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Racconti Erotici Etero

Intimità 5

By 2 Febbraio 2019Dicembre 16th, 2019No Comments

“A qué hora vengo a buscarlos?” chiese Manuel, quello era il suo nome, pilotando l’auto verso l’ingresso del centralissimo Hotel. Alle spalle c’era la stupenda Catedral de Pilar che si stagliava con i suoi pinnacoli e campanili, affacciata sulla riva dell’Ebro. Concordarono ed entrarono nell’Albergo.

Nanà ritirò la tessera magnetica della camera 308 e Gianfranco ebbe la 320. Le due ampie stanze, attigue, erano elegantemente arredate. Alle 19 il portiere annunciò l’arrivo di Manuel e dopo un quarto d’ora scesero entrambi nella hall. L’autista li pilotò fino alla sede della Società. Li aspettava un funzionario che fece loro strada verso il primo piano dove li attendeva il Direttore Generale.

Presero accordi per l’indomani e poi andarono tutti a cena. El Festín de Babel li accolse piacevolmente. Anfitrione della cena era il Presidente, accompagnato dal Direttore della Fabrica. Fecero onore al menù. La conversazione fu brillante, mentre i fumi dell’ottimo vino facevano salire di giri Nanà insieme a tutta l’allegra brigata. Si fecero le ore piccole e lasciarono il desco insieme.

Salutarono, con effusione di baci e abbracci, come degli amiconi, i boss spagnoli e salirono al loro piano, ridendo e scherzando. Gianfranco l’accompagnò alla sua stanza e si soffermò con le mani in tasca e guardandola negli occhi. Nanà ebbe una leggera esitazione. Non che volesse darne occasione a Giangi, come scherzosamente e confidenzialmente lo chiamò per la prima volta quella sera, ma indubbiamente lui avvertì l’abbassare della guardia ed entrò chiudendola in clinch alle corde.

Un abbraccio che l’avvolse completamente e lei, stronza, che non oppose nessuna resistenza, anzi…!Collaborò a tal punto che lui passò dallo sfioramento delle labbra al bacio appassionato prima di penetrarla con un french-kiss, prontamente ricambiato. Cazzo! La stava perforando dalla gola senza passare dalla vagina. Così ebbe il tempo di ridacchiare nei fumi dell’alcol che l’avvolgevano.

Giangi, rotti gli argini,dilagò facilmente. Al termine del primo bacio,le tolse la tessera magnetica della stanza, che lei aveva dimenticato nella mano destra, e l’infilò nella fessura della serratura alle spalle di Nanà. Sslat, fece la serratura della porta che si aprì sotto la pressione dei due corpi avvinghiati. Ruotarono insieme nella stanza, mentre lui la spinse sulla parete accanto allo stipite interno della porta che si richiuse automaticamente con un flap a cui nessuno dei due badò.

Ansavano entrambi. Sembravano due lottatori di greco romana, impegnati a divincolarsi dai vestiti, mentre erano impediti dall’impiccio della stretta dell’altro e minacciavano di cadere a terra. Preferirono quella posizione orizzontale e si rotolarono sulla moquette della stanza, ormai nudi, prima di raggiungere il letto. Ogni presa era un bacio, un morso, un succhiotto, un gridolino, che ritardava l’arrivo all’agognato talamo. Si fermarono ai piedi della meta, perché Giangi la stava deliziando con un ditalino che le faceva strabuzzare gli occhi dal piacere.

Si contrasse e distese mille e mille volte, godendo del tocco delicato e profondo delle dita del partner che la penetravano. Sentì che non ce l’avrebbe fatta più a trattenersi, quando lui infilò la lingua nella fessura gonfia e arrossata dallo sfregamento. Fu l’attimo fatale. Eruppe e zampillò come una fontana, mentre il clitoride indurito si tendeva, fuoriuscendo dall’apice della vulva. Lei ne fu sorpresa, prima, poi atterrita. Quei getti provenivano dalle sue viscere e non le aveva mai viste. Mai nulla era uscito da lì dentro.

Ebbe la sensazione che si fosse liberata di qualcosa che l’aveva oppressa da sempre. Cazzo! È bello sborrare. Il liquido colloso intanto cementava l’amante al suo corpo. E lui, impigliato in quella fantastica rete che l’avvolgeva, si beava, tanto che volle provare a berne, mentre i flussi si ripetevano come una vera, lunga eiaculazione. Poi stampò la sua bocca su quella di lei, fradicia com’era del liquido dorato che non sapeva di piscio, bensì aveva il sapore di nettare e l’odore della fichetta che aveva leccato un attimo prima e che si affrettava, ora, a condividere con la compagna.

La sollevò di peso, mentre il cazzo indurito lo precedeva, ballonzolando, in cerca dell’ingresso che, nella foga, stentava a trovare. La poggiò brutalmente sul letto e la penetrò. Le schiaffò l’attrezzo, imbizzarrito dal piacere a cui anelava, nella fessura che si dilatava, pronta a partecipare al festino. Nanà lo attirò contro la vulva, artigliandosi con le unghie alla carne viva dei glutei del suo audace esploratore. Spinse tanto il povero Giangi che, così innestato, gli parve di giungere in Paradiso.

Poi, si dettero al galoppo. Di solito si vede chi cavalca e chi è cavalcato, ma in quel caso la foga era di entrambi e entrambi scudisciavano l’altro per indurlo a dare il meglio di sé. Le gambe alzate di lei che, da supina, si dilatava al massimo anche con le dita delle due mani per agevolare la penetrazione profonda. Sbuffando e soffiando, lei prese l’iniziativa, com’era abituata, e passò su di lui, in posizione eretta. Lo sovrastava con tutta irruenza. Nanà si infilò a candela su di lui, in cercava di soddisfare la sua smodata libidine, donandosi all’amante e centuplicando gli appetiti di lui. Sessi e di carni si arroventarono alla “braceria della passione”.

Erano due ossessi. Le carni sfrigolavano quasi, generando difficoltà al libero scorrimento dei corpi che solo l’abbondante sudore riusciva in qualche modo a superare. Nonostante l’aria fresca che sparava l’efficientissimo condizionatore, sudavano a fiotti. Nudi, stuzzicavano i loro sessi, stimolavano le loro parti erogene, masturbandosi vicendevolmente. Si provocavano, toccandosi nelle parti erogene fino ad accanirsi quasi con cattiveria, mandando l’altro in estasi, trattenendosi in prossimità dell’orgasmo, per poi ricominciare.

Giangi, disteso, col “pinnacolo” in erezione, attendeva lei che si accoccolasse, volgendogli le spalle. A perpendicolo su quella piramide di carne violacea, dura come la pietra, turgida di sangue, divaricò le labbra della fica, spalancandole tra l’indice e il pollice delle due mani. Zuuum. S’infilò su di lui, assumendone la stecca per intero, fino alle palle.

Un Samurai che avesse praticato il Seppuku, il lucido suicido, non avrebbe saputo fare di meglio. Infilò la testa del fallo di Giangi, spingendola fra le labbra della “fornace”. Assicuratale, saldamente all’ingresso, si precipitò sulla lama facendola scorrere nel ventre. La mannaia della ghigliottina filò giù, fino a schiacciare la sacca dello scroto. Harakiri!

A Giangi sembrò che la peggio l’aveva patita lui. Le sue palle avevano adempiuto al sacrificio. Si agitò per il colpo a sorpresa; strabuzzò gli occhi, emise un “Uff!”, restando col fiato mozzo. Lei stava troppo avanti con l’eccitazione e si dimenava, agitando il gingillo nel suo corpo, come un’indemoniata. La canna minacciava di schiantarsi ad ogni botta. Lui era un fantoccio in balia della turbinosa corrente del torrente in piena che lo travolgeva, sbattendolo giù, di balza in balza. A un tratto Nanà snudò la spada dell’amichetto e con estrema voglia si dilatò l’ano, premendo la testa dell’esterrefatto cazzone che restò di sotto, rincitrullito, ad ammirare lo sfintere dell’amante.

Un colpo di karaté e il buco era rotto. Lei tremava ora, più per il piacere che per il dolore. Provò a ballare su quel cazzo che stentava a sostenerla. Il bruciore la prese! Si sentiva ardere, ma andò avanti imperterrita. E fece bene, perché ben presto il dolore si trasformò in goduria quando il glande ebbe superata la strettoia. Continuò a smaniare, danzando per il suo Giangi che quasi veniva a mancare per il piacere e per la fatica di quel rapporto selvaggio.

“Cazzo, che donna!” ebbe un barlume di coscienza, Giangi, ma fu travolto dal frenetico andirivieni di chiappe e seni che gli sfuggivano e lo invadevano da tutte le parti. Non sapeva dove mettere le mani. Fra capezzoli, chiappe, fica, ventre, culo, chiappe…ma quante ne aveva! Le dita erano dieci ma non bastavano per tutti i buchi che dovevano tappare.

Stava quasi per esplodere, quando Nanà, rapida come una scimmia in calore, si girò di centottanta gradi e incollò le labbra sulle sue, mentre la sua mano indirizzava la lancia dell’idrante nelle profondità del pozzo senza fine della sua “natura” vogliosa.

Giangi non resse più e, questa volta, furono fuochi d’artificio davvero. Il palo, infisso nelle profondità oscure di quel “misterioso antro”, aveva funzionato da esca e il detonatore aveva fatto il resto Gli sembrò che tutto intorno saltasse in aria, in mille girandole. Stringeva gli occhi ad ogni botto dietro le palpebre che restavano chiuse, mentre le immagini violente di lampi trapelavano fra le palpebre chiuse, brillando e spegnendosi senza soluzione di continuità, scuotendolo con i loro boati.

Il sangue tumultuava nelle arterie; il cervello era in subbuglio, mentre il cuore impazziva. Giangi si sentiva polverizzato, ridotto in mille schegge, mentre Nanà succhiava e beveva il midollo da quella fonte inesauribile che l’inondava, ebbra di piacere. Giangi gridò, forse; urlò, sicuramente, Nanà. Dopo di che per entrambi fu l’ascesa in Paradiso; sembrava levitassero. Ressero fino all’ultima goccia di frenesia. Poi, esanimi, accartocciati l’uno sull’altro, rantolarono, dimentichi di dove fossero.

Il respiro affannoso cominciò a regolarizzarsi. Si districarono da quell’intreccio di gambe, braccia, sessi e bocche. Si rivoltarono, supini, restando in una specie di trance. L’estasi li aveva disgregati, separando i loro corpi. Nudi, sembrò loro di restare sotto i fari abbaglianti che li perlustravano nella loro fantasia annichilita dal lungo, delizioso coito delirante.

La prima a riaversi fu Nanà, che, grata, ma esausta, si gettò sul torace del compagno, baciandolo appassionatamente. La “carcassa” di Giangi ebbe uno scossone, come se si fosse risentito di quel tocco. Ma era solo un riflesso condizionato dei centri nervosi nel subire la bollente pressione delle labbra di Nanà. Restarono, quindi, immobili, una sull’altro. Storditi, incoscienti! Di certo insensibili al mondo, estraneo alla loro esistenza.

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