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Il Sicario – Collana il Dravor Vol. IV

By 12 Marzo 2019Dicembre 16th, 2019No Comments

l Segreto di Isabella – Qualche mese prima

Aro era un commerciante di pelli, benestante, ma non ricco, aveva una casa con un po’ di terreno intorno, giusto per garantirsi un po’ di privacy alla periferia di Kuanta, in un quartiere che non era un granché. Gli teneva in ordine la casa solo una schiava nera di età indefinibile, che forse aveva cinquanta anni abbondanti, grassa e brutta.

Aro però, in quegli ultimi mesi se la stava passando decisamente meglio di quanto il suo lavoro gli avrebbe permesso. Aveva acquistato una carrozza ed un paio di cavalli per trainarla e uno schiavo per fargli da cocchiere e tuttofare. Con discrezione frequentava i buoni locali di Kuanta e i migliori bordelli della città. Non aveva una compagna, ma lo si vedeva spesso in giro con qualche donna discreta. Niente di eccezionale, vedove di commercianti o commercianti loro stesse. Ma Aro non si metteva insieme a nessuna.

Aro aveva una cinquantina d’anni ed era figlio di un fotografo, quando esistevano ancora le macchine fotografiche e quel mestiere. Quando quella tecnologia era sparita, il padre di Aro si era dato al commercio e aveva creato quell’azienda di pellami che poi il figlio, alla sua morte, aveva ereditato, oltre alla casa in cui viveva.

Quando il padre era morto, sei mesi prima, Aro aveva scartabellato tra le sue cose. Un mucchio di cianfrusaglie che erano finite in discarica. Ma tra tutte quelle cianfrusaglie c’erano centinaia di fotografie. Ad Aro le foto piacevano, avevano anche un valore, come tutte le cose di pregio della vecchia epoca: antiquariato. C’erano molti ricchi che gli avrebbero offerto denaro per le foto migliori. Quindi si mise ad esaminarle con cura. Uno degli ultimi scatti ritraeva una giovane donna con un collare ad un’asta di schiavi. Doveva essere una delle prime schiave vendute con quella modalità. La foto, quando Aro la scoprì, aveva più di venticinque anni. Aro vedendola rimase a bocca aperta. Non poteva crederci. Come mai suo padre non gliene aveva mai parlato e soprattutto perché non l’aveva usata. Probabilmente non si era neanche reso conto del soggetto e forse se ne era dimenticato.

La troia, anche dopo tanto tempo era bella. E soprattutto era ricca, doveva avere sui quarantasette anni ed era vedova da qualche anno. La preda perfetta pensò Aro.

Chi sa come era andata ai tempi meditava Aro. Forse Kunta l’aveva comprata, poi le aveva levato il collare e l’aveva fatta riapparire da qualche altra parte e infine l’aveva fatta sua compagna. All’epoca le cose erano ancora molto confuse, non esistevano ancora registri delle proprietà e tanto meno degli schiavi ed era tutto ancora in movimento. Le regole e i registri sarebbero arrivati qualche anno dopo, con la nascita dell’impero e di un minimo di burocrazia ed ordine. Rimaneva il fatto che Isa da schiava era diventata una donna libera e una delle donne più ricche dell’impero.

Più o meno era andata in quel modo. Kunta quel giorno era al mercato degli schiavi, non cercava una bella schiava, ma un medico per il suo esercito. Lui era il capo, ma era Host il guerriero che comandava il suo esercito. Kunta aveva visto quella giovane donna, bella, austera, perfetta e impaurita mortalmente. Se ne era innamorato immediatamente. L’aveva comprata e l’aveva mandata in una delle sue proprietà liberandola, ma pregandola di non muoversi da quel posto. – Qui sei al sicuro, ma per il tuo bene non ti muovere da qui. – Poi l’aveva corteggiata per mesi e Isa riconoscente l’aveva apprezzato diventando sua. La loro era stata una unione basata sull’amore e sul rispetto.

Aro era brutto, occhi piccoli e un naso grosso, labbra grosse e bocca larga, era alto, ma grasso, flaccido e trasandato, però era forte, caricava e scaricava ogni giorno balle di pellicce. Ed era scaltro, molto scaltro, negli affari non era granché, ma aveva imparato a galleggiare. Quello era il colpo di fortuna della sua vita. Doveva trovare il modo di rimanere solo con lei per dieci minuti. Per qualche giorno Aro fece la fatica di sorvegliarla. Si appostò sul guado di un fiumiciattolo appena fuori dalla sua proprietà, dove c’era l’unico ponte che collegava il feudo alla strada per Kuanta e scoprì così che lei, quasi ogni mattina, andava in città da sola con il suo calesse, per affari o per incontrare qualche amica. Era una donna che amava il lusso, se doveva fare bella figura non rinunciava alla carrozza, ma era anche una donna energica ed indipendente e, da quando i banditi erano stati debellati, le strade erano sicure.

Aro si appostò sul suo ronzino proprio al termine del ponte, lì lei doveva rallentare e la salutò. – Buongiorno Madame, solo due parole per cortesia – esordì in tono contrito e dimesso.

Isa fermò il calesse, conosceva quell’uomo di vista, non aveva nessuna ragione di preoccuparsi, era infastidita, ma le sembrava assurdo tirare diritta come se non l’avesse visto e non le avesse parlato. Però lo guardò arcigna, come a dire: su, forza, non ho tempo da perdere con uno come te.

Aro avvicinò il cavallo al calesse, l’affiancò e tirò fuori dalla tasca della giacca la foto.

Lei fece per prenderla, ma Aro ritirò la mano indietro. Cambiò tono dandole del tu. – No, non puoi averla, guardala, ma senza toccarla. –

Come si permetteva quel cafone di parlarle a quel modo, poi Isa ebbe un terribile presentimento. Lui le aveva messo la foto davanti agli occhi. Isa vide e sbiancò, cercò di riscuotersi e bluffare, ma ribolliva di rabbia e la paura stava diventando terrore.

– Chi è quella? – rispose in tono arrogante, ma la voce tremò, era terrorizzata, anche se tentava di negare.

– Sei tu troia – rispose Aro duro, sprezzante e sicuro, – sei una lurida schiava. –

– Ti farò incatenare e impiccare – rispose rabbiosa Isabella, – tu non sai chi sono e non sai che Host, il Grande Drav, è un mio amico. –

– So chi sei tu, so chi è il Grande Drav e so quanti nemici avete, altrettanto potenti, che non vedono l’ora di scoprire chi sei, fartela pagare e prendersi tutto quello che hai. –

Isa sapeva che era tutto vero, negli affari lei e Kunta si erano fatti tanti amici, ma anche tanti nemici. Era potente, una delle donne più potenti di tutto il Dravor, ma nei tanti anni a fianco di Kunta si erano fatti molti nemici, nessuno osava venire allo scoperto, ma ora che era sola e con quella foto in mano non si sarebbero fatti scrupoli e l’avrebbero rovinata. Sapeva che come minimo rischiava e con lei rischiava anche la figlia. La figlia di una schiava era una schiava. Le avrebbero tolto tutto e chi sa che fine avrebbero fatto entrambe. Il suo incubo era finire in un bordello con la figlia. Tutti questi pensieri le passarono per la mente in un attimo. Forse non sarebbero arrivati a quel punto, ma chi poteva sapere, ma sicuramente Kora, se fosse andata bene, sarebbe diventata la kalsna di qualcuno. Non poteva rischiare.

– Cosa vuoi? – il tono era arrogante, ma cercò di iniziare una trattativa, solo che partiva da una posizione di estrema debolezza.

Aro aveva infatti le idee chiarissime, lui era arrivato preparato, e non aveva intenzione di trattare un bel niente.

– Voglio te troia, sarai la mia kalsna ed ogni mese mi darai mille tel. –

– Bastardo – rispose Isa d’impulso.

Lui le rise in faccia e le disse – seguimi, inizierai a servire già questa mattina. –

Uscirono dalla strada ed il calesse seguì il cavallo su un sentiero fino ad una piccola ed isolata radura. Isa era disperata, ma non vedeva via d’uscita. Nel breve tratto di strada che percorsero ebbe modo di pensare, ma non era lucida.

Mille tel al mese erano una bella somma, ma per lei non erano granché, quello poteva starci pensava, nell’attesa di trovare una soluzione per eliminare il problema.

Quello che non voleva era cedere il suo corpo a quell’essere ripugnante, quello doveva assolutamente evitarlo.

Aro aveva fatto bene i suoi conti. Poteva chiedere molto di più e tutto in una volta, ma a lui non interessava diventare immediatamente ricco, non avrebbe saputo come giustificare quell’improvvisa ricchezza. Il Dravor era un sistema chiuso e molto controllato, una ricchezza spropositata avrebbe generato un’infinità di domande. Lui voleva una rendita a vita che gli permettesse di vivere nell’agio. Piano, piano avrebbe trovato una casa più grande e più bella, in un quartiere più elegante e avrebbe preso qualche altro schiavo, anche una bella e giovane kalsna, ma soprattutto voleva Isa, quella troia arrogante e schizzinosa sarebbe finita ai suoi piedi e lui se la sarebbe goduta a lungo, era matura, ma ancora giovane e si manteneva bene. Gli avrebbe dato soddisfazione ancora per molti anni.

Isabella scese dal calesse, voleva cercare di farlo ragionare, ma appena mise i piedi a terra si sentì dire – spogliati troia. –

– Come osi – provo ancora a ribattere Isa, lei pendolava tra l’arroganza, l’intimidazione e le sue capacità dialettiche per convincerlo a trattare. Lui invece era forte di quello che aveva in mano e non aveva nessuna intenzione di discutere. Discutere, Aro lo sapeva, avrebbe significato scendere a qualche compromesso. Forse più soldi, ma non lei. Quindi lui fece precipitare la situazione, le fu addosso, un ceffone la mandò lunga distesa sul prato e Isa gridò. Fine dei ragionamenti.

Aro pensò di aver fatto una cazzata, le sarebbe rimasto il livido, invece nessuno se ne doveva accorgere. Il danno era fatto, la sua troia si sarebbe dovuta inventare una scusa, una caduta dal calesse era una scusa che poteva andare bene. Lui aveva intenzione di frustarla e strapazzarla, ma il viso non lo doveva toccare. Rimediò immediatamente prendendola a calci sulla pancia, sui fianchi e sulle natiche, si chinò su di lei e le strizzò un seno, poi le artigliò un capezzolo e la fece ululare. Isa era tramortita, sentiva male dappertutto. Era incapace di difendersi da quella furia.

– Devi fare quello che ti dico troia, altrimenti ti rendo irriconoscibile e tutti sapranno quello che sei. Ti rovino e tu e quella puttana di tua figlia finirete in un bordello per schiavi. –

Isa si arrese, quelle ultime minacce non potevano essere vere, ma lei non se la sentiva di andare a verificarle. Appena lui le diede un attimo di respiro, sotto uno sguardo implacabile, iniziò a spogliarsi, tutto tranne che prenderle e comunque i vestiti erano già strappati.

La legò ad un albero con la schiena rivolta al tronco, i polsi tirati indietro e legati ad abbracciare l’albero, fece lo stesso con le caviglie, queste ultime furono tirate tanto indietro da farla protendere in avanti, trattenuta all’albero solo dai polsi, con le gambe aperte.

– Bella vacca – commentò Aro rimirandola, poi si avvicinò e le strinse il seno, artigliò i capezzoli e Isa gemette. – Ti prego… –

Lui strizzò più forte. – Rispetto cagna, io sono il tuo Padrone. Parla quando sei interrogata e rivolgiti a me come si deve. – Aro continuava a strizzare.

– Padrone, per favore, mi fa male. Pietà. – Isa si era piegata, non aveva la forza e la volontà di resistergli.

Aro teneva in mano una lunga frusta da carrettiere e guardava la sua nuova schiava, mai, neanche nei suoi sogni migliori, aveva pensato di potersi fare una come Isabella. Aro se la mangiava con gli occhi, quella bella e matura femmina, dalle gambe lunghe e tornite, statuaria e con molti spigoli, ma anche tante curve, il corpo pastoso e sensuale, fianchi ampi e morbidi, il culo opulento e soffice, le tette superbe. Era sua. Aro si eccitò della paura della schiava, si avvicinò alla preda. Isabella tremava in un modo indecente ed incontrollabile. – Non è ancora successo niente e già tremi – l’irrise Aro alitando sul volto di Isa. Le sputò in faccia. Lei trattenne un conato di vomito, lui indietreggiò e le passò l’impugnatura della frusta tra le gambe. Lei si irrigidì, ma lui insistette. La massaggiò sulla vulva, Isabella tremò di paura, vergogna, non poteva stringere le cosce ed il manico scivolò dentro di lei.

Mai aveva immaginato che potesse succedere una cosa del genere, eppure la sua fica si stava bagnando. Arrossì, si morse il labbro, cercò di non guardare il suo carnefice, cercò di rimanere inerte e mostrarsi disgustata, ma il suo corpo la stava tradendo e Aro sorridendo se ne rese conto.

La mano libera di Aro prese possesso del corpo di Isa, dal seno discese sul didietro, verso il culo e poi sulle cosce, mentre il manico della frusta penetrava dentro Isa e ne usciva bagnato. Isabella inizialmente si era dimenata cercando di sottrarsi a quell’invasione, poi quando capì che era inutile e controproducente si arrese e si lasciò fare. Lui se lei si agitava strizzava e faceva male, se invece stava calma era meno violento.

La troia è calda, probabilmente non scopa da anni e non vede l’ora, pensava Aro.

Aro non poteva più aspettare, buttò la frusta per terra e raccolse il traboccante seno di Isa in entrambe le mani. Le sue mani grandi e callose non riuscivano comunque a contenere le grosse tette della schiava.

Le mani di Aro stringevano e Isabella gemeva per il male, ma era inutile negarlo Isabella gemeva anche di piacere. Isabella si tratteneva, ma stava iniziando a colare ed il suo corpo era sempre più caldo. – Brava cagna – le disse Aro, spingendo il bacino sulla fica della schiava e sfregando, l’arnese era ancora dentro i pantaloni, ma si faceva sentire. Aro artigliava le tette di Isabella e la mordeva.

Isa era in carne, morbida e profumata. Isabella era stordita e impotente. Paura e terrore, rabbia ed impotenza, disgusto, ma anche piacere. Lui la stava manovrando e portando dove mai sarebbe andata. Ebbe un attimo di lucidità, la dignità era finita, ora pensava cavarsela. Forse, pensava, se mi fotte poi finisce. Ma Aro cambiò registro sorprendendola ancora una volta.

– Offriti troia – le ordinò Aro. Isabella, riluttante, eseguì l’ordine spingendo il bacino in avanti e facilitando l’accesso alla fica che era già tremendamente esposta. La mano destra del suo nuovo Padrone s’impossessò della fregna. Isabella mugolò e continuò quando la mano l’accarezzò lungo la vulva. Forse mostrare le sue voglie l’avrebbe convinto a fotterla e finirla. Lui la umiliò.

– Sei peggio di una cagna in calore, ti basta un attimo per allargare le cosce e godere, devi controllare i tuoi sensi, devi arrivare a godere quando lo voglio io. –

Sentendo quelle parole Isabella sprofondò nello sconforto, aveva perso la partita. Se resisteva la picchiava, se si lasciava andare l’umiliava. Aro smise di accarezzarla, ma le intimò di non muoversi. Le gambe erano tenute larghe dalle corde, il seno era proteso in avanti. Lei ora sperava che lui si accontentasse solo di penetrarla, era ributtante, ma quello poteva subirlo, quello che invece l’avrebbe fatta impazzire era se avesse tentato di baciarla sulla bocca.

Isabella tratteneva il fiato ed aspettava, ritornò ad avere paura. Isa desiderava stringere le gambe per proteggersi la fica, ma era impossibile. Quando vide che lui raccoglieva la frusta da terra impazzì. Isabella dapprima non capì, poi quando gli vide spuntare quel ghigno animalesco sul volto si spaventò. Ora era terrorizzata e tremava come una foglia, non era mai stata frustata, neanche quando, a suo tempo, l’avevano catturata gli schiavisti. Quelli ne avevano intuito il valore e l’avevano trattata bene, almeno da quel punto di vista.

Non si frustavano le donne libere, la frusta era per le schiave, ma Aro gliel’aveva detto, lei era ora la sua schiava, ed era quello che stava per succederle.

– Te ne darò un po’, voglio che tu capisca bene quello che sei diventata. Devi capire che sei una schiava, anche se lo sapremo solo io e te, fino a quando farai la brava. Devi capire che mi appartieni, che farai tutto quello che ti ordinerò. –

– Padrone, non lo fate, vi obbedirò, ma non lo fate. – Isabella terrorizzata implorava, aveva perso ogni briciolo di dignità, ma Aro voleva comunque segnarla e farle capire che neanche le sue suppliche potevano fermarlo. Quella era la prima volta e lei doveva capire, una volta per tutte. In modo che da lì in poi avrebbe ubbidito sempre, senza esitazione.

Dopo qualche frustata Aro si riscaldò, non voleva essere pesante, ma l’eccitazione gli prese la mano. Isabella aveva accolto le prime frustate gridando più per la paura che per il dolore vero e proprio, ma quando vide e soprattutto sentì che il ritmo cambiava gridò terrorizzata ed invocò pietà. La frusta le aveva segnato le cosce, il seno, il busto. Aro si impose di fermarsi. Era sudato ed eccitato, si stava divertendo. Isa si mise a piangere, provò ad invocare pietà e poi pianse disperata.

Gliene diede qualche altra, ancora più forte e quando vide che lei non reagiva più, se non per contorcersi, si fermò. La sciolse e lei stramazzò a terra.

Lui si distese su di lei a lei e senza neanche spogliarsi le allargò le gambe e la penetrò. Isabella era inerte come una bambola, ma era piegata ed a lui non interessava se non partecipava, la sentiva comunque calda e bagnata e per quella prima volta gli bastava.

Aro venne mordendola sui capezzoli e facendola guaire. Lei si sentì invadere e chiuse gli occhi, voleva morire. Ma non morì.

– Ascoltami bene – disse poi alla cagna, – ogni settimana verrai a casa mia di pomeriggio e sarai a mia disposizione fino a sera.

Isabella era tramortita, confusa e distrutta. Era sporca dentro e fuori, infangata e scarmigliata.

Aro le prese il mento tra il pollice e l’indice e strinse indirizzando il viso verso il suo.

La guardò negli occhi e le strizzò un capezzolo per ottenere la sua attenzione.

– Hai capito? –

– Sì Padrone, ogni settimana sarò a casa sua e sarò a sua disposizione. –

Aro sorrise, l’aveva piegata.

– Inizi dopodomani. –

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Isabella, Aro e la megera – qualche mese prima

Aro non ci mise molto a farla diventare la sua marionetta. Isabella dopo qualche incontro con il suo Padrone faceva tutto quello che Aro desiderava. Era stato semplice, se lei non era pronta ad ubbidire veniva punita, se ubbidiva Aro la gratificava chiamandola troia, cagna e puttana. Isabella preferiva essere insultata piuttosto che essere frustata. Lui stava attento a non colpirla sul volto, ma se necessario la segnava dove gli pareva e la colpiva sulle parti molli. Usava le mani, la frusta, le verghe, la cera e gli aghi. Isabella si rassegnò ad ubbidire prontamente, ci mise poco a capire che se si ribellava veniva punita e poi comunque faceva quello che lui voleva. Tanto valeva farlo immediatamente.

Una parte importante nell’educazione di Isabella la ebbe la serva e schiava di Aro. Era una megera sui cinquanta anni, grassa e cattiva, si chiamava Onna.

Onna riceveva Isabella nel soggiorno della casa di Aro. Se non aveva ricevuto disposizioni diverse la faceva spogliare, Isabella poteva tenere solo le scarpe, riponeva i suoi abiti in un armadio, poi Onna l’ammanettava con i polsi dietro la schiena, le metteva un collare e quindi tirandola per il guinzaglio l’accompagnava sul retro, nella sala che Aro aveva attrezzato per i suoi incontri con Isabella. Qui Onna agganciava il guinzaglio al muro e di solito la lasciava lì, ad attendere il Padrone.

Aro arrivava dopo qualche minuto o anche dopo molto tempo, non era raro che la facesse aspettare anche più di un’ora in piedi e ferma nella sala. Era la peggiore delle umiliazioni, lui a volte la faceva andare a casa sua e poi neanche la usava.

La sala aveva un letto, un paio di poltrone, un mobile in cui Aro teneva tutte le attrezzature del caso, un cavalletto e tanti ganci sulle pareti.

Onna la faceva sentire meno di un verme, una schiava di rango infimo che le ordinava di spogliarsi e spesso l’esaminava come una vacca. A volte davanti ad Aro, a volte da sola. Isabella non sapeva, quando Aro non c’era, se lei agiva per ordine suo o si prendeva autonomamente licenza di agire. Ma Aro le aveva fatto capire che doveva ubbidire ad Onna ed Isabella si era adeguata.

La serva a volte la portava nella sala, la rendeva innocua legandole i polsi ad un gancio che scendeva dal tetto e le caviglie a due ganci fissati al pavimento, con le gambe larghe. Poi l’esaminava.

La pratica era iniziata dopo che Onna, alla presenza di Aro, l’aveva inanellata. Era stata legata ai ganci del muro, braccia e gambe larghe, la terza volta che si era recata dal suo Padrone. Quella volta Onna le aveva anche messo una ballgag in bocca, non volevano sentirla strillare, e poi, mentre Aro si sedeva in poltrona per gustarsi lo spettacolo, aveva iniziato il suo lavoro.

Isabella quando capì cosa stava per succedere cercò di gridare e iniziò a dimenarsi, ma non era possibile fare niente.

– Stai ferma stupida – l’irrise Aro, – se ti agiti rischi di farti male. Se invece stai calma finiremo in fretta. – Isabella lo sapeva e lo capiva, ma non riusciva a stare ferma, quello non potevano farglielo. Ed invece glielo fecero. Onna le prese un capezzolo tra il pollice e l’indice della mano sinistra e tirò. Il capezzolo si allungò, Onna tirò ancora fino a tenderlo al massimo e poi con l’altra mano, in cui teneva un ago bello grosso, l’infilzò. Isabella gridò come un’indemoniata, ma il suo grido rimase soffocato nella ballgag mentre piangeva.

Aro rizzò immediatamente. Onna proseguì sull’altro capezzolo, stavolta Isabella non fece resistenza, rimase ferma a piangere.

Poi Onna si chinò e la manipolò tra le gambe. Isabella riprese ad agitarsi, ma Onna non si scompose, il gioco di Isabella era minimo ed una volta che Onna ebbe catturato il clitoride, e dopo averlo tirato in fuori, la schiava non poteva più fare niente. Onna infilzò anche il clitoride. Gli aghi rimasero dove Onna li aveva piazzati. Con le grandi labbra fu più facile, Isabella non tentò di fare più niente e Onna poté lavorare tranquilla e velocemente.

Ora sette aghi robusti e lucenti adornavano il corpo della schiava.

Onna prese degli anelli e con metodo li fece passare dove gli aghi avevano bucato. Fu un lavoro lento e meticoloso e per Isabella anche molto doloroso. Erano tutti anelli d’oro, praticamente i primi mille tel, che Isa aveva consegnato ad Aro, ora si trovavano sul suo corpo.

Ma per Aro erano stati ben spesi, lui ne era soddisfatto, la sua vacca era adornata alla perfezione.

Onna esaminava spesso il suo lavoro e le parti intime di Isabella. – Guarda se la troia si tiene pulita o se ha qualche malattia – aveva ordinato Aro alla serva e Onna era molto scrupolosa nell’eseguire quel lavoro. Onna indossava dei guanti sottili e infilava le sue dita negli orifizi di Isabella, dilatava e guardava, stropicciava i capezzoli e le faceva aprire la bocca, guardava i denti e passava le sue luride dita sulle labbra e sulla chiostra dei denti di Isabella. Isabella non capiva se la nera provava piacere in quel lavoro, pensava di sì, ma non ne era sicura.

Lei era una maschera che non lasciava trasparire niente, i suoi occhi erano sempre gli stessi, parlava poco e niente e senza manifestare emozioni. La tastava come una vacca, l’esaminava come se fosse un veterinario. Isabella imbarazzata arrossiva, ma non si sottraeva. A volte la sollecitava facendo andare le sue dita adunche nei suoi orifizi e Isabella per forza di cose si bagnava, soprattutto quando giocava con il suo clitoride, ma anche in quei casi, guardandola in viso, Isabella, non capiva cosa provasse. Dal canto suo lei arrossiva e si vergognava mortalmente, abbassava gli occhi ed evitava lo sguardo della megera. Solo una volta la vide sorridere ed ebbe la sensazione che la schernisse. Era stato quando, dopo averla penetrata ed essere andata avanti ed indietro per un po’, Onna le aveva sfiorato il clitoride e Isabella si era fatta sfuggire un gemito vibrando di piacere in modo incontrollabile. Non era la prima volta che Isabella gemeva di piacere tra le mani di Onna, ma quella volta era arrivata vicinissima all’orgasmo e sentiva di aver perso completamente il controllo. Isabella quando si eccitava si sentiva mortalmente in colpa, ma il suo corpo era spesso sollecitato e di conseguenza lei era spesso bagnata, non poteva farci niente.

Qualche volta il Padrone la faceva punire dalla serva. Anche in questi casi Onna era molto distaccata, mentre quando Aro la puniva si eccitava, quando era Onna a farlo, tutto avveniva in modo asettico, ma altrettanto doloroso.

Onna usava la frusta, poche frustate sulle parti intime, pochi segni, ma tutti i colpi andavano a segno dove lei voleva e facevano molto male. Oppure usava la cera, una candela piantata nella fica o nel culo o tra le tette della schiava e che gocciolava nelle sue intimità. Mentre lei la guardava soffrire freddamente. Isabella aveva anche rinunciato a chiedere pietà, in quei casi o la guardavano freddamente, come faceva Onna, o la irridevano umiliandola ulteriormente, come faceva Aro.

Quando finiva la sessione Onna la portava sotto la doccia e la lavava, ancora una volta le sue mani e le sue dita penetravano nelle sue parti intime lasciandola tramortita ed umiliata. Onna parlava poco, se voleva che si piegasse e le offrisse le natiche si limitava a spingerla sulle spalle, quando Isabella si chinava lei la penetrava nel culo e poi nella fica, l’insaponava e la sciacquava scrupolosamente. Molte volte Isabella gemeva di piacere, Onna era più brava di Aro nel soddisfarla, più precisa e meno frettolosa, ma la megera rimaneva lontana. Spesso tirava gli anellini per allargarla e Isa fremeva, succedeva anche quando le lavava il seno, prendeva con una mano un anellino e tirava il seno in su mentre con l’altra l’insaponava sotto la piega. Per Isabella era piacevole e non poteva fare a meno di eccitarsi.

Onna parlava poco, ma la manovrava bene e quando Isabella si trovava a rantolare di piacere lei qualche volta le diceva – brava, brava, vedo che ti piace. – Isabella rimaneva allo stesso tempo mortificata ed ancora più eccitata. Vecchia baldracca pensava.

A volte Onna malignamente la puniva piantandola sul più bello e lasciando Isabella avvilita e frustrata. – Abbiamo finito – diceva ed usciva dalla doccia con i vestiti infradiciati. Infatti Onna era sempre vestita, anche sotto la doccia, ed Isabella sempre nuda, anche fuori dalla doccia. Isabella a quel punto la seguiva, la serva prendeva dei lenzuolini e l’asciugava. La strofinava forte fino a far diventare rosso tutto il corpo della schiava, poi le diceva – vestiti, puoi andare. Ritorna la prossima settimana alla stessa ora. –

Quando non era dal suo Padrone lei ricominciava a vivere, ma inevitabilmente quelle visite settimanali si facevano sentire, la stavano piegando e il suo umore ne risentiva, il suo carattere deciso e volitivo stava diventando più remissivo, anche la sua capacità di lavoro si era notevolmente attenuata. Non si poteva far più vedere nuda da nessuno, neanche da sua figlia, se non aveva segni di frustate o i lividi dei colpi subiti, c’erano gli anellini per i quali nessuna spiegazione era possibile.

Sembrava che però nessuno se ne accorgesse, per sua fortuna. La figlia pensava che la mamma stesse invecchiando e si dava da fare nell’aiutarla, ma non sospettava neanche alla lontana quello che succedeva.

Fu Kim che, vedendo le cose da fuori si rese conto che Isabella era cambiata e che qualcosa non quadrava. Decise di indagare, ogni tanto la seguiva e per lungo tempo non gli capitò mai di vedere niente di strano. Poi indovinò il giorno, la seguì, rimase lì fino a quando lei non ritornò a casa e intuì. Infine studiò l’uomo e capì.

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https://www.amazon.it/Koss/e/B06WVH29MD Jira, la madre di Zuna

Jira aveva pianto per giorni e settimane la morte di sua figlia Zuna, poi, dopo mesi, si era riscossa ed aveva giurato che avrebbe ucciso Koss o che l’avrebbe fatto uccidere. Zuna era stata l’amante e compagna di Koss per un certo periodo, poi, quando lui era decaduto da tutte le cariche ed era stato bandito dal Dravor, Zuna l’aveva lasciato e lo aveva combattuto… ed era morta, non per mano di Koss, ma per mano di Irina, la sua fidata guardia del corpo, che Zuna aveva catturato e provato a sottomettere.

Jira aveva cinquanta anni, era una rowna, aveva migliaia di uomini ai suoi ordini ed aveva il comando della difesa di Kuanta. Aveva chiesto udienza al Grande Drav Host, non poteva più aspettare, voleva giustizia. Jira non era propriamente una bellezza, era bassina, magra, con un corpo che era un fascio di muscoli e di nervi, il viso spigoloso, i capelli e gli occhi neri, lucenti e ardenti come brace. Quello fisicamente era il suo unico punto di forza. Evidentemente la bellezza di Zuna non veniva da lei, ma da un padre sconosciuto che la ragazza non aveva mai conosciuto. Qualcuno mormorava che fosse uno schiavo, ma mai davanti a Jira, la rowna l’avrebbe passato a filo di spada. Jira a dispetto del suo fisico minuto era una combattente nata. Quand tutto ea cominciato aveva comandato una piccola banda, ma molto efficiente e quando si erano intavolate le trattative per la costituzione del Dravor si era seduta al tavolo ed aveva ottenuto molto, un feudo ed il grado di rowna. Le dicerie si basavano anche sul fatto che Jira non si era mai messa con un uomo, mentre la si vedeva spesso con donne ed aveva una kalsna bellissima.

Se Jira non era bella aveva comunque fascino e carisma e li sapeva usare.

Host meditava, Koss gli procurava anche quel genere di problemi. Host ostentava calma, ma dentro di sé ribolliva, mentre Jira in piedi nello studio del Grande Drav fremeva, poi lui la liquidò. – Ci devo pensare, torna domani mattina, può darsi che abbia una soluzione. –

Ed ora Jira era di nuovo nello studio di Host, dove era presente anche una donna alta e bella, bionda e giunonica, con un seno da maggiorata, ma dal corpo spigoloso anche se le curve c’erano tutte. La postura della donna era altera e allo stesso tempo aggraziata, era anche molto elegante e ricca, si vedeva da come si muoveva e da come vestiva. Jira invece indossava il suo abito di soldatessa, una tuta grigia con rinforzi di cuoio e sopra un giaccone di cuoio, ai piedi degli stivali di pelle. I gradi di rowna spiccavano sulla tuta. Jira squadrò l’altra e pensò che quella donna doveva avere più o meno la sua età, forse qualcuno di meno.

Stavolta Host la fece accomodare su una poltrona accanto all’ospite, mentre lui sedeva sul divanetto del suo studio.

– La mia amica Isa sta andando a nord per affari, nello stravor dei grandi laghi. Ufficialmente non è possibile, ma lei ha lì ha affari pregressi alla rivolta guidata da Koss, quindi…, – disse rivolgendosi a Jira, – tu l’accompagnerai, Koss ti conosce e quindi non puoi metterti in evidenza, ti farai passare per una donna del suo seguito, mimetizzati bene. Koss, ovviamente, conosce anche Isabella, ma se la vedesse non si insospettirebbe come succederebbe con te. Abbiamo già un’iniziativa in corso, quindi tu non devi fare niente, devi solo osservare e se sarà necessario aiutare chi sta facendo qualcosa, capirai quando questo succederà e ti comporterai di conseguenza. –

Jira non aveva capito niente, era tutto molto misterioso, l’unica cosa che le andava bene era che andava al nord. – Non ho capito cosa centra la signora, è una civile e mi dovrò preoccupare anche di lei – rispose a muso duro Jira.

– E’ la tua copertura – rispose Host, – se vai lassù, da sola, Koss ti scoprirà in un attimo. – Host non voleva dire e non lo disse che Isabella conosceva e poteva interloquire con Kim, neanche Jira doveva sapere niente fino a quando Kim non avesse agito.

Jira capì che Host faceva il misterioso, ma capì anche che non le avrebbe detto niente e quindi fece buon viso a cattivo gioco.

– Bene – disse prendendo il comando dell’operazione, non aveva nessuna intenzione di dipendere dai tempi e modi di quella bella dama, – si parte domani, io mi farò passare come la serva di questa signora, ma non voglio altri in mezzo ai piedi, procurerò io alla signora un cocchiere e una vera serva. Saremo solo in quattro. –

Isabella stava per intervenire, lei voleva viaggiare comoda e voleva al seguito tutto il personale che riteneva le fosse utile, poi però ci ripensò, avrebbero alloggiato presso locande e quindi avrebbe a avuto a disposizione tutto quello che le serviva e soprattutto non voleva competere con quella donna autoritaria, altrimenti pensava, quel viaggio, sarebbe stato un inferno. Quando Host la guardò lei assenti, – va bene mormorò. –

Il giorno dopo una carrozza si fermò davanti alla villa di Isabella, a cassetta c’era Stephen, un nero enorme e dall’aria truce, era uno dei soldati migliori e più fedeli di Jira, a terra c’era la rowna vestita come una serva, un camicione grigio lungo fino ai piedi che la ricopriva tutta, mentre sotto indossava la sua tuta e ai piedi i suoi stivali, a quelli non avrebbe mai rinunciato, se devi combattere, pensava, devi poterti muovere bene. Jira teneva la porta della carrozza aperta mentre i servi di Isabella sistemavano sul tetto della carrozza i suoi bauli. Poi apparve Isabella che uscendo di casa si guardò intorno un po’ smarrita, se ne stava andando in giro, in una missione pericolosa e senza neanche un servitore di fiducia. Si fece coraggio pensando che non avere un servitore in una situazione come quella non la doveva inquietare più di tanto. Si doveva preoccupare di ben altro, non sapeva neanche lei perché si era messa in quella situazione, si era fatta convincere da Host che l’aveva rassicurata dicendole di stare tranquilla che non le sarebbe successo nulla. In effetti lei andava nello stravor dei Grandi Laghi perché lì aveva davvero degli affari in corso. Ora non era tanto sicura di quella scusa e quella Jira non sembrava avere nessuna voglia di stare tranquilla. Salì sulla carrozza e Jira la seguì invitando il cocchiere a partire, velocemente la carrozza si mise in movimento.

Isabella non era preparata, di fronte a lei stava una delle donne più belle che avesse mai visto e pensava di aver visto tutte le più belle, quelle che almeno vivevano a Kuanta. Era una bionda di qualche anno più giovane di lei, sui quarantacinque, alta quanto lei, ma dal corpo morbido e sinuoso, con un viso dolce e occhi splendenti, celesti, chiari ed intelligenti, i capelli lunghi, ondulati e morbidi le scendevano fino alle spalle. Vestiva in modo semplice, ma proprio per quello molto elegante, una stretta gonna che le arrivava al ginocchio ed un maglione svasato, morbido e avvolgente su quel corpo stupendo, scarpe con un bel tacco e calze velate. Stupenda. Quella doveva essere la sua serva pensò Isabella. Tra tutte e tre chiunque avrebbe indicato lei come la più ricca.

– Lei è Astra, – disse Jira sbrigativamente rivolgendosi ad Isabella, – è una kalsna, ovviamente per questa missione le ho dovuto levare il collare, per lei sarà quindi la sua dama di compagnia, farà tutto quello che le ordinerà di fare. –

La bionda sorrise e salutò – buongiorno Signora, sono a sua disposizione. –

Isabella la guardò ancora, non portava il collare, era ovvio, Jira gliel’aveva fatto levare, non lo portava neanche Jira, ma non era raro soprattutto per le più ricche avere una serva che era una donna libera. Jira aveva pensato di metterselo, non aveva nessun problema a farlo, ma poi pensò che con il collare avrebbe avuto più difficolta di movimento, che qualsiasi fesso l’avrebbe potuta fermare, ed infine non sapeva bene come sarebbe stata accolta una schiava nello stravor dei Grandi Laghi in cui la schiavitù era stata abolita.

– Bene – rispose Isabella sollevata, ma pensando cosa se ne facesse Jira di una kalsna, poi ci arrivò, arrossì e sorrise allo stesso tempo riprendendo il controllo disse, – pensò che io e Astra andremo d’accordo. –

La kalsna le sorrise, in quel momento lei era più sicura della signora che doveva servire.

Jira non la voleva portare con sé, – troppo pericoloso, mi saresti d’impaccio, ho già una borghese a cui pensare. – Jira pensava di portare una soldatessa, le sarebbe stata più d’aiuto. Ma la kalsna l’aveva convinta che lei le sarebbe stata più utile, quella notte era ricorsa a tutte le sue arti per fare in modo che se ne rendesse conto e ci era riuscita. Adorava la sua Padrona tanto quanto l’aveva odiata venticinque anni prima quando l’aveva fatta schiava. Con lei si sentiva al sicuro anche nelle situazioni più avventurose, ne avevano vissuto tante, soprattutto ai primi tempi e senza di lei non sapeva cosa fare.

Quella notte Astra seguì Isabella nella sua camera e l’aiutò a spogliarsi. Ma arrivate alla sottoveste Isabella la fermò, andò in bagno e terminò da sola, poi indossò una vestaglia per la notte e ritornò. Astra ci era rimasta male, come è pudica pensò. Isabella era pudica, ma non lo era fino a quel punto, solo che non voleva far vedere come era adornato il suo corpo, chi sa cosa avrebbe pensato la kalsna e cosa avrebbe riferito alla sua Padrona, forse, pensava Isabella, era meglio che mi fossi levata quei gioielli. Poi ci ripensò, no, ho fatto bene a tenerli.

La kalsna l’aspettava. – avete ancora bisogno di me? –

Isabella immaginava che la sua Padrona l’aspettava con ansia, ma non era ancora disposta a lasciarla andare e forse voleva anche indispettire Jira. La rowna con lei era stata fredda, quasi scostante, aveva preso il comando e non le chiedeva neanche cosa volesse. La sua kalsna era invece una piacevole compagnia.

– Siediti – l’invitò Isabella, c’era una poltroncina in camera, lei si sedette sul letto mettendo in mostra le sue belle gambe e ammirando quelle ancora più belle della kalsna che non si era ancora cambiata, l’unica cosa che aveva fatto era levare le scarpe ed indossare due civettuole quanto stupende pantofole. Astra si sedette tranquilla, la sua Padrona era sicuramente a letto e sicuramente la stava aspettando, ma avrebbe aspettato, lei era lì per suo ordine ed anche per scoprire qualcosa, qualunque essa fosse, quindi non si sarebbe adirata per la sua assenza e poi Isa le piaceva. E Isa le chiese – come è la vita da kalsna? E come è la tua Padrona? –

– Immagino che lei ed il suo compagno non ne avete mai avuto nessuna. –

– Lui è morto da tanto tempo – rispose Isabella, – e no, non ha mai voluto una kalsna, mentre io non ne ho mai avuto bisogno, mi capisci? –

– Mi dispiace Signora, lo sapevo. Lei è una donna importante ed anche Kunta era molto conosciuto. La mia vita… Niente di ché, ma non è male, è agiata, la mia Padrona è una donna eccezionale, mi protegge e mi tratta bene, ho imparato ad adorarla, anche se l’inizio è stato difficile. Avevo venti anni quando mi ha fatto schiava ed è stato difficile accettare che ero diventata una sua proprietà. Sa, ero un’attrice ed una modella, abbastanza quotata in quell’epoca, poi è successo quello che è successo e sono diventato la kalsna di Jira. –

– Triste? –

– Non proprio – sorrise Astra, – lei avrà centinaia di schiavi che si spezzano la schiena nei suoi campi e nei suoi opifici. Poi ci sono tante schiave che vengono usate dai loro padroni per un tozzo di pane e poi buttate via passando di mano in mano fino a quando non sfioriscono e non le vuole più nessuno. Io e quelle come me non ci spezziamo la schiena, anzi viviamo meglio di tanti dravoriani, poi dipende dai padroni che abbiamo. La mia va bene. –

– Ma quante siete? –

– Nel Dravor saremo ormai alcune migliaia. Una parte hanno un padrone o una padrona, le altre lavorano nei bordelli e guadagnano bene. Sono le puttane più pagate. –

– Conosco a grandi linee la storia, mi sembra comunque triste. –

Astra arrossì, poi pensò che una delle donne più ricche del Dravor non sapeva niente del suo mondo, suo marito l’aveva tenuta al riparo di tutto.

Vedendola in quello stato Isabella cercò di rimediare. – Scusa non intendevo. –

Astra le spiegò. – Ogni piccolo proprietario generalmente usa le sue schiave anche come oggetti sessuali e chiama una di queste “la sua kalsna”. Ma non è così. Noi siamo schiave particolari, ovviamente siamo a disposizione dei padroni anche sessualmente, ma siamo anche dame di compagnia, cortigiane e serve dei nostri padroni, a volte confidenti e spesso persone di fiducia, siamo state educate a questo. Vestiamo bene e spesso viviamo nel lusso, alcune di noi fanno le puttane. –

– Sì, ne ho incontrate molte, i loro padroni se le portano anche ai ricevimenti, agli eventi mondani, le esibiscono. Tu sei la più bella che ho visto. –

Astra rise di cuore. – Non sono più giovane, ce ne sono anche di più belle di me. Una volta la mia Padrona era più mondana e le più belle le conoscevo tutte, almeno quelle di Kuanta, le vedevo ai ricevimenti con i loro padroni e la mia Padrona mi diceva sempre che ero la più bella di tutte, ma ce ne erano almeno una dozzina belle quanto me o più belle, poi dipende dai gusti del Padrone. –

– Sei molto bella – disse Isabella in modo definitivo. Poi aggiunse – immagino che la tua padrona ti usi anche… – le mancarono le parole.

Astra arrossì di nuovo davanti al candore della grande dama. – Si Signora, mi usa… è lesbica ed io sono la sua schiava e la sua amante. –

Poi Astra cercò di cambiare discorso.

– Posso chiederle che stiamo andando a fare nello stravor dei Grandi Laghi? –

– No, chiedi alla tua Padrona. Lei ne sa più di me. –

– Mi scusi. –

– Puoi andare Astra, la tua Padrona ti sta aspettando e chi sa cosa sta pensando. –

Astra era sulla porta della camera di Jira, la locanda era al buio, solo delle lampade ad olio situate nel corridoio fornivano una luce fioca e tenue, la sua siluette era però ben visibile. Astra aveva indossato una vestaglia trasparente e sotto era nuda. Irresistibile.

– Posso Signora – chiese.

Jira era nuda e riversa a pancia in giù sul letto. Il suo corpo era quello di una ragazzina, magro, nervoso, asciutto e senza una smagliatura. Un corpo efebico, con solo un ciuffetto di peli tra le gambe e poche tette.

– Vieni Astra. – Jira rimase a pancia in giù e Astra le si mise a cavalcioni sul letto, poi si chino su di lei ed iniziò a baciarla partendo dal collo e scendendo sulla colonna vertebrale, la baciava e la leccava mentre le sue mani lavoravano sulle sue spalle e Jira si distendeva e mugolava di piacere.

– Vedo che la tua nuova padrona ti ha trattenuto a lungo – disse ironicamente tra un gemito e l’altro.

Astra sorrise, – non capita tutti i giorni di poter parlare con una bella kalsna come me, ciò suscita molta curiosità. –

Jira si divincolò dall’abbraccio della kalsna e si girò su se stessa, quando la ebbe di fronte l’attirò a sé e la baciò sulle labbra. Poi con una forza sorprendente per chiunque, in una donna così piccola, ma non per Astra, la rigirò e le parti si invertirono, ora era la Padrona ad essere sulla schiava. La leccò sul seno e la mordicchiò, stavolta fu la kalsna a gemere di piacere.

– Cosa ti ha detto? – Jira parlava, ma non smetteva di leccare la sua kalsna.

Astra sospirò, la sua Padrona la dominava da ormai venticinque anni, ma continuava ad amarla con costanza e non si stancava mai del suo corpo, se voleva poteva averne di più giovani e belle in abbondanza, ma era lei quella che voleva.

– E’ chiusa come un’ostrica, non parla. –

– Ma? –

– Ma è una donna strana. Bella, pudica, e sottomessa. –

– Sottomessa? –

– Sì, sottomessa. Le piace essere dominata. –

– Come lo hai capito? mica te lo avrà detto lei. –

Astra gemette. – Padrona, padrona, mia adorabile padrona, certe cose io le capisco, dovreste saperlo. –

Jira non ne dubitava, si chinò ancora più giù, tra quelle gambe bianche, lunghe, deliziose e la leccò. Astra era un lago, smaniava, voleva spingere il bacino in avanti, ma quello alla Padrona non piaceva, la voleva passiva ed inerme.

Jira la penetrò con la lingua e Astra non riuscì più a stare ferma, contrasse le cosce e le strinse sul viso della sua Padrona, sapeva che non doveva farlo, ma era più forte di lei. Jira di solito la riconduceva ad un atteggiamento sottomesso immediatamente, mordendola o strizzandole un capezzolo o graffiandola, ma questa volta le permise di essere esuberante. Intanto la divorava, la sua kalsna gemeva e si dibatteva trattenendosi dal gridare. La kalsna venne e ringraziò la sua Padrona.

Astra si accucciò accanto alla sua padrona e si addormentò immediatamente. Jira rimase sveglia un po’, Isabella non è male, una donna bella ed altera, pensava, non mi dispiacerebbe vederla strisciare ai miei piedi, sorrise e si strinse alla sua kalsna, Astra, nel sonno, mugolò soddisfatta.

Prima di addormentarsi Jira diede un bacio sulla spalla nuda di Astra con un ultimo pensiero per la sua kalsna: domani ti umilierò ben bene, come non faccio da molto tempo, vedremo come reagirà Isabella. Astra ignara dei pensieri della sua Padrona mugolò ancora.

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