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La felicità

By 5 Dicembre 2014Dicembre 16th, 2019No Comments

Beh, che dire? Mi ero sempre ritenuto un tipo fortunato, ma mai avevo lontanamente pensato di poterlo essere così tanto. Una modella, avevo scopato una modella, c’era una bellissima modella che dormiva nel mio letto. Un seno piccolo, quasi assente, e un culo incredibile dormivano nel mio letto, e le labbra! Perfette per un avvolgere un cazzo, effettivamente tutte le modelle che mi venivano in mente avevano labbra da perfette pompinare, sarà un canone estetico inconscio richiesto da noi uomini. 

Avevo sentito dire da alcuni amici che la maggior parte di loro erano ragazze facili, ma non ci avevo mai creduto, beh, ora potevo dire che era decisamente vero, ed erano anche molto generose, o almeno quella che mi ero scopato io lo era.

Mi ero sempre chiesto cosa si poteva fare con una modella, ora, dopo ieri sera, ne ho un’idea. La mia mente vagava veloce mentre bevevo il mio bicchiere di spremuta d’arancia mattutina, mi restavano alcuni tarli e sempre più domande nascevano, in realtà la maggior parte, anzi tutte, erano decisamente molto idiote. Tipo, dove la porti a cena una che sembra, e con molta probabilità è, anoressica? La puoi portare a bere un drink? Se la porti ad una partita di basket come farà a gustarsela a pieno senza hot dog e cola? Mentre la mia mente s’inerpicava per simili pensieri, alzai gli occhi e vidi l’ora. Merda! Stavo per fare tardi a lavoro. Mi buttai sotto la doccia ammucchiando i vestiti da mettermi nel bagno e in men che non si dica ero lavato, rasato e pettinato. Non che servisse a molto con il mio lavoro, ma era un mio piccolo rito.

Prima di uscire passai dalla ragazza e, so che non avrei dovuto ma andavo di fretta, cercai nella sua borsetta la patente, non provai nemmeno a mandare a memoria i dati, scattai direttamente una foto, rimisi tutto a posto e le lasciai un mazzo di chiavi con un biglietto. Scesi in strada e il freddo pungente della notte, sì, direi che era ancora troppo presto per poterla chiamare mattina, mi colpì.

Non mi ero neanche buttato nel traffico con la mia moto che già avevo beccato il primo semaforo rosso, e la mia mente tornò a vagare su futili concetti. Non riuscivo a decidermi se gli orari del mio lavoro fossero un bene o un male. Da un lato mi garantivano scarse o nulle possibilità di incontrare ancora la ragazza con cui avevo tradito la mia fidanzata quindi poche o nulle erano le possibilità di essere beccato, dall’altro mi toglieva la possibilità di rivederla per un altro po’ di fantastico sesso. Il sesso con Angela, in reealà, era già ottimo, non avevo nulla di cui lamentarmi, quindi propesi per il bene. Peccato che nel tempo della riflessione il semaforo fosse diventato verde e tornato rosso, ora iniziavo a essere davvero in ritardo.

 

«Buongiorno ragazzi»

«Buongiorno, capo»

«Ciao Vanessa» dissi scambiando un casto bacio sulla guancia con l’unica donna del gruppo. Trucco leggero intorno a quegli occhi color nocciola da cerbiatta, labbra rosso accesso e brillantino sopra le labbra, una visione quasi unica incorniciata dai corti capelli biondi, a fine turno avrebbe perso ogni singola briciola di femminilità, d’altronde anche Sandro ogni volta sembrava più cugino Itt che un normale essere umano.

Finiti i convenevoli, passammo quello che rimaneva della notte a creare la nostra arte.  Noi passano una notte a lavorare e la mattina bastò un’ora perché dovessimo ricominciare di nuovo. Erano bastati i primi clienti a finire buona parte di quello che avevamo preparato, e allora, dai di lavoro. Alla fine della mattinata sui tavoli era rimasto poco o niente e mentre i ragazzi riportavano le cose dentro, la maggior parte di noi preparava un piccolo spuntino oltre a darci una pulita. Avrei avuto bisogno di una bella doccia, ma di certo non avrei disdegnato neanche una semplice secchiata di acqua fresca.

 

Pancake con la nutella, succo di frutta, crostate, plumcake, pane ed affettati, mi ero sbagliato, la roba avanzata non era poi così poca. Sul tavolo c’era roba per un reggimento o per un piccolo gruppo di persone molto, molto, ma molto affamato. Eravamo in piena pausa goliardica che entrò l’organizzatrice, la mia ragazza, con una sua cara amica a farci i complimenti. Non so come feci a non diventare una statua di sale, ma in qualche modo mantenni il sangue freddo. Che diamine ci faceva la mia modella in quella stanza?

«Tesoro, ciao! Come mai qui?»

«Samantha, questo è il mio ragazzo, Simone, nonché cuoco dell’evento.» mi presentò lei senza badare minimamente alla mia domanda

«Ciao! Piacere, Samantha!» disse cordialmente

«Il piacere è tutto mio, Samantha. Io sono Simone» lei per risposta mi mandò un profondo sorriso

«Angela, non so perché ma il tuo ragazzo m’ispira molto bene per le notti di sesso sfrenato…dì la verità.» chiese maliziosa Samantha guardandomi di sottecchi.

«Samantha!» fece fintamente scandalizzata la mia ragazza. Io mi adoperai in un piccolo inchino, gongolando del complimento nascosto, e poi mi congedai tornando dalla mia squadra.

 

Avevamo finito di pulire le nostre postazioni e stavamo caricando le ultime cose sul furgoncino quando mi si avvicinò Vanessa appena cambiata

«Te lo manda la ragazza con il vestitino rosso…non mi sembra il tuo tipo, te la sei ripassata stanotte?- lanciai un’occhiataccia a Vanessa mentre afferravo il mazzo di chiavi dalla sua mano- Che hai capito? E che sembra interessante e ci stavo facendo un pensierino.»

«Ci starebbe. Ma non con una come te»

«Che vuol dire “una come me”?» mi domandò risentita

«Vanessa, prendi il tuo abbigliamento attuale: anfibi militari, jeans mimetici senza parlare della della felpa da hockey. Diciamo che non rappresenti un emblema di femminilità e sei lontana dal poter sedurre»

«Stronzo!» alzai lo sguardo dagli ultimi scatoloni e la guardai per bene. Le alzai le braccia sfilandole la felpa, in canotta rendeva decisamente meglio, ma c’era ancora qualcosa di antiestetico, la girai e le slacciai il reggiseno togliendoglielo. La fissai un po’, poi le presi i capelli in disordine e le feci una cippolla fissandola con un incisore per torte.

«Vai e seducila»

«Grazie» e si alzò sulle punte per darmi un piccolo bacio. “Magari me ne liberi” pensai tra me

 

Al primo tentativo non centraì la toppa di casa, mi ero alzato troppo presto e avevo dormito troppo poco. Mi sforzai di concentrarmi sulla chiave e la serratura, questa volta azzeccai il buco e feci centro. Buttai la borsa per terra e cercai di raggiungere il letto, neanche tempo di sedermi e togliermi le scarpe che sentì il trillo del telefono, lo fissai un attimo e non so per quale motivo lo afferrai. C’era un video, lo aprì e riconobbi subito il tatuaggio di Samantha. “Avevi ragione! È fantastica! Grazie!” con un cuoricino alla fine, testo scarno ma pieno di significato. Vanessa si stava divertendo con Samantha e io mi ero liberato di una bella gatta da pelare, mi sdraiai pronto a riposarmi, ma sentì la voce di Angela

«Non penserai di dormire, vero?- mi sollevai e la vidi entrare nella stanza. Il mio cazzo si svegliò all’istante- Non sarai così stanco da non potermi scopare, vero?» Stava lì davanti a me con solo la guepiere blu che le avevo regalato io e una faccia da pura troia, non avrei dormito molto presto.

«Angela, tesoro! Che ci fai qui?»

«Sono entrata in casa tua per farti una sorpresa, non si vede?» mi disse avvicinandosi al letto gattonando. La vista del suo culo incorniciato dal quel piccolo filo di tessuto che era il perizoma mi fece scattare sull’attenti il cazzo e perdere quel briciolo di lucidità mentale che mi restava. Riuscì appena a sentire

«Con le chiavi che mi ha dato Samantha» mi rispose lei mentre saliva sul letto a gattoni

«Samantha! Ma…»

«Si, mi ha detto tutto» disse lei cominciando a baciarmi le labbra e strappandomi letteralmente di dosso la camicia. Cercavo di risponderle nei pochi momenti in cui avevo la bocca libera, ma la concentrazione era poca ora che era passata a sbottonarmi i pantaloni

«Di…cosa…stai…parlando…amore? Ohhhhh» sospirai alla fine quando mi prese in bocca il cazzo. La sensazione di calore era fantastica, stavo perndendo ogni minima capacità mentale. Come poteva farmi questo effetto? Semplice. Fissavo un culo piccolo e sodo fin quasi all’inverosimile stretto in un perizoma blu mare mentre il mio cazzo era letteralmente fagocitato dalla sua bocca e accarezzato dalla sua lingua. Angela non aveva le labbra da capogiro di Samantha, ma in compenso possedeva una lingua con una mobiità assurda, aveva la dannata capacità di disegnare dei complessi arabeschi sul mio cazzo da farmi perdere ogni minima cognizione del tempo e dello spazio. Ero già andato in ecstasi, quando si fermò all’improvviso e si alzò, mi fissava intensamente negli occhi e senza mai distogliere lo sguardo si sgancio il bustino gettandolo via. Il mio sguardo fu calamitato dalla sua quarta abbondante soda come il marmo, mi appoggio la mano sul petto che io inebetito fissai, alzai lo sguardo e in quel momento mi spinse giù. Venne sopra di me strusciando le sue fantastiche tette sul mio cazzo e senza togliersi le mutandine si impalò a colpo sicuro sul mio cazzo senza mai smettere di guardarmi.
Non si era tolta le mutandine, ma non c’erano ostacoli alla penetrazione, ci misi un po’ a capire perché…diamine ero un po’ come lo stupido del villaggio in quel momento: talmente sconvolto da non capire niente o quasi.
Il corpo di Angela che mi rimbalzava addosso, le sue spinte ritmiche e le sensazioni che mi dava la sua figa mi svegliarono del tutto. Quando ormai non se lo aspettava più le afferrai saldamente il culo e trasformai le mie mani in due artigli di acciaio…era il mio turno, ora toccava a me.

«Ti sei divertita a guardami imbambolato, eh?»

«Non puoi…neanche…capire quanto..sia stato..ohhhh..bello vederti imbambolato a fissarmi…siiii…balbettavi ..come un idiota» mi disse lei con gli occhi chiusi e le mani sul mio petto tra un saltello e l’altro

«Beh, ora tocca a me diveritrmi» le dissi e cambiai ritmo…cominciai a infilarla di forza dal bacino mentre la sbattei più forte che potevo su di me facendole strusciare con cura il clitoride ad ogni affondo. La bocca semi aperta, la testa reclinata all’indietro le inconfondibili contrazioni dell’orgasmo, stava venendo

«Ohhhhh!!! Siiiiiiiii!!!» esplose verso il soffitto, era il mio momento. La afferrai e la sollevai di peso, la sistemai a pancia in giù sul letto, la posizione perfetta, era come muovere un corpo morto. Le sollevai il culo e senza chiedere affondai dentro di lei di nuovo

«Ahhh!» era sorpresa e si girò a guardami

«Ora tocca a me!» cominciai a spingere dentro di lei affondando completamente in lei che, sfinita, ricadde sul letto con la faccia affondata tra le lenzuola.

«Ma…vuoi…oh cazzo…sfondarmi?» mi chiese mentre al penetravo sempre più velocemente. Dentro di me sorridevo come un idiota, mi sentivo uno stallone da film porno, ma sapevo benissimo di non poter continuare per molto, l’orgasmo mi stava già montando dentro.
«Sto per venire! Sto per venirti dentro!»

«Oh siiii!!! Vienimi dentro! Voglio sentirti dentro di me!» furono le parole magiche che mi devastarono peggio di un uragano, venni dentro di lei con un grugnito di liberazione come se mi fossi liberato di un peso, un peso fantastico devo dire. Mi lascia cadere sopra di lei ed esausto rovinai di fianco steso, come si dice a roma, a quattro di spade. Ero esausto e con il fiatone, gli occhi chiusi e un sorriso abbozzato sul viso, mi sforzai di voltarmi a guardare Angela e al vidi ancora lì, con la bocca semi aperta e un filo di saliva che la legava al lenzuolo, le ginocchia ancora piegate, non si era ancora ripresa ed era rimasta nella stessa posizione in cui le ero venuto dentro. Poco a poco anche lei riprese coscienza con il mondo esterno e i suoi occhi incontrarono i miei, a fatica si poggio sui gomiti e si sdraio poggiando la sua testa sul mio petto, presi la coperta e la sistemai sopra di noi alla bene e meglio, poi chiusi gli occhi per riposarmi

«Sai, credo di essere davvero venuta»

«Me ne sono accorto – risposi abbozzando un piccolo sorriso sul volto prima di realizzare – perché di solito non ti faccio venire?»

«Idiota, non venire in quel senso»

«Allora non ho capito»

«Mi hai fatto squirtare, tesoro – mi disse lei fissandomi estasiata- solo Samantha ci era riuscita» all’inizio non colsì bene, ma poi mi venne spontaneo rispondere

«Scusa?» alzandomi leggermente sui gomiti per fissarla per bene

«Sei solo una troia!» urlai incazzato nero dal bagno

«Ma che cazzo di ragionamenti fai? Cosa credi di essere l’unico a poterti sbattere tutte quelle che vuoi?» mi disse altrettanto infuriata Angela

«Il fatto che io non sappia tenermi l’uccello nelle mutande non vuol dire che tu debba fare lo stesso! Sei una donna, maledizione!»

«Il fatto che sono una donna che cazzo vuol dire? Dovrei stare forse sempre in cucina a prepararti il pranzo e non lavorare?»
«Perché quello che fai si chiama lavoro? Tu campi con i soldi dei tuoi!- urlai inferocito uscendo dal bagno- Lavoro» sbuffai schifato

«Lavoro! Lavoro! Quello che faccio è un lavoro!» mi disse risentita ad un millimetro dal volto

«Lavorare vuol dire spaccarsi la schiena per portare il pane a casa, cara mia. Non organizzare una festa a dei ricconi amici tuoi una volta ogni tanto. Non ti rendi conto che con quello che guadagni in tutto l’anno non ci paghi nemmeno l’affitto?» le dissi esasperato lasciandomi cadere sul letto

«Sei solo un’egoista stronzo e pure cornuto!» mi urlò in faccia lei

«Ah, sono cornuto? Ma togliti dalle palle che hai più corna tu che un porcospino aculei» la vidi sbiancare, poi ricordo solo un fortissimo dolore alle palle! Quando mi ripresi dal dolore, Angela era sparita. La porta dell’appartamento aperto, ma la sua voce nel corridoio arrivava ben distinta. Chiusi la porta e mi buttai a letto, era il momento di dormire, davvero.

Mi svegliai tutto indolenzito, ero troppo stanco per riposarmi soltanto dormendo. Le gambe mi davano fastidio, mi dolevano senza che avessero effettivamente lavorato nelle ultime…nelle ultime…mi voltai verso la sveglia, nelle ultime sei ore. Mi alzai stancamente dal letto e andai in bagno, un po’ d’acqua fredda sul viso mi avrebbe svegliato, speravo. Infreddolito, ma non più sveglio, aprii l’acqua della grande vasca da bagno, andai al piccolo mobiletto del bagno alla ricerca dei sali, presi la piccola e costosa boccetta e mi immersi nella vasca che, data la mia lentezza esasperante, era ormai quasi piena. Rimasi nella vasca a riposarmi un po’ di tempo, non so quanto di preciso, mi sembrò poco, ma non saprei dire, quando sentii aprire la porta di casa

«Chi é?» chiesi a gran voce

«Sono Irina» mi rispose una voce lontana

«Ciao Irina, come stai?» urlai. La sua testa fece capolino nella stanza dove ormai il vapore regnava sovrano

«Deve aprire le finestre o vapore sporca tutto» mi disse col suo accento russo. Irina era una bellissima ragazza, slanciata e magra, un seno ben fatto, sodo e bello, proporzionato al corpo longilineo. Entrò per aprire la finestra e accendere l’aeratore e potei ammirare per intero il suo corpo, ma mi sorpresi di non trovarla con la solita tenuta da lavoro

«Iri, ma dov’è quella bella tenuta da lavoro che ti ho regalato?» le chiesi

«È…è a lavare» mi rispose incerta. Mi sembrò che mentisse, dopotutto gliel’avevo regalata appositamente perché la indossasse da me e solo da me, ma non ci feci molto caso in quel momento. Allungai la mano verso la sua gamba per accarezzarla, ma la scansò

«Dopo, adesso ho tanto da fare» mi sorrise. In effetti la casa faceva un po’ schifo. Era stata una settimana impegnativa al lavoro e, come dice un detto, “Lavora sodo, divertiti sodo”. Non mi ero fatto mancare nulla, alcool, amici e scopate con belle ragazze, forse era meglio evitarsi l’ultima. Meglio così, avevo scoperto che avevo una ragazza malata e zoccola, che famiglia avrei potuto farci? “Quella mirava solo a farsi mantenere, ne sono certo.” Certo che ora stavo proprio meglio, forse era il caso di alzarsi e cenare, dopotutto avremmo cominciato a lavorare presto quest’ultima notte. Una sola notte e poi in ferie per due settimane, già pregustavo quali ragazze sbattermi in vacanza, tanto si sa che in giro sono ancora più troie che a casa. Chissà dove saranno finite le brave donne tutte casa e chiesa di una volta? Quelle che crescono senza grilli per la testa e vogliono fare le brave mamme di famiglia a badare alla casa. Mi alzai dalla vasca, aprii lo scarico ed uscii. Mi stavo asciugando quando decisi di fare una sorpresa ad Irina, ne sarebbe stata felice. Mi recai in camera da letto, ma non c’era. Provai in cucina e la trovai a trafficare con i fornelli, era proprio una brava massaia. Non fosse stata un’extracomunitaria vogliosa solo di fottermi tutti i soldi avrebbe potuto essere qualcosa di più di una svuota palle

«Iri, come sei bella!» le dissi ponendole dolcemente le mani sui fianchi e aderendo al suo corpo. Odiavo quando indossava le tute, volevo poter sentire il contatto con la sua pelle. Lasciai scorrere le mani sotto gli abiti, alla ricerca della sua pelle calda e morbida. Culetto sodo e ben sfondato, figa stretta nonostante le vagonate di cazzi che aveva preso e due tette che stavano su da sole. Capelli biondi e occhi azzurri come tutte le russe, ma non bastava, era soprattutto una gran troia. Ero stato proprio fortunato a trovare quel video online, ormai lavorava a casa mia in quasi esclusiva da più di tre anni e da uno me la sbattevo alla grande.
“Certo che Angela era parecchio cornuta”, riflettevo tra me, mentre le mie mani correvano al seno di Irina

«No, prego! Devo finire!» mi rispose con la voce roca

«Fai la brava, Irina, altrimenti ti risbatto in mezzo alla strada dove ti ho trovato» La minacciai abbassandole i pantaloni della tuta super aderente, certo che anche quando si vestiva per fare le pulizie senza la divisa era troia. Lasciai cadere l’asciugamano ed entrai in lei, era così stretta ed aveva preso così tanti cazzi, in una sola parola: incredibile. Mi sentivo avvolgere delicatamente il cazzo mentre una vampata di calore mi avvolse la mente. Scivolavo libero da impedimenti scorrendo sui suoi succhi, era bagnata la stronza.
La scopai per bene, ma era diverso. Irina non partecipava, era ferma ad aspettare

«Così non mi piace- sbottai- Che c’è? Hai smesso di essere una troia?» le chiesi innervosito
«Non lo sono mai stata» mi rispose stizzita

«Io, invece, dico di sì. Ti sei presentata la prima volta vestita con una minigonna così corta che potevo contare i peli della tua figa depilata. Ti sei messa a novanta dimenando il tuo culetto come una porca, sei troia nel midollo» le dissi dandole una forte pacca sul culo e tirando i capelli. Spinsi con forza affondando con violenza dentro di lei. Le davo colpi molto forti, la sculacciavo e lei era incapace di resistere

«Ah!» godeva della mia rudezza, una troia da primato.  

«Fai la ritrosa, Irina, ma godi come sempre»

«Sì, godo! Ancora!- mi disse appoggiandosi al bancone della cucina- Non smettere, prego!» 

«E chi vuole smettere? Ora ti faccio pure il culo!»
«No, non culo» mi supplicò, ma non mi interessava. “Figurati se prendo ordini da una russa del cazzo” pensai tra me. Mi staccai lasciandola a novanta sulla cucina e presi il burro dal frigo, la ritrovai ferma lì, in attesa solo di essere sbattuta. Lasciai scivolare il dito imburrato nel suo culo, la preparai a quello che stava per accadere guarnendo il canale allo stesso modo di una teglia per dolci.

«No, prego!» mi implorava, ma sapevo quanto lo volesse. Era rimasta lì, ad aspettarmi. Entrai di nuovo, ma nell’altro buco. La soddisfazione mi pervase

«Ah!» l’urlo strozzato di Irina riempì la stanza e scaldò l’animale che era in me

«Ammettilo che ti piace. Tanto lo so che mi dimeni il culo davanti solo perché vuoi che lo sfondi» Il suo culo mi aveva risucchiato completamente e mi avvolgeva come un guanto, era incredibile come avesse mantenuto l’elasticità nonostante fosse una lurida troia da bordello. La scopai in culo senza grazia, come si addice ad una puttana e, dopotutto, lo era. Dentro e fuori, senza mai fermarsi a riprendere fiato, sempre più forte e la sentì sciogliersi sotto i miei colpi, tornare ad essere l’Irina troia fin nel midollo che avevo conosciuto
«Sì, me piacere!» mi disse nel suo italiano stentato.

Mi ero appena goduto il culo di Irina quando mi suonò il telefono, era Marco, il mio capo, se così lo si poteva chiamare

«Pronto? Marco?» alzai il telefono

«Oh, Simone, ma che combini?»

«Che intendi dire?»

«C’è un tuo video porno online, mi è arrivato per email»

«Marco, ma che cazzo dici?»

«Sì, è un video di un pompino, non duri neanche un minuto. Ma che soffri di eiaculazione precoce?»

 

L’ennesima giornata di lavoro pesante, l’ennesima nottata a cucinare, l’ennesima mattinata distruttiva. Ero soddisfatto dal lavoro, lo ero sempre, raramente sbagliavo qualcosa. 

«Capo, abbiamo finito di pulire. Andiamo» mi disse Sandro con i capelli ancora sconvolti

«Come diamine fate a essere così veloci ogni volta?» chiesi divertito

«Eh! Capo, ma tu sei veloce in altro» mi fece Vanessa dalla porta. Mi girai per fulminarla, ma era già scappata

«Questa storia deve finire, Sandro!» 

«Capo, è una battuta. Non siamo noi quelli finiti su internet»

«Vattene subito» sibilai incazzato. Sandro non replicò e si incamminò con il passo pesante verso la porta. Ero di spalle, ma capì che si era fermato sulla soglia, smisi di pulire

«Sta diventando pesante il clima, capo. Trova un rimedio tu o lo faremo noi» non aspettò la risposta. La porta si aprì e lui la varcò, rimasi solo in cucina. Nel silenzio della stanza presi il cellulare e riguardai un’altra volta quel video. Era stato caricato su un sito porno famosissimo, una visualizzazione in più o in meno non avrebbe cambiato le statistiche. Più di un milione di visualizzazioni, chi non lo aveva ancora visto direttamente probabilmente ne aveva sentito parlare da qualche amico. Ed eccomi venire nella calda bocca di quella troia di Angela. Maledetta bastarda.
Finii di pulire l’intera cucina e andai per riprendere la moto, mi infilai il caso svogliatamente. Era un brutto periodo, mi sentivo sempre stanco e con poca voglia di fare tutto. Montai in sella

«Ma che cazzo…» imprecai sentendo la moto abbassarsi in modo eccessivo. Misi il cavalletto e scesi, le ruote erano completamente a terra. Allungai una mano, mi sembrava impossibile, ma lo trovai. Uno squarcio nella ruota, era enorme. Non era stato un chiodo o una vite, ma un coltello. “Quale coglione si diverte a tagliare le gomme altrui?” pensai tra me. Stanco, infreddolito e nervoso attesi quasi due ore prima che arrivasse un carro attrezzi che mi portasse da un gommista. Quasi quattrocento euro di spesa per uno stronzo che si era voluto divertire. Rientrai a casa solo quando era quasi sera, faceva schifo. Non avevo voglia di pulire e Irina non veniva più. La troia doveva aver trovato un povero stronzo da abbindolare. Buttai i vestiti da un lato del letto e mi infilai sotto le coperte dall’altro. Avevo bisogno di dormire un po’, mi sarei dovuto alzare nel cuore della notte per replicare la mia magia di lì a qualche ora.

Quella mattina, che eufemismo, erano le quattro di notte quando scesi per prendere la moto, il freddo terminò l’operazione iniziata dal caffè e mi ritrovai quasi in una condizione di ipereccitazione. Misi il casco e raggiunsi il mio solito posto dietro al palazzo, quando alzai lo sguardo impallidii. La mia bellissima moto era a terra “Qualche figlio di puttana deve averla colpita stanotte!” non avevo sentito l’antifurto distrutto com’ero. Cercai di alzare la moto, ma era troppo pesante. Disperato e senza idee su come fare, mi stavo arrovellando il cervello quando conclusi che non avevo scelta. Chiamai un carro attrezzi, il secondo in due giorni, e mi feci portare in una di quelle rare e costose officine aperte ad ogni ora. Mezz’ora dopo ero sul carro attrezzi in viaggio verso una meta che mi sarebbe costata qualche altra centinaia di euro

«I danni mi sembrano superficiali, vedrà che le verrà riparata subito» mi disse l’autista

«Lo spero, devo andarci a lavorare»

«Ma per la mattina sarà pronta sicuro»

«Ma io- controllai l’ora al cellulare- comincio fra mezz’ora»

«Ah» disse sorpreso. Era un bel danno, ma ebbe ragione quell’autista, nel giro di un’oretta era tutto a posto. Pagai senza obiettare i seicento euro del costo e ripartii verso la mia destinazione originale. Quando arrivai, ormai ero in ritardo di quasi due ore

«Buongiorno, squadra!»

«Buongiorno, capo! Era ora che arrivassi!»

«Ehi, calmi! Ho avuto i miei problemi»

«Ti sei sbattuto una ragazza per due ore?» mi chiese sarcastica Vanessa

«Vanessa, mi sono stufato. Portami rispetto, io sono il capo squadra! Voi fate quello che dico io e lo fate come dico, quando lo dico io! Alla prossima battuta od allusione alle mie prestazioni sessuali vi faccio sbattere in panchina per sempre» si erano ammutoliti tutti, avevo ripreso il controllo della mia squadra. Io il capo, io facevo le regole.

Lavorammo per tutta la restante mattinata, era un’operazione speciale e doveva essere sempre tutto pronto da servire. Quando il turno fu finito dissi ai ragazzi che se volevano andare erano liberi, avrei fatto io il carico sul furgone visto che ero arrivato in ritardo

«Sì, Simone, ma lo farai da solo. Noi preferiamo la panchina alla tua squadra» mi fermò Sandro

«Ma che dici?»

«Eri già odioso prima, ora sei insopportabile. Vuoi lavorare? Lavora da solo!» mi disse con disprezzo buttando la sua giacca per terra. Vanessa lo imitò subito, gli altri uno ad uno seguirono il loro esempio. La mia squadra, quella che io avevo fatto diventare la migliore squadra, mi aveva abbandonato. Furono degli ingrati incredibili. In silenzio, da solo, raccolsi tutta la nostra attrezzatura

«Ahia!» mi ero tagliato, un coltello messo male e un profondo taglio tra l’indice e il pollice.  Maledizione, non ci voleva pure questa

Quando riportai il furgone in azienda, fu un inferno guidare avendo una mano fasciata e dolorante, passai da Marco

«Simone!» mi accolse incazzato

«Lascia stare, sono infuriato anche io»

«Tu sei infuriato?!» mi chiese incazzato

«Sì, io! Cazzo, non ne potevo più! E quegli ingrati, invece di chiedere scusa, mi hanno abbandonato lì, da solo!»

«E hanno fatto bene, razza di cretino! Sei un egocentrico presuntuoso che non riconosce un cazzo del merito altrui! Lavoravi in squadra anche tu razza di idiota e li hai spinti tu a quella decisione!- mi urlò in faccia- sei sempre stato uno difficile da gestire, ma questa volta hai raggiunto il limite! Ho già perso due validissime persone a causa tua!»

«Ma di che cazzo parli, Marco?! Mi hanno mancato di rispetto!» urlai stravolto. Il mio amico mi insultava perché avevo difeso il mio onore, non aveva il minimo senso

«Vanessa e Sandro se ne sono andati per sempre, idiota! Hanno accettato un’offerta dello Sheraton, staranno lì!- fu una notizia che mi colpì come un macigno. Marco si calmò e continuò- Mettiti in malattia, stai un po’ a casa. Devi superare questa cosa del video» ero sconvolto. Non mi sarei mai aspettato un tradimento simile da Vanessa e Sandro, erano sempre stati i punti fermi della mia squadra e, invece, erano stati i primi a tradirmi.

Uscii dagli uffici che ero distrutto, sconfitto e demoralizzato, ma soprattutto incazzato. La moto era rimasta nel parcheggio dell’hotel e non sapevo come tornarci, senza contare che non avrei potuto guidarla con la mano in quelle condizioni, mi incamminai stancamente verso casa. Era passata quasi una mezz’ora, e sarebbe servita ancora un’ora per casa, quando sentii un clacson ripetuto. Mi girai per curiosità e vidi una macchina accostarsi. 

«Simone!- strillò la ragazza all’interno- Sali!» mi invitò con molta enfasi. Mi avvicinai stupito

«Ci conosciamo?» chiesi dubbioso

«Non mi riconosci, brutto stronzo? Sono Marta» mi disse solare. 

«Marta?- chiesi incredulo e sognante- Sono anni che non ci vediamo»

«Dai, sali! Ti do un passaggio» e fu così che una vecchia scopamica, più scopa che amica, mi aiutò a tornare a casa. Il giorno dopo sarei andato a riprendere la moto con calma, tanto ero in malattia. Fu piacevole stare con lei, era diventata molto bella, intelligente devo riconoscere lo era sempre stata. Quando arrivammo a casa mia la invitai a bere qualcosa scusandomi già in anticipo per come avrebbe trovato la casa

«Non sei il primo single di cui accetto un invito»

«Di solito è pulita, ma sono in una situazione un po’ caotica e si è dimessa anche la puttana che veniva a pulire»

«Avevi una puttana che veniva a pulire? Credevo ci si scopasse con le puttane»

«Infatti lei scopava, me e il pavimento. Era una russa di merda che avrà trovato qualche poveraccio da abbindolare e gli starà alleggerendo il conto in banca» Marta non rispose, ma la sua espressione non mi sembrò molto d’accordo. Fu un attimo, però, e tornò subito solare. Aprii la porta e la invitai ad entrare
«Ma che diavolo?!» la sentii dire. Mi voltai verso la casa

«Dai, non è messa così….» non riuscì a terminare la frase. La mia povera dimora era stata devastata, erano entrati dei ladri.

«Appena possibile ci faccia avere un inventario di cosia pensa potrebbero aver rubato. Per stanotte è meglio se dorme fuori, i colleghi hanno trovato del sangue sulla finestra e ne avranno per un po’»

«Pure l’albergo ci mancava stasera»

«Perché non vieni da me? Abbiamo condiviso il letto in passato, non penso sia un problema condividerlo oggi, no?» mi propose Marta spiazzandomi

«Ma non ho vestiti»

«Neanche in passato li usavi» Marta era rimasta la stessa troia di sempre. Sapevo dove voleva andare a parare e mi andava benissimo. Firmai i documenti e il giorno dopo avrei fatto l’inventario. Fortunatamente la casa di Marta non era lontana, neanche venti minuti e fummo lì. Salimmo e mi ritrovai in un posto perfetto, quasi immacolato. Mi venne spontaneo chiederle come facesse e lei candidamente mi rispose

«Non ci vivo, ci torno solo a dormire. L’unica cosa che tengo sono cose per fare aperitivi e bere un bicchiere della staffa»

«Mi piace come idea» e in effetti facemmo quello per tutta la sera. Bevemmo, ridemmo e scherzammo tutto il tempo. Aveva la pelle curata, era minuta, ma c’era qualcosa di diverso in lei, come fosse più porca, le piccole labbra sempre semi aperte, gli occhi birichini e i suoi movimenti. La sua mano così lunga e affusolata non aveva fatto altro che stare posata sulla mia gamba, mi era venuta un’erezione dall’inizio della conversazione e lei faceva finta di niente, ma ero certo avesse notato la situazione. Strinsi delicatamente il suo polso e la tirai verso di me, ci baciammo. Fu qualcosa di naturale, come se lo avessimo sempre fatto, se non avessimo mai smesso di vederci e fare sesso. Fu l’occasione per ritrovarci e per ricominciare a godere dei nostri corpi. I nostri gesti erano rabbiosi, carichi di una passione dimenticata improvvisamente riaccesa, era come se avessimo voluto scaricare tutti quegli anni mancati in un’unica notte. Marta si lasciò cadere in avanti sdraiandosi su di me. Non ci mise che un secondo a sbottonarmi i pantaloni e afferrare il mio cazzo. Persi il respiro quando sentii le sue labbra chiudersi come una morsa, il calore della sua bocca mi investii, mentre annaspavo con le braccia sul divano per cercare di tirarmi su. Non si mosse di un millimetro, tutto il mio cazzo in bocca fino in fondo senza alcuno sforzo apparente. Le afferrai la testa e la spinsi verso il mio cazzo ancora più a fondo poi mossi il mio bacino dentro e fuori, sempre più veloce e un movimento sempre più lungo, Marta continuava a ingoiare ogni centimetro del mio cazzo senza problemi, era una professionista del pompino. Mi staccai definitivamente e mi guardo con suoi occhi selvaggi, era contrariata e mi prometteva punizioni e ne ero felice. Mi montò sopra ancora vestita, tanta era la voglia da superare pure le costrizioni dei vestiti. Si impalò su di me e fu una liberazione, ci sentivamo realizzati, ci guardammo negli occhi e quella furia era come svanita per magia, ora che eravamo ricongiunti avremmo solo voluto non finisse mai. Si muoveva lenta, dolcemente su di me, assaporando ogni centimetro del mio cazzo, ero incantato ad osservarla e non so bene quanto tempo passò, mi risvegliarono le sue urla

«Simone! Sì, Simone! Sei così duro!» ero certo di una cosa, ero stanco di essere passivo sotto di lei. Le afferrai le gambe e mi alzai in piedi sorreggendola

«Ora ti faccio godere» le annunciai spavaldo

«Oh sì! Fai l’uomo! Fai il maschio! Fai godere la femmina! Domala!» Urlò senza senso. La scopai con colpi profondi, violenti, veloci, la sentii scuotersi, agitarsi e tendersi come una corda di violino. Il suo orgasmo tirò il mio e insieme urlammo

«Argh!» e un suono animalesco si diffuse nell’aria intorno a noi. Crollai ansante sul divano con lei sopra di me che sembrava più morta che viva. Con un grande sforzo provai a sollevarmi

«Aspetta, stiamo un po’ così» mi sussurrò piano

«Ma domani devi andare a lavorare» le ricordai. Sbagliai le parole perché scocciata si alzò e si avviò verso la camera da letto. Ci addormentammo senza più dirci una sola parola.

 

Mi svegliai solo a mattina inoltrata, Marta era già andata a lavorare, chissà quanto aveva dormito. Mangiai qualcosa da solo e restai tutta la giornata a riposare, mi sentivo stanco e spossato nonostante non stessi facendo niente. Quando rientro mi sembrò un miracolo, la strinsi a me la condussi sul letto, era come un posto magico. Su quel letto esistevamo solo noi due, nessun altro e nient’altro. Scopammo ogni sera, appena lei rientrava, poi la vedevo mettersi ai fornelli e cucinare qualcosa, fu un breve periodo, però. L’incantesimo si ruppe dopo un po’, io ero stanco di rimanere a casa. La mano era guarita, ma Marco non voleva chiamarmi per altri lavori, parlava di stress e cazzate varie: “Questo non vuole farmi rientrare, ma è scemo?” mi chiedevo tra me, nel frattempo Marta aveva smesso di cucinare e ultimamente mi respingeva, le donne saranno sempre una specie misteriosa. Si lamentava del mio non fare niente, ma non la capivo. “Stavamo a casa sua e avrei dovuto fare io?” volevo parlargliene quel giorno, ma neanche due secondi dopo aver posato la borsa il telefono iniziò a suonare
«Scusa Simo, devo rispondere» e lei si allontanò.

Che serata di merda che passai. Marta non mi si era interessata per niente a me, dopo quella telefonata sparì, parlò pochissimo e scappò a dormire. La ferita alla mano era guarita, ormai era tempo di andare a prendere la moto. Decisi che il giorno dopo lo avrei fatto, almeno avrei impiegato la giornata. 

La mattina dopo mi imbarcai per il lungo viaggio, con i mezzi infernali che tanto odiavo. Arrivai all’hotel dopo due ore in mezzo a gente puzzolente e sporca, con vecchi rincoglioniti e maleducati di ogni sorta, mancavano solo le mamme con i bambini urlanti in carrozzina e il quadro poteva dirsi completo. Scesi e mi feci gli ultimi metri a piedi, avevo un bisogno di aria pulita e preferii farmi gli ultimi mille metri a piedi piuttosto che sull’autobus. Entrai nel parcheggio dipendenti e andai a prendere la mia moto.
“Ma che cazzo?! Eppure era qui. Ma dove l’ho messa?” mille dubbi cominciarono a salirmi alla mente, non trovavo la moto. “E se ricordassi male e l’avessi parcheggiata altrove?”. Cominciavo a disperare “Non possono avermi rubato pure la moto!” e sull’orlo di una crisi di nervi mi rivolse al custode del parcheggio

«La moto rossa che era parcheggiata qui, dov’è?»

«La moto rossa?» mi chiese pensieroso

«Sì, quella che aveva la marmitta cromata e le ruote con i raggi blu»

«Ah, capito! L’ha ripresa la proprietaria ieri»

«Ma che sta dicendo? Sono io il proprietario! Quella moto era mia!» mi guardò sorpreso, ma disinteressato

«Mi spiace. È arrivata, ha messo in moto ed è andata via» fui distrutto, mi avevano rubato la moto. Ripresi i mezzi al ritorno, senza capacità neanche di inorridire di quanto vedevo e sentivo. Scesi davanti al commissariato di polizia ed entrai. Seconda denuncia in pochi giorni, sempre per un furto.
«Buongiorno, devo denunciare il furto della mia moto»

«Perché è così abbattuto? Potremmo ritrovarla, sa? Seconda porta a destra» mi disse solare l’agente alla portineria. Valicai l’entrata con più tranquillità, quelle poche parole mi avevano migliorato l’umore nero. Mi presentai ai due agenti e mi sedetti per dare tutti i dati e spiegare la vicenda. Rimasi lì una mezz’ora, mi domandarono di tutto e mi fecero i complimenti per la moto

«Senta, me la ritroverete, vero?» chiesi speranzoso a fine denuncia

«Sinceramente, non credo. È probabile che sia già stata smontata ed usata come pezzi di ricambio» mi sentii distrutto

«E la mia vecchia denuncia per il furto?»

«I colleghi l’hanno contattata?»

«No, nessuno mi ha contattato»

«Allora credo che sia molto difficile ottenere qualcosa, mi spiace» mi crollò tutto addosso. Il lavoro di una vita perduto per dei miseri pezzenti ladri. Ero distrutto. Mi avviai verso casa di Marta, con le spalle curve e poca voglia di pensare. Stavo per rientrare, quando mi squilla il telefono

«Marco!» esclamai felice, la prima buona notizia della giornata stava per arrivare. Sarei tornato al lavoro

«Simone, senti. Mi spiace dirtelo così, ma ti devo tagliare. I problemi con la squadra e il personale perso sono stati troppo gravi, non ho potuto proteggerti…»

«Marco, ma che stai a dire?»

«Riceverai una lettera di licenziamento, percepirai questo mese e la buonuscita, ma il rapporto di lavoro è concluso da oggi. Ciao»

«Marco!» urlai nell’apparecchio, ma il mio amico aveva già riagganciato. Mi avevano scaricato, me, il migliore. Ero distrutto. Tremavo mentre rientravo da Marta, ero a pezzi.

Un lampione illuminava debolmente la strada, la pozzanghere riflettevano la fioca luce e il mio volto stanco che si specchiava in esse. Avevo corso, avevo corso tanto ed ero stanco. Non ero, però, stanco di correre, non era il fiato a mancargli, non erano le gambe ad essere senza forze. Era lì cuore a farmi male, faceva male da quando avevo cominciato a correre.
Mi sentivo solo, io che nella solitudine ero sempre stato bene, per la prima volta nella mia vita mi sentivo impotente.
Mi sedetti sul marciapiede, i piedi dentro una profonda pozzanghera, le lacrime che si mischiavano alla pioggia e il lampione che debolmente mi illumina per proteggermi da quell’oscurità che tutt’intorno mi avvolgeva.
Non c’era futuro, non c’era speranza nel mio cuore. Sapevo quel che avevo fatto, ma non lo volevo accettare. E allora mi alzai, stanco e con il cuore in tumulto, e continuai a correre. Un piede davanti all’altro, un passo dopo l’altro. Corsi e corsi e la fioca luce dei lampione venne sostituita dai più caldi raggi dell’alba. La rossa palla saliva nel cielo e riscaldava tutto, ma il mio cuore restava freddo. Non c’era sole che lo potesse sciogliere, non c’era calore che lo potesse raggiungere.
Voltai l’ultimo angolo e lì le vidi. Tre donne che mi aspettavano, ancora con gli ombrelli dalla notte passata, una sedeva sulla mia moto

«Pensavo non fossi neanche più in grado di arrivarci fin qui»

«Che ci fate qui?» chiesi sorpreso

«Ciao, cuoco» mi saluto Marta

«Buongiorno, escremento sessuale» mi attaccò Samantha

«Ben arrivato, futuro schiavo» mi incalzò Angela. Il passato, il presente e il futuro in pochi saluti. La mia vita cambiò da quell’incontro.

Ora vivo di nuovo con Angela, cucino per lei e sono il suo schiavo. Ho trovato la mia dimensione, quella di essere servo ed escremento. Ogni mattina mi alzo presto e cucino una delle mie famose colazioni affinché la mia padrona possa gustare il meglio

«Ehi, escremento! Dov’è la mia donna?» mi chiese Samantha affacciandosi in cucina. Era appena rientrata con un volo notturno da una sfilata, era comunque bellissima.

«La padrona è con la cameriera in camera da letto, signora» risposi affabile. Ormai il mio ruolo era quello.

«È pronta la colazione?»

«Quasi»

«Appena è pronta, portacela. Stamattina non ci muoveremo dal letto» mi ordinò

 

Quando entrai nella camera Samantha stava osservando Angela farsi leccare la fica da Irina. Era bellissima come il primo giorno che la vidi, aveva gli occhi chiusi trasognante mentre la russa non faceva altro che dedicarsi con cura alla mia signora. Samantha appoggiata alla finestra non si accarezzava il fallo finta legato in vita

«Irina, occupati della colazione»

«Sì, signora» rispose la russa staccandosi. Camminò sensualmente verso di me, aveva indosso la divisa sexy che le comprai io in passato. Mi tirò fuori il cazzo e con la solita naturalezza, letteralmente, me lo munse mentre ammiravo Samantha scoparsi Angela con la forza e l’energia degne del miglior stallone. Non resistetti molto e venni come al solito nella latteria che Irina aveva predisposto

«Il latte è pronto»
«Oh Samy, nessuno mi scopa come te»

«Lo so, troietta mia»

«Iry, metti qui la colazione, grazie» disse ansimante Angela indicando il comodino. Prese il vassoio dalle mie mani e lo depose chinandosi a novanta gradi

«Irina, non farti spaccare il culo. Più tardi me lo prendo io» Irina sospirò come una cagna in calore

«Sì, signora» riuscì a dire ed uscì a passo svelto per andare a farsi scopare dal giardiniere come al solito.

«Simone, siediti sul bordo del letto» mi invito melliflua Angela. Le lacrime rigavano il mio volto al pensiero di come mi ero ridotto. Mi facevo mungere il cazzo ogni volta solo per poter ammirare una modella lesbica che si scopava a sangue la mia ex ragazza

«Tu non riuscivi mai a farla venire, doveva fingere ogni volta- mi disse improvvisamente Samantha- Te l’ha mai detto?» chinai la testa umiliato ascoltando i loro gemiti salire di volume. Nonostante tutto, ero finalmente davvero felice.

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