mai legato molto anzi, proprio non la sopporto. Con il suo modo di fare ed il suo essere sempre al centro dell’attenzione, oltre alle unghie con il gel curate e pitturate fino all’eccesso. Insomma, l’opposto di me.
Stavolta, decisi di partecipare anch’io. Era da troppo tempo che insistevano e, nonostante la sicura presenza di Beatrice, sentivo che era arrivato il momento di prendere parte ai loro incontri. Ma anche quello di uscire dalla mia solitudine, fatta di mancati rapporti sessuali con Gianfranco e di peli recapitati per corrispondenza.
Arrivò così il gran giorno: per l’occasione indossai un vestitino corto e un paio di sandali con la zeppa di sughero e dal pellame con i colori del viola e dell’arancio. Chissà se una volta era un abbinamento consentito, ma il solo vedermeli ai piedi bastava a farmi sentire felice. La serranda abbassata per metà e la porta a vetri chiusa a chiave erano quasi un segnale. Mancava solo la parola d’ordine per entrare e saremmo state a posto.
Suonai il campanello posto al lato dell’ingresso e, dopo una breve attesa, apparve una delle bionde ad aprirmi la porta.
‘Marisa, finalmente! Era da tanto che ti aspettavamo.’ Disse Ilaria mentre due baci si stampavano sulle mie guance. Di quei baci veri che lasciano il segno, rossetto a parte.
Mi fece entrare e mi indicò la piccola scaletta che portava al locale sottostante, mentre lei era indaffarata con i preparativi. Scesi le scale con il cuore in gola, quasi con la paura di trovare chissà quale maniaco. Invece, la prima maniaca ‘ sicuramente delle unghie – che mi si fece incontro fu proprio Beatrice. Nuovi baci e unghie laccate di viola a fare da pandant con i miei adorati sandali. Subito mi tornò alla mente la ragazza incontrata qualche giorno prima all’ufficio postale, con unghie smaltate color rosa fucsia e scarpe dello stesso identico colore. Le cose erano due: o indossava sempre le medesime calzature per abbinarle al colore dello smalto oppure doveva cambiarlo molto ma molto spesso.
Baci e abbracci si confondevano con l’odore dei dolci appena sfornati da Ilaria mentre le chiacchiere già stavano saturando l’ambiente.
‘Assaggia questo dolce, spero ti piaccia.’ Mi disse Giorgia, porgendomi una sorta di muffin posto su di un piccolo vassoio di plastica rosa.
Lo presi con delicatezza e cominciai ad assaporarlo. Quasi subito mi trovai in bocca qualcosa di strano, forse un capello.
‘C’è un capello!’ Dissi con aria disgustata mentre sputavo sul piatto la parte di dolce già impastata con la mia saliva. Non rendendomi affatto conto che era nero, mentre le due cuoche erano entrambe di capigliatura chiara.
‘Sicura sia un capello?’ Mi disse allora Beatrice con l’aria e il tono di chi la sapeva molto lunga.
In effetti, a guardalo bene, era un pelo. Del genere di quelli ricevuti per posta e ancora nascosti in casa sotto una montagna di panni da stirare. Uno di quei posti dove Gianfranco non sarebbe mai andato a guardare. Lui che odia fare qualsiasi tipo di attività casalinga, compreso lo scopare inteso in entrambi i sensi, non credo proprio che avrebbe trovato la voglia di cimentarsi nell’arte dello stiro.
Non feci in tempo a collegare il tutto che due, quattro, dieci mani mi afferrarono con forza e mi scaraventarono su uno di quei divanetti rossi, solitamente occupati dagli uomini durante le partite di Champions League o della loro squadra del cuore. In un attimo mi ritrovai nuda, mentre ai polsi mi erano state posizionate delle polsiere munite di ganci, uniti tra di loro tramite un moschettone metallico.
‘Avevo ragione io.’ Disse ancora Beatrice alludendo alla mia fica strabordante di peli e al mio buchino del culo anch’esso circondato da una folta peluria scura.
‘Ma Gianfranco come farà a trovarla?’ Continuò la Bea, suscitando le risate di tutte le donne presenti.
‘Adesso ci pensiamo noi, tu sta tranquilla e non fiatare.’ Mentre sulla bocca mi veniva posizionato un morso composto da una fascia di similpelle nera ed una pallina di plastica rossa forata. In modo che non potessi strillare. Cosa che avevo già fatto ampiamente ma che le spesse mura e il luogo posto al di sotto del livello stradale erano riusciti a contenere.
Di sicuro erano veramente organizzate e, quando apparve la famosa macchinetta per capelli, oggetto da me immaginato fino a quel momento solo tra le mani della moglie del macellaio, capii subito qual’era il mio destino. Anche se dovevo arrivarci prima. Stranamente, non avevo più sentito le mie amiche parlare di estetiste, cerette o depilazioni. Come se fosse diventato un argomento tabù, mentre lo era solo per me. Loro infatti erano tutte depilate alla perfezione, con le sopracciglia ad ali di gabbiano e la fica di alcune che ricordava i baffetti di Hitler. Ma erano solo voci di spogliatoio, anche perché io lì sotto non le avevo mai viste.
Il rumore delle lame che vibravano nascoste dalla protezione di plastica mi fece quasi paura ma erano mie amiche e sono certa che non mi avrebbero fatto alcun male.
Sentii quindi la macchinetta andare su e giù per il mio monte di Venere come un tosaerba desideroso di trasformare un prato incolto e abbandonato dall’incuria di anni, in un perfetto campo da gioco dove poter organizzare i più importanti Tour golfistici.
Intanto, sui fornelli accesi erano stati posti dei pentolini con dentro la cera per la depilazione a caldo.
Il mio destino era ormai segnato, ed anche quello della mia folta peluria. Accanto a me erano rimaste solo Beatrice ed Ilaria, mentre le altre ragazze si erano suddivise in coppie e a loro volta spogliate degli abiti. Infatti, quando la cera depilatoria fu pronta, non fui l’unica a provarla, perché in contemporanea alla mia complessa operazione, altri tre interventi si stavano eseguendo nella stessa sala operatoria. Giorgia stava liberando dai peli il buchino del culo di Martina, Valeria si stava occupando delle piccole labbra di Chiara e Valentina strappava con decisione le strisce dal pube di Elisabetta. Una catena di depilazione perfetta, in cui ognuna era paziente e al tempo stesso artefice, con il sicuro disappunto della categoria delle estetiste, a volte troppo pudiche per eseguire una depilazione completa e fatta a regola d’arte. Invece, le mie amiche non si preoccupavano di nulla, strappando peli ovunque, anche negli anfratti più segreti e nascosti.
Ma la mia sorpresa più grande, fu il vedere che dopo aver strappato i peli e risciacquato con acqua le parti intime appena depilate, le ragazze si leccavano la fica a vicenda per alleviare il rossore provocato dal trauma subito. Il dolore veniva così sostituito dal piacere e la saliva, elemento curativo per eccellenza, usata come lenitivo. A me pensarono Ilaria e Beatrice: in coppia mi avevano depilato e adesso mi stavano leccando all’unisono. Bea affondava la faccia e la lingua tra le mie gambe mentre Ilaria era principalmente attratta dal mio forellino, ormai glabro e libero da quei lunghissimi peli che lo circondavano come arbusti cresciuti selvaggiamente sull’orlo del piacere.
La perfida Bea, quella che mal sopportavo per il suo modo di fare, adesso avrei voluto non si staccasse più dalle mie grandi labbra, mentre il clitoride attendeva impaziente che la sua lingua tornasse a picchiettarlo con quei colpi delicati che solo le donne sono in grado di dare. Quindi, mi fu tolto il morso e anche le mie mani furono liberate. Era un vero peccato non poter lasciar liberi i gemiti di piacere, che si andarono così ad intrecciare con quelli delle mie amiche.
La settimana trascorse in fretta, con Gianfranco che nemmeno si rese conto della mia fichetta da bambina, talmente preso dal suo lavoro e con la nostra sessualità di coppia ormai latitante da mesi o forse, ad essere sinceri, è meglio parlare di anni. Al contrario, i complimenti dei negozianti erano in continua ascesa, come se percepissero la totale assenza di peli intorno alla mia vulva.
L’acqua della doccia scorreva più velocemente sul pube ed anche le mie mani ripresero a giocare con il clitoride nei momenti più impensati: mentre stiravo, pulivo la verdura o mi accingevo a rifare il letto. Erano mesi che non mi masturbavo, invece adesso sembrava che non ne potessi più fare a meno, e ogni momento era buono per toccarmi o passare le dita su e giù sulle parti intime, buchino del culo compreso. Stavo riscoprendo quel piacere che mi ero negata per troppo tempo, in una sorta di autopunizione, per un sesso scomparso come un sole al tramonto sull’orizzonte della mia vita di coppia.
Il lunedì mattina non faccio in tempo ad uscire per andare a fare la spesa, che si materializza sul cellulare un sms da parte di Valeria: ‘Che fai vieni?’, accompagnato da una faccina con la lingua di fuori che non stava affatto a significare una smorfia ma semplicemente la voglia di assaggiare qualcosa di buono, oltre ai mitici dolci ‘ peli esclusi – preparati dalle bionde.
‘Vengoooooooooooooo” Fu la mia ironica risposta al suo sms.
Stavolta niente cerette e depilazioni, visto che eravamo tutte perfettamente lisce, ma una seduta di tatuaggi all’henné tenuta da Valentina: vera artista del pennello che passava con estrema facilità dal restauro di importanti affreschi nelle chiese ai tattoo sul monte di Venere delle mie amiche porcelline. Ognuno personalizzato o realizzato su esplicita richiesta della committente. Talvolta, era la stessa commissione a decidere, costringendo la vittima di turno a subire un disegno non voluto ma che esprimeva il momento che stava vivendo, un suo difetto fisico o una situazione di cui il gruppo era venuto a conoscenza.
Fu così che sul pube di Chiara fu disegnata la testa di un gallo, i cui bargigli erano rappresentati dalle labbra esterne della sua fica. Escrescenze carnose veramente imponenti che pendevano dalla sua passerina e non aspettavano altro che essere succhiate e, nonostante la prendessero continuamente in giro per questa sua peculiarità, tutte facevano a gara per riempirsi la bocca del suo sesso.
Martina pretese un paesaggio di montagna con tanto di torrente impetuoso le cui acque si andavano a perdere nella sua fessura mentre Valeria non le fu da meno, reclamando la mitica lingua dei Rolling Stones che quasi andava a leccare la sua dolce fichetta. Come per indicare il da farsi a chi si avventurava da quelle parti, uomo o donna che fosse stato.
Mentre erano tutte prese dalle opere di Valentina, l’unica rimasta in disparte e ancora completamente vestita era Beatrice. Nemmeno quando mi aveva depilata, e poi leccata fino a farmi venire nella sua bocca, avevo visto il suo sesso, stranamente sempre celato. Pertanto, la cosa cominciò ad incuriosirmi.
Quindi arrivò il mio turno: c’era chi proponeva di disegnarmi nuovamente i peli persi in una sorta di ‘come eravamo’ e chi reclamava i nomi di tutte le partecipanti del gruppo, quasi a marchiare l’ultima arrivata. Alla fine, si optò per una cassetta delle lettere con una busta infilata nella fessura per la corrispondenza, a simboleggiare le lettere anonime inviatomi dalle mie amiche. Chissà cosa avrebbe pensato Gianfranco se solo l’avesse vista, lui che ormai si era dimenticato pure di come ero fatta, figuriamoci delle mie fessure. Forse dovevo farla vedere al postino, lui l’avrebbe sicuramente apprezzata.
Non appena Valentina ebbe terminato il capolavoro sul mio pube, Beatrice cominciò a spogliarsi. Sembrava un’ape Regina tra tanti piccoli fuchi o meglio, delle api operaie. I suoi gesti erano lenti e misurati come se stesse improvvisando uno spettacolo di burlesque e noi eravamo i suoi spettatori. Ero proprio curiosa di vedere la sua fica depilata e quello che celavano le sue mutandine, visto che la volta precedente si era ben guardata dal farsi vedere nuda.
Due occhi neri come il carbone sbucarono così dal morbido tulle del suo perizoma, completi di ciglia, sopracciglia e con il disegno di uno sguardo così penetrante che bastava alzare gli occhi per ritrovarlo sul suo viso. Insomma, si era fatta tatuare sul pube ‘ e non con il banale henné ‘ una parte di sé.
Curiosa avvicinai il viso al suo monte di Venere, ritrovandomi a quattr’occhi con il suo secondo volto e con la bocca quasi a contatto con le labbra carnose del suo sesso. Non sapevo cosa fare, se baciarle come aveva già fatto lei con me o se far finta di nulla e allontanarmi dopo aver dato un ultimo sguardo al suo bellissimo tattoo.
Ci pensò lei a vincere la mia indecisione, prendendomi per i capelli e spingendo il mio viso tra le sue gambe. Le altre guardavano in silenzio mentre io stavo per essere iniziata a quella nuova esperienza. Stavolta non provai a gridare né a resistere ma mi lasciai dominare da quell’ape Regina che aveva posato i suoi occhi su di me: un fiore quasi appassito e circondato da erbacce ‘ pardon, di peli ‘ dimenticato dagli uomini e anche da me stessa. Lei, invece, aveva capito che poteva coglierlo e farlo nuovamente sbocciare, e grazie alle lettere mi aveva indicato la strada verso i suoi occhi. Occhi che adesso mi guardavano sorridenti e maliziosi da sotto il suo ombelico mentre la mia lingua si perdeva tra le sue labbra, gustando il nettare dell’ape Regina.

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