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La capitana

By 19 Marzo 2012Dicembre 16th, 2019No Comments

 

 

 

Camminavo a testa bassa verso la stazione in silenzio. L’esame era andato male, mi sentivo frustrato. Stavo con la testa bassa quando mi sentì chiamare, alzai la testa e vidi una ragazza che mi salutava, risposi in modo stanco senza enfasi. Passai oltre guardando gli alberi spogli per il freddo, quando sentì una mano sulla spalla, mi girai incuriosito ma prima che potessi parlare, lei disse: 

“Cioè? Capisco che non ci vediamo da molto, ma addirittura non salutarmi!” davanti a me c’era una ragazza bionda con l’uniforme dell’esercito e io la fissavo come un ebete incapace di pensare.

Pian piano nella mia mente si affacciarono nitidi i ricordi delle superiori, mi sembrava difficile che la persona che ricordassi fosse lei, ma non vedevo altre associazioni possibili, la ragazza che una volta era una viziata oca giuliva ora era davanti a me con indosso una divisa dell’esercito.

“Sei proprio tu, Ale?”

“Si, sono io! Idiota” poteva avere l’uniforme invece dei vestiti da stilata ma restava la snob che avevo conosciuto

“Che ci fai qui?” le chiesi

“Ci lavoro. Sono un maresciallo dell’esercito italiano!”

“Com’è caduto in basso l’esercito” feci guardando in basso

“Non raccolgo la tua provocazione! Sei buono solo a perdere tempo” fece andando via

“I miei ragazzi non la pensano così” dissi al vento. Ancora più irritato ripresi la strada di casa con aria ancora più stanca e rabbuiata, mi ritrovai a vagare per la città senza meta a cercare di sbollire la rabbia, non mi andava di tornare a casa in quelle condizioni. Passeggiai per un po’ senza meta fino a quando lo stomaco non si fece sentire prepotentemente, lo stomaco aveva iniziato a protestare ed entrai nel primo locale che trovai, ero distante dalla mia zona e non mi andava di camminare ancora per tornarci o di cercare un preciso posto, volevo solo sedermi e mangiare, sentivo il forte bisogno di calmare quel desiderio, era l’ultimo stimolo animale che mi era rimasto. Dentro di me conservavo ancora il desiderio sessuale, ma non era più la stessa cosa ormai, da quando era successo, per me era cambiato tutto, per i medici non mi sarei mai più ripreso, ma io ero caparbio…che pensiero strano per uno come me, pensieri che non dovrei fare più, almeno per non farmi male.

Ora ero seduto a mangiarmi il mio panino e pensavo ad Alessandra, se non fossi così, se potessi fare quello che ho in mente, se… ma non è più così, quei tempi purtroppo sono passati. Al solo pensiero sento il calore spandersi per il corpo, mi sembra di entrare in lei, di sentirla godere sotto di me, mi vedo piegare la sua supremazia, il suo viso sconfitto, la sua forza ormai annientata, mentre mi supplica di continuare. Ricordi. Solo dolci ricordi. Possiedo ancora i miei souvenir, un orecchino, una ciocca di capelli, qualunque cosa mi ricordi le mie conquiste, una volta le donne si scioglievano sotto i miei colpi possenti, le punivo e loro erano contente, le domavo, possedevo il loro corpo e la loro mente, ora era tutto passato, quella notte era finito tutto, ricordavo ogni cosa, ogni dettaglio mi era rimasto in mente, indelebile, dimenticare era impossibile. Ricordavo tutto nonostante il frastuono, ogni movimento di quei bastardi era stampato nella mia mente, quando avevano buttato giù la porta, le loro facce a trovare quella troia in quella maniera, i capelli stravolti, il trucco sfatto, legata, imbavagliata mentre io la inculavo, ricordo le sue richieste di perdono per l’interruzione, al pensiero di quello che era accaduto dopo l’interruzione non era niente. Il tempo trascorre velocemente quando si ricorda e anche quella volta non fece eccezione, non avevo più tempo di andare a casa, presi la borsa e andai in piscina. 

Eccoli lì, i miei ragazzi che mi aspettano.

“Cominciamo! Riscaldamento da… da nuoto e mettetevi le calottine” vidi le loro facce tristi, speravano in un po’ di allenamento tecnico e invece, non sapevano minimamente cosa li aspettava. Si tuffarono e partirono, io andai in cerca di una sedia per godermi lo spettacolo in tranquillità, presi la rete con i palloni e li cominciai a studiare, per tre ore sentì solo la mia voce, ormai avevano imparato che non volevo sentire repliche, per tre ore lanciai palloni sulle loro teste a chi si fermava, protestava o cambiava il ritmo che avevo scelto. A fine allenamento erano stanchi morti, ma io mi ero sfogato. Quando avevo accettato quel posto, nell’attesa di riprendermi, non avrei mai pensato che ci avrei preso così gusto, ora non riuscivo ad immaginarmi in altre vesti, percepivo il potere scorrermi nelle vene, mi sentivo forte, mi sentivo padrone, signore di quei ragazzi. Ogni volta che li allenavo, avevo un orgasmo, un fantastico orgasmo, non avrei mai più potuto fare a meno di quelle emozioni. 

La sera, mentre finalmente mi riposavo, dopo quella giornata, mi squilla il cellulare.

“Pronto?”

“Roberto, sono il maresciallo Bernardi” rimasi un momento spiazzato.

“Ale dimmi” proferii cercando di mantenere la calma.

“Ti prego di rivolgerti a me mantenendo il grado che mi spetta!” mi sentivo le tempie pulsare, il sangue mi ribolliva nelle vene, come osava trattarmi in quel modo?

“Ho saputo che ora alleni”

“Si alleno ragazzini ma tu come lo sai?”

“Ho la mia intelligence. Voglio che mi alleni per le prove fisiche del concorso ufficiali”

“Di offerte di lavoro ne parlo sempre e solo di persona, maresciallo Bernardi!” feci a muso duro

“Vieni nel mio ufficio domani alle dieci. Sto…”

“Sono impegnato. Facciamo alle undici.” In realtà non avevo nessun impegno, ma per alcun motivo l’avrei assecondata. 

“Va bene. Dobbiamo solo stabilire il piano organizzativo” e attaccò. Io ripensavo alle sue parole, come osava? Dobbiamo? Non solo era convinta che del mio assenso, ma anche che le fosse concesso di mettere bocca nelle decisioni sull’allenamento, non aveva capito nulla. 

Il giorno dopo mi recai con calma nel suo ufficio, non avevo nessuna intenzione di arrivare puntuale, anzi più tardavo meglio sarebbe stato. 

L’ambiente era freddo, spartano, l’unica cosa riccamente arredata era la sua scrivania, non che la cosa m’interessasse, ma mi sarebbe piaciuto stare comodo quando le avrei sbattuto in faccia il mio no. Mi sedetti sulla sua sedia, piccola ma comoda, e attesi che tornasse. Cominciai a pensare a quali attenzioni si fosse riservata su quella sedia, perché che qualcuno la facesse oggetto di attenzioni mi risultava impossibile. Ero certo che gli unici orgasmi li aveva provati su quella sedia da sola. Me la immaginavo mentre cercava di penetrarsi, con sempre maggior forza, con un dildo, mentre spingeva per farlo entrare tutto. Ero assolutamente certo che dentro quell’animo di ghiaccio, si nascondesse una cagna in cerca di padrone. La porta si aprì e lei rimase immobile a fissarmi, era smarrita, ma si riprese subito.

“Quella è la mia sedia! Alzati subito!” 

“Chiudi la porta” risposi calmo

“Come ti permetti di darmi ordini?! Ma chi ti credi di essere?” Mi urlò in faccia rossa in viso

“Era solo un suggerimento… per evitare che tutti sentissero la discussione” rimase un attimo in silenzio e si girò per chiudere la porta, un balzo e le ero addosso, la schiacciai contro la porta e le afferrai la coda.

“Non ti permettere mai più di urlarmi in faccia! Chiaro?” Dissi tirandole i capelli. Lei si dimenava, ma non riusciva a liberarsi, era troppa la differenza di peso e di forza. 

“Ora ascolta bene. Io ti posso allenare ma dovrai rispettare delle regole e me le dovrai ripetere, chiaro?”

“Lasciami andare che mi metto a gridare!” mi feci indietro tirandomela dietro, mi sedetti sulla sedia e la tirai in basso, le feci alzare la testa e le dissi.

“Vuoi davvero che qualcuno entri e ti veda così? Schiava al mio cospetto!- rimase in silenzio ed io continuai- Regola numero uno: Io sono il tuo signore, quello che dico è legge. Regola numero due: Tu non conti un cazzo. Regola numero tre: Ogni volta che lo riterrò opportuno io ti punirò. Hai capito le regole? Ripetile!” più che parlare le bisbigliò, le affondai la faccia nel mio culo

“La prossima volta lo dovrai leccare. Ora ripeti le regole e fai in modo che io ti senta!” obbedì, ma vedevo chiaramente che non era domata, anzi era ancora più fiera di prima, ma l’avrei piegata. 

“Quando hai la riunione?”

“Fra dieci minuti” sorrisi

“Fammi uno spogliarello! E fai in modi che sia molto sensuale”

“Ma…” non fece in tempo a continuare che mi eri già abbassato pantaloni e mutande e avevo schiacciato la sua faccia contro il mio culo. La sentivo ribellarsi, ma la mia presa era salda e forte.

“Ora fai quello che ti ho detto!” Rimase immobile, la paura si stava facendo largo in lei, avevo visto già alte volte quella metamorfosi, iniziava sempre così, con la paura, con la speranza che non si possa fermare, poi subentra l’umiliazione e quando si spezza l’ultima resistenza, la vittima diventa solo un corpo, ma poi il piacere si fa largo e nuove sensazioni entrano in gioco, voglie sopite ed è così che diventano schiave, schiave del piacere e di com’è arrivato.

Alessandra stava al centro della stanza a fissarmi con odio, reggeva il mio sguardo, con la voce più dolce che potevo, le dissi:

“Per allenarti devo vedere come sei fatta e come ti muovi. Non vorrai dirmi che sei così pudica?” l’avevo punta nell’orgoglio, perché con un gesto secco si aprì la giacca e iniziò uno spogliarello tremendamente sexy, io stavo lì a fissarla che si dimenava quando mi accorsi che le piaceva, il suo corpo si stava eccitando così all’improvviso l’afferrai per i capelli interrompendola

“Adesso vai alla riunione! E vedi di non godere troppo! Ti aspetto alle ventidue in piscina” le dissi mentre uscivo annusando la mia mano, chiusi la porta e me andai per la mia strada.

Andai in piscina e mi sedetti sulle gradinate ad aspettare l’orario, dovevo elaborare una strategia e non mi ero rimasto molto tempo.

 

 

 

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