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Racconti 69Racconti Erotici Etero

La Mia Collega, Sara

By 16 Giugno 2014Febbraio 9th, 2020No Comments

Era cominciato tutto quella mattina d’estate. Faceva molto, molto caldo ma non avevo ancora la minima idea di quanto avrei potuto amarlo, il caldo, da quel momento in poi.
Ero stanco, era venerdì e l’unica cosa a cui pensavo era di voler tornare a casa, cambiarmi e andarmene al mare. Buttarmi in acqua e fare una nuotata. Il desiderio era ancora più forte del normale: lavoro con i computer e il caldo lo soffro il doppio.
Tra l’altro, avrei dovuto aspettare ancora un bel po’: ero solo a metà del venerdì e si sa che i venerdì sono sempre i più lunghi. Sembrano non finire mai.
Non ero solo però: oltre a me c’era Sara. Più grande di me di quasi dieci anni, Sara era una di quelle donne che, nel momento in cui stai per dire ‘che palle, sono tutte uguali’ ti fanno cambiare idea. Intelligente, decisa e dolce quando necessario.
Sia chiaro: non avevo mai fatto certi pensieri su di lei, la vedevo più come un’amica. Sicuramente era un bella donna, ma avevamo creato un altro tipo di rapporto e semplicemente non la vedevo in altri modi. Era stata anche una maestra per me, durante i miei due anni di lavoro nello studio.
Lavoravamo nella stessa stanza, anche se occupavamo ruoli diametralmente opposti: io responsabile tecnico, lei addetta al marketing. Si occupava di vendere quello che io creavo. Il nostro essere affiatati aveva funzionato alla grande: eravamo diventati il settore più attivo dell’azienda e stavamo cominciando a fare tanti utili da far stare tranquilli anche gli altri due settori, leggermente in crisi.
Nonostante cercassi sempre di creare cose facili da usare, di volta in volta aveva bisogno di una mano, per capire questo o quel passaggio o come comportarsi in una certa schermata. Quel giorno non fece eccezione.

‘Fra, riesci a venire un secondo?’

In quel momento non la stavo neanche ascoltando: ero preso a fare altro per cui dovette chiamarmi un altro paio di volte.

‘Fra, ci sei?’

Dopo essermi reso conto che ero perso nei miei pensieri mi ripresi. Un secondo dopo stavamo ridendo insieme della cosa. Raggiunsi l’altra parte della scrivania.

‘Senti, avrei bisogno di capire cosa devo fare qui’ continua a darmi errore, ma non capisco perché!’

Un semplice errore di distrazione, facile da spiegare. Lei capì subito dove aveva sbagliato.
Poi successe: per la prima volta la vedevo con occhi diversi. Mentre le spiegavo cosa doveva fare avevo notato che quel giorno portava un vestitino colorato a fiori. Molto leggero, molto corto e molto ‘minimalista’. Sotto il tavolo, le sue meravigliose gambe perfettamente depilate avevano catturato tutta la mia attenzione.
Un po’ come avviene in questi casi, era stata una scintilla. Tutto d’un tratto cominciavo a guardare anche il resto, nella sua interezza. Un corpo meraviglioso, curato e perfettamente sodo, grazie ad anni ed anni di piscina. Senza esagerazione, comunque, dato che le forme femminili c’erano tutte e armoniose in un modo sublime.

‘Ok, va bene, ora ho capito. Scusa se ti disturbo sempre, sono negata! Già che ci sei, comunque, potresti farmi capire come funziona questa tabella?’

Adesso mi ero ripreso dai miei pensieri ed ero tornato ‘sobrio’. Ancora una volta mi sorprendeva: fino a qualche anno prima non aveva niente a che fare con la tecnologia ed ora, con me, capiva tutto e subito.
Ero tornato al mio posto, con l’immagine di quelle bellissime gambe in testa. Oltre ad una domanda. Davvero non l’avevo mai notata? Pensavo a quanto &egrave assurda la nostra mente che, a volte, ci impedisce di vivere una sensazione solo perché l’ha classificata diversamente dall’inizio.

‘Fra? So che mi odi’ ma ho bisogno di chiederti un’altra cosa!’

‘Ah, povero me. Eccomi, arrivo”

Stavolta non ero immerso nei miei pensieri: ero da lei al volo. Le stavo dietro, mentre mi spiegava l’altro errore in cui era incappata. Ancora una volta lo sguardo mi era caduto sulle gambe per poi salire su, verso il seno. Il vestitino che si era messa, oltre ad essere minimalista, era molto generoso. Non aveva un seno enorme, anzi: niente di più di una seconda piena.
Esattamente come il resto del corpo, tuttavia, perfettamente sodo e bellissimo da vedere. Il reggiseno che portava, tra l’altro, le stava anche un po’ largo e potevo vedere senza problemi il capezzolo. Con un’areola piccola, esattamente come piacciono a me.
La mente stava partendo. Non so perché, non so come, immaginavo di mettere le mani nel vestito e stringerle forte quel seno perfetto. Li, davanti a quel computer, in silenzio, lasciando ai gesti quello che le parole non potevano descrivere.
Nonostante questa distrazione, comunque, ero riuscito a spiegarle tutto lo stesso.
Era contenta: ogni volta che riusciva a capire quello che le spiegavo mi guardava tutta soddisfatta con i suoi occhi grandi e furbi. Fortuna che la stavo guardando negli occhi in quel momento: si era accorta del reggiseno e, senza dire niente, si era sistemata meglio il ferretto dietro, stringendo la presa.

‘Mi accompagni fuori a fumare una sigaretta?’

Spettacolo finito.
Almeno per quel giorno. Quante volte mi ero seduto a quel tavolo? Quante riunioni ci avevo fatto? Sempre lì anche il mio primo colloquio, quasi due anni prima. Per non contare che, tra l’altro, ci facevamo riunione ogni lunedì. Tra risate, incazzature ed altro, la sala riunioni era un po’ il centro vitale dello studio. Ci passava un po’ di tutto.
Certo, non mi sarei sicuramente aspettato di vederci lei.

Sara.

Nuda.

Eppure era lì, per quanto stentassi a crederci. Era rimasta solo con le mutandine, totalmente bagnate.
Mi guardava. Un po’ era spaventata, ma non sapeva neanche lei perché. Tutto troppo strano.
Un momento dopo la stavo baciando. Una situazione quasi onirica. Perché andava tutto così veloce? Come ci ero arrivato?
Stavamo parlando tranquillamente di un preventivo da presentare ad un cliente importante. C’era un sacco di gente in studio quel giorno e così avevamo deciso di spostarci in sala riunioni, più tranquilla ed isolata.
Poi, improvvisamente, era cambiato tutto. Nient’altro che uno sguardo: poi dallo sguardo al bacio, dal bacio alla mano, dalla mano alle mani e le mani avevano cominciato a togliere i vestiti l’uno all’altra. Ero concentrato sulle sue gambe. Le baciavo, le toccavo. Ancora meglio di quanto mi aspettassi ma già cominciavano a non bastarmi più.

Così ero salito sopra, togliendole la camicetta bianca. Era rimasta in intimo, nero. Stavolta il ferretto più o meno lento non sarebbe stato un problema. Neanche il tempo di pensarci ed il reggiseno era già a terra. Finalmente potevo tenere in mano quel seno perfetto.
Non credo che le parole possano descrivere quello che sentivano le mie mani. Sodo, meravigliosamente sodo, con i capezzoli durissimi per l’eccitazione. Era fuori di se e si vedeva. La baciavo sul collo e lei ansimava sempre più forte. I nostri corpi si muovevano all’unisono, la sintonia era perfetta. Un ritmo veloce abbastanza per eccitarsi ancora di più ed abbastanza lento per goderselo a pieno.
Ad un certo punto avevamo sentito dei rumori nell’ufficio di fianco. Attimi di paura ma poi il sospiro di sollievo: anche dall’altra parte c’era una riunione. Sicuramente meno movimentata della nostra. In ogni caso, però, saremmo stati al sicuro.
L’espressione di paura era passata. Adesso era più tranquilla, c’era ancora più sicurezza. Si era messa in ginocchio, davanti a me, e aveva cominciato a giocare con la bocca. Decisa, senza una via di mezzo. Totalmente avida. Con una dolcezza disarmante, ma avida.

Era brava. Oh, se era brava. Girava vorticosamente con la lingua fino a farmi impazzire, mentre con un movimento lento ma deciso andava avanti e indietro.
Fino a quel momento avevo gli occhi chiusi, ma volevo vederla.
Mi stava guardando. Con quegli occhi grandi, immensi. Sarebbe potuta passare un’ora o un minuto, non me ne sarei accorto per come (e dove, chissà dove) stavo.
Fatto sta che, ad un certo punto, si era fermata. Per rialzarsi, sedersi sulla scrivania e, lentamente, divaricare le gambe.

‘Adesso tocca a te.’

Non riuscivo a parlare, non potevo. Mi avvicinavo, reggendola a me e preparandomi per quello che sarebbe stato, probabilmente, il sesso più bello e selvaggio della mia vita. Per qualche secondo il vuoto, poi il contatto. Altri baci, mentre ci sistemavamo.
Stavo per entrare dentro di lei. Una meravigliosa sensazione di caldo e infine’ la sveglia.
Guardai l’orologio. Le nove. Tra mezz’ora dovevo essere in studio.

Merda. Nel giro di un mese erano cambiate un bel po’ di cose. Innanzitutto vita: mi sarei trasferito in città. Non sarei rimasto nella piccola cittadina che mi aveva visto nascere e crescere. Quando avevo cominciato a lavorare pensavo di rimanere un bel po’. Poi, dopo una graduale riflessione, avevo sentito il bisogno di partire.
Era luglio e sarei andato via a settembre.

All’episodio che avevo vissuto (e al sogno della notte successiva) non ci pensavo quasi più, anche se comunque quello che era successo mi aveva ‘aperto’ una nuova prospettiva. Non posso negare che, a volte, aspettavo solo di sentirmi chiamare per aiutare Sara in quello che non riusciva a fare e, con più o meno fortuna, riuscire a godermi un meraviglioso spettacolo dall’alto.
Sembra banale da dire ma &egrave vero: ormai conoscevo a memoria tutti i suoi reggiseni. Per non parlare di quello che c’era sotto. A mio favore sicuramente c’era l’estate, calda e afosa. Così tanto che ci si svestiva il più possibile, nonostante si rimanesse sempre nella decenza: d’altronde era pur sempre un ufficio.

Quei giorni io e Sara eravamo sempre insieme. Sarei partito a breve e dovevo farle il più possibile formazione sui programmi da me realizzati. Non c’era un secondo da perdere, doveva conoscerli a memoria in modo tale da poter essere autosufficiente, perlomeno fino all’arrivo di un nuovo tecnico.
Ancora una volta eravamo soli in studio. Gli altri erano fuori, per interventi sul posto e noi li, da soli, consolati solo da un ventilatore che funzionava a metà. Tra un’oretta sarebbe arrivato un cliente piuttosto importante: quel giorno niente vestitino per Sara.
In compenso, una gonna nera non troppo lunga e una camicetta bianca semplice. Le gambe per fortuna erano sempre scoperte. La guardavo distrattamente mentre si sbottonava i primi due bottoni, poi il terzo, limite oltre il quale non sarebbe potuta andare.

‘Maledette riunioni, fa un caldo assurdo’ ho bisogno di un po’ d’aria, almeno fin quando non arriva! Mica ti imbarazza?’

‘Figurati, vai tranquilla!’ – risposi con un cenno.

Le feci un altro paio di domande per capire se davvero era preparata oppure no, scoprendo che c’era ancora qualche lacuna.

‘Sicura di avere le idee chiare per la riunione? Meglio fare una bella figura, stavolta… non ti basterà solo una camicetta scollata!’

‘Ahahah ma dai, che dici! E poi dopo mi risistemo!’

Quando facevo alcune battute non ci arrivava subito. Lo diceva lei stessa, che a volte arrivava un po’ in ritardo a certe cose, soprattutto se maliziose. Un dettaglio che le dava quell’aria di (finta, chissà?) innocenza ancora più invitante.
Mi ero avvicinato a lei per capire meglio cosa non aveva ben chiaro. In effetti alcune funzionalità del software che avevo creato non erano così intuitive. Le avevo spiegato i punti chiave e, poco dopo, avevo cominciato a farle un bel massaggio rilassante sulle spalle. A lei piacevano un sacco e infatti apprezzava molto.

‘Madonna Fra, come faccio senza di te ora che te ne vai?’

Nel frattempo aveva capito tutto ed era pronta per la riunione. Il cliente, però, non sarebbe arrivato prima di mezz’ora. La vedevo armeggiare con i bottoni per sistemarsi, ma non volevo privarmi dello spettacolo che avevo davanti. Ancora per un po’.

‘Aspetta, ferma così che continuo meglio il massaggio… tanto manca ancora un po’. Anzi se vuoi puoi sbottonare anche l’altro, così stai più comoda!’

In quel momento mi era sembrata un po’ titubante. Probabilmente si vergognava: va bene fermarla, ma forse con il chiederle di sbottonarsi ancora di più avevo esagerato.
Nel frattempo continuavo il massaggio.
Poco dopo si era decisa, finalmente, a sbottonare anche il quarto bottone. Un bellissimo reggiseno nero, e dentro… due seni perfetti, sodi e anche più grandi del solito, dato che era in fase premestruale.

Il massaggio era continuato così, per dieci minuti ancora circa. Si era creata un’atmosfera fantastica (ad entrambi piacciono molto gli U2), senza nessun imbarazzo. Avevo spostato anche la spallina destra e, appena appena, potevo vedere l’areola.
Ero eccitatissimo e se Sara si fosse girata l’avrebbe notato senza problemi. Per fortuna era li, ferma al suo posto, con gli occhi chiusi e la testa piegata all’indietro, canticchiando One Love.
Ero lì lì per dirle (a malincuore) che dovevo tornare a posto per finire quello che stavo facendo prima. Il cliente sarebbe arrivato in dieci minuti, più o meno.
Ho detto ‘lì lì’, infatti, perché mi aveva anticipato aprendo gli occhi e scoprendo che stavo guardando. Avevo notato un lieve accenno di imbarazzo ma nulla di più. Sorridendo si era tirata leggermente in avanti, cominciando ad abbottonarsi la camicetta.

‘Grazie per il massaggio. Fantastico.’

E un bacio sulla guancia. L’incontro doveva essere appena finito. Dall’altra parte dello studio sentivo Sara accompagnare i clienti alla porta e salutarli. Non avevo dubbi fin dall’inizio su come sarebbe finita, ma la sua espressione una volta entrata nella stanza mi aveva dato l’ennesima conferma di quello che immaginavo.

‘Anche questa &egrave andata! Contratto firmato, almeno per due anni ce ne occuperemo noi! Siamo una squadra perfetta! Ah, che ne dici di un caff&egrave? Scendiamo a prenderlo giù!’

Assolutamente si. Il caff&egrave della macchinetta faceva schifo. Non l’avevo e non l’avrei mai bevuto, neanche sotto tortura. In più avrei approfittato dell’occasione per mangiare qualcosa, dato che non avevo fatto colazione.

Entrati in ascensore facevo mente locale su quei momenti prima dell’incontro. Non capivo se si era accorta o meno della mia “attenzione”. L’eccitazione aveva raggiunto dei livelli altissimi e, devo ammetterlo, non sono mai in grado di nascondere totalmente queste cose.
Nel frattempo guardavo Sara mentre si scioglieva i capelli. I suoi gesti consueti, ormai, li conoscevo a memoria. Si sa, &egrave sempre così quando hai un rapporto di confidenza con una persona: ci si capisce con lo sguardo, sai cosa significa quando fa determinati gesti, quando vuole uscire per fumare la sigaretta, quando…

‘Allora, ti &egrave piaciuto quello che hai visto prima?’

Un momento di silenzio. Di sottofondo solo il rumore dell’ascensore che, lentamente, cominciava a scendere.

‘Cosa?’

‘Ho detto, ti &egrave piaciuto quello che hai visto prima? Dai, non fare finta di niente…’

L’imbarazzo passeggero era già andato. Con il nostro livello di confidenza era impossibile.

‘Secondo te? Direi proprio di si!’

‘Hai capito Fra… Ma bravo!’

Nel frattempo la vedevo sbottonarsi nuovamente la camicia. Il primo bottone, il secondo, il terzo…

‘Ehi, ma che fai?’

‘Non stiamo scendendo a prendere il caff&egrave… cio&egrave si, ma tra un po’. Prima facciamo una cosa.’

Ero incuriosito. Certo, anche eccitato, ma la curiosità era tanta. L’ascensore continuava a scendere, lei continuava lentamente a sbottonarsi. Così sensuale per un gesto così semplice. Tutto avveniva in silenzio.
Nel frattempo eravamo giù, al piano sotterraneo dei parcheggi, molto più fresco rispetto a sopra. Eravamo usciti velocemente andando verso una scala lì vicino. Una zona più riparata. Il silenzio più assoluto veniva sovrastato dal rumore dei suoi tacchi. La seguivo.

‘Il massaggio di prima mi &egrave piaciuto molto… ma hai provato a spingerti più in la però, eh?’

‘No dai… cio&egrave si, lo ammetto, un po’ c’ho provato. La tentazione era forte.’

‘Bene’ e dato che sei stato molto bravo”

Si era già tolta la camicetta e ora, con un gesto fulmineo, sganciava e teneva in mano il reggiseno. Ero davanti a quel seno perfetto, nel silenzio più totale. Ero ipnotizzato, non riuscivo a staccarne gli occhi. In un primo istante non sapevo cosa fare.

‘Sono tue. Per qualche minuto sono tue. Facci quello che vuoi, tutto quello che vuoi, ma non andare oltre. Solo loro.’

Non credevo alle mie orecchie. Si trattava di un gioco, strano, che mi stava eccitando enormemente. Se n’era accorta anche lei e ora ne aveva la prova, dato che il suo sguardo era sui miei pantaloni.
Non me lo ero fatto ripetere due volte e mi ero già avvicinato. Lentamente. Prima sfiorandole, poi sentendole meglio facendo dei giri con le dita, infine facendole totalmente mie, stringendole. Erano l’oggetto del mio desiderio, il mio punto fisso in testa di quel momento. Anche lei apprezzava, ovviamente. I capezzoli erano già turgidi e sentivo, a tratti, qualche sospiro di piacere.
Mi ci ero fiondato con la bocca e con la lingua. Stringevo la destra con la mano, mentre baciavo e leccavo la sinistra. La lingua, con ritmi veloci e lenti in una perfetta alternanza, girava intorno al capezzolo. Sara, nel frattempo, si era messa una mano sulla gonna e con l’altra, invece, si reggeva la testa.

Era chiaro che le piaceva troppo. Il suo respiro e i suoi movimenti parlavano chiaro, in modo inequivocabile.
Avevo provato a baciarla sul collo. Pensavo che non avrebbe disdegnato ma, nonostante una certa difficoltà, mi aveva preso la testa e l’aveva riportata sul seno. Niente: le regole erano regole.

‘Bravo. Bravo! Continua… continua ancora un altro po’, ti prego…’

Come potevo dire di no? Era troppo presa. Solo dopo qualche minuto, tra un mugolio e un gemito, evidentemente soddisfatta mi aveva fermato con la mano. Le bastava così.
Le stringevo ancora più forte l’altro seno, che avevo ancora nella mano sinistra. La volevo ancora e la volevo tutta. Non potevo, però. Sorridendo mi aveva abbassato il braccio con la sua mano.

‘Dai, ora andiamo a prendere questo benedetto caff&egrave.’

La guardavo ricomporsi: dieci anni più di me ma era meglio di qualsiasi mia coetanea. Sensuale, tremendamente sensuale, mentre si abbottonava la camicetta.
Cinque minuti dopo, calmati i bollenti spiriti, eravamo al bar, parlando del più e del meno come sempre.
Non vedevo l’ora di sapere come si sarebbe evoluta. La situazione era semplice: si era creato un gioco. Fatto di regole, di contatti e di paletti. Di provocazioni.

Sara sapeva come provocarmi. Sempre. Se la provocazione poteva essere considerata arte, Sara ne era la maestra per eccellenza. Nell’aspetto, quando voleva, ma soprattutto nei modi. Aveva capito che il mio desiderio era lei, che la bramavo. Un po’ alla volta avrei ottenuto tutto da lei, ne ero certo. Partecipare ai suoi giochi con il giusto ritmo, semplicemente, mi eccitava di più.

Non l’avrei vista per due o tre giorni. Doveva fare un po’ di giri, andare a trovare clienti, fare presentazioni e chiudere contratti. Sarebbe stata poco in studio. Mi capitava di fantasticare sui suoi possibili modi di convincere i clienti, certe volte. Non era tipa da compromessi estremi, anzi era sempre molto corretta e professionale. Tuttavia, sapeva agghindarsi per bene in base all’occasione. Un paio di volte mi era capitato di intravedere un intimo particolare o una scollatura piuttosto generosa nel momento giusto: i clienti erano molto più contenti e firmavano volentieri. Involontario o meno, funzionava.
La provocazione perfetta: quella inconsapevole, innocente, per la quale non pensi neanche lontanamente di concederti in nessun modo ma che fa intuire appena qualcosa, giusto quel qualcosa che sblocca tutto.
Il quarto giorno ero in ritardo: non mi ero svegliato ed ero arrivato alle dieci. Nessuna ramanzina dal capo, dato che non c’era. Pensavo di non trovarla, dato che sapevo quali giri doveva fare, e invece era lì.

‘Ehi, buongiorno. Sono passata perché avevo bisogno del blocchetto di buoni per la benzina’ l’hai visto? Già che mi ci trovo dovrei rispondere anche ad un paio di mail”

‘Buongiorno a te’, rispondevo ancora assonnato, non curandomi involontariamente della sua domanda.

Sicuramente c’era in ballo un cliente molto importante oggi. Importante e formale, a giudicare dall’abbigliamento. Pantaloni lunghi scuri fino a poco prima della caviglia, tacco alto. Una smanicata molto leggera e scura, appena scollata. Il risultato facilmente prevedibile. Capelli sciolti ma sistemati alla perfezione.
Sulla sedia affianco era appoggiata una giacchetta beige e la sua valigetta. Il suo sguardo attento sullo schermo del pc era ancora più eccitante, incorniciato dai suoi occhiali neri. Senza che se ne accorgesse avevo cominciato uno dei miei massaggi.

‘Allora, cliente molto importante oggi eh?’

‘Si, cavolo’ si sente che sono tesa, vero?’

Le mani scendevano lentamente. Aveva capito e si era lasciata scappare un gemito.

‘Si, anche se in realtà me ne sono accorto perché sei senza reggiseno. Deve essere molto, molto importante!’

Sorrideva, mentre la palpavo lentamente e con dolcezza. Altrettanto lentamente il sorriso diventava piacere.

‘Si, &egrave davvero molto importante. Non pensare male però’ mi sono messa un po’ più comoda ma il reggiseno &egrave in borsa.’

Cominciava a mordersi le labbra. Nel giro di due minuti i capezzoli erano già durissimi. Aveva alzato lo sguardo, con un’espressione di a metà tra il piacere e l’implorazione:

‘Fra, per piacere’ tra cinque minuti dovrei uscire, devo cambiarmi… dai…’

‘Farai tra dieci allora, può aspettare.’

Mi guardava stupita dalla mia presa di posizione. Così stupita che aveva deciso di fare un passo avanti.

‘Va bene’ se vuoi oggi ti concedo anche di baciarmi il collo”

Non resisteva e aveva ceduto. Un passo alla volta diventava mia. Il suo profumo era inconfondibile. Lo sentivo perfettamente mentre la mia bocca si faceva strada sul suo collo.
Averla così, gradualmente, mi faceva assaporare tutti i piccoli dettagli che a volte sfuggono, presi dalla foga del momento. La sentivo respirare affannosamente, dato che le ero praticamente addosso, con un ritmo in crescendo. Spostava di tanto in tanto la mano sinistra, toccandomi il volto e facendo scendere le dita verso la bocca. L’altra invece la teneva sulla mia mano, che stringeva il seno destro.

La sua pelle era perfetta. Liscia, profumata, sembravo non averne mai abbastanza ed era così per davvero. Ogni piccola parte di lei che mi veniva concessa doveva essere totalmente mia, senza eccezioni.
Ansimava con più enfasi adesso, in crescendo, totalmente coinvolta e al tempo stesso alienata da qualsiasi altro problema. Eravamo solo io e lei, uniti da quei due punti di contatto dettati dalle “nostre” regole.
Godeva tremendamente e le piaceva così. Mi piaceva così. Mi reggeva la testa, mentre con l’altra teneva la mia mano sempre sul seno. Poi tutto fermo, per qualche secondo, con il solo sottofondo di lunghi e profondi respiri.

Poi un sospiro.

Anche per oggi aveva avuto quello che voleva. Si era alzata e mi aveva stretto a lei, dandomi un lungo bacio sul collo. Finalmente sabato. Relax, totale ed assoluto. La settimana era stata praticamente un massacro: riunioni, presentazioni, incontri. Neanche io, che normalmente rimanevo in studio a scrivere i miei software, ero stato esonerato dal dovere stavolta.
Avevo deciso così di farmi un pomeriggio a casa, senza nessun impegno. Così pensavo, almeno. Poi una vibrazione. Sotto alcuni fogli intravedevo il tenue led bianco del telefono: un sms.

‘Devo fare alcuni giri e mi annoio’ fa troppo caldo anche per andare al mare! Mi accompagni? Baci’

Era Sara. Probabilmente aveva avuto la stessa mia idea: tanto relax e cose poco impegnative. Inizialmente ero indeciso. Indecisione dettata essenzialmente dalla pigrizia. Fresco a casa, praticamente nudo e senza niente da fare. Cosa vuoi di più? Alla fine, però, avevo deciso di andare: dopo mezz’ora ero sotto casa sua, ad aspettarla.

Qualche minuto di attesa e poi… la conferma che avevo fatto la scelta giusta: capelli legati, grandi occhiali da sole, un vestitino molto, molto leggero (che però non lasciava vedere niente) e sandali. Non riuscivo a capire se aveva dell’intimo sotto oppure no, ma non mi ci ero soffermato comunque più di tanto.
Nel salutarla le avevo posato una mano sulla sua gamba, meravigliosamente liscia e anche fresca. Doveva essere l’aria condizionata di casa. Un bel bacio sulla guancia e via, partiti.

‘Allora, dove dobbiamo andare?’

‘Dovrei fare un po’ di giri, tra farmacia e il negozio di borse e valigie’ che ne dici se andiamo direttamente al centro commerciale?’

‘Perché no? Va benissimo. Valigia? Dove te ne vai stavolta?’

‘Vorrei andare in Spagna, a trovare mio fratello. &egrave un po’ che non lo vedo!’

Il viaggio era andato avanti così, parlando del più e del meno. D’altronde sarebbe durato poco, il centro commerciale era a dieci minuti di macchina e quel caldo sfiancante sembrava quasi volerti dissuadere da discorsi troppo impegnativi. Ci riusciva bene, tra l’altro.

Per fortuna, in mezzo a tutto questo sole c’era un parcheggio all’ombra. Feci uno scatto con l’acceleratore quasi temendo che qualcuno potesse prendermi il posto. Senza senso: era praticamente tutto deserto.
Una volta sceso osservavo Sara precedermi di qualche metro.Mi godevo la vista del suo sedere: piccolo, non troppo evidente, sodo e preciso per le sue proporzioni.
Prima tappa il negozio di valigie. La vedevo aggirarsi da una parte all’altra con uno sguardo curioso. Non ancora avevo capito cosa cercava, mentre mi raccontava di dove sarebbe andata.

” ci sono delle spiagge bellissime, alcune praticamente segrete che ho scoperto dopo un bel po’ di anni.’

Poi, girandosi verso di me, a bassa voce e con un sorrisetto malizioso: ‘ah, e lo sai che prendo il sole in topless?’

Neanche il tempo di rispondere che si era già girata, ricominciando a raccontare degli anni passati.
La immaginavo farsi il bagno in topless: doveva essere una visione divina. Nella mia mente si sovrapponevano più immagini. I suoi capelli neri, la sua schiena bianca, un contrasto perfetto. Le areole bagnate dell’acqua salata del mare. Avevo immaginato di baciare quel seno perfetto e ritrovarmi in
bocca un delizioso sapore salato.

‘Sveglia Fra, ci sei?’

Si era accorta che mi ero un attimo imbambolato. Per un secondo non la vedevo più, poi guardando in basso l’avevo vista armeggiare con alcune valigie nello scaffale più in basso.

‘Eccola, forse l’ho trovata!’

‘Aspetta, ora ti aiuto. Solleva questa.’

Dopo aver pagato eravamo usciti dal negozio, cercando l’indicazione della farmacia. Una volta trovata mi ero girata verso di lei che non c’era più.
Dopo qualche secondo eccola entrare nel negozio dei costumi da bagno.

‘Tutto ok? La farmacia comunque &egrave dall’altra parte, basta prendere la strada li sotto.’

‘Ok perfetto! Avevo visto un paio di costumi molto carini, volevo provarli’ mi dai il tuo parere, vero?’

Ricominciava il gioco. Ricominciava a stuzzicarmi. Per fortuna, almeno per il momento, riuscivo a resistere.
Dopo dieci minuti di scelte ne aveva trovati tre, da provare. Tutti molto belli in realtà, con colori che su di lei stanno benissimo. Uno nero, uno con una fantasia di fiori piuttosto particolare ed uno sul viola.

‘Che schifo di camerini, neanche uno sgabello! Va bene, vieni qui, mi servirà una mano.’

Neanche me n’ero accorto ed ero nel camerino con lei, che si stava sfilando lentamente il vestito. Le avevo passato per primo quello a fiori, che era quello che mi piaceva di meno. La vedevo cambiarsi e, dopo poco, non riuscivo più a trattenere l’erezione.

‘Qualcosa mi dice che questo costume ti piace”

‘In realtà non tanto, sai? Forse dovresti provare anche gli altri.’
Ridendo aveva cominciato a slacciarsi la parte di sopra del costume a fiori.

‘Costume a fiori o meno vedo che qualcuno qui &egrave piuttosto teso’ perché non ti sfoghi un po’, mentre mi cambio? La visuale dovrebbe aiutare”

Inizialmente ero incredulo. Eravamo in un camerino, ci avrebbero scoperto da un momento all’altro… ma la cosa aumentava l’eccitazione e, dopo essersi avvicinata per prendere l’altro reggiseno, con una mano aveva lentamente tirato giù la zip dei miei bermuda.
Non riusciva a distogliere lo sguardo dalle mie parti basse. Durante qualche conversazione, scherzando, avevo accennato qualcosa riguardo le mie dimensioni ma ora era diverso: ce l’aveva davanti.
Un cambio dopo l’altro continuavo a masturbarmi e non avevo bisogno di pensarla. Ce l’avevo davanti!
Quello viola aveva convinto anche lei. Ora però non riuscivo più a trattenermi. Volevo avvicinarmi, volevo toccarla ma mi aveva fermato sorridendo:

‘Oggi vedi solo’ ma non tocchi. Che fretta hai?’

Il momento dopo ero venuto. Sempre più eccitato ed elettrizzato dalla cosa.
E non ancora ero soddisfatto.

Volevo di più. ‘Stai zitto.’

Non mi aveva detto altro. Eravamo lì, ancora una volta in studio. Lei davanti a me. Il gioco stava continuando e non c’era l’intenzione di fermarsi. I tempi erano giusti anche se, piano piano, un certo senso di fretta cominciava a farsi largo nelle nostre menti. Sarei partito nel giro di tre giorni. Ci godevamo gli sgoccioli di quella situazione, di quella piccola perversione che sarebbe finita (almeno per il momento, chissà) in poco meno di 72 ore. Per fortuna era Sabato: nessun rischio di essere scoperti. Avevamo scelto il luogo appositamente.
Ogni volta, come sempre, c’erano delle regole da rispettare e oltre le quali non si poteva andare.
Oggi erano molto semplici: abbracciati, toccandoci a vicenda. Senza riserve. Vicini, stretti l’uno all’altro ma con un contatto limitato ad un solo punto ben preciso. Niente baci, niente di niente. Solo quella semplice regola da seguire.

Ci guardavamo fissi negli occhi, mentre con la mano cominciava ad andare su e giù. Stavolta aveva iniziato lei. Con fermezza (e una palese leggera punta di avidità) lo aveva preso in mano, scendendo fino alla base e risalendo, con movimenti lentissimi, dolci e delicati. Inutile dire quanto fosse duro e da quanto: era già così da quando aveva cominciato a spogliarsi. Questo contrasto mi piaceva.
Il ritmo cominciava a crescere, ma sempre lentamente. Avanti ed indietro.
Nel frattempo anche lei si godeva a pieno quello che le stavo facendo: prima un dito, molto lentamente, poi due ed infine tre. Con movimenti decisi, regolari non senza qualche piccola eccezione, di tanto in tanto, per creare l’imprevisto. Imprevisto che sembrava apprezzare molto.

Si, il silenzio era fondamentale. I suoi mugolii, i suoi gemiti, il suo respiro sempre più affannato erano come una musica in quel totale silenzio. Un respiro quasi assordante che volevo godermi il più possibile cercando anche di nascondere i miei, di suoni.
Così bella, snella, nuda, era quasi piegata su di me presa dal godimento. Nonostante questo però non era da meno nel suo compito: tutto era alla pari e non si lasciava troppo deconcentrare dal suo piacere. Aveva cominciato a giocare facendo movimenti di ogni tipo e cambiando direzione di tanto in tanto.
Ora era li, che se lo godeva tutto. O quasi dato che le regole erano quelle che erano.
Il ritmo finalmente aumentava e si sentiva. Le prime gocce di sudore, i primi piccoli tremolii: ormai la sentivo perfettamente, percepivo ogni singolo centimetro quadrato del suo corpo. Dentro e fuori.

Lasciando l’abbraccio stretto ma mantenendo la presa mi aveva rivolto uno sguardo che non potevo fraintendere: dovevamo venire insieme. Ero concentrato e non avrei avuto problemi.
Un paio di minuti ancora e poi chiudeva gli occhi, lasciandosi andare a gemiti sempre più forti.
La sentii tutta, dato che le mie dita erano ancora dentro di lei. Faceva caldo ma nulla era più gradevole di quel caldo. Dopo neanche un secondo anche io ero venuto, praticamente su di lei. Sembrava non curarsene, anzi.
D’altronde eravamo abbracciati nuovamente, senza accorgercene nemmeno, e non volevamo staccarci.

Il gioco andava verso la fine. Ancora due giorni e poi libero. Sarei tornato studente, mi sarei trasferito. Avrei cambiato vita.
Come degna conclusione quella mattina ero in giro con Sara. Dovevamo andare fuori per circa 60km, in una città vicina, per fare una presentazione. Non avevamo molta voglia, vista la temperatura ed il bisogno quasi fisico di andare al mare.

Eravamo partiti presto: volevamo toglierci subito l’impegno e alle otto eravamo già in strada. Saremmo arrivati per le nove meno un quarto: il tempo di sistemarsi e per le nove pronti in sala riunioni. Dato che avevamo previsto tutto in anticipo procedevamo con calma, senza troppa fretta.
Sara voleva guidare, quindi tutto quello che facevo era starmene in totale relax sul sedile del passeggero, ricontrollare qualche documento e, di tanto in tanto, godermi la visuale delle sue gambe mentre era presa dalla guida.

‘Hai ricontrollato tutti i documenti? Sei pronto?’

‘Certo, figurati’ già da ieri &egrave tutto ok, stavo facendo solo un’altra verifica per sicurezza. Non si sa mai.’

‘Perfetto. Bravo.’

Una cosa che mi piaceva di Sara era la sua sicurezza. Non era una di quelle donnette ansiose, perennemente preoccupate per qualsiasi cosa e per ogni problema. Era sicura di se e sicura di quello che faceva, sapeva tenere in mano la situazione e, in caso di imprevisti, riusciva sempre a cavarsela.
Mi ero accorto solo dopo qualche secondo che, immerso nei miei pensieri, le avevo poggiato la mano sulla gamba. La cosa le piaceva sempre di più, man mano che andavo più su.

‘Aspetta, mi stanno chiamando’ puoi rispondere e attivare il vivavoce?’

L’icona con l’altoparlante ora era accesa.

‘Pronto, Sara? Buongiorno, chiedo scusa per lo scarso preavviso ma metà consiglio di amministrazione oggi non &egrave qui. Il presidente tra l’altro &egrave ancora in viaggio, il volo da Parigi &egrave stato annullato e non tornerà prima della prossima settimana. Ci dispiace davvero tanto.’

‘Capisco… Va bene, dica al presidente che ci aggiorneremo nuovamente per una nuova presentazione. Buona giornata.’

Non sembrava, per fortuna, neanche un po’ spazientita. In genere quando un cliente le dava buca si imbestialiva, dato che le piaceva fare bene il suo lavoro, farlo velocemente e si aspettava lo stesso dagli altri. Quella mattina invece no.

‘Sai che ti dico? Qui vicino c’&egrave una spiaggetta bellissima’ ce ne andiamo al mare. Tanto ce l’hai il cambio, vero?’

Ecco perché non s’era arrabbiata. Nel mio zaino avevo sempre il costume, dato che andavo in spiaggia durante la pausa pranzo.

‘Si certo, ma tu?’

‘Io no, ma tanto sulla spiaggetta non c’&egrave quasi mai nessuno. Te l’ho detto che vado spesso in topless, no? Per la parte di sotto mi arrangio”

In dieci minuti circa eravamo già nel parcheggio. In effetti il posto non era facilmente raggiungibile ed eravamo praticamente da soli. Meglio così. Arrivati in spiaggia m’ero cambiato al volo, mettendo solo il costume a slip e lasciando dentro lo zaino quello a pantaloncino. L’avrei messo dopo, in caso. Sara invece s’era tolta praticamente tutto in macchina, tranne una leggera mutandina gialla.
Lo stare da soli ci dava più intimità: ci eravamo così incamminati, abbracciati, verso la spiaggia. Una volta arrivati ci eravamo sistemati sulla riva, in una zona leggermente più coperta da eventuali sguardi indiscreti.

“Fra, ho la crema nella borsa… Me la metti tu, vero? Non voglio sporcarmi.’

Non aspettavo altro.
Avevo cominciato dalle gambe, per poi salire verso il sedere dove mi ero soffermato facendo larghi giri. Poi le avevo chiesto di mettersi seduta sull’asciugamano, per fare la schiena per bene e, infine, concentrarmi sul davanti.
Non si era trattenuta dall’ennesima piccola provocazione.

‘Dovevano tornarmi due giorni fa ma niente’ hai visto quanto sono diventate grandi?’

Rispetto al solito erano immense. Sembrava stessero per esplodere. Sapendo che non avrebbe obiettato mi ci ero fiondato con la bocca e la lingua, per qualche minuto. Impossibile resistere.
Poi ero tornato “serio” ed avevo finito di spalmare la crema.

Ora ero steso sulla schiena: volevo prendere un po’ di sole. L’avevo fatto anche un po’ di proposito, per vedere cosa avrebbe fatto, dato che l’avevo stuzzicata. La risposta non tardò ad arrivare: la sentivo vicina, che faceva strusciare lentamente il suo seno sulle mie gambe, salendo lentamente. Non avevo aperto gli occhi ancora, volevo aspettare.
Una sensazione di calore bellissima, poco dopo, si era impossessata del mio corpo. Era lì, davanti a me, che prendeva tutto in bocca mentre mi guardava dritto negli occhi.

Sapevo che era brava, me lo sentivo e infatti era così. Alternava dei movimenti molto veloci con altri lenti, mettendo qualche leccata qua e la per rendere più interessante la cosa. Non staccavamo gli occhi l’uno dall’altra, ci piaceva troppo il fatto di vederci in continuazione mentre facevamo queste cose.
La cosa si era fatta così eccitante, che, dopo neanche un quarto d’ora, già ero pronto a venire. Se n’era accorta e, per stuzzicarmi, si era staccata all’improvviso.
Con uno scatto mi ero messo seduto, con una smorfia interrogativa per capire quello che stava facendo. Era in piedi davanti a me, di spalle, che si stava levando il suo unico pezzo di costume.

‘Rimettiti steso”

Non capivo cosa volesse fare di preciso ma avevo obbedito. Neanche un secondo e davanti alla mia bocca c’era tutto quello che di lei non ancora avevo visto. Un sessantanove’ perché non accontentarla? Avevo cominciato dolcemente, poi con baci e leccate sempre più lunghi e mirati. La cosa le stava piacendo un sacco e gemeva. Tra un mugolio e l’altro, nel frattempo, lo prendeva in bocca con una bravura allucinante, facendomi vedere le stelle. Accompagnava il tutto con le mani, rendendo la cosa perfetta.

Neanche cinque minuti dopo e la sentivo tremare. Piano piano si irrigidiva e sentivo che stava per arrivare il momento: era il segnare per lasciarmi andare, l’avrebbe capito. Una sensazione di pace superiore, ero nel mio nirvana. Nel frattempo si era rimessa nel mio verso e ci stavamo baciando mentre, a vicenda, finivamo di masturbarci con le mani e le dita. Una sensazione così bella che eravamo rimasti così abbracciati, sulla spiaggia, ancora una mezz’ora prima di staccarci per andare a fare il bagno.

Nudi, ovviamente. Ultimo giorno, ultima campana.

A lavoro avevamo fatto una piccola festa, parlato dei vari programmi futuri costellati da intenzioni più o meno ottime e, dopo un’oretta circa, eravamo di nuovo a sistemare un po’ di carte. Avevo ancora l’ultima sezione di documentazione da scrivere per il mio ‘successore’. Chissà chi sarebbe stato.

Non vedevo l’ora che finisse la giornata per vari motivi ed uno di questi era la cena a casa di Sara che mi aspettava nel giro di poche ore.

‘Voglio ringraziarti di tutto quello che hai fatto per me in questi due anni di persona’ stasera vieni a cena da me, non te ne pentirai.’

Non vedevo l’ora.

La giornata ormai era passata. Mi sentivo davvero bene, erano quelle giornate elettrizzanti e arrivare alla sera significava cominciare qualcosa di nuovo. Era una cena intima sul terrazzo e volevo presentarmi a dovere: bermuda beige, camicia celeste su misura che mi ero fatto fare qualche settimana prima per un matrimonio, espadrillas e una bottiglia di vino rosso.

‘Vieni per le otto e mezza, casa mia da sul mare e vediamo il tramonto insieme’, mi aveva detto.

Era bellissima, mozzafiato: il suo stupendo viso era accarezzato dai capelli che, evidentemente, si era sistemata per l’occasione. Mi aveva aperto a piedi scalzi, coperta solo da un vestito bianco.
Il vestito, ben coperto davanti, lasciava invece poco all’immaginazione sul di dietro, dato che era molto più trasparente. La sua schiena leggermente abbronzata era totalmente nuda.
Poco dopo eravamo fuori. Un bel terrazzo grande, con vista sul mare. Il sole stava cominciando a tramontare esattamente in quei momenti e lo spettacolo era tutt’altro che indifferente.

Si era messa tra me e la ringhiera: vedendomi così preso dal panorama voleva anche lei le stesse attenzioni. Lentamente aveva cominciato a muovere il suo culetto sodo contro di me. Non potevo non accontentarla: lentamente le baciavo il collo. Sentivo ancora l’odore tipico della doccia post-mare. Probabilmente ci era stata durante il pomeriggio.
Dopo aver sorseggiato il vino tra una carezza e l’altra si era allontanata per poggiare i bicchieri e, tornata, si era stretta a me baciandomi in bocca. Un bacio lungo, appassionato, molto lento per assaporare il vino e il corpo dell’altro.

‘Mettiamoci sulla sdraio’ vieni”

Mi aveva fatto stendere e cominciato a sbottonarmi la camicia. Poi avevo preso in mano io la situazione, facendola girare per cercare la zip del vestito. Neanche un secondo e la zip era giù.

Dopo due anni avevo davanti a me la visuale più bella che potessi desiderare di lei. Con una lunga carezza le scorrevo tutto il corpo.
La sua espressione era felice, leggermente alterata dall’alcool. Il suo sguardo era tipico di qualcuno che stava per perdere tutti i suoi freni inibitori.

Il seno, ormai quasi una terza, era meravigliosamente gonfio con i capezzoli decisamente turgidi. Sodo, si ergeva davanti a me come nel migliore dei miei sogni. Era la mia parte preferita, non riuscivo a non guardarlo e a non volerlo.

Poco dopo le sfilavo anche il perizoma. L’avevo fatta stendere su di me, bellissima e tutta mia.

Eravamo all’ultimo piano e nessuno ci avrebbe disturbato.
Toccava a lei adesso: mi aveva fatto spogliare ed era arrivata subito dove voleva, senza troppi giri. Me lo aveva preso in mano e cominciava a giocarci. Di tanto in tanto se lo sbatteva sul seno, sapendo quanto mi piacesse. Subito dopo se lo rimetteva in bocca.

Non era durata molto però: sapevamo cosa volevamo quella sera. Così, dopo poco, finalmente, era su di me a cavalcioni. Si era sistemata e usava la mano per sistemarselo bene prima di cominciare. Una prima penetrazione esplorativa, lenta e (a giudicare dalla sua smorfia) leggermente dolorosa. Poi aveva cominciato.
Cavalcava con un ritmo costante, perfetto, guardandomi fisso negli occhi come sempre. Di tanto in tanto cambiava, muovendosi avanti e indietro con il bacino anziché da sopra a sotto. In questa prima fase voleva gestire lei il ritmo e mi andava bene così.

Dopo un po’ mi ero messo seduto e l’avevo lasciata continuare così: stupenda. Ero concentrato e stavo resistendo bene. Lei, invece, a giudicare dai movimenti, era già venuta un paio di volte.
L’avevo fermata e me l’ero messa seduta, con le gambe aperte davanti la faccia. Ora volevo gestire io il ritmo. Mi ci ero fiondato con la lingua. Sapevo cosa le piaceva e dove e stavo già ottenendo il mio risultato. Andavo a fondo, al momento giusto e al punto giusto. Dopo qualche minuto, sentendo che stava per venire nuovamente, mi ero fermato improvvisamente.
Il suo era uno sguardo di voglia, quasi di implorazione. Non sapeva quello che volevo fare.
L’avevo riportata alla ringhiera e immediatamente aveva capito.

‘Entra ora, così. Ho bisogno di sentirlo dentro, tutto. Muoviti!’

Dopo qualche secondo sfogavo tutta la mia durezza dentro di lei, in una pecorina da manuale. Di tanto in tanto la facevo alzare continuando a penetrarla di forza, stringendole il seno e baciandole il collo. Godeva come una matta, di tanto in tanto aggiungendoci qualche urletto di dolore. Evidentemente non era abituata a certe cose. Era in estasi.

‘Maledetto’ ora ci penso io a te!’

Mi aveva fatto sedere sulla sdraio, presa dalla foga ora era decisa a farmi venire a tutti i costi.

Non ci avrebbe messo molto: aveva iniziato a farmi una spagnola, che normalmente data la sua taglia non può fare. Con la terza così, invece, era facilissimo. Da quel momento sapevo che non sarei durato neanche cinque minuti, troppa era la mia eccitazione.
Ero pronto: dopo averla avvisata che stavo venendo mi ero alzato.
Si era messa in ginocchio davanti a me, stringendo le braccia contro il seno per evidenziarlo ancora di più. Ormai sapeva tutto di me.
Venni abbondantemente su di lei. Era il momento dello sfogo per eccellenza, della soddisfazione dopo tanto tempo passato ad aspettare quello che volevo più di ogni altra cosa.

Una bella festa di addio, vero? Roma d’estate &egrave davvero qualcosa di insopportabile. Certo &egrave bella, da morire, ma l’afa e la temperatura di luglio rendono tutto intollerabile. Se poi gli amici sono ripartiti e non hai niente da fare &egrave ancora peggio: il programma della giornata &egrave rimanere nudo sul letto come un’ameba, in compagnia del solo ventilatore.

Davvero poco attraente come programma: tempo di sistemare gli esami ed ero così tornato a casa. Tanto mare e tanto relax, per me, sarebbero stati un’alternativa migliore ai quaranta gradi all’ombra.

Ovviamente non mi ero scordato di Sara: dall’ultimo nostro incontro era passato un anno e non erano mancate le occasioni di masturbarmi pensando a lei e al gioco fantastico che avevamo portato avanti. Non l’avevo più sentita ma da amici in comune avevo saputo che era stata qualche mese con un ragazzo coetaneo: dopo poco, tuttavia, era finito tutto. Una buona notizia per me.

La settimana successiva al mio ritorno avevo deciso di scriverle un messaggio.

‘Ehi, sono in giro, ti va un caff&egrave tra venti minuti? Passo sotto l’ufficio e scendi.’

Neanche un minuto ed il led bianco dei messaggi lampeggiava.

‘Guarda chi si risente! Certo, ma facciamo mezz’ora perché sono in riunione.’

Dopo mezz’ora ero li sotto, davanti al portone che si apriva. In tutto il suo splendore, Sara mi veniva incontro per abbracciarmi. Bellissima come sempre: un semplice vestito bianco, leggermente scollato ma non troppo e stretto dietro, metteva perfettamente in risalto le sue forme. Aveva il costume da bagno: probabilmente dopo sarebbe andata al mare.

‘Come stai? Quanto tempo che non ti sento’ spero vada tutto bene.’

La conversazione era iniziata così, con una di quelle solite frasi da manuale della consuetudine. Esami, lavoro, amici e amore (quale non si sa, dato che siamo entrambi single). Oltre le parole, però, la complicità cresceva sempre di più nei gesti. Una carezza quasi involontaria alla gamba, lei che si sistema i capelli, io che la guardo negli occhi in un certo modo.

Un po’ come se si sovrapponessero due conversazioni: una verbale ed una silenziosa. Due mondi totalmente diversi, opposti. Nel primo eravamo lì, composti, a parlare del più e del meno. Nel secondo le nostre lingue si toccavano, danzavano esplorandosi a vicenda ed esplorando il corpo dell’altro.

In ogni caso, era bastato davvero poco per ristabilire l’equilibrio di quel rapporto.

Dopo dieci minuti mi aveva fatto capire che non poteva trattenersi oltre e che doveva risalire. Mentre lei era al bagno io ero volato a pagare. Mi piaceva farlo: non aveva mai sborsato un centesimo, neanche per un caff&egrave. &egrave quel tipo di cavalleria che, in fondo, non dispiace mai.

Una volta arrivato con lei al portone, anziché salutarla, l’avevo accompagnata dentro e dopo neanche tre secondi le nostre lingue erano attaccate per davvero. Niente immaginazione o mondi paralleli: io e lei, da soli dentro l’ascensore.

Finalmente potevo sentire sotto le mani tutto quello che mi piaceva di più di lei. Non avevamo tempo ma comunque non potevamo più resistere. L’avevo girata, facendo in modo che mi desse la schiena. Uno schiaffo veloce sul sedere, sodo e perfetto come sempre, poi i baci sul collo.
Nel frattempo, con le mani, esploravo sotto il reggiseno. Lo so, sono un fanatico del seno e non ci posso fare niente. Il suo poi, non ne parliamo. Lo prendevo, lo strizzavo, giocavo con i capezzoli. E lei impazziva ovviamente, sempre di più.

Non resistevo più e l’aveva capito. La fretta incalzava. Così mi aveva bloccato le mani e dopo aver premuto il tasto di stop si era presa le tette e l’aveva fatte uscire fuori. Compresse così erano ancora più belle. Istintivamente mi ero aperto la zip, facendo uscire fuori il mio pene ormai durissimo ed in erezione.

‘Stavolta dobbiamo sbrigarci, non c’&egrave tutto questo tempo.’

Neanche due secondi e si era messa in ginocchio, prendendolo tutto in bocca.

‘Lasciati andare’ non dobbiamo sporcare l’ascensore.’

Mi guardava con malizia. Poco dopo le ero venuto in bocca accarezzandole la testa. Dopo aver ingoiato tutto era rimasta un paio di secondi ferma, ad assaporare il mio seme. Si era ricomposta velocemente, per poi salutarmi con una parola che era tutto un programma.

‘Bentornato.’

Il gioco era ricominciato!

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