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In preparazione per andare a lavorare…

By 12 Dicembre 2013Dicembre 16th, 2019No Comments

E’ passato quasi un mese. Forse anche di più. Dall’ultima volta che il mio signore ha preso possesso del mio corpo. Che le sue mani hanno corso lungo i miei fianchi, sui miei seni. Che hanno preso e stretto i miei capelli. Che i nostri occhi si sono incrociati. E’ passato più di un mese da quando i suoi colpi mi hanno percossa e appagata, le sue labbra morsa e baciata, i suoi occhi scrutata e esaminata.
Il mio corpo ha fame di lui, lo desidera. E’ per questo motivo che, questa mattina, desidero sentire il più possibile la sua presenza addosso a me, il suo sguardo, la sua essenza. Sono uscita da una doccia bollente avvolta in un morbido accappatoio bianco. L’ho lasciato scivolare a terra, sentendo la stoffa che accarezzava le spalle, le braccia, le gambe. E’ stato un brivido leggero, immaginando la punta delle sue dita corrermi lungo i polpacci, salendo fino all’incavo delle ginocchia e accarezzare il mio sedere. Senza sfiorare nessun punto in particolare, ma avvertendo tutto il mio corpo vibrare al solo pensiero.
Ho scostato appena le gambe, per osservarmi davanti allo specchio, immaginandolo nascosto in un angolo. Ho preso la crema per il corpo, iniziando dalla punta dei piedi. Ho chiuso gli occhi, immaginando le sue mani addosso a me: quella forza, quella pressione, quel tocco che sanno regalarmi un piacere sconvolgente se solo si avvicina a me. Ho immaginato che fosse la punta della sua lingua a scavare la mia pelle, a solleticarla nei punti giusti. Più le mie mani salivano lungo il mio corpo, più avvertivo dei brividi profondi. Desideravo fosse lui a prendersi cura di me, come stavo facendo io. Ma si sa, la mente ha un grande potere’ Mi sono accarezzata a lungo, profondamente, fino ad arrivare alle grandi labbra. Le ho delicatamente dischiuse e passato un dito in mezzo ad esse’ Ero bagnata, eccitata come non mai. Sentivo le ginocchia vacillare dal desiderio. Non ho resistito, e ho lasciato che il pollice giocasse con il mio clitoride, gonfio all’istante e voglioso. Avrei potuto andare avanti e godere di un piacere improvviso, ma non era quello il mio piano, non era quello il mio desiderio. Volevo che il mio Signore fosse orgoglioso di me, che sapesse che cosa stavo facendo per lui, che durante la giornata potesse avere un pensiero sul quale tornare.
Ho continuato a correre sulla mia pelle, sul ventre, sui seni, spalmando la crema con dolcezza e dedizione. Ho indugiato a lungo sui capezzoli, stringendoli con violenza e rilasciando la presa, torcendoli e accarezzandoli, sfiorandoli e stringendoli ancora. E’ così che il mio signore desidera che io mi prenda cura del mio corpo, abituandolo alla dolcezza e al potere allo stesso tempo. La mia preparazione, però, non era affatto terminata: ho indossato delle calze autoreggenti nere, un abito corto sopra. Niente intimo. Questo desidera il mio signore per me, questo ho voluto fare per lui, avvisandolo della cosa.
Ho messo dei tacchi molto alti, e mi sono sentita subito donna. Femmina e donna, preda e cacciatrice. Ho indossato il cappotto, la sciarpa e sono salita in motorino. Si, io vado a lavorare in motorino e non avrei mai immaginato quali sensazioni avrei provato ad andare a lavoro in quelle condizioni. Volevo provare tutto, fino all’estremo. Così sono salita e per tutto il tempo sono rimasta con le gambe divaricate. Fermandomi ai semafori, appoggiavo una gamba a terra, che lasciava intravedere lo spazio fra il bordo della calza e quello del vestito. La mia pelle era nuda, esposta agli sguardi degli altri guidatori che hanno apprezzato, e non poco, quello spettacolo imprevisto, per essere dicembre’ E mi eccitava da morire l’idea che non potessero immaginare che, al di sotto dell’abitino, la mia carne era davvero nuda’ Nuda del tutto. Quell’aria fredda e impertinente mi eccitava immensamente, creando un contrasto violento fra il gelo dell’aria e il calore che avevo in mezzo alle gambe. Ero calda, bagnata, appariscente’ Volevo che gli altri mi guardassero e immaginassero’ Volevo che il mio Signore fosse fiero di questo mio comportamento’ Avrei voluto raccontargli ogni dettaglio’ Sentivo le mie labbra schiudersi e lasciar scivolare gocce umide. Immaginavo la sua lingua raccoglierle’ Le sue dita umide dei miei umori portate alla mia bocca, per farmi assaggiare il mio sapore. Un sapore esposto, di femmina. Ad ogni semaforo la gonna saliva qualche millimetro di più’ Il freddo era pungente, ma la mia eccitazione al limite’

E’ stato a quel punto, una volta parcheggiato il motorino, che sono salita in ufficio’.

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