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Racconti di DominazioneRacconti Erotici Etero

La compagna del Liceo

By 24 Agosto 2016Dicembre 16th, 2019No Comments

Il giorno che uscirono i risultati della Maturità, non ero nervoso per il voto. Come tutti, i conti in tasca me li ero fatti, e mi dirigevo verso l’istituto con una vaga idea di quel che avrei avuto davanti. Quel che mi rendeva nervoso, sul mio vissuto scooterino, era che avrei rivisto tutti i miei compagni per l’ultima volta. O una delle ultime.

Certo, si parlava di fare una bella cena di classe, si prometteva frequentazione eterna, ma si sa benissimo che tra chi va via per l’università, chi non vede l’ora di dimenticarsi dei compagni, alla fine ci si sarebbe persi per strada. Non disperavo di non vedere più certe facce nemmeno io, ma disperavo di non vedere più lei, la mia cotta.

In una classe ambosessi numerosa con una lieve maggioranza maschile, le fanciulle della 5A erano ovviamente un argomento molto gettonato tra noialtri.
Che tra insicurezze e foruncoli stilavamo classifiche, opinioni, e trivialità.
Sandra? Simpatica e passa i compiti, ma inappetibile. Laura? Carina bambolotta, ma già impegnata con Alessandro, fortunato lui.
Lucia? Ma Lucia sarà davvero una donna?
Fabrizia e Marta, la coppia di super amiche? Se parli a una, risponde l’altra…

Insomma, scherzavamo su tutte, le avremmo inseguite quasi tutte. Come noi, chiunque di ogni classe con le nostre compagne e viceversa. Erano gli anni dell’ormone sull’acceleratore, entravi ragazzino e uscivi con un po’ di barba, entravano fanciulline e uscivano quasi donne.
C’era il figlio di papà con la moto fighetta e lo sfigato con lo scooter del fratello (indovinate chi?), quello che metteva su muscoli e sembrava un figo spaziale e quello che sembrava crescere come un pioppo e basta (indovinate chi?)…

Ma soprattutto c’era lei. I professori la amavano perché era una quasi studentessa modello, qualche compagna perché era la tipa da tenersi buona, di ottima famiglia e reputazione, molti del Liceo perché era bella, io perché ero semplicemente cotto.
Si chiamava Selene, madre francese, padre di Roma, aveva vissuto per qualche anno nella capitale prima di finire in una città non proprio alla ribalta della cronaca dopo il divorzio dei suoi.
Non era molto alta ma già a metà del Liceo il suo seno era più curvo delle altre, così come il sederotto ondeggiante su cui arrivavano quasi dei lunghi capelli castani liscissimi che incorniciavano un visetto ovale, sorridente, dalle labbrotte polpose a cuoricino e con degli occhi castano-verdastri che mi facevano tremare il cuore ogni volta che ci guardavamo.

Il tutto sempre ben vestito, ben accomodato, alla moda. Spesso imitata o d’ispirazione per altre, come il giorno in cui arrivò bionda e nel giro di una settimana ci trovammo in una classe di Barbie.

In tutto questo, e qui stava quasi l’incredibile, era sempre molto gentile con tutti, disponibile, aveva salvato più di una pelle in qualche verifica con segni veloci delle sue dita lunghe e affusolate per indicare le risposte giuste, o precisi lanci di bigliettini.
“ti amo, cazzo” avevo bisbigliato durante la prova di italiano quando mi aveva silurato un foglietto con qualche data delle opere del tizio della traccia. Ero diventato di un rosso così acceso che era impossibile non capire che si, non era un modo di dire per me.

Mi ero fatto avanti? Si e non solo io, ma a parte un mese con un tizio di un’altra classe, non pareva uscisse con nessuno. Con me meno che mai. Le volte che le avevo chiesto -con scuse idiote e imbecilli- di uscire, aveva sempre declinato. Ma non era mai una confessione aperta, non era mai un due di picche.
O forse si, ma sapete come funziona. Ci si spera sempre.

Posteggiai lo scooter con un rumore di freni preoccupante di fronte al Liceo, misi la catena che valeva più del mezzo stesso, ed entrai.
Riconobbi subito quella schiena in un vestitino estivo senza fronzoli… “Ciao a tutti!” Dissi, salutando con la mano il gruppetto di compagni di scuola attorno a lei.
“Ciao!!” Salutò lei, girandosi con un sorriso che avrei ucciso per vedere altre volte.
Il mio amico Roberto ruppe la magia. “indovina chi ha preso cento?”
“io no di sicuro, a meno che non abbiano sbagliato il tabellone” risposi alzando le spalle e facendola ridere.
Altro colpo al cuore. “secondo me, Lene.” Aggiunsi indicandola mentre Roberto annuiva.

Era piuttosto ovvio, visti i voti delle tre prove e un orale che difficilmente poteva essere un disastro per lei. Mi complimentai sinceramente e poi presi atto del mio voto con un certo sollievo.

“Beh dai, solo venti punti sotto Lene!!” Indicai il tabellone. “… Cosa vuoi che siano venti??”
“dipende da cosa sono…” Ironizzò Andrea, una delle facce che speravo di non rivedere. “… Ma non penso tu sappia di che parlo!”

Ora, dovete sapere che per tutti i complessi e le insicurezze che avessi all’epoca, quella del contenuto delle mie mutande non era proprio nell’elenco.
Principalmente perché misure ‘alla mano’ ero decisamente fortunato, il problema era tutto intorno.
Il mio pisello poteva pure ergersi ben sopra la media dell’età o in totale, ma se lo faceva su qualcuno che riusciva a chiedere a Selene se volesse uscire per comprare la pettorina per il cane come migliore scusa…

“Perché contare fino a venti se sai di dover andare oltre? Non ti serve contare tutti i numeri fino a cento per arrivare a cento!” Squillò ironica la voce di Selene, poggiando una mano sulla mia spalla. La cosa confuse ovviamente me che Andrea.
“Lene, cosa??” Disse aspro.
“Credo che abbia appena detto che Nicola ha il pene più grande di 20 centimetri.” Commentò Roberto con un’espressione confusa. “Come maturanda sei una bomba, ma come battutista fai schifo.” Concluse l’amico.

Il battibecco si spense velocemente con l’arrivo di altri e battute di ogni genere, accordi sulla cena di classe e chissà che altre cazzate. Io stavo a mezzo metro da terra. La maturità era passata, Lene mi aveva difeso in maniera insospettabile, e la mia spalla si sentiva toccata da un angelo.
E nelle mutande, qualcosa invidiava molto la spalla.

Tornai a casa con un’erezione dolorosa, non solo perché la sella dello scooter non era al suo massimo, ma anche una volta in bagno, mi bloccai.
Sapete? Selene mi eccitava, mi piaceva, ma non riuscivo a darmi piacere pensando a lei. Era quasi come un senso di colpa. Stupido, forse.

“Stupido!” Mi dissi, tre giorni dopo, quando davanti la pizzeria appresi che Lene non c’era. Avrei dovuto parlarle! Avrei dovuto giocarmi il tutto e per tutto, e invece speravo nella cena, nel giro in centro dopo, magari in un passaggio a casa, anche se reputavo il mio scooter indegno di quelle chiappe.
“So che andava a Roma da suo padre!” Spiegò una delle ragazze.
“Che stronza!” Sbottò Roberto “Voglio dire, o &egrave morto il criceto a cui era affezionata oppure lo sapeva poteva dirlo!”
“… Non dirlo a me!” Sospirai.
All’epoca non era proprio immediato che ci si sentisse su telefonino o altro. Avevo il suo numero e mi ripromisi di salutarla via SMS, ma poi si ricadeva nello stesso problema solito della mia timidezza.

Il giorno dopo via SMS scrissi a Lene che mi spiaceva non averla salutata, rispose che le spiaceva ma era dovuta scendere che tanto ci si sentiva, qualche uscita di classe…

Le uscite di classe ci furono, con defezioni o meno, gli incontri, gli amici che rimanevano, ma Selene non si faceva mai vedere.
La cotta scivolò via sostituita da altre, dagli amori, dal sesso, dalla vita…

… BIPIPIP!
il cellulare trillava un messaggio di primo mattino. Mi allungai nel letto di pessimo umore.
oh cazzone, si parla di una cena di classe, tu vieni? Tipo tre due settimane, che sono 14 giorni circa per te che sei stordito.

Sorrisi al solito tono idiota di Roberto, nonostante la decina di anni passati dal Liceo era ancora un amico. Certo ora vivevo in un’altra città, lui era pure ammogliato, ma quando capitava di potersi vedere lo facevo volentieri.

E così 14 giorni dopo eccomi davanti ad un ristorante, in una sera di fine estate, a fissare un grillo obeso sul marciapiede, pensando se pantaloni e camicia sia un azzardo visto il tempo incerto.
“Non credo nel potere degli ombrelli” avevo risposto ad un basito venditore ambulante andando al locale, ma forse avrei dovuto pensarci, mi dissi sentendo un tuono lontano.
Roberto si palesò con Giulia, la sua dolce metà, e poi Andrea (purtroppo), e le due amichette inseparabili, e quello e l’altro e il fidanzato di tizia e la moglie di caio…
“C’&egrave gente che neanche mi ricordavo, o &egrave invecchiata male…” Sussurrai all’orecchio di Roberto.
Effettivamente tra qualche stempiatura importante e qualche trucco esagerato, qualcuno di noi sembrava avere più anni di quelli che si portava addosso realmente.
“e qualcuno &egrave migliorato con gli anni!” Rispose Roberto dandomi una gomitata nella pancia. “dieci anni fa il tuo fisico da tiratore di coriandoli anoressico era proprio un bel vedere!!” Ridemmo entrambi.
In effetti lo sviluppo e lo sport, scoperto all’Università, mi avevano fatto mettere su un fisico che mi inorgogliva e non spiaceva alle donne. E tutto questo combatteva la mia timidezza non di poco.

Dopo una distribuzione di posti a sedere, andai al bagno per lavarmi le mani, aprii la porta e… BEM! Scontro frontale!
“Oh!! Scusi!!” Squittì una voce femminile. Per un istante non realizzai che quegli occhi che si alzavano un poco per guardarmi erano quelli che anni prima mi tormentavano nei sogni.
“… Selene??”
“Nicola??”

Era proprio lei, ed era uno schianto. La ragazza che mi pareva cosi splendida era diventata una giovane donna assolutamente splendida.
Il fisico aveva perso qualcosa della rotondità accennata dello sviluppo, si era alzata, e le sue curve erano, beh, erano un sogno.
La bocca carnosa era rimasta uguale, il viso era splendente e morbido, forse un pelo più pronunciato agli zigomi, ma stava sorridendo.
“Caz… Accidenti!! Ma sei venuta!!” Dissi abbracciandola forte.
“Sì, insomma, sembra un po’ un anniversario…” Disse sorridendo.

Benedissi la maggiore esperienza di vita e con le signore, durante la cena. Riuscivo a parlare con tutti e con Selene, scoprendo che viveva quasi tutto l’anno nella città natale di sua madre, ed era una mezza direttrice di un ufficio.
Sorrideva e rideva alle battute, cortese come sempre, ma era diversa, e anche io lo ero.
Un angolo del mio cervello non aveva notato solo che ora Selene sculettava in un abitino stretto color blu scuro, ma che nessuno stava cingendo quei fianchi sinuosi.
“e tu? Fidanzata o divertimenti? Disse sorridendo. Un paio di battute di Roberto a un altro compagno di classe avevano portato l’argomento ‘tizi e tizie fighe’ alla ribalta.

“Un paio di storie, e sarei stato felice continuassero… Ma insomma, diciamo che per ora non ho sbattuto contro la persona giusta con cui stare” dissi alzando le spalle e versandole da bere. “E tu?”
“Diciamo che sono felice di essermi liberata di qualcuno… Ma ti assicuro che sei bravissimo a sbattere contro le persone!” Sorrise Selene, prima di bere un sorso fissandomi.
La guardai, mentre prendeva corpo sempre più l’idea di osare, quella sera. Non eravamo due liceali, eravamo sue persone adulte…
Un rumore secco e potente fuori dal locale precedette di un millisecondo un buio totale e completo, mentre allarmi di auto scattavano ovunque.

“&egrave saltata la luce!” disse una voce. “Grazie, Lapalice!” ironizzo Roberto da qualche parte.
“Nicola?” Disse una voce accanto a me. Una mano mi tastò il braccio.
“Lene? A posto?” Chiesi. La mano corse un po’ sull’avambraccio, toccandolo. “Ehi, ne hai messi di muscoli!” Sussurrò, nel rumore degli allarmi. Ristetti, mentre la mani di Lene toccava il mio braccio, la spalla, per poi correre via velocemente.
“Scu… Scusa.” Uggiolò nel buio. “Non… Scusami!”
“Ehi, di cosa? Grazie del complimento!” Dissi sorridendo dove pensavo si trovasse.
Per fortuna quando si accesero le prime luci dei telefonini tutti badarono a vedere se le borse fossero a posto e a non far cadere bottiglie, perché se avessero illuminato il sottoscritto, avrebbero visto un’erezione da record tirarmi i pantaloni… I minuti dopo la defezione della corrente elettrica furono surreali. Il locale buio in cui il gestore spiegava affettatamente di aver appena mandato qualcuno a ripristinare la corrente, i telefonini che illuminavano a fasci casuali borse, visi, cose.
Roberto si portò praticamente con la faccia in un bicchiere per essere sicuro di versare del vino senza rovesciarne, la gente ridacchiava, e nell’ombra io fissai un po’ Selene.
“Tutte così le cene di classe?” Sorrise guardando una delle ex compagne rovesciare la sedia senza un motivo.
“…No, di solito finisce che Roberto imita qualche professore, ricordiamo cose imbarazzanti e tutti a casa”
Lei scoppiò a ridere. “cose imbarazzanti… Come?”
Roberto colse la palla al balzo, illuminandosi il viso dal basso come raccontasse una storia dell’orrore.

“Ad esempio di quel lunedì in cui Pietrangelo arrivò in palestra con pantaloni e boxer con l’elastico rotto, e si chinò davanti a tutti per raccogliere la palla medica!!”
Una risata accolse il terribile ricordo dello sformatissimo e peloso insegnante di ginnastica e del mezzo culo mostrato a tutti.
“Oppure della volta che Fabia &egrave riuscita a ubriacarsi con lo spumante per Natale!” ghignò Selene all’indirizzo di una scornata compagna.
“Due dita e già cantava!” Convenni io versandomi da bere a tentoni. Ricordavo la bottiglia e la brocchetta del vino verso Lene, ma Roberto stava aiutando la moglie a trovare non so cosa in borsetta e quindi non avevo alcuna assistenza.

Disastro annunciato.
Trovai la brocchetta di vino della casa con il dorso della mano, la brocca trovò comodo sdraiarsi sul tavolo, il vino trovò adeguato finire su Selene, che si alzò di scatto urlando dallo spavento.
“E bravo Nicola!!” Urlò Andrea. “Il premio per il disastro della serata va a…”
“Oh, vai a farti fottere, Andre!” Saettò una voce cristallina nella sala, facendomi sobbalzare. Non credevo che Lene potesse mai sbottare così. Per me era rimasta cristallizzata nella sua cordiale gentilezza adolescenziale.

“Scusami Lene!!” Sussurrai a bassa voce, timoroso. Il telefono di Roberto mostrò a tutti il mio avvampare di imbarazzo e l’ampia macchia scura che decorava il vestito, facendolo aderire ancora di più a un pancino piatto e anche a un po’ di coscia. Il sangue non affluiva corposamente solo al mio viso arrossato.

“Dici che questa roba macchia?” Chiese Lene alla moglie di Roberto, le due si misero a tamponare il vestito, e io mi feci da parte.
“Potevi beccarle le tette, Nick…” sibilò con un sorriso il mio amico.
“Non sai con cosa vorrei beccarle le tette ora…” risposi a mezza voce.

La luce tornò, finalmente, e Roberto mi fece solo un gesto con le dita, indicando gli anni passati a sospirare dietro Lene, con la pura espressione del “non ce la farai mai”.

Qualche minuto dopo l’attenzione non era già più sulla luce saltata o su Lene, bevemmo qualcosa mentre qualcuno già salutava.
“Mi sa che vado anche io, devo chiamare un taxi, ma meglio andare prima che fuori piova ancora di più… Non che sia asciutta!” Pungolò con un sorrisetto.
Avvampai di nuovo. Ora o mai più.
“Ho l’auto qui vicina, ti prendo su io e ti accompagno a casa.”

Scosse la testa gentilmente. “No dai lascia…” Negò con una mano. Posai la mia sulla sua con decisione.
“Poche cazzate, Lene. Non ti vedo da anni e riesco a rovinarti un vestito, ho la macchina qui dietro, perché devi aspettare il taxi e spendere soldi. Ti porto io e basta.”
Mi alzai in piedi per andare a pagare la mia parte da Fabia che teneva i conti mentre Selene stava seduta senza dire niente con un’espressione curiosa in volto.

Una ventina di minuti dopo si sedeva accanto a me in auto, in un fruscio setoso del vestito, tutta di fretta.
Il temporale imperversava.
“Siamo quasi pari” scherzai io mentre metteva la cintura. Mi ero bagnato non poco per recuperare l’auto, correndo sotto la pioggia scrosciante. Selene sorrise “almeno tu non puzzi di vinello del discount!”

“Dai, era vino della casa, come fai a dire cosi!” Risi io, mettendomi a guidare.
“Sono di mamma francese, me ne intendo di vini!!” Rispose con una linguaccia.
“Viva i luoghi comuni… E io sono italiano, ma non sono un grande navigatore. Dove ti porto?”

Selene rispose piano, quasi imbarazzata. “Hai presente il l’Hotel sul viale verso la stazione?”
“Il Plutone? Cazzo Lene, ma li ci vanno solo le prostitute e le coppiette inquietanti! Se tocchi un rubinetto prendi la rogna!!” Dissi preoccupato.
“O dici il Morgana? Quello &egrave per i signori!”
Selene rise di gusto “Perché, non sono una signora?” mi trafisse con uno sguardo furbetto.

Avvampai e dovetti trattenermi dal saltarle addosso.
“Sei… Sei Lene! Signora fa un po’ vecchio no?”
“Sto dopo gli altri alberghi, sto al Safari, come quel gioco da tavolo. Sono tornata praticamente solo per la cena di classe.”

Mi misi in direzione della stazione in silenzio, ma ero troppo eccitato, in tutti i sensi, per stare zitto.
“Perché non volevi ti accompagnassi?”
“Beh sto in albergo…”
“E quindi? Di che devi vergognarti?”
Selene stette zitta per un minuto, guardando fuori dal finestrino.

“Ho tagliato i ponti con tutti, Nick… Ma non mi va che tutti sappiano che qui neanche ho una casa, che non conosco più nessuno.”
Sorrisi amaramente. “Già, com’era quella cosa? Se con Selene non vi siete mai visti…”
… &egrave perché tu non esisti. Chi se l’era inventata, Roberto??” Chiuse lei con uno sbuffo dal nasino a punta.
Sterzai verso il viale della stazione quasi scivolando nello strato di acqua, aumentando al massimo la velocità dei tergicristalli.
“E chi se no? Cazzo Lene, al liceo eri sempre conosciuta da tutti, ti conosceva il mondo, eri sempre così una spanna sopra di noi… Secondo me tutte le nostre compagne ti odiavano di brutto ma poi erano tutte un amore”
“Beh loro non mi hanno mai detto ‘ti amo, cazzo’…” Sussurrò Lene facendomi quasi finire fuori strada.
Rosso come un pomodoro non risposi per tutto il tempo fino sotto il Safari. Posteggiai tra due auto a lato strada mentre la pioggia scrosciava fortissima.

La guardai illuminata dai lampioni, la luce danzava marezzata dalle gocce d’acqua sui vetri.
Mettendo da parte il mio debole per lei, era davvero, davvero bella. Cazzo se la volevo.
“… Ero cotto di te, Lene. Mi facevi tremare anche se mi chiedevi l’ora. Ti trovavo bellissima e per me eri due spanne sopra gli altri. Davvero cotto. Però non mi facevo avanti e non penso ti interessassi. Volevo smettere di starti cosi sotto ma era impossibile!” Risi di gusto. “… Ecco, adesso non ci &egrave voluto un cazzo per dirtelo.”
Lei sorrise. “Vuol dire che non ti faccio più effetto?” sussurrò piano, inclinando la testa curiosa.

“… Non ho detto questo.” Risposi. La sua mano con le ditina dolci e affusolate si allungò sulla mia coscia, rallentò, ma proseguì sul mio inguine.
“… Allora &egrave un effetto diverso…” Ghignò, stringendo la mano imbraccialettata.

“Lene…” Sospirai. “…Non…”

TOC TOC TOC TOC!!
Sobbalzammo tutti e due quando il portiere dell’albergo bussò sul finestrino, sotto un grosso ombrello.

“Vi ho visti fermi e pensavo foste senza ombrello!!”
Non faceva che ripetere orgoglioso di sé il tarchiato ometto che ci era venuto a prendere dall’ingresso.
Selene lo ringraziò ancora una volta, mentre io guardavo istupidito la grande hall.
“Questo posto &egrave tutto nuovo… Hai detto cinque stelle? Cazzo…” Bofonchiai, nelle mie maniche di camicia sembravo uno che si era perso ed era entrato a chiedere informazioni.
“B&egrave, io… Meglio che, che vada, insomma…” Dissi accorgendomi che mi fissava, nel suo vestitino blu, il fisico a clessidra, lo sguardo divertito.

“…Piove.”
“Sì lo so che piove.”
“Chiedo al portiere se ti accompagna?”
“Umh no, penso di non sciogliermi…”
“Sei tutto bagnato da prima.”
“Anche tu…”
Selene sorrise riavviandosi i capelli sulla fronte, in un tintinnare di orecchini a cerchio.
“… Io vado in camera ad asciugarmi, &egrave questo che fanno le persone se si bagnano. Tu sei bagnato.”
“…”
Lene si girò con un colpo di anche, staccheggiando un paio di passi, prima di girarsi.
“… Non vuoi vedere la stanza di un hotel cinque stelle?” Disse, sorridendo ammaliante… Così, salii con lei in ascensore diviso tra il desiderio di sbatterla al muro, e ancora una sorta di dubbio filosofico sul farlo.
Chiamiamolo “imprinting”: il mio cervello aveva elaborato Selene negli anni del Liceo come una sorta di figura deliziosa, quasi angelica, bella, intelligente, cordiale, gentile, di cui si era totalmente cotto e ricotto, che la desiderava ma come si desidera qualcuno quando sei giovane, imbranato e timido, e quasi un po’ “na’f”.
Insomma, Selene era stata idealizzata come qualcosa su cui mai avrei messo mano, o bocca, o altre parti anatomiche, e dopo il Liceo e non l’averla più vista, non &egrave che quella parte della mia mente avesse avuto proprio di che pensarci.

Ma ora eravamo lì, due persone con un po’ di anni e di esperienze (le mie le sapevo, le sue?) sulle spalle, e lei sembrava emanare un’aura diversa da quella con cui l’avevamo sempre vista a scuola. Flirtava con me, evidentemente, o voleva solo provocare? Mi voleva? La volevo?

“Che dici, usciamo di qui?” disse Lene con una risatina, fissandomi mentre usciva dall’ascensore ormai arrivato al suo piano. Probabilmente l’avevo guardata nel riflesso dello specchio tutto il tempo della salita, senza dire niente.
No, complimenti Nick, proprio così si fa… Idiota.
“Scusa, ero distratto…”
“Oh, a me parevi molto concentrato!” ribatt&egrave lei con un’alzatina di sopracciglia che rimescolò di nuovo tutto il sangue nel mio corpo.
Per fortuna l’ingresso nella sua camera diede una specie di tregua a quel gioco al massacro (mio), complimentai la camera, il lusso evidente ma non pacchiano od ostentato del mobilio.

“Lene, certo che ti tratti bene…” sogghignai, considerando che per una o due notti al massimo si era procurata praticamente una suite imperiale extralusso. Lei mi passò davanti ondeggiando quel culo meraviglioso inguainato nel suo vestito blu, posando la borsa su una poltroncina, alzando il mento altezzosa con un sorrisetto sulle labbra.
“… Certo! Io cerco sempre il meglio!”
Scoppiai a ridere. “E guarda chi ti trovi in camera! Uno che neanche si ricorda di tenere un ombrello nel bagagliaio della macchina quando danno pioggia da una settimana, e ti fa arrivare qui bagnata!”

Lene si voltò dopo aver lasciato il telefonino sulla piccola consolle di fianco alla poltrona, con un ondeggiare di capelli setosi e lucidi e uno sguardo che mai avrei pensato di vederle addosso, e poche volte avevo visto in altre donne.
“Oh, ma essere bagnata non dipende solo dalla pioggia…” sussurrò, portandosi una mano imbraccialettata sulla stoffa blu ad altezza dell’inguine.

A quel punto, ovviamente, persi la testa.
Andai da Selene attraversando la stanza con un paio di passi lunghi e ben distesi, abbrancandola per un fianco e per la nuca, e senza pensarci, la baciai.
La distanza tra la mia bocca e la sua era sempre stata come un muro invisibile e impossibile, al Liceo l’idea di appiopparle un bacio nei momenti (così imbarazzati ma agognati…) di vicinanza era quasi un sogno impossibile, la sua bocca non era per me, chissà se lo poteva essere, chissà se Selene, quella figura quasi angelica di cui altri (forse) potevano godere e amare, riamati, baciava…

… Baciava altroché, Lene, baciava con una foga animalesca, baciava piantandomi le unghie nel collo e sospirando quando mi staccavo dalla sua bocca per andare sul collo morbido e profumato, sfiorandolo con la lingua, e inciampando sempre nella sua collana.
Non &egrave che volessi leccare proprio dell’argento (se argento era) ma Lene gradiva altroché quei repentini abbandoni per dedicarsi a solleticare altro di lei.

Probabilmente la foga durò meno di dieci minuti, prima che si staccasse da me quasi con forza.
“Oddio, ma cosa sto…” piagnucolò lei, mentre la fissavo con un’espressione chiarissima in volto. “… Sì, cio&egrave, so cosa…” disse scostandosi una ciocca dal viso accaldato. “… Io, io non sono ancora…”
Perfetto, Nick, riesci a mandare le donne in delirio in camera da letto in ogni senso tranne quello che ci si aspetterebbe!

“Ferma! Stop! Lene!” dissi, alzando un attimo la voce, facendo calare il silenzio. “Ci siamo?” dissi dopo una decina di secondi. Lene annuì.
“Da quando mi sono lasciata con il mio fidanzato non sono ancora andata a letto con nessuno.” disse, rapidissimamente. “Ho voglia, e sono single, e… Ma ho paura di non essere ancora pronta…”
In parte, mi dissi, potevo capirla.
“Da quanto vi siete lasciati?” dissi, gentilmente.
“Un anno e qualcosina…”
No, col cazzo che la capivo.
“E… E non &egrave che a letto andassimo alla grande da, tipo, mai…”
Perfetto, adesso non la capivo e avevo una voglia che non saprei descrivervi.

“Bene. Bene…” dissi, con un sospiro calmo. “… Mettiti nei miei panni, Lene” mi avvicinai.
“Vedo dopo quasi dieci anni la mia cotta del Liceo, e non solo riesco a dirle che le morivo dietro, ma lei sembra anche interessata a me. Quindi sono intimorito e lusingato. Finiamo nella sua camera d’albergo dove mi provoca e ci diamo a baciarci e strizzarci con foga, per poi spingermi via e dirmi che non si sente pronta.”

Lene sorrise imbarazzata, sedendosi sul letto.
“… Lo so, sono pazza… Sarai incazzatissimo…”
“No, no, non sono incazzatissimo, non &egrave mica qualcosa di dovuto… Però, tanto per chiarire, la mia cotta del Liceo mi dice anche che &egrave da un anno ‘e qualcosina’ che non ha nessun tipo di rapporto, e non &egrave che prima vedesse le stelle a letto…”
Selene si asciugò una piccola lacrima dall’occhio, guardando il pavimento. “Non volevo rovinarti la serata…” disse, mentre ormai ero di fronte a lei.

Risi nervosamente.
“No, non stai capendo un accidente… Io non sono mai stato più arrapato di così, Lene! Io voglio farti urlare tutta la notte, e domattina ti sveglio con la mia lingua nelle tue mutande -sempre che ti lasci indossare di nuovo delle mutande!” dissi, prendendole la nuca in mano e alzandole lo sguardo, prima di spingerla e farla cadere sul letto, salendole poi un poco a cavalcioni.
“Dimmi solo se vuoi che ti spogli prima che ti vada a leccare quella fichetta fradicia.” sibilai sulla sua bocca.
Selene sospirò avidamente, stringendo il tessuto della mia camicia. “Oddio mi fai impazzire così…”
“Così come…?” sorrisi, scorrendo una mano sul tessuto serico del suo abitino, molto lentamente, avvicinandomi all’inguine che immaginavo bollente come il mio
“… Così deciso…”
“Allora non dovrei chiedere a te. Dammi un bacio, che ora vado a buttarmi tra le tue cosce e sarò molto occupato.”

Selene si abbrancò di nuovo a me, ci baciammo forsennatamente mentre le palpavo l’inguine da sopra, e poi da sotto, l’orlo dell’abitino attillato…

Confesso che mi tremavano un poco le mani, nonostante le mie “decise parole” di un attimo prima, nell’alzare un po’ l’abitino di Selene e ammirarle l’intimo. Quell’intimo che occhieggiava al massimo da un jeans un poco più a vita bassa quando stava seduta di fronte a me in classe, o in qualche fugace apparizione durante l’ora di educazione fisica…
Ma qui parlavamo della Selene del Liceo, quella davanti a me era la Selene di adesso, e non fissai lo sguardo su una mutandina con un pizzo un po’ accennato, quasi virginale, ma su un elaborato intrico di ricami e motivi floreali, di pizzo e raso, di curve e aderenze, insomma, di qualcosa di complesso e affascinante nel suo gioco di vedo e non vedo.
“Cazzo… Autoreggenti…” pensai tra me e me notando come quelli che davo per collant in realtà fossero un capo di abbigliamento femminile assai intrigante, se sulle gambe giuste.
E le sue lo erano alla grande, anche se non era una stanga di due metri. Scorsi lentamente le mani sulle cosce, carezzando sempre più verso le sue intimità, fino a passare un dito lungo l’elastico che proteggeva l’interno coscia, per scivolare sopra il tessuto e fare lo stesso dall’altra parte.
Le intimità di Lene erano caldissime, e lei sospirava di quelle carezze così esterne, così accennate… Notai che si portava le belle mani sull’elastico e lo calava di un poco.

Capisco, carina, vuoi proprio sbattermela in faccia? E va bene… Vediamo un po’…

Toccai le sue dita facendola sussultare un poco e presi il suo posto nella lenta operazione di smutandamento. Piano, piano, piano, svelai al mio sguardo nella penombra dell’orlo del vestitino, la rorida e vogliosa fichetta di Selene.
Adorata, idealizzata, sognata, all’epoca del Liceo totalmente sconosciuta, e ora lì, davanti a me.
Curatissima, come ci si poteva aspettare da una ex compagna del Liceo che ricopiava gli appunti in bella (rendiamoci conto che per me “in bella” voleva dire averli scritti tutti su fogli uguali) era deliziata da una strisciolina di corti peli castano chiari, e le grandi labbra che chiudevano totalmente la visione. Una riga, una fessurina.

“Una fichetta timida…” sussurrai con un sorriso, facendola ridacchiare, mentre la sfioravo con un dito. “… Una fichetta timida e fradicia.” mi corressi, notando l’abbondante secrezione anche nelle nere mutandine che sfilai non senza qualche lieve difficoltà dalle belle gambe con ancora su le scarpe.
Mi rimisi a carezzarla dolcemente, perché anche se nelle mie mutande stava sorgendo il desiderio di piombarle addosso senza alcun mezzo termine, mi rendevo conto che stavo avendo lei, Selene, e quasi in rispetto di tutto quello che mi aveva fatto sospirare, l’avrei portata all’estasi con tutte le mie capacità.
E, sempre per tutto quel che mi aveva fatto sospirare, l’avrei portata ad implorare di essere portata all’estasi.

La vendetta si gusta fredda, anche se quel che sentii con la bocca al primo lento bacio su quelle labbra era tutto meno che freddo… Mi dedicai a baciare la fichetta bollente di Selene per qualche minuto, più per la curiosità di lasciarla aspettare ancora un po’ che per un reale desiderio di attendere. Spiai sopra il suo bacino la bocca semiaperta in un sospiro mentre con un paio di dita carezzavo le grandi labbra solleticando lievissimamente la pelle sensibile e irrorata dal sangue e dal desiderio.
Millimetro dopo millimetro, il polpastrello del dito medio scorreva lentamente dall’alto al basso, per staccarsi, risalire e scendere di nuovo carezzando, ogni volta con un po’ più di profondità. Avrei fatto piangere Selene di affondarle un dito nei primi centimetri di tessuto sensibile, avrebbe dovuto implorarmi tra qualche minuto di toccarla dentro…
“… Mi fai morire…” piagnucolarono le labbra di Lene, più in là nel letto.
“… No…” con l’indice e il medio dischiusi per la prima volta le labbra, lasciando fare capolino ad un piccolo rorido bottoncino, la clitoride di Selene che mi occhieggiava quasi timida, adorabile, a suo modo tenera.
E teneramente le poggiai un dito sopra, scorrendolo pianissimo in circolo antiorario. Da quando avevo poggiato il dito, la mia ex compagna di Liceo aveva sospirato ininterrottamente, rantolando quasi alla fine della piccola tortura.
“Rifallo!” uggiolò. Lo rifeci, ma ovviamente in senso opposto, facendola tremare tutta. Bene, mi dissi, la signorina ha un bottoncino molto molto sensibile alle carezze. Ottima cosa.

Tornai con la bocca sulla sua vagina, e al posto del dito lasciai scorrere la lingua, affondandola sempre più nella carne bollente e bagnata, assaporando per la prima volta il sapore di Selene, e continuai a leccare dolcemente, riservandomi di sfiorarle la clitoride solo occasionalmente, dapprima, e poi un po’ più frequentemente. Volevo essere il più lento e coinvolgente possibile, volevo esplorare quella fichetta appartenente alla persona che tanto mi aveva fatto penare al Liceo, perché ora che l’avevo lì vogliosa davanti a me non l’avrei certo potuta deludere.
Anche perché, mi venne in mente il pensiero, ero lì io con lei! IO!

Spalancai gli occhi senza smettere di masturbare Selene per il flash improvviso che mi era passato in mente: Selene era la compagne del Liceo a cui andavano dietro tutti. Chi ne era cotto come me, chi arrapato, chi semplicemente perché adolescente con il pisello che prudeva, ma comunque Selene era la tipa che tutti inseguivano e che nessuno aveva mai avuto!
E anche quella sera, molti sguardi erano per lei, che si era decisamente portata alla nostra età con tutta la sua bellezza intatta… E io… E io la stavo leccando.
Fosse successo al Liceo avrei praticamente camminato tra due ali di coetanei inneggianti alla mia superiorità, sarei stato praticamente il primo scalatore di una vetta sconosciuta, ma anche ora, dopo che quel periodo di scuola era finito, quella era la fichetta di Lei, di Selene!

Il mio ego non fu l’unica cosa galvanizzata dal pensiero, a giudicare da come mi davano fastidio i pantaloni, e questo flusso di pensieri si era tradotto, me ne resi conto in quel momento, in un aumento di passione e ritmo, sotto cui Selene ansimava e tremava colta da spasmi di piacere.
Sentii le sue dita stringermi i capelli in un istintivo impulso di non farmi scappare via, che mi fece ridere, e staccare la bocca da quella micina stretta ma ormai colante.
“Paura che me ne vada?” dissi provocatorio. “Sì’!! Il mio ex la leccava -male- solo… Solo… Solo per scoparmi meglio…!” piagnucolò, sobbalzando per il mio nuovo affondo di lingua.
“Il tuo ex era un coglione.” commentai, prima di sentire i capelli tirarsi. “Ahia! Oh!” ringhiai alzando la testa.
“Lo amavo cazzo!” piagnucolò guardandomi con difficoltà a testa tirata su Lene. “Ho capito ma era un coglione! Questa fichetta va fatta schizzare!!” ribattei con un sorriso e infilando il medio nella carne pulsante.
Selene lanciò un grido roco mentre mollava la presa e inclinava il bacino per farsi penetrare meglio, strizzando le lenzuola del bel letto della sua camera da “telisogniNick” euro a notte.
Cominciai a leccare senza forza ma con ritmo la clitoride di Lene, carezzandole dentro la piccola callosità retrostante al bottoncino, con suo immenso piacere.

Mi sentii un po’ incoerente in quel momento, stato masturbandola nella maniera più efficace, nei punti nevralgici per provocarle un orgasmo più rapidamente del previsto, ma il corpo di Selene mi stava chiaramente dicendo “fammi godere”.
“Fammi esplodere Nick! Cazzo fammela esplodere!!” urlò Selene stringendo le gambe dietro le mie spalle. B&egrave non era proprio il termine che pensavo io, ma il punto era lo stesso. Se non che sentire la voce di Selene urlare parole simili mi stava facendo davvero male all’uccello, e continuai con ancora più passione di prima.
Il barlume di razionalità che ancora possedevo mi ricordava solo di continuare a solleticare altre parti della clitoride per non irritare quel bottoncino così sensibile e volubile, e un po’ improvvisando un po’ disegnando delle forme casuali (vecchio trucco ma niente male) con la punta della lingua, sentii le pulsazioni di Selene impazzire stringendomi le dita dentro, e lei contrarsi tutta in un momento di silenzio irreale, prima di un urlo animalesco e potente.
Un urlo a cui ne seguì un altro, un rantolo, uno spasmo, Selene sobbalzava stringendomi dentro di sé e io non osavo muovermi, tanto il suo bacino continuava a premersi contro la mia bocca e a strizzarmi il dito dentro.
Fu tutto molto veloce ma intenso, e Selene crollò nel letto con il fiato corto, il vestitino tutto stazzonato, i tacchi che affondavano uno nel materasso, un altro poggiava sulla mia schiena.

Dolcemente estrassi dalla carne sfinita il dito sperando di non darle fastidio, e rimasi un attimo lì, tra le sue cosce, osservandone il piacere rilucente sotto il lampadario della camera, il fiato di lei echeggiare nell’aria, il culetto di marmo stringersi un paio di volte in un movimento involontario.

Mi alzai non poco indolenzito liberandomi della presa della sua coscia inguainata nell’autoreggente e la ammirai, bellissima e distrutta da un orgasmo che io le avevo donato.
I capelli sparsi nelle lenzuola, la collana sottile disordinatamente sparsa sul decolleté, i seni sobbalzanti, lo sguardo un po’ trasognato un po’ sfinito, non era proprio per niente la Selene sempre perfetta che avevo visto, ma era assolutamente arrapante. Mi sorrise, prima di alzare una mano con un dito allungato.
“Dica, signorina Scriboni” finsi un’aria seria come a scuola, mi ricordava troppo quando chiedeva la parola al suo banco.
“… Posso andare in ba… Ai servizi?” sorrise maliziosa. “Certo, ma non stia in giro nei corridoi, o dovrò punirla” ridacchiai, allungando la mano per aiutarla ad alzarsi. Una volta in piedi mi baciò con un metro di lingua, assaporando tutto il suo piacere che aveva riversato così felicemente tra le mie labbra, e staccandosi sussurrò “… Non sono mai stata punita a scuola… Al massimo ho saltato qualche verifica per recuperare dopo…” con un sorrisetto malizioso.
“… Certo, proprio come me…” dissi ironicamente.
“… No, tu eri una capra uguale, io saltavo apposta lo scritto per recuperare dove me la cavavo meglio…” le sue labbra sfiorarono il mio orecchio “… Con l’orale…”
Saltellò via verso il bagno, sfuggendo alle mie braccia che l’avrebbero buttata in ginocchio in un istante. “Calmati…” pensai, mentre Selene chiudeva la porta del bagno in un inutile atto di pudicizia dopo quel che avevo fatto. Mi guardai un po’ attorno, notando lo schermo del cellulare di lei che si illuminava e istintivamente sbirciai lo schermo. Lessi vagamente un nome, prima che lo schermo diventasse nero. Pigiai il tasto laterale “Cazzo, sei chiamate…” pensai, distratto poi dallo sciacquone e da Selene che riappariva incorniciata sulla porta, appoggiata con tutte e due le mani agli stipiti.
“Cazzo Lene, così ti scopo al muro!” esclamai, non riuscendo a pensare ad altro. Lei ridacchiò.
“Ti suonava il telefono eh.” dissi indicandolo. Non volevo sembrare uno che spia il cellulare altrui, ma se aveva ricevuto sei chiamate così… Lene passò avanti a me in poche falcate, sbloccò il cellulare e sbottò a imprecare.
“Quella merda! Quella merda continua a chiamare!”
“Il tuo ex?” “Sì, quella merda &egrave sinonimo di ‘il mio ex’, Nicola! Adesso mi chiama da questo numero!”
“Fanculo, che palle!” dissi, mentre lo schermo si illuminava di nuovo.
Selene urlò al telefono “Ma adesso basta! Ma hai rotto i coglioni!” rispose fuori di sé al telefono.

Seguì una discussione velocissima in Francese, lingua che a malapena avevo studiato alle elementari, e della quale non sapevo dire molto se non “Tour Eiffel”, “croissant”, “bonjour” e forse “jambon”.
Per cui non capii niente, e ancora meno dopo che Lene si girò verso di me con il telefonino in mano dicendo “tiralo fuori”.
“Eh?”
“Tiralo fuori!!” ripeté, allungando la mano imbraccialettata e armeggiando con i miei jeans.
Ok, ok Lene! pensai, aprendoli e lasciando che tirasse fuori il mio uccello, totalmente preso bene dalla situazione.

Selene sorrise “Uoh! Bel cazzo, Nick!”
“… Grazie?!”
Lene si buttò in ginocchio continuando a parlare fitto al telefono, e poi accendendo la videochiamata, o così intuii dal suo allungare un po’ il braccio.
“Vous voyez, connard? Mh?” esclamò, con un accenno del visino, stringendomi l’asta in mano.
“Ceci est une vraie bite! Que voulez-vous, mon petit? Je ne veux pas vous, j’ai besoin de ce superbe bite dans ma chatte…” sussurrò sorridendo, passandosi la punta su una guancia.
Il tipo non doveva gradire lo spettacolo, perché cominciò a urlare. Selene scoppiò a ridere.
“Oui? Oui?? Je suis une pute? Eh bien, je vais faire ce putain peut faire!”

E detto questo, qualunque cosa avesse detto al tizio che la vedeva inquadrata, cominciò a leccare tutta l’asta senza staccare gli occhi dal telefonino, per poi rivolgere lo sguardo affamato verso di me, e spegnere la chiamata.
Interruppe quel trattamento solo per premere il tasto di spegnimento del telefonino e praticamente buttarlo sulla consolle.
“Che cazzo!” esclamai, guardandola allibito.
“Questo dovrei dirlo io, non credi?” rispose quasi sprezzante, con un’alzata di sopracciglio.
A questo punto anche la parte più fanciullesca della mia mente non poteva che prendere atto del cambiamento di Selene, la bella e cordiale ragazza che era con me al Liceo era una donna con i controcoglioni, e una qual certa verve troiesca (per essere educati.)

“pensieri per la testa, Nick? Dimmeli, tanto ti succhierò fuori anche quelli” commentò quasi sovrappensiero Selene, passandomi la bocca di lato sul sesso pulsante.
“… B&egrave… Sto scoprendo una Selene un po’ tanto diversa da quella che conoscevo al Liceo!” dissi ridendo, smettendo fulminato da uno sguardo di lei.
“Mi conoscevi al Liceo?”
“B&egrave eravamo compagni…”
“MI CONOSCEVI al Liceo?” ribadì, senza smettere di masturbarmi.
Sospirai. “Non quanto avrei voluto, ma conoscevo la Selene che conoscevano tutti. Quella irreprensibile studentessa modello che faceva girare la testa a tutti e che nessuno ha neanche baciato per sbaglio.”
Selene scoppiò a ridere, alzandosi, e sculettando verso la finestra.
“Ti ricordi quel tipo della H con cui pensavate uscivo?”
“… Sì. Dicevano che ti aveva mollato…”
“Lo diceva lui! Sono io che l’ho mollato dopo un weekend con pure lunedì di ponte! Aveva la casa libera! Ero da lui! Abbiamo scopato due volte in tre giorni, o meglio, ha sborrato due volte in tre giorni, perché ‘abbiamo scopato’ sarebbe un termine eccessivo”.
“B&egrave sarà stato timido…” dissi alzando le spalle, cercando di tirare su i jeans per potermi muovere.
“NON tirare su i pantaloni, cazzone!” intimò lei allungando un dito verso di me.
“… Ok” uggiolai.

“Voi non mi conoscevate perché quella &egrave l’unica volta che ho provato qualcuno dei nostri coetanei! Nick, io voglio sesso nella mia vita, lo volevo anche al Liceo…”
“Come tutti…” ironizzai
“Sì, come tutti, ma non mi accontentavo di farmi una pippa per quelle che mi piacevano come voi!”
Mi alterai un po’ “Oh Lene, guarda che le pippe uno se le fa in mancanza di altro, potevamo risolvere con felicità di entrambi!”

“Ma dove?” disse platealmente aprendo le braccia, con scampanìo di braccialetti. “Io volevo scopare, e i nostri compagnetti scopavano di merda. Per cui croce sopra, la Selene al Liceo era la bella studentessa gentile, la Selene quando andava nel weekend dal papà era questa!” disse, buttandosi in ginocchio per terra, chiudendo gli occhi e aprendo la bella bocca con le labbra polpose e lucide.
“Una santerellina pompinara…” dissi a voce bassa, facendola sorridere. “Esatto Nick, il Lunedì che saltavo ginnastica con giustificazione era perché mi ero scopata qualcuno capace di farlo e mi bruciava la fica…”
Gli occhi di Lene si riaprirono fissando il mio sesso eretto “… Anche se forse, ad aver controllato meglio, non dovevo aspettare il giorno dei tabelloni per dire che avevi un bell’uccello”
“Ma il resto faceva schifo all’epoca.”
“Un po’…”
“Cazzo Lene, sei davvero una troia.”
Il sorriso che si aprì in viso alla mia cotta liceale fu da primo premio.
“Finalmente ci siamo arrivati, Nick. Sono una troia, e sono in ginocchio qui, abbiamo idee o parliamo tutta sera?” Va da sé che di idee ne avevo molte, ma le accantonai in una lista di “cose da far(mi) dopo la sua bocca”. Quelle labbra che avevo sognato di baciare, quella bocca che quando mi sorrideva mi fermava il cuore, ora era lì aperta in un “oh” di attesa. Attesa che prolungai lasciando che la punta della mia cappella vi scorresse sopra lentamente per diversi istanti, saggiandone la calda rotondità con un sorriso in volto, prima di poggiare l’asta sul bel visino ovale di Selene, che sorrise un po’.
“Succhialo…” sussurrai, ansimante.
“Chiedimelo bene…” rispose lei, piano.
“Succhialo, per favore?”
“No, chiedimelo bene…”
Aveva ragione Selene, ero una capra. Non avevo ancora capito cosa la eccitasse dopo quel che mi aveva detto? O il mio cervello ancora non riusciva a ingranare l’idea che Lei, l’angelica, mite, studiosa, cordiale, gentile, compagna del Liceo in realtà fosse sempre stata solo una delle due facce della medaglia, e l’altra fosse una vogliosetta che si eccitava a farsi dare della troia?

Presi la testa di Lene con una mano e l’uccello con l’altra, e glielo avvicinai alla bocca di qualche centimetro, per sfiorarne le labbra e tornare indietro. Una, due, tre volte.
“Mi fai aspettare?” ridacchiò lei guardandomi.
“Mi hai fatto aspettare anni, adesso sentirai cosa vuol dire desiderare qualcuno!” le risposti acidamente, ma la risposta parve piacerle, a giudicare dal lampo nei suoi occhi.
Che chiuse istintivamente, quando senza neanche pensarci, le diedi un colpo con il sesso sulla guancia. Il rumore secco e strano rimbalzò nell’ampia suite dell’albergo.
“Sei una troia affamata, vero Lene?”
“Oh sì cazzo, non sai quanto!”
“Dimmi che lo vuoi, dimmelo!” le ringhiai contro alzandole la testa. “Lo voglio, dammelo, dammelo tutto, fammi giocare…” piagnucolò lei allungando una mano. Un nuovo colpo della mia asta la fece desistere.
Mi abbassai per sondare nelle sue mutandine la situazione, portandole due dita zuppe alla bocca. “Ti bagni sempre così?”
Lene succhiò avidamente il suo piacere, sospirando, e spompinandomi le dita con desiderio.
“Ti prego…” “Ti prego cosa, Lene?”
“Sbattimelo in gola, Nick, ti prego, voglio succhiarti anche l’anima…”
Risi nervosamente, indeciso se ficcarglielo dentro ora o aspettare un po’. Optai per l’attesa.
“Signorina Selene Scriboni, lei &egrave una grandissima puttanella.”
“Sì, lo sono… “rispose ansimando sulla punta della mia cappella.
“Le studentesse come lei creano aspettative, lo sa? Se prende nove poi deve rimanere in media!”
“Sono una brava studentessa…” piagnucolò.
“Lei mi ha detto che se a cava bene con l’orale.”
“Me la sono sempre cavata benissimo con l’orale, Nick…”
“Ho delle aspettative.” L’uccello le scorse in bocca senza alcuna difficoltà, non troppo lentamente ma neanche di colpo, rallentai solo un poco sentendomi a fine corsa, ma Lene avanzò fino a impattare con il bel nasino dritto nei peli del mio pube.
“Svuotami le palle, mi devi cinque anni di Liceo!” le dissi, lasciandole libera la testa. Con un gorgoglìo sfilò tutta l’asta, per sorridermi. “Chissà quante seghe ti sei fatto per me!”

Non la presi benissimo, a giudicare dal fatto che le tirai un po’ i capelli, facendola gridare.
“No, Lene! Ero cotto di te, e mi sentivo quasi in colpa a farmi una sega pensando a te! Perché mi piacevi davvero, e non volevo pensare a te solo in quella maniera! Cinque anni di Liceo a trattenermi dallo spararmi una pippa sotto ogni doccia pensando al tuo culo, alle tue tette!”
Selene ricadde un poco sulle ginocchia quando la lasciai. “Nemmeno una…?”
“Nemmeno una, sicuramente qualche sogno un po’ interessante, ma lì non avevo controllo.”
Selene afferrò il mio cazzo con veemenza, guardandomi.
“Allora mi aspetto di ubriacarmi con litri della tua caldissima sborra, Nick. Ti devo cinque anni di pippe mancate, vuoi recuperarle tutte in un colpo?” si gettò a succhiarmi l’uccello con movimenti appassionati, lenti, rapidi, coinvolgentissimi.
“Prenditi quello che vuoi, troia…” ansimai “… Ma lasciane per quella fichetta che sbrodola, e chissà anche quel culo!”

Mi piacerebbe descrivere nel dettaglio la fellatio che Selene si dedicò con così tanta cura a donarmi, ma capite che la descrizione dei movimenti di lei, del suo alternare bocca, labbra, lingua, mani, non renderebbe totalmente le sensazioni che provavo. Era piacevole fisicamente, ma com’&egrave ovvio mentalmente. Era Lei, Selene, che si ficcava il mio uccello in gola emettendo dei gorgoglii viscidi con un ritmo intenso, era Lei, Selene, che si sbatteva il cazzo sulle guance guardandomi con desiderio. Erano i suoi orecchini a tintinnare, i suoi braccialetti. Era lei che aveva interrotto solo per spogliarmi e buttarmi seduto sul letto, ed era lei che fissai mentre il mio scroto si contraeva verso l’alto, sparando il piacere e il seme dritto nella sua bocca.
Mi sentii quasi devastato da quell’orgasmo, portatomi avanti con il bacino e tenendole la testa, mi svuotai nella sua bocca sentendomi un filo maleducato.
“Forse non…” pensai, levando la mano. Non che avessi mai fatto pompini, ma immaginai che comunque bisognasse avere un discreto controllo per non strangolarsi con getti di liquido buttati in gola.
Selene, con l’aria più angelicamente troia del mondo, rimase con le belle labbra a cuoricino a succhiare l’asta, sfilandosi lentamente senza neanche sbattere le lunghe ciglia, e con un “pop!” quasi da bottiglia si staccò dal mio uccello, lasciandolo lucido, pulsante, pulitissimo.
E con la stessa espressione, aprì un poco la bocca mostrandomi un quieto, rilucente laghetto del mio seme, per lentamente alzare la lingua lunga, poggiarla al palato e ingoiare tutto. Dopo aver deglutito, la riaprì mostrando la bell’opera, come in attesa di approvazione.

Mi fece impazzire.
Immaginatevi la bellezza eccitante di Selene in quel momento. La pettinatura lievemente scomposta a causa mia era quasi l’unica traccia di affanno a parte il suo respiro, ma per il resto il lieve trucco, le lunghe ciglia, la boccuccia, era la Selene perfettina di sempre, inguainata in un abitino, con autoreggenti, orecchini, collana, braccialetti…
Era una Donna ben vestita, di classe ma non altezzosa, curata in ogni dettaglio della sua bellezza e sensualità, a cui colavano stille di saliva dalle belle labbra, e mi aveva appena succhiato le palle facendosi chiamare “troia”.

Irresistibile.
Mi afferrai l’uccello e cominciai a masturbarlo furiosamente, volevo rimanere in erezione, volevo un altro pompino, una scopata, una sega, qualsiasi cosa, ma non avrei concesso a me o a lei neanche un attimo di pausa.
“Fammelo tornare duro, troietta” intimai, e lei squittì di gioia, cominciando a segarlo con grandissima perizia, molto più articolata e raffinata del mio movimento brutale. Il tintinnare del suo bracciale fu la colonna sonora della mia nuova subitanea erezione, da lei celebrata con un bel bacio sulla cappella.
Si alzò e mi chiese se fosse mia intenzione spogliarla. Ovviamente la risposta fu positiva, e la privai dell’abitino con una lieve calma mentre la sua mano caldissima assicurava una costante erezione, stringendo il mio cazzo congestionato.

La liberai del reggiseno, già ampiamente spostato dalle carezze di prima, e ammirai finalmente le tette di Selene. Anche loro fantasticate, desiderate, idealizzate… Erano meglio delle mie fantasie da liceale inesperto.
Piene, sode, areole proporzionate a due capezzoli eretti e che godevano nel farsi baciare, due capolavori come il suo culetto tonico. Non sapevo come baciare e toccare quei seni, quel pancino magro, quel culo, la stringevo, mi avvinghiavo, la succhiavo, baciavo, e alla fine rotolammo nel letto.
Aderì a me istintivamente, mentre mi portavo sopra di lei, il sesso caldo scivolò più volte su quella fichetta stretta e fradicissima facendoci sospirare.
“Non ho niente” dissi in un lampo di razionalità.
“Pillola” sussurrò lei.
“No ma che dici Lene, corro a comprare qualcosa…”
“Prendo la pillola, capra!!” rise, prima di baciarmi. “Puoi scopare senza niente la tua Lene, contento? Puoi venirle dentro quante volte vuoi” sussurrò fissandomi. “Fammi urlare!”
Oh, la feci urlare, scivolando dentro di lei in un movimento liscio e senza attrito mi fermai solo quando il mio bacino impattò contro il suo.

Era strettissima, o così mi parve. Selene lanciò un gaudentissimo insulto allla Divinità affondandomi le unghie nella schiena.
“Male???” chiesi preoccupato
“NO! Per niente!!!” urlò lei con un’espressione feroce in volto “Sei enorme!!”
In realtà, no. Avevo assolutamente appurato di essere fortunato, molto, sotto quel punto di vista, ma come al Liceo ancora pensavo che poco contasse l’uccello che avevi se poi il resto non ti aiutava ad avere donne. Ma ora dopo qualche anno di pratica, di palestra, e la fine dell’adolescenza con i suoi continui cambiamenti fisici quasi casuali, avevo un po’ più di sicurezze.
“Non esageriamo, ma me la cavo!”
“Erano anni che non mi sentivo così piena, Nick!” sospirò stringendo i muscoli del suo sesso, che pian piano si adeguava all’ingombro.
“Dovrebbe interessarti altro, Lene… Tipo che sono appena venuto e quindi puoi divertirti quanto vuoi.” sorrisi prima di baciarla.

E così finalmente provai la splendida sensazione di stringere Selene Scriboni, la compagna del Liceo inseguita da tutti.
Se dapprima fummo quasi teneri, la situazione si scaldò molto velocemente. Era come burro caldo, la sentivo tutta, non c’era alcun attrito, e lei uggiolava felice, passionale ed entusiastica dea del sesso nel letto di quell’albergo così costoso.
Dopo qualche minuto scivolai fuori da lei con suo grandissimo dispiacere, ma solo per trascinarla più vicino al bordo e mettermi quasi in piedi. La maggiore presa si tradusse nel poterle affondare dentro quasi perpendicolarmente, abbrancandole i fianchi magri proprio dove due deliziose linee oblique segnalavano fasci di muscoletti allenati, come una freccia indicando la sua micina spalancata in cui ondeggiava il mio pene, aprendola non di poco. E a poca distanza, ancora le autoreggenti dai motivi elaborati.
La visione delle mie mani sui suoi fianchi, del sesso dilatato, dei seni sobbalzanti, della collana che ondeggiava avanti e indietro, del suo collo liscio che portava al suo visino miagolante piacere, le mani che abbrancavano le lenzuola, furono tutti fotogrammi indimenticabili ed ancora più eccitanti.
La scopai così per diversi minuti, facendole raggiungere un orgasmo dopo che -slealmente, quasi!- le sfiorai la clitoride eretta con il pollice per qualche volta.
“Stronzo!!” piagnucolò ancora in mezzo ai rantoli del piacere.
“Perché, troia?!” chiesi piantandomi dentro di lei. “Credi che io abbia finito?” mi sfilai di colpo, e mi andai a buttare sulla poltroncina della camera. Mi serviva un istante di pausa o sarei venuto, e non osavo scommettere su un mio breve ritorno in erezione. La voglia di scoparla per ore c’era, ma non sono un pezzo di ferro.

Selene non sembrò preoccuparsene, saltò giù dal letto agilmente e in un istante me la trovai a cavalcioni che con la mano indirizzava il sesso sulla sua micina pulsante.
“Ora tocca a me… Fammi cavalcare questo cazzone”
“Non prometto niente” dissi onestamente, sospirando sentendo il suo corpo pesare su di me, il mio affondare in lei, mentre rideva. “C’&egrave tutto il tempo che vuoi, e tutto il cazzo che voglio.” commentò, prima di cominciare a ondeggiare il bacino, saltellare, portarmi la mano ai seni dai capezzoli così invitanti che li degustai ad intervalli continui, nell’ondeggiare della sua collana, nel risuonare di orecchini.
Mi stava scopando con una passione tale che non pensai potesse fare di più.
“Sei…” uggiolai.
“Sono brava?”
“Sei allucinante…”
“Cazzo vuol dire, Nick?”
“Selene Scriboni mi sta cavalcando, &egrave un’allucinazione” dissi ridendo, ma smisi perché si fece quasi violenta, forsennata. Portò una mano allo schienale della poltrona e l’altra sul mio petto, cominciando a saltellare vivacemente sul mio cazzo, a ruotare il bacino, fissandomi quasi alterata. Mi stava sbattendo come un giocattolino.
“Selene Scriboni ti sta scopando a sangue, bel cazzone… Selene Scriboni &egrave una bella troietta tutta per te, Nick, fatti scopare dalla tua bella compagna di classe perfettina, che ne dici? Vuoi vedere quanto sa essere troia la tua compagna di classe perfettina?” mi chiese quasi urlando “Dai il cazzo alla tua bella Selene Scriboni, riempile la figa, falla sentire una brava troietta, Nick! E’ questo che vuoi da dieci anni, vuoi scoparmi come la tua puttana e io mi sono persa questo cazzo! Adesso lo voglio tutto, lo voglio tutto….Sìì Nick, così, cosììì!” la ragione delle sue urla fu che vederla scoparmi/si così fu assolutamente devastante, capirete voi. Non trattenni oltre alcun orgasmo, anzi mi sentii quasi succhiato fin nei testicoli, ed eiaculai diversi getti dritti su per il suo sesso, sentendo poi colare fuori ai nuovi saltelli e affondi di lei qualcosa di caldo e liquido. Era venuta anche lei, e si accasciò sul mio petto ansimando.
“Una troia… Dimmi che sono la tua troia… Dimmelo…” piagnucolò.
“Non… No… Sei la mia troia ma non puoi essere solo questo…” sospirai, inevitabilmente. Era una troia, era la mia troia per quella sera, ma era Selene, non poteva essere solo una scopata, non avrebbe mai potuto esserlo.

Fu quasi imbarazzante, mentre lei si sfilava, parlottarsi un poco sfiniti, andare in bagno, riprendersi, anche se ancora vogliosi entrambi. Ma devo dire che un altro giro tra le sue cosce e una risata dopo il suo orgasmo riportarono la serata ad una verve allegra e spensierata. Selene si diede della troia più volte, quante gliene diedi io, ma quella parola ora era completa, sensata, per noi. Era un insulto giocoso ma egualmente eccitante, come il suo ondeggiare il culetto proponendomi di prenderne possesso con un “Cinque anni di Liceo a guardarlo, scommetto… Chiudiamo tutti i conti in una volta sola?”.
Una nottata in cui volevo sfinirmi perché non ce ne sarebbe stata replica, volevo appagarmi e appagarla -cosa che mi pareva riuscire così bene…- e non ricordo quando ci addormentammo, che ore fossero, o cosa stessimo facendo…

———–

La mattina mi svegliai con una sensazione strana, che identificai subito come una bocca caldissima che ingurgitava il mio sesso.
“Buongiorno…” sorrise lei staccandosi. “… La colazione sta arrivando, così ho pensato di svegliarti.”
“Colazione in camera? Sei una figlia di papà, Lene.” commentai, prima di baciarla.
Selene si alzò mostrando una vestaglietta notturna di quella che sicuramente era seta purissima, sculettando un po’ affaticata.
“Una figlia di papà che però ha tenuto la camera fino a stasera, Nick…”
“… Sarà meglio che la colazione sia molto sostanziosa, allora…”
Lene si girò, aprendo un poco la vestaglia e mostrandomi il sesso, un po’ spalancato da due lunghe ditina affusolate.
“Se non &egrave abbastanza, puoi mangiare ancora qualcosa…”
Lo feci, lo fece, lo facemmo ancora per tutto il giorno, anche se con un paio di pause inevitabili. Imparai, nelle urla gaudenti di Lene, qualche strano termine di Francese che non insegnano nelle scuole, e il carrello della colazione era così strapieno di cibarie che lo saccheggiammo tutto il giorno, e devo dire che non pensavo di finire imboccato a mangiare un croissant mentre mi scopavo Lene. Ovviamente il problema delle briciole sul suo decolleté fu velocemente risolto a baci.
Ci salutammo sul binario della stazione, dove il treno ad alta velocità l’avrebbe riportata dove abitava, ormai da sola.
Scambiandoci i numeri di telefono e gli indirizzi ovviamente ci promettemmo di rivederci al più presto, in fin dei conti lei doveva tenere vivo il suo italiano, e io ampliare il mio “francese da letto”.

“Ohi Nick, cazzo ma sei vivo?” disse Roberto al telefono, quando lo richiamai. Mi aveva telefonato più volte durante la giornata.
“Sei peggio di una fidanzata gelosa! Avevo da fare!”
“Ahahahah sì, come no…”
“Robe, ti garantisco che avevo cinque anni di cose da fare.”
Il silenzio al telefono fu assolutamente appagante. Non avevo certo intenzione di raccontare la mia nottata al mio amico, ma un pizzico di ego, dopo quella serata con Lei, c’era tutto.
“… Lene? Cazzo, non pensavo…”
“Nemmeno io, e invece…”
“No, dico, non pensavo fosse messa così male per finire con te!”
“… Stasera ci prendiamo una birra io te e la tua dolce signora, così festeggiamo dieci anni che sei uno stronzo, che ne dici?”

Avviai l’auto verso casa, sorridendo nel sentire gli insulti del mio amico e illuminarsi lo schermo del telefonino, con la scritta

“Selene Scriboni: Nuovo SMS”

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