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La decisione di George – 3° parte

By 20 Settembre 2013Dicembre 16th, 2019No Comments

‘Residenza Reed’ Mary rispose leggermente affannata.
‘No, mi spiace. Il signore non c’è in questo momento… buongiorno’ riattaccò e tornò a smacchiare il tappeto color crema del salotto. Doveva esserci caduta della birra la sera prima al party che suo nipote aveva dato e i cui postumi l’avevano accolta, appena entrata nella villa quella mattina. Era preparata, a dire il vero, ormai erano due settimane che lavorava per lui e aveva sperimentato, con un certo orrore, i devastanti effetti che giovani e alcol potevano avere sull’ordine in casa. Conscia di questo, si era presentata alle 7 in punto e le ci erano volute quasi cinque ore per far sparire tutta la sporcizia, pulire tutto e dare alla casa l’aspetto gradevole che Aaron, al suo risveglio, voleva trovare. Bottiglie vuote, bicchieri ovunque, patatine sbriciolate, cartoni di pizza, lattine, piattini unti, un’orda barbarica avrebbe probabilmente fatto meno confusione. Ma, a dirla tutta, alla bella Mary non pesava più di tanto mettere in ordine quel caos. Aveva trovato il modo di distrarsi, occupando la mente con più gradevoli pensieri. Anche quel lavoro tedioso aveva i suoi vantaggi, del resto era sempre stata una ragazza ottimista e non avrebbe certo smesso ora. Pulì per diverse ore aspettando, paziente. Il suo primo regalo arrivò poco dopo le undici. I due ragazzi che lavoravano all’esterno della villa erano molto giovani, sui vent’anni forse meno. Uno si occupava dei giardini, si chiamava Miguel, di origini messicane, anche se americano. L’altro, Derek, era l’addetto alle piscine ma spesso finiva col fare un sacco di altri lavoretti in giro per la villa. Per dirla candidamente, madre natura era stata molto generosa con questi due baldi giovani ed erano una gioia per gli occhi, a tal punto che la donna lavorava con tutt’altro spirito sapendo che, di tanto in tanto, poteva sbirciare fuori dalla finestra ed ammirarli a torso nudo, con i loro corpi atletici, lucidi di sudore, così maschi, così mmmm…
Sfacciata? Immorale? Forse. Ma non aveva la forza di vergognarsene. A quarantuno anni appena compiuti, Mary era la donna più sessualmente frustrata della terra. Il suo aspetto era da sempre la sua carta vincente. Era bella, bellissima. Un metro e sessantacinque di aggraziate fattezze, una quarta rifatta dal miglior chirurgo di Beverly Hills, un bel sedere sodo, lunghi capelli corvini e dei meravigliosi occhi verdi. Un sogno erotico per molti. Lo era sempre stata ed aveva capito molto tempo prima che quella bellezza avrebbe dovuto sopperire alla sua mancanza di acume. Aveva poi scoperto il piacere del sesso estremamente presto e si era data un gran da fare con tanti e tanti maschietti, sperimentando sensazioni di cui non avrebbe più voluto fare a meno. A vent’anni, certa di fare la cosa giusta, aveva sposato George, carino, intelligente e intraprendente allo stesso tempo, un uomo con una visione, uno che avrebbe fatto strada, pensando di assicurandosi, così, una bella vita e uno stallone che la soddisfacesse.
Tuttavia, sebbene la parte dei soldi fosse andata a gonfie vele (almeno fino a pochi mesi prima), lo stesso non si poteva dire per il resto. A dire il vero i primi anni di matrimonio non erano andati male, i due novelli sposi si davano piacere a vicenda, colti dall’impeto giovanile ma, negli ultimi quindici, le voglie di George erano andate a scemare, fino ad annullarsi completamente. Erano quattordici mesi che non la toccava più. Quattordici mesi!! Le scuse erano varie, stanchezza, mal di testa, indisposizioni. Mary aveva persino smesso di provarci a dire la verità, anche perché da quando il caro maritino l’aveva costretta alla fame, la disturbava anche solo parlarci. Magari se la faceva con un’altra ma non le importava granché, ormai l’unica cosa che li teneva insieme era l’indigenza. Però era in calore. Era in calore da un decennio e aveva bisogno di un cazzo, lo voleva dentro di sé, lo voleva tanto da farle male. Un cazzo vero, caldo, pulsante, maschio, non il vibratore che usava per alleviare la tensione. Non aveva mai tradito suo marito, tutto ciò che si concedeva erano sguardi fugaci, sorrisi, flirt, due chiacchiere civettuole al massimo, per alimentare le sue fantasie notturne. Il suo appetibile corpo, però, chiedeva insistentemente, disperatamente di essere usato.
Si morse il labbro e guardò di nuovo dalla finestra. Era un’ora buona che lavoravano al sole. Cristo, li avrebbe leccati dalla testa ai piedi se avesse potuto. Arrossì per l’audacia dei suoi stessi pensieri, quei due avrebbero potuto essere suoi figli, ma non riusciva a staccare gli occhi di dosso dai loro muscoli plastici. Miguel era il più vicino e la notò, salutandola. La donna avvampò, cercando di distogliere lo sguardo. Poi rispose al saluto, ormai conscia di essere stata ‘beccata’. Lo vide dire qualcosa a Derek che alzò lo sguardo e la salutò a sua volta. Uno dei due dovette fare una battuta perché si misero a ridere. Lasciarono le loro faccende e si diressero verso la casa. Lei sorrise, era il momento che preferiva e andò in cucina a preparare qualcosa da bere.

‘…chiesto di passare a prenderlo domani sera…’
‘Ok, ok! Ma digli che se fa tardi come al solito per me può andarci a piedi alla festa!’ le due voci le arrivarono dal salone finché Derek e Miguel non entrarono nella grande cucina. Avevano solo i pantaloncini e gli occhi della donna sostarono lieti sulla scritta Calvin Klein che fasciava il basso ventre dei due, dove una lieve peluria pubica faceva capolino, fastidiosa linea di confine tra ciò che le era permesso vedere e le sue lascive fantasie. Scioccamente si chiese come potessero permettersi biancheria firmata. Le sorrisero e Mary sentì le ginocchia indebolirsi.
‘Salve Mary’ Miguel non aveva l’aspetto del tipico messicano, ma era decisamente un maschio dai tratti latini. Statura media, gli occhi marroni e i capelli castani, i tratti del viso abbastanza gentili e le labbra grandi, carnose, fatali. L’abbronzatura metteva in risalto i denti d’avorio.
‘Ciao ragazzi, avete sete?’ chiese loro retoricamente.
‘Come sempre!’ Derek era un po’ più alto dell’amico, aveva la pelle più chiara e i lineamenti fini ed aggraziati, labbra sottili e naso piccolo. I suoi capelli nerissimi e gli occhi di un profondo blu erano un’infallibile chiave d’accesso al cuore di qualunque donna.
Mary porse loro due bicchieri di limonata fresca.
‘L’ho fatta apposta per voi!’ disse con un sorriso civettuolo. I due ringraziarono e presero a bere. Alcune gocce della bibita ghiacciata scivolarono fuori dalle polpose labbra di Miguel, giù per il mento sfuggente, atterrandogli sul petto, mischiandosi al sudore e la donna le seguì, assetata, giù fino all’ombelico.
‘Posso averne ancora?’ si voltò verso il sorrisetto del bel Derek.
‘Ma certo, tesoro!’ si affrettò a riempire i loro bicchieri una seconda volta ma le avvenenti muscolosità dei due ragazzi, così vicini a lei, la confusero e, distrattamente, della limonata finì per terra.
‘Accidenti che sbadata!’ prese uno straccio e, con lentezza inenarrabile, si chinò a pulire, il suo sguardo danzante su ogni fugace centimetro di pelle umida che i loro corpi le regalavano. Era tutta un calore, quei due stalloni, in piedi di fronte a lei, le riempivano, prepotenti, i polmoni del loro odore mascolino. Mary si passò la lingua tra le labbra, col fiato un po’ corto. Si accorse che delle gocce avevano bagnato Derek che era a piedi nudi. Con il panno asciugò gentile il dorso del suo piede destro, poi alzò lo sguardo, convinta di trovarli ancora a bere. Trovò invece i loro occhi su di sé. La guardavano dall’alto, divertiti, e la donna si sentì le gote in fiamme. Non riusciva a muoversi, rimase inginocchiata per alcuni istanti, incastrata tra i due ragazzi e lo sportello del mobile di cucina. Poi Miguel:
‘Grazie per la limonata Mary…’ le disse dolce, sorridendo, quasi ridacchiando, insieme all’altro ‘….meglio tornare al lavoro ora, ci vediamo dopo!’ concluse Derek facendole l’occhiolino. Poggiarono i bicchieri vuoti sul piano del mobile alle spalle della donna. Si voltarono e se ne andarono mentre lei mormorava un ‘ok’.
Rimase in quella posizione per alcuni secondi, cercando di capire cosa fosse appena successo. ‘Quel loro sguardo aveva qualcosa di strano…’ si disse ‘…che abbia esagerato? Possibile che abbiano intuito quello che avevo in mente?’ si sentì una scema. Una donna adulta che sbavava dietro a dei ragazzini che probabilmente avevano un plotone di fanciulle belle e giovani a disposizione.
Si alzò e tornò a lavoro. Doveva finire di togliere quella dannata macchia.

‘Che figura che ho fatto, come una verginella ebete! Sono un idiota, una stupida!’ continuò l’autoinvettiva mentre, con la spazzola, strusciava, energica, il tappeto. Aveva lasciato trasparire un po’ troppo, rendendosi ridicola.
‘Buongiorno!’ alla donna venne quasi un colpo. Era talmente concentrata sui suoi pensieri che non si era accorta di nulla. Il regalo più atteso l’aveva colta di sorpresa. Si voltò e sorrise a un bel biondino di sua conoscenza.
‘Aaron, tesoro! Non ti avevo sentito, ti sei svegliato!’ il giovane nipote era in piedi di fronte a lei e si stropicciava gli occhi. Indossava una t-shirt e i boxer grigi fasciavano il suo sedere sodo e il pacco generoso. La donna si sentì ancor più infima a concupire il corpo del nipote ma, per quanto ci avesse provato in quelle due settimane, non poteva farne a meno. Il giovane aveva invaso, ignaro, le sue fantasie e non c’era niente da fare, non se ne andava. Mary si consolava convincendosi del fatto che, in fondo, non era un consanguineo, quindi la sua lussuria, per quanto inappropriata, almeno non peccava d’incesto.
‘Caffè…’ mormorò assonnato il ragazzo mentre sbadigliava e la donna sorrise. Com’era tenero quando si svegliava la mattina, con quel faccino angelico che supplicava attenzioni. Si alzò, si diresse in cucina e gliene versò una tazza tornando in salotto poco dopo. Gli porse la bevanda calda e il ragazzo la ringraziò con un sorriso.
Si era appollaiato sul divano esattamente di fronte a quella macchia ostinata. Aveva il ginocchio destro piegato in modo che il suo bel pacco gli poggiasse sul piede, mentre l’altra gamba era appoggiata sul bracciolo del divano che faceva angolo. La donna lo guardò mordendosi un labbro. Accidenti, voleva ucciderla? Inghiottì e pensò, accaldata, che fosse meglio…
‘Vado a cominciare a fare il pranzo…’ si voltò per andarsene.
‘Nah, finisci pure quello che stavi facendo…’ disse Aaron indicando il tappeto davanti a lui con il mento ‘…non mi dai fastidio, anzi mi fai compagnia mentre mi sveglio!’ la donna esitò, poi mormorò un ok, poco convinto. S’inginocchiò schiarendosi la gola, nervosa.
Riprese a strusciare. Alzo gli occhi. Di fronte a sé, aveva il pacco del ragazzo a meno di mezzo metro dalla faccia e lui era comodamente svaccato a gambe aperte, senza il minimo pudore. Sorseggiava il suo caffè, mentre armeggiava col telefonino. La donna aveva serie difficoltà a concentrarsi sul suo lavoro. Gli occhi, la bocca, il naso, tutto il suo viso era calamitato da quella provocante visione. Avrebbe voluto strusciare la faccia in mezzo alle sue gambe. Quanto ben di dio! Guardò il viso del ragazzo per tentare di distrarsi. La ignorava bellamente. Era davvero umiliante. Certo che si era abituato velocemente ad averla come sguattera. La sua voce dolce e i suoi sorrisi mascheravano i comandi, ma a Mary non erano sfuggiti. Era difficile, però, non accontentarlo, suo nipote era forse la persona più incantevole e adorabile della terra. E comunque, ad onor del vero, lei era, di fatto, la sua domestica.
Si schiarì di nuovo la voce.
‘Com’è stata la festa ieri?’ chiese asciugandosi la fronte e mettendo più energia nello strofinamento.
Il ragazzo scrollò le spalle:
‘Divertente, anche se un po’ troppo affollata, a dire il vero…’ la donna sorrise.
‘Me l’immagino, sembrava fosse passato un ciclone stamattina!’ gli disse con una punta quasi impercettibile di rimprovero. Lui sorrise, con aria vagamente colpevole:
‘Già abbiamo fatto un bel casino, scusa!’ le disse strizzando l’occhio. Lei sorrise benevola.
‘Nah, non ti scusare tesoro. Devo pur guadagnarmelo lo stipendio, no?’ le sorrise in modo strano, come se la donna gli facesse pena.
‘Già! Non credo che lo zio approverebbe se sapesse che ti tratto con tutta questa gentilezza…’ lei lo guardò, un po’ interdetta dalle sue parole. Lui continuò, di fronte al suo sguardo incerto.
‘Sai, mi ha fatto giurare che ti avrei trattata… beh, come si tratta la servitù…’ la donna sentì un colpo al cuore ‘…ha insistito che è molto, molto importante per te e per tutta la famiglia non avere trattamenti di favore e io vi rispetto per questo, lo sai, te l’ho già detto…’
Di nuovo l’impulso di gridare dalla frustrazione la pervase. Ancora queste idiozie doveva sentire! Quel ritardato di suo marito.
‘….è ancora un po’ strano per me comandarti a bacchetta, ma mi ci sto impegnando…’ le disse con quell’espressione incantevole. Il discorso aveva dell’assurdo e Mary non sapeva come rispondere, era troppo impegnata allo sproloquio d’insulti che avrebbe riservato alla sua ‘dolce metà’ quella sera.
‘Tranquillo, tesoro, tuo zio non c’è, non devi forzarti a fare ciò che non ti senti…’ gli disse poi cercando di recuperare la situazione. Il giovane sorrise:
‘Grazie zia Mary, sei la migliore!’ il viso angelico e l’espressione infantile la mandarono in brodo di giuggiole e, pendendo dalle sue labbra, aspettò le sue prossime parole.
‘Portami dell’altro caffè.’ le porse la tazza guardandola fissa negli occhi. La donna si scosse dai suoi ipnotici occhi ‘Ci risiamo’ pensò ‘ordini mascherati da sorrisi’ se questo era un trattamento di favore, si chiese come avesse trattato le domestiche prima di lei. Ingoiò, abbassò lo sguardo, per poi dire.
‘Si Aaron, subito’

Kate Weaver rilesse il titolo del saggio che doveva scrivere per il suo corso di letteratura sui modernismi americani: Esamina l’uso del linguaggio e le figure di stile nella poetica di Robert Frost. Vuoto totale, non le veniva in mente lo straccio di un’idea. Sbuffò per l’ennesima volta buttando l’occhio al cellulare sul tavolo. Le 12:27. Ancora niente, perché non la chiamavano, perché? Tutto questo attendere la faceva uscire di testa. Prese il telefono e scorse le foto. Derek e Miguel avevano riempito il vuoto che il suo adorato Aaron le aveva lasciato dentro e l’avevano fatto in modo letterale, usando a piacimento ogni cavità che il suo bel corpo aveva da offrire. Il giovane milionario che le aveva aperto gli occhi su piaceri a lei completamente sconosciuti aveva avuto ragione su tutto: l’amore che provava non era indirizzato a lui ma a ciò che aveva in mezzo alle gambe e i suoi nuovi ‘amici’ non avevano niente da invidiargli. Nelle ultime due settimane li aveva visti quasi tutti i giorni. La tiritera era sempre la stessa. Le mandavano un messaggio dicendole dove farsi trovare e a che ora, arrivavano e facevano sesso. No, non era esatto. Diciamo che i due ragazzi giocavano con la loro cagna, sollazzandosi in ogni modo venisse loro in mente. Dopodiché si rivestivano e la lasciavano a pulire il casino. Era più o meno così che stavano le cose. Kate ne era conscia e adorava ogni instante. Era una troia. E allora? Non era certo la prima né l’ultima e niente le dava più gioia che succhiare la virilità della loro verghe.
Controllò i messaggi, per la millesima volta, poi posò il telefono, sbuffò scontenta e tornò a tentare di scrivere due righe.

Mary si asciugò il sudore dalla fronte. Era indaffarata tra pentole e fornelli, aggiungeva un po’ di sale da una parte, abbassava la fiamma dall’altra. Ma la mente era altrove. Aaron le impediva di pensare ad altro che non fosse la sua presenza, così dolcemente invadente, il suo corpo da dio, il suo modo di fare, gentile ma degradante allo stesso tempo. Era un tarlo che si era piazzato al centro della sua coscienza, logorandola di sorrisi.
‘Cristo Mary, datti una svegliata!’ tentò di scuotersi ‘Devo trovarmi un uomo! Che quel cazzone di mio marito si fotta!’ pensò selvaggiamente ‘Se lui non mi vuole scopare troverò qualcuno che lo faccia! E’ l’unico modo, l’unico! Solo così potrò avere una vita normale!’ ignorò il senso di colpa che pian piano s’insinuava ‘Sto impazzendo! Così non posso andare avanti!’ pensò infine disperata.
Sentì una vibrazione nella tasca e perse il filo dei suoi pensieri. La prima cosa che Aaron le aveva dato il primo giorno era un piccolo cicalino:
‘La casa è enorme…’ le aveva detto ‘… e vorrei evitare di urlare di continuo!’
‘Che vorrà ora? Sta facendo la doccia!’ mormorò la donna con una punta di esasperazione. Salì le scale e percorse il luminoso corridoio per arrivare alla camera principale. Aprì la porta e si diresse verso quella del bagno. L’acqua scorreva all’interno. Bussò.
‘Aaron? Cosa c’è tesoro?’ disse a voce alta. Le parole del nipote le giunsero ovattate.
‘Ho dimenticato lo sciampo nel mobiletto, me lo passi?’ scosse la testa per la sbadataggine del ragazzo, le sembrava di sentire suo figlio Mike!
‘Ok, entro!’ gli disse. Il bagno era quasi più grande del loro appartamento e Mary ebbe un flash della sua vita da ricca, una vita ormai lontana, passata. Senza neanche accorgersene gli occhi affamati scansionarono la stanza ma il vetro smerigliato dell’anta scorrevole della doccia lasciava intravedere solo il profilo rosaceo del suo corpo, niente di più.
‘No! No! No!’ si disse ‘Basta pensarci, è solo un ragazzo ed è tuo nipote, Cristo! Controllati!’ inghiottì e si calmò mentre apriva lo sportellino del mobile. Prese una bottiglia di sciampo e si voltò per passargliela. Il respiro le morì in gola. L’anta era scivolata senza il minimo rumore e in piedi di fronte a lei, in tutta la sua gloria stava suo nipote, completamente nudo, con il getto d’acqua che gli sciacquava il corpo, carezzandolo. L’oggetto proibito dei suoi sogni erotici era lì davanti a lei, poteva vederlo, coronato da una fitta peluria bionda, a riposo, appoggiato su due palle grandi, virili, possenti. Era… bello, bellissimo, come il suo padrone che la guardava sorridente, aspettando.
‘Zia Mary… lo sciampo!’ le disse con la mano tesa, scuotendola dal torpore sognante in cui era caduta. La donna tentò di scostare gli occhi ma l’attrazione che quel pene aveva era troppo forte. Guardò in terra arrossendo in volto.
‘Si, scusa tesoro…’ balbettò ‘…non mi aspettavo di vederti…’ aveva le gote in fiamme ‘…nudo…’ gli porse la bottiglia e lui scrollò le spalle:
‘Ma dai, sei mia zia, non ti farà mica effetto?’ le disse guardandola con un’innocenza infantile che la fece vergognare di sé stessa e dei suoi sconci pensieri allusivi.
‘Ma no! Cosa dici, sciocchino! Figuriamoci! E’ che non… non me l’aspettavo, tutto qui…’ gli sorrise e si avviò verso la porta, inciampando goffamente in un portasciugamani ‘…vado a finire di preparare il pranzo. Lui la guardava divertito mentre usciva dal bagno dandogli un po’ di privacy.
‘Ok, grazie!’
La donna si appoggiò alla porta e chiuse gli occhi. L’unica cosa che vedeva era il corpo nudo del ragazzo, marchiato a fuoco nella sua memoria. Si portò una mano alla bocca, sconvolta, eccitata, spaventata, confusa. Erano passati anni da quando aveva visto un cazzo come quello, per non parlare del resto del suo corpo. Si sentì mancare le forze e camminò fino a sedersi sul letto da rifare. Cercò di riprendere fiato ma aveva la pelle in fiamme. Si sventolò il viso con le mani, le vampate continuavano ad arrivare mentre la mente completava le fantasie di notti insonni con l’immagine che, a questo punto, le impediva di formare alcun pensiero razionale. Aprì gli occhi. In terra, davanti a lei, c’erano le mutande sporche del ragazzo. In un raptus irrefrenabile le raccolse e se le portò al naso inspirando con tutta sé stessa l’odore maschio di un pube sudato. Ogni centimetro di pelle fu percorsa da un brivido e mormorò in estasi:
‘Aaron! Ooohh Aaron!’

Le 5:22. Mike Reed si stava preparando per andare in palestra. Gli era mancato doversene privare ed era felice di poter fare almeno una delle cose che aveva fatto in passato. Suo cugino sarebbe arrivato a momenti a prenderlo. Aveva pagato lui per l’iscrizione in un posto super lusso a North Hollywood, non gli sembrava vero. Per un paio d’ore avrebbe potuto sfuggire alla sua miserevole vita, con la miglior compagnia possibile. Eh già, perché Aaron, era il massimo! Era come il fratello maggiore che non aveva. Pareva assurdo, dopotutto erano solo due settimane che si frequentavano, eppure il giovane si era affezionato moltissimo a lui. Era una ventata di freschezza nello squallido putridume di quel posto del cazzo. Aveva assicurato loro un secondo stipendio e stava cercando di aiutarli in tutti i modi, nonostante suo padre non gli rendesse le cose facili. Per quanto lo riguardava era il suo eroe e non faceva che parlare di lui a casa.
Sentì il motore di una macchina, poi il clacson ed uscì. Oggi era venuto con un SUV metallizzato, un’altra macchina da sogno. Gli sorrise mentre scendeva di macchina con i Ray-Ban sugli occhi. Che figo che era, un modello da seguire, da ammirare, a cui aspirare, a cui assomigliare e Mike si sentiva fortunato a poter godere della sua compagnia.
‘Hey cuginetto! Pronto per sudare un po’?’ il giovane gli andò incontro e si dettero il cinque.
‘Puoi giurarci, oggi faccio più addominali di te scommettiamo?!’ gli disse Mike.
‘Si, si, come no! Sogna, sogna, mezza sega!’ gli rispose scompigliandogli affettuosamente i capelli.
‘Stesse condizioni?’ insistette imperterrito il più giovane.
‘Ok, come vuoi! Preparati a pagare!’ scrollò le spalle Aaron divertito ‘dai muoviti!’ gli disse poi sorridendogli. Era una cosa che facevano spesso. L’entusiasmo irrefrenabile del giovane Mike lo portava a sfidare il cugino di continuo per mostrargli di essere in gamba, di essere figo almeno quanto lui, sfide che il giovane sistematicamente perdeva e doveva pagare penitenza. In genere Aaron gli faceva fare cosette stupide o imbarazzanti, nella migliore tradizione goliardica e Mike si divertiva in quel gioco, convinto che un giorno gli avrebbe reso la pariglia.
‘Ciao Miky!’ i due si voltarono proprio mentre stavano per salire in macchina.
‘Ciao Cindy! Noi andiamo ad allenarci, ci vediamo dopo!’ rispose il giovane alla sorella maggiore che gli sorrise.
‘Ciao cuginetta!’ la risposta a quel saluto affettuoso, però, fu un freddo e impassibile:
‘Ciao…’ e lo sguardo che rivolse ad Aaron non era esattamente amichevole. La ragazza entrò in casa.
‘mmmm… ho come l’impressione di non andarle a genio…’ commentò il bel biondo, saliti in macchina. Mike lo tranquillizzò:
‘Tranquillo, Cindy è quella che ha preso la cosa peggio di tutti… sai il fatto di aver perso tutto…’ gli disse con una nota di tristezza nella voce ‘…era la reginetta della scuola, ora… beh, le sue amiche non la chiamano neanche più…’ continuò il ragazzo cercando, in qualche modo, di giustificarla ‘…quindi è arrabbiata col mondo e fa la stronza un po’ con tutti…’
‘Mi spiace, dev’essere dura!’ disse il giovane mentre si allontanavano dal quartiere.
‘Si, abbastanza…’ disse Mike incupendosi. Poi sorrise ‘…ma non voglio pensarci, ora andiamo a divertirci!’ disse al cugino che gli sorrise incoraggiante.
‘Ok moccioso! Oggi t’insegno come si allena un vero uomo!’ disse Aaron per mandare via la tensione e Mike gli dette un affettuoso pugno sul braccio.

Derek Davidson aveva impiegato più del previsto a sostituire uno dei filtri della piscina grande. Si asciugò il sudore dalla fronte mentre attraversava il giardino, verso il capanno degli attrezzi. Era accaldato e appiccicoso e non vedeva l’ora di togliersi quei vestiti. Prese un gran respiro e si stiracchiò le braccia, camminando e prendendosi un momento per constatare quanto gli piacesse la sua vita al momento. Aveva a malapena finito il liceo, senza alcuna intenzione di andare al college e la prospettiva di lavorare col suo vecchio nella piccola ditta di famiglia. Poi, circa quattro mesi prima, era arrivata la telefonata di un amico conosciuto da non molto tempo, una telefonata che gli aveva presentato un futuro differente. Miguel gli aveva detto che, al tipo per cui lavorava, serviva qualcuno per occuparsi delle piscine della villa. Derek aveva accettato, pensando che qualunque cosa fosse meglio di farsi sfracassare i coglioni da suo padre con le sue continue ramanzine. Fatto sta che Aaron, il loro capo, era un tipo davvero apposto e i tre erano diventati ottimi amici. La simpatia che il neoricco provava verso i due subalterni era più che evidente dal suo atteggiamento e il loro stipendio era velocemente lievitato a cifre da capogiro. Lui e Miguel guadagnavano 6000 dollari al mese, per un lavoro che, in circostanze normali, sarebbe stato quasi da fame. Ma la grana non era l’unico benefit di quell’amicizia. I tre giovani condividevano alcune… passioni. Sorrise mentre apriva la porta del capanno.
Miguel era seduto sul vecchio divano di pelle. Era completamente nudo, aveva il braccio sinistro dietro la testa, nella mano destra una birra e le gambe aperte. La ragazza che lo stava spompinando era disperatamente avvinghiata alle sua cosce e aveva il viso incollato al suo inguine, Sembrava avesse paura che il suo spuntino scappasse.
‘Hey amico!’ disse Miguel alzando la bottiglia in saluto ‘Abbiamo dovuto cominciare, continuava a sbavarmi sulla patta, hahaha!!!’ Derek chiuse la porta ridendo.
‘Hahaha! Hey cagna del cazzo!’ le disse mentre prendeva una birra ghiacciata dal piccolo frigorifero nell’angolo: ‘l’altro tuo padrone è arrivato! Vieni a salutarmi!’ Il muso di Kate riemerse dal pube dell’altro e, con un sorriso lascivo si voltò su sé stessa, sempre rimanendo in ginocchio ed abbracciò, con passione, il basso ventre di Derek, strusciando il viso sul suo bel pacco.
‘mmmm, ben arrivato…. mmmmm… adoro il vostro odore quando staccate da lavoro… mmmmm….’ le disse languida mentre lui si levava la maglietta. I due ragazzi ridacchiarono.
‘Non sei stata molto gentile, però!’ la canzonò mentre lei gli sbottonava, bramosa, i pantaloncini. ‘Non è che vuoi più bene a Miguel?’ continuò con un sorrisetto maligno, rinfrescandosi poi la gola con un sorso di birra. La cagna gli fece il broncio mentre gli abbassava i boxer. Poi sorrise quando il suo premio le apparse davanti agli occhi famelici.
‘No, sciocchino!’ diede una lenta languida leccata su tutta l’asta ‘mmmm… che buono che sei…mmmmm….’ il ragazzo le sorrise aspettando la risposta:
‘io voglio bene a entrambi i miei padroni… mmmm…’ altra leccata che li fece ridere. Cominciò a mugolare più forte e Derek si accorse che Miguel le stava stuzzicando la fregna con il piede. Sorrise e continuò:
‘Sarà ma sei stata una cagna disubbidiente, non mi hai aspettato!’ le disse tra le risatine che condivideva con l’amico. La giovane aveva intanto ingoiato il suo pene, gustandosi il sapore sudato del ragazzo mentre si accovacciava sempre più per sentire meglio il piede che le stava scivolando dentro. Il viso era il ritratto del piacere più volgare e disinibito.
‘Mi dispiace padrone… aaaaaahhhhh …..non lo faccio… mmmmmm …non lo faccio più…’ gli disse gemendo, come una micina che fa le fusa. Derek fece finta di pensarci.
‘Mmmm.. secondo te le scuse bastano?’ chiese all’altro.
‘Hehehe! Neanche per sogno, amico!’ fu la prevedibile risposta mentre continuava a stuzzicarla con le dita del piede, abbastanza da accrescerle il desiderio, ma non abbastanza da soddisfarla.
‘Già, sono d’accordo! Non pensi di meritare una bella punizione, cagna?’ Kate voleva essere riempita, scopata, usata e voleva godere di tutto questo. Stava leccando le palle a Derek, ancora e ancora inebriandosi del suo odore mentre Miguel la stava facendo impazzire, avrebbe accettato qualunque cosa. Tra i gemiti dell’eccitazione, mugolò un languido:
‘Siiiii…. aaaahhhh… è vero… sono stata…. mmmmmm….. molto cattiva, padrone…aaaaahhh…. ti prego puniscimi… mmmmmm… puniscimi severamenteeeaaaahhhhh!!!’ i due ragazzi scoppiarono a ridere e le loro bottiglie tintinnarono felici, poi Derek:
‘Hahaha! Bene, per cominciare allora ho proprio voglia di farti assaggiare qualcosa di nuovo, sei contenta?’ la ragazza era sempre più in preda all’eccitazione: ‘si, si, si… qualunque cosa ma scopatemi, vi pregoooo….’ Miguel si teneva la pancia dal ridere e Derek si voltò sghignazzando e presentandole il sedere.
‘Haha! Vedrai come ti piacerà cagnetta, non vorrai più farne a meno, hahaha!!!’ l’afferrò per i capelli e le schiacciò la faccia sulle natiche.
‘Lecca!’ rise quando sentì la lingua di quell’infima troia lavargli, dolce, lo sfintere.
‘La vita è proprio bella, cazzo!’

‘Uffa, è solo perché mi hai fatto ridere, altrimenti ti avrei battuto!!’ disse Mike mentre la cameriera della tavola calda portava i loro hamburger e le patatine.
‘Hahaha! Tutte scuse moccioso!!’ il ragazzo gli tirò una patatina ridendo ‘è che non sei alla mia altezza, diciamo le cose come stanno!! Hahaha!!’ Miky gli porse il dito medio ma con nessuna stizza, solo un gesto fraterno.
‘La prossima volta vedrai se non…’ iniziò ma fu interrotto.
‘Si, l’ho già sentita questa! Haha!! Intanto ammetti che sono un dio e tu uno sfigato!’ Aaron gli disse mettendosi una mano all’orecchio come per meglio sentire la confessione del cugino. Mike alzò gli occhi al cielo in divertita esasperazione e sbuffò:
‘Si, si, ok, ok! Tu sei un dio, io sono uno sfigato, bla, bla, bla…’ rispose scocciato al cugino addentando il suo hamburger. Aaron rise e i due si godettero la cena.
Finito di mangiare Aaron propose di tornare verso casa. Mike, però, di punto in bianco gli disse un po’ scorbutico:
‘Aspetta, non mi hai ancora fatto fare la penitenza, non tenermi sulle spine, tanto lo so che non te ne scordi!’ il bel biondo sorrise al giovane, un sorriso un po’ di scherno in effetti.
‘hehehe! E’ vero cuginetto, devi ancora pagare!’ assunse un’espressione concentrata ‘dunque, vediamo un po’…’ tamburellava le dita sul tavolo mentre pensava a cosa fargli fare.
‘Beh, visto che hai detto che sono un dio direi che è il caso che tu t’inginocchi di fronte a me, non trovi?’ Mike alzo di nuovo gli occhi al cielo a metà tra lo sconcertato e il divertito.
‘Ma sei scemo? Te lo scordi… poi qui davanti a tutti…’ Aaron sorrise e scrollò le spalle:
‘Chi perde paga, funziona così, no?’ gli disse con un sorrisetto ‘Naturalmente non sei obbligato a farlo, sei tu che continui a menarla con queste scommesse, moccioso…’ gli disse prendendolo in giro ‘Del resto non c’è niente di male ad essere un coniglio….’ continuò a sorridergli implacabile ‘…basta solo ammetterlo…’ Mike si guardò intorno. Erano in un tavolo d’angolo, protetti da una specie di separé, quasi nessuno poteva vederli e quei pochi erano impegnati nelle loro conversazioni. La probabilità di essere beccati, non era poi alta. Dette un’ultima occhiata supplice al cugino per vedere se era possibile commutare la pena in qualunque altro modo, ma il carismatico biondo fece spallucce.
‘Coraggio, giù in ginocchio, cuginetto! Hehe!!’ Mike sorrise e scosse il capo, prendendo coraggio. Disse spavaldo:
‘Questa me la paghi!’ accolto da una risatina del tipo ‘certo! come no!’ poi scomparve sotto il tavolino inginocchiandosi davanti a ciò che vedeva di Aaron, le sue gambe e i suoi piedi.
‘Ecco, contento?’ il visetto di Aaron spuntò dall’alto e lo guardò:
‘E’ così che si onora un dio? Faccia a terra, forza! Hahaha!!!’ Mike tentò di protestare ma un’infantile mitragliata di ‘coniglio, coniglio, coniglio, coniglio, coniglio, coniglio, coniglio…..’ gli arrivò dall’altro e, sbuffando, abbassò il viso proprio in mezzo ai suoi piedi per qualche secondo. Che sensazione strana. Come un lieve bruciore all’altezza dello stomaco, un’angoscia mista a… Si accorse che il cugino si sfilava l’infradito ma non si mosse, confuso. Sentì il piede nudo carezzargli il capo:
‘ma che bravo sfigato che sei hahaha!!!’ a quel gesto scosse la testa, stizzito. Si tirò su e si rimise a sedere, un po’ infastidito, intontito, imbambolato, aggiustandosi i capelli.
‘Contento adesso?’ gli disse contrariato. Aaron rise:
‘E dai, non prendertela! Tieni!’ lanciò al cugino le chiavi della sua macchina ‘Guidi tu al ritorno, mezza sega!’ Gli occhi di Mike s’illuminarono e tutti gli altri pensieri sparirono.
‘Davvero??!?!?! Grazie amico!!! Sei il migliore!!!!’ Aaron gli rispose con un occhiolino e al ragazzo sembrò di toccare il cielo con un dito.

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