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Racconti Erotici Etero

La TdG

By 4 Maggio 2024No Comments

Premessa: questo racconto verte su temi religiosi e filosofici. È poco indicato a chi crede ciecamente e ancor meno a chi è sensibile a queste tematiche. Siete stati avvisati.

Ero beatamente assorto nei miei pensieri al termine di una lunga sessione di Crossfit, sdraiato sul divano a rilassarmi. Era una mattina soleggiata di primavera, all’alba delle 11.15. Avevo appena fatto la doccia ed avevo preferito indossare solo dei pantaloni corti e le mutande, lasciando alla vista il risultato di qualche anno di costante attività fisica che, pur non essendo certamente materiale GQ o da dio greco, sicuramente non pareva appartenere al fisico del giovane che ero stato prima di iniziare. A trentun’anni potevo comunque vantarmi di aver superato notevoli accadimenti ed essere rimasto fisicamente, mentalmente ed emotivamente stabile, quand’anche mi fosse costato sofferenza.
Il calore solare lambiva il mio fisico lungo il petto e l’addome e sentivo di poter restare in una simile quiete ancora a lungo, sebbene la fame iniziasse a farsi sentire. Inevitabilmente avrei dovuto alzarmi.
Improvvisamente, sentii il campanello suonare. Chi poteva essere? Vicini? Nah, erano via con i figli (finalmente!).
Mia madre? No, avrebbe avvisato prima di raggiungermi. Mio fratello? Idem.
Il range di possibilità si strinse alle categorie meno gradevoli. Dunque: assicuratori porta a porta, venditori in cerca di fondi per qualche iniziativa umanitaria finanziata tramite la vendita di biscotti, oppure…
Ruppi gli indugi e alzai il citofono.
-Sì?-, chiesi.
-Salve. Posso rubarle un momento per parlarle di Gesù?-, chiese una voce che dall’accento pareva africana, o caraibica, difficile dirlo al citofono, e sicuramente femminile. La frase era rivelatrice.
TdG. Testimoni di Geova. Rimasi folgorato da un mix di fastidio, rabbia e semplice divertimento. La mia prima reazione sarebbe stata di dire “No.” e interdire l’accesso a quella seccatrice.
Furono due considerazioni a fermarmi.
La prima fu puramente religiosa. Io non ero, né sono, particolamente credente, e anche se battezzato avevo scelto una vita differente, ma solo dopo aver letto la Bibbia, il Corano, i Veda ed eventualmente i Sutra buddhisti, a cui ero approdato dopo molto tempo. Ero in grado di tener testa ai Testinomini di Geova sul loro terreno, e mi ero pure divertito a sconfessare le loro tesi in un occasione. Quella donna era entrata nella fossa dei leoni, ma senza esser Daniele…
La seconda considerazione era di ambito fisico: erano otto mesi che non toccavo una donna, otto mesi senza sesso. Una volontaria rinuncia protrattasi troppo a lungo.
Nella mia mente, prese forma un immagine: la TdG intenta a ricevere un corposo membro terreno, invece di elargire celestiali dogmi. Oh, chiamatemi pazzo, se volete, ma era così invitante!
D’altro canto, sotto un profilo filosofico, il loro credo era per me una distorsione della loro stessa veduta della realtà. Erano avvolti da una fede che li portava a desiderare di cambiare tutto e tutti.
E il loro desiderio provocava sofferenza, loro e altrui.
Perché? Non arrivavano a comprendere che ognuno ha la propria strada?
-È ancora lì?-, chiese la donna, sottraendomi ai miei pensieri. Decisi, di getto!
-Sì, mi perdoni. Le apro subito. Terzo piano.-, dissi. Schiacciai il pulsante dell’apertura del portone e mentre sentivo la TdG aprirlo, ponderai le prossime mosse. Stavo giocando su un campo minato, ero completamente fuori di testa e rischiavo almeno una denuncia (probabilmente anche una qualche forma di punizione spirituale), ma volevo prendermi quel rischio. Era uno scenario allettante.
Valutai se rivestirmi o no. Mi buttai addosso una canotta. Sentii il campanello. Aprii.
La donna che mi trovai davanti doveva avere più o meno la mia età, carnagione scura, viso piacevole, capelli lunghi ma raccolti in una codo elaborata, magra e tutto sommato gradevole. Africana o sudamericana?
Difficile dirlo: l’accento pareva leggermente più musicale di quello africano, ma poteva essere dovuto a tanti fattori. In ogni caso, indossava una gonna e una camicetta molto castigata con una piccola croce al collo.
-La ringrazio.-, disse con un sorriso bianco che risaltò a meraviglia sulla palle scura. Avvertii un principio di erezione. Miseria, una così bella e giovane era una TdG? Dovevo salvarla da sé stessa…
-Venga, venga.-, dissi facendole strada verso l’angolo cucina. Lei avanzò, timorosa, ma sorridente.
Non aveva nulla da temere. O così credeva.
-Mi scuso per il disturbo… Sa, solitamente la gente non apre…-, disse. Pareva mortificata. Le sorrisi.
-Immagino sia per via degli orari. È sabato, molti si stanno godendo il weekend fuori.-, dissi. Le indicai il tavolo. Si sedette mentre io andavo a prendere da bere.
-Vuole dell’acqua?-, chiesi, -O magari un caffé?-.
-Solo dell’acqua, grazie.-, disse lei. Sedeva senza accavallare le gambe ed estrasse un paio di volntini e riviste della Torre di Guardia, il classico, immancabile giornalino dei TdG. Gettai un occhio al titolo.
Era qualcosa sui pericoli del nostro tempo, la guerra e il resto.
Portai due bicchieri d’acqua e una caraffa. Mi sedetti a mia volta.
-Dunque, eccoci qui.-, dissi, -Penso sia indicato presentarci. Alessandro, piacere.-, porsi la mano.
-Marié.-, disse lei stringendola. Marié… Maria. Nome azzeccato considerando la professione che svolgeva.
-Mi perdoni, Marié, ma devo dire che lei è giovane per essere una Testimone.-, dissi con stupore solo in parte simulato. Lei mi sorrise ancora, gli occhi marroni che parevano tutti innocenza e purezza.
-Mia madre è una Testimone. Io ho trent’anni e questo è il mio primo giro a diffondere la parola.-, disse.
-Ah, capisco. Immagino sia stata una sua scelta.-, dissi.
-Non proprio… Mia madre ha ritenuto dovessi farlo io, visto che lei aveva male ai piedi.-, ammise la giovane.
-Capisco. Immagino sia parte del dovere cristiano, sollevare i fardelli di chi soffre.-, dissi. Marié annuì, prendendo un sorso d’acqua.
-Sì, anche se per noi è più un dovere comunitario.- spiegò lei.
-Ah.-, annuii io, non senza osservarla meglio. Era davvero bella.
-Sa, Gesù ci ha dato un messaggio molto chiaro, amarci gli uni gli altri…-, iniziò lei.
-Già, purtroppo l’umanità è stata bravissima a uscire dal seminato. Le crociate sono state un ottimo esempio di giustificazione dell’omicidio e delle mosse politiche.-, dissi. Il dibattito era iniziato.
-Ma questo evento non impedisce oggi il dialogo tra le religioni.-, rispose lei, -Gesù ha anche detto che il suo regno è dentro di noi. Lei si é mai sentito solo o sofferente, Alessandro?-, chiese.
-Infinite volte.-, risposi io, -Ma ho sempre voluto vedere tali momenti come delle prove.-.
Altro sorriso da parte della bella nera.
-E infatti, Dio non ha mai negato il suo affetto a lei!-, disse.
-Interessante. Non l’ha negato a me, ma lo nega al bambino in Siria che muore di fame?-, chiesi.
-No… Loro…-, Marié mi guardò, cercando le parole.
-Marié, loro soffrono tanto quanto noi. A noi è data la grazia di cibo sicuro, un tetto sulla testa, la sicurezza di non venire bombardati o sterminati da malattie o bestie feroci, ad altri no. Mi sembra iniquo.-, dissi, -D’altronde non è la prima volta che l’altissimo va di parzialismi, ricordiamo Caino e Abele.-.
-Caino e Abele… Ma Caino ha ucciso suo fratello!-, esclamò lei.
-Certo. Ed era colpevole. Ma al suo posto, snobbata nonostante i tuoi migliori sforzi, lei avrebbe accolto la volontà di dio?-, chiesi, -O si sarebbe sentita dispiaciuta, rammaricata, forse persino arrabbiata perché i frutti del suo lavoro non sono stati considerati degni, a dispetto della sua devozione?-.
-Era una prova… Caino non l’ha superata.-, replicò Marié.
-Ah. Una prova. Bellissimo. Ma perché? Dio non si ferma certo lì: esige un pentimento, da Caino. Lo sprona a dirgli cosa non va. E come potrebbe farlo, Caino, sapendo che quel dio potrebbe ucciderlo così, con un mero pensiero se la risposta non gli andasse?-, chiesi. Marié scosse il capo.
-Caino è stato risparmiato. Ha ucciso Abele ma Dio l’ha risparmiato.-, disse.
-Maledicendolo. E, nonostante ciò, Caino ha trovato moglie, avuto una discendenza e fondato una città, i cui abitanti son divenuti tra i primi fabbri e musici.-, dissi citando il passo successivo alla maledizione imposta.
-Sì, ma…-, iniziò lei.
-Ma Seth, invece? il Terzogenito di Adamo ed Eva cos’ha fatto? Viene appena menzionato.-, argomentai.
-È vero…-, ammise lei, -Ma poi Dio garantisce ai discendenti di Abramo una terra e li tutela…-, disse.
Stava cercando di sviare il discorso. Sorrisi, bevendo dell’acqua.
-Certo. La terra promessa. Affascinante come il Popolo Eletto non perda occasione per dubitare o deviare dal seminato. Sono loro ad essere intrinsecamente maligni? O sono le regole del gioco a essere inumane?-, chiesi.
-Dio ci ha dato leggi semplici…-, disse Marié. La guardai. Stava sudando. Era accaldata, e tesa.
Si era aspettata un semplice dialogo sulla religione in cui lei elargiva il verbo e io ascoltavo, e stava andando esattamente all’opposto. Sorrisi.
-Marié, posso darti del tu?-, chiesi. Lei annuì.
-Tu sai bene che siamo umani. Possiamo tendere verso il divino, ma ci laceriamo come carta velina.-, dissi.
-Io credo sia nostro dovere credere e seguire i comandamenti di dio alla lettera.-, disse lei.
-Anche quando tutto in noi ci sprona nel senso opposto?-, chiesi io.
-È peccato ascoltare i nostri bassi istinti. Non siamo bestie.-, rispose la nera, piccata.
-Non siamo neanche angeli. Abbiamo la libertà, e il discernimento, per salire o scendere dalla scala, ma rimaniamo pursempre esseri umani. Tutte le religioni e le filosofie concordano su questo punto.-, dissi.
Silenzio. Pausa. Lei mi fissò, stupita. Prese il bicchiere, fece per bere, notò che era vuoto. Glielo riempii.
-Vedi, Marié, dio ci ama. Ma il suo amore non è l’amore di un fratello, o di un marito, è l’amore di un padre, venato di regole ferree edificate per non lasciare spazio al caos. I comandamenti, il deutronomio, regole.
Regole create per non cedere al caos.-, dissi con assoluta calma.
-Ma Dio….-, iniziò lei.
-Marié, se uno di voi Testimoni viene ricoverato in ospedale e ha bisogno di una trasfusione, non gli è permesso farla!-, esclamai, -Se uno di voi legge Harry Potter, è punito!-, esclamai di nuovo, -Se uno di voi…-, mi fermai.
“Dannazione. Devo darle tregua.”, pensai. Era un sottile gioco psicologico.
-Noi accettiamo la volontà di dio…-, sussurrò lei.
-Anche quando è tutto fuorché amorevole? Anche quando va contro l’amore?-, chiesi. Lei mi fissò.
-Davide e Betsabea peccarono per questo.-, disse.
-Furono umani. Se i peccatori sono più dei virtuosi, forse è la virtù ad essere eccessivamente inarrivabile.-, dissi.
-Noi abbiamo il dovere di sforzarci! Dio vuole che noi lo facciamo, per lui!-, esclamò lei.
-E tu cosa vuoi, Marié?-, chiesi. Secco, diretto.
-Io… Io credo di aver sbagliato… Forse è ora che io vada.-, disse lei. La trattenni, prendendole il braccio.
-È quasi mezzogiorno.-, dissi, -Credo non sia assolutamente un male se pranziamo e riprendiamo dopo.-.
Lei si risedette, quasi senza che io la guidassi a farlo. Voleva restare. Andai a preparare il pranzo.
Roba semplice: un piattto di pasta al pesto. Mangiammo in silenzio.
-Dunque, dio vuole che ci sforziamo. Ma perché? Per un peccato compiuto all’alba dei tempi?-, chiesi.
-Perché siamo migliori di così!-, esclamò Marié.
-Un sacco di popoli lo furono senza aver mai conosciuto la parola di dio.-, dissi io, -In tutte le civiltà hai barbarie e virtù in egual misura.-. Lei rimase zitta. Bevve altra acqua.
-Tu non credi.-, disse infine.
-No.-, dissi io, -Ma ho… una mia veduta.-.
-Sei buddhista.-, disse mentre osservava il jala che portavo al polso, un braccialetto. Non la contraddissi.
-Le Quattro Verità mi sono apparse ben più ragionevoli e umane delle leggi dell’Antico Testamento.-, ammisi.
-Ma è di Gesù che stiamo parlando. Lui è venuto a portare pace tra gli uomini!-, esclamò lei, cogliendo l’apertura. Io sorrisi. Bingo!
-E gli uomini hanno scelto di usare il suo messaggio per altri fini. Non sto dicendo che tu sbagli, Marié, sto solo sostenendo che tu, e altri come te, vi facciate del male senza motivo. Rinunciate a infinite gioie per cosa?-, chiesi.
-Io… Io non rinuncio a niente!-, esclamò, piccata. Tasto dolente. Mi ci buttai.
-Hai mai avuto modo di uscire con qualcuno? Di avere un ragazzo? Di andare al cinema a vedere qualcosa che i vostri capi non vedano di buon occhio?-, chiesi.
-Io… No, ho avuto un ragazzo, ma…-, abbassò gli occhi.
-Ma?-, chiesi.
-Sono stata debole!-, piagnucolò lei con voce bassa.
-No.-, la corressi io, -Sei stata umana.-. Ci fissammo, per un lungo istante. Presi i piatti vuoti e li portai in cucina.
Le diedi tempo. Lei rimase immobile. Quando tornai era ancora lì. Aveva messo via i volantini e la rivista.
-Penso… penso di dover andare, Alessandro.-, disse lei alzandosi. Pareva combattuta.
-Io penso di no. Penso di aver instillato del dubbio nella tua mente.-, dissi, avvicinandomi.
-Hai… la canottiera bagnata.-, disse. Me la tolsi. Non avevo chissà che di addominale, ma il suo sguardo deviò ugualmente in basso, verso il mio ventre.
-Non… Non dovevo. Scusa.-, disse lei.
-Non sono d’accordo.-, dissi. Avanzai ancora di un passo.
-Io… Dio mi punirà.-, disse, timorosa, cercando di allontanarsi ma barcollando invano sul posto.
-Non credo proprio.-, dissi, -Se ti ama, accetterà. E se non ti ama, allora non c’é nulla da temere.-, dissi. Lei rimase ferma, in silenzio.
-Tutto quello che dio può fare, tutto quello che potrà buttarci addosso, non ci toglierà questo istante.-, dissi con assoluta fiducia. Forse fu quello, o tutto il resto, ma mi parve sorridesse.
-Alessandro… Fa caldo… o…?-, la sua voce era incerta all’inverosimile.
-Fa caldo. Sta arrivando l’estare.-, risposi. Il suo profumo m’inebriava. Eravamo immobili, a pochissimi passi di distanza.
-Io… ho bisogno di una doccia.-, disse lei.
-Puoi farla.-, dissi io guidandola al bagno. Marié entrò, in silenzio, quasi fosse stata sonnambula. La sentii aprire i rubinetti, far scorrere l’acqua.
L’avevo spezzata. Ma ora la domanda era: osavo un po’ di più e rischiavo di perdere tutto, o speravo che il dubbio la portasse, (in un futuro), a gettarmisi tra le braccia?
Decisi dopo pochi minuti. Osare. Entrai nel bagno. La cabina doccia era aperta, con Marié che si stava lavando. Il suo corpo d’ebano nudo era semplicemente bellissimo, non c’era quasi grasso, i seni erano modesti ma floridi e la sua espressione era di sorpresa e sgomento.
Non le diedi tempo: scattai verso di lei balzando fuori dai calzoni. Entrai sotto il getto e la baciai. Lei mi rispose con stupore e, con mia sorpresa, senza ritrarsi.
-Ti voglio.-, dissi soltanto, -E niente e nessuno mi farà cambiare idea.-.
-Bene…-, sussurrò lei con un gemito mentre le baciavo il collo dalla pelle di seta, -Perché anche io voglio te.-.
-Immagino che dio sia divenuto una presenza a margine, no?-, chiesi.
-Se non avesse voluto che cedessi forse non mi avrebbe messo davanti una simile prova.-, rispose Marié. Mi baciò a sua volta. Si vedeva che l’esperienza le mancava, pur non essendo affatto male. Scesi lungo il suo corpo toccando e baciando. I capezzoli le si inturgidirono come punte di matita.
-Sì… continua… sono molto sensibile…-, mugolò mentre sotto il getto le leccavo piano i seni.
A tentoni le sciolsi la capigliatura. Tornai a baciarla mentre la mia mano le affondava tra le cosce trovando l’intimità già pulsante e dischiusa, il clitoride che iniziava ad ergersi. La sua mano trovò il mio sesso. Lo strinse, forte. Come a volersi sincerare che fosse vero.
-Io… non so se andrò bene…-, sussurrò con timore, manipolandomi maldestramente.
-Andrai benissimo.-, la rassicurai. Poi baciai il suo stomaco, le cosce. Lei aprì le gambe.
-Mmmmh, non dovresti, sai?-, disse, -È sporco.-. Le sue proteste ipocrite si sciolsero come lei mentre la mia lingua tormentava la sua vulva.
-Per essere sbagliato…-, dissi in una pausa, -Sembra molto piacevole. E chi l’ha detto che è peccato solo perché è piacevole?-, chiesi prima di affondare.
-Ah… sì…-, mi spinse la testa contro di sé. Lappai i suoi succhi amari, trovando conferma che era africana. Tanto bastava. Mi alzai dopo averla sentita sussultare troppo e con troppa violenza per essere finzione. La guardai. L’acqua ci scorreva addosso. Marié si addossò al muro. La penetrai mentre si avvinghiava a me. Fui risucchiato nel suo alveo pulsante e rovente, accolto da lei con versi animaleschi quanto i miei. Pompai. Una due, tre, cinque, dieci volte, avanti e indietro, implacabile come la marea. Lei sussultava a ogni colpo, smozzicava respiri e parole, mi teneva saldamente, quasi fossi stato l’ultima roccia emersa in un biblico annientamento dell’universo stesso.
E io la baciavo, la vezzeggiavo, la possedevo e lei possedeva me. La sentii stringersi attorno al mio sesso ed emettere un gemito animalesco mentre godeva. Fu troppo: sentii i piacere attraversarmi mentre scagliavo il mio seme in roventi schizzi nel suo ventre fertile.
Rimanemmo immobili, abbandonati come i superstiti di qualche calamità, i petti che si alzavano e abbassavano a ritmo, senza dire una parola.
Poi lei si alzò. Prese a rivestirsi dopo essersi asciugata. Uscì, andando a prendere la sua roba.
Se ne andò senza una parola, senza un fiato. Mi alzai. Trovai una rivista. La Torre di Guardia.
C’era una scritta a margine. Un numero di telefono.
E una nota. “Dovrò predicare ancora molte volte, con te. Marié”.
Sorrisi.

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