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Racconti Erotici Etero

La volpe dei motel

By 2 Gennaio 2014Dicembre 16th, 2019No Comments

 

Arrivo in questo squallido motel verso le dieci di sera.
Una sera qualunque di questa estate bollente, schifosamente afosa e infinita.
E ci arrivo dopo una giornata di merda.
Ma proprio di merda, ve l’assicuro.
Perché, quando ad un povero rappresentante di tessuti, tra mattina e pomeriggio, saltano cinque appuntamenti su sei… beh… vi garantisco che la giornata è stata veramente di merda.
Una gigantesca, colossale, piramidale giornata di merda.
Ed il cattivo odore della sostanza in questione, anche se in senso puramente metaforico, te lo senti appiccicato sulla pelle, sembra quasi trasudare dai pori, e i vestiti sgualciti che indossi ne risultano irrimediabilmente impregnati, neanche tu avessi lavorato in una stalla a spalare qualche tonnellata di letame, sotto lo sguardo beffardo di una quindicina di stramaledettissime vacche obese.
Quando, già di primo mattino, una giornata si presenta come di cacca, alla sera, matematicamente, si trasforma in una giornata di merda.
Provatemi il contrario, se ne siete capaci. 

La reception del motel.
Reception.
Parola che evoca ambienti lussuosi ed eleganti, frequentati da persone educate e ben vestite, che parlano sottovoce e sono sempre sorridenti.
L’incauto lettore potrebbe immaginarsi uno di quegli atri spaziosi, pieni di divani antichi e poltrone dalla tappezzeria che costa un anno del tuo stipendio, con lampadari in cristallo e tende sfarzose, piante esotiche e lussureggianti, che ti fanno vergognare delle striminzite e asfittiche roselline che hai sul balcone di casa: e tu che entri dalla grande porta girevole, e ti dirigi verso il monumentale bancone della reception, dove un azzimato impiegato ti riverisce servile e ti consegna la chiave della tua suite, una chiave sempre adorna di un prezioso ed antichissimo batacchio in bronzo, talmente pesante che solamente un palestrato di lunga data può trasportarlo con finta disinvoltura…
Ecco.
Vi ho reso l’idea.
La reception di questo motel è un tantino diversa, però.
E non solo per le dimensioni.
Magari fosse solo per quello.
E’ uno stanzino buio, lurido, afoso e puzzolente.
Semplicemente schifoso.
E asfissiante.
Una topaia, saldamente in vetta nell’ambita ed esclusiva hit-parade delle topaie planetarie.

Una ragazza siede immobile dietro lo scheggiato e scolorito bancone, sul legno del quale un burlone di passaggio ha inciso con una chiave la sagoma di una banana: o, forse, è il tentativo malriuscito di disegnare un pisello (è la mancanza delle palle a lasciarmi nell’amletico dubbio).
Banana o pisello che sia, vorrei vedere in faccia l’artefice di cotanto capolavoro.
Quando si dice che c’è gente che non ha un cazzo da fare.
Comunque, l’ignoto artista ha un degno concorrente.
Qualche decina di centimetri alla sinistra della banana/pisello, un povero disgraziato ha inciso “mia molie è una troia”: sgrammaticato e cornuto il tapino, e mi par di capire che il livello di troiaggine della moglie non sia il suo principale problema.

Abbandono volutamente l’arte incisa su quel bancone e gli sconosciuti grafomani del cazzo.
Alzo gli occhi.
La ragazza sta guardando la televisione ad un volume troppo alto, ciancicando una caramella o ruminando una gomma.
E’ totalmente assorta nella visione di quella che, senza ombra di dubbio, deve essere una sit-com.
Sullo schermo, un ciccione si sta ingozzando come un maiale con quello che sembra essere un tacchino farcito di non si sa quali porcherie, la patria del colesterolo, l’inno nazionale dei trigliceridi, un master sull’infarto prossimo venturo.
Il grasso divora la carne e ride, straparla e sputazza sulla tavola, mentre gli altri commensali non sono da meno in fatto di volgarità: uno di questi, un vecchio con uno strano cappello piumato sulla testa e gli occhi da idiota (ma forse è solo arteriosclerotico all’ennesima potenza) medita pensieroso non si sa bene su quali stronzate, il dito indice della mano destra ad esplorarsi con cura le narici del naso adunco e sbilenco.
Il tutto mentre un infante, a quattro zampe sul pavimento, ulula disperato perchè il cane (un orrido bastardo con due orecchie da pipistrello) gli ha fregato il biscottino.
Ributtante.
Stomachevole.
Da vomitare anche quello che si è mangiato a Natale dello scorso anno (anche se, a causa di questa cazzo di crisi, non ricordo un pranzo di Natale particolarmente succulento).
In sottofondo si sentono le finte e sguaiate risate registrate di un pubblico inesistente.
Programma di merda, tanto per restare in tema e non perdere il filo conduttore.
Esattamente come la mia giornata.

La ragazza distoglie a fatica gli occhi dallo schermo, neanche stesse guardando un programma culturale ed intellettualmente molto impegnativo: l’ultimo capolavoro tra i documentari del National Geographic non avrebbe altrettanto sollecitato i suoi svagati e solitari neuroni.
Mi guarda, ma sicuramente nemmeno mi vede, tutta concentrata com’è su quell’abominio televisivo.
Un moscone, grosso come un topo goloso, sibila ronzando tra me e la ragazza, compie un paio di rapide evoluzioni (chissà perchè mi vengono in mente gli aerei della pattuglia acrobatica), sfiora la banana/pisello, ignora il disperato urlo di dolore dello sgrammaticato cornuto, e poi scompare, infilandosi a tutta velocità in una porta socchiusa alle spalle della teledipendente.
Spero vivamente che oltre quella porta non vi sia un cadavere, magari quello del proprietario del motel, che solo per aver cercato di cambiare canale un paio di giorni prima (voleva vedersi la partita, l’ingenuo calciofilo…) si è beccato una quarantina di colpi d’accetta dall’appassionata di programmi culturali, e che il moscone non stia andando a deporre le sue oneste uova su quel corpo in avanzato stato di decomposizione.
Mi tranquillizzo subito, però, perchè non avverto odore di putrefazione, ma solo un tanfo greve di cavoli, sudore e cessi attappati.
Il classico profumo di una giornata di merda.

La sfinge che mi trovo di fronte mi chiede i documenti (voce sexy, piacevolmente roca e sensuale) e registra svogliatamente i miei dati, mentre sullo schermo il ciccione, sollevando mezzo culo dalla sedia, scorreggia sonoramente.
Per qualche istante penso di aver sentito male.
Poi, però, lo sguardo soddisfatto e beato di quel cocomero con le zampe che si atteggia ad attore mi fa capire che ha tirato per davvero una scorreggia bestiale.
Sarà perchè ho avuto una giornata di merda, ma ora ne sento più forte la puzza.
Non mi risulta che gli odori, però, possano ancora uscire dalla televisione e ammorbare gli ambienti circostanti.
E per fortuna.
Perchè la scorreggia di quel lardoso figlio di puttana è di certo appestante.

A quella rumorosa emissione di gas intestinali, le finte risate di quel programma demenziale raggiungono l’apoteosi.
Un diluvio di isterici sbellicamenti. 
Anche la ragazza, mentre scrive il mio nome sullo sgualcito registro, dalle pagine unte e ingiallite, timidamente sorride divertita.
Magari si trattiene dallo sganasciarsi soltanto perchè ci sono io.
Già.
Sicuro.
Vorrei proprio vedere che faccia farebbe ‘sta scema se io le sganciassi una scorreggia proprio in questo momento, una tromba anale rumorosa anche solo la metà di quella dell’obeso pseudo-attore.
Così.
Facile facile.
Con nonchalance.
En plan air.
Mi basterebbe alzare una gamba, voltarmi di tre quarti (tipo il lanciatore nel baseball, avete presente i Red Sox ?) e ammollare la venefica commistione di metano ed altri gas nobili, il tutto accompagnato da un profondo sospiro liberatorio.
In diretta.
Live, come dicono gli stramaledetti inglesi.
E senza il sottofondo delle risate idiote, ma con quello, molto meno esilarante, del cattivo odore.
Chissà perché, ma non credo lei troverebbe la cosa molto divertente.
Per nulla.
Proprio per nulla.

Lascio perdere i cadaveri mutilati e le convulsioni intestinali.
Torno a guardare l’impiegata di questo cesso di posto.
Carina, sui ventiquattro anni, capelli corti, castano chiari, occhi verdi, o forse grigi.
Un viso regolare e solo leggermente truccato.
Non male, nel complesso.
Forse la serata di questa giornata di merda potrebbe rivelarsi migliore di quanto immaginavo.
Avrei proprio il bisogno di distrarmi un pochino.

A causa del mio lavoro (un lavoro di merda, inutile sottolinearlo, perchè fare il rappresentante è l’ultimo e il più schifoso fra tutti i lavori di merda), frequento i motel da una vita, e so bene come funzionano certe cose.
Sono un’autorità, in materia.
Inutile illudersi: a cinquantadue anni, anche se sei un bell’uomo, atletico e curato, per scopare devi pagare.
E, guarda caso, ci fa anche rima.
Nella fattispecie, poi, io non sono nemmeno un bell’uomo.
Tantomeno atletico e muscoloso.
E curato solo quando me lo ricordo.
Non sono nemmeno un cesso, intendiamoci.
Ma… insomma…
Quello che si dice un bel vedere abita da altre parti.
E quindi, per fottere, tocca pagare, mettere mano al portafoglio e contare le banconote.
Qui la rima non c’è, ma il concetto resta lo stesso.
Chi dice il contrario, chi vagheggia il fascino dell’uomo di mezz’età, magari brizzolato e per questo ancora più piacente, racconta un mucchio di cazzate alto come le due Torri Gemelle di antica memoria.

– continua –

 

I soldi.
Ta-daa…
Ecco la parola magica, il tappeto volante verso la felicità sessuale, l’apriti sesamo per l’incantato mondo delle scopate e dei pompini.
I soldi: sono loro il lasciapassare per fare del sesso, la chiave (per chiavare, verrebbe da dire, in un’assordante ma simpatica cacofonia) per ingannare se stessi di essere ancora in grado di far colpo su una donna.
Euro, dollari, sterline, dracme (anche se queste, ahimè, sono ormai fuori corso): fate voi, ma ci vogliono i soldi, la vil pecunia, le svanziche, i brandoni o come cazzo li volete voi chiamare.
E con i soldi ti compri il sogno di una notte, acquisti al discount della trombata pochi attimi di piacere, e schizzi in un preservativo l’illusione della gioventù irrimediabilmente passata.
Amen, per dirla in termini vescovil-religiosi.
E ‘sti cazzi, come invece, più prosaicamente, dice la plebe.

La ragazza ora mi guarda, mettendo finalmente a fuoco la mia immagine: i suoi occhi sono tristi, spenti, occhi che troppe ne hanno viste e che troppe ne dovranno ancora vedere.
Forse è arrabbiata perché un cliente di questa topaia di motel ha cercato di palparle per l’ennesima volta il culo gratis, o forse è incazzata solamente perché ho interrotto la visione del capolavoro televisivo cui stava assistendo (nel qual caso mi reputo fortunato a non essermi beccato anch’io la mia brava scarica di colpi di mannaia…).
Ma anche lei conosce le regole di questo stramaledetto gioco.
E come se le conosce.
E’ un copione con due soli attori.
Senza registi e telecamere.
Un canovaccio di una semplicità disarmante.
Io pago per trombarla, e lei incassa per farsi trombare.
Il trombatore (porco) di mezz’età, e la giovane (zoccola) trombata.
Do ut des.
Tu fai un favore a me che io ne faccio uno a te.
La vecchia legge della domanda e dell’offerta.
I soldi.
La pecunia.
Il vil denaro.
Insomma, ci siamo capiti.
Magari a lei faccio schifo e spera ardentemente che io me ne vada a dormire, meglio ancora se me ne andassi a fare in culo, e senza romperle i coglioni (si fa per dire, ovviamente… perché lei è una ragazza, e le palle, salvo imprevisti, non dovrebbe averle… anche se poi, di questi tempi… le sorprese sono sempre in agguato dietro l’angolo…).
Ma dopo una giornata di merda come questa a me non va di dormire.
Nossignore.
Rabbrividisco alla sola idea di affondare la testa in un cuscino sformato e lercio, di depositare il deretano su un materasso di certo impregnato delle schizzate di centinaia di piselli arrapati e congestionati, e di pensare ancora una volta a quanto sia stata veramente di merda questa interminabile giornata.
Voglio scopare, fottere, trombare, accoppiarmi come una bestia in calore, cappottarmi a zampe all’aria come un coniglio infoiato, e scaricare la rabbia che ho in corpo, e solo dopo pensare al domani.

Lei aspetta paziente e rassegnata che io faccia la prima mossa.
La guardo ancora una volta: non è male, proprio per niente.
Nulla di trascendentale, intendiamoci, non vi mettete strane idee nella testa, ma, nelle mie notti lungo le strade e le autostrade greche, ho visto (e scopato) di molto peggio.
Di infinitamente peggio.
Roba da non andarne fieri.
Niente da tramandare ai nipoti.
Purtroppo sono sempre stato di bocca buona.
E non soltanto a tavola.
Ma lasciamo stare queste sottigliezze.
Immagino non ve ne freghi un cazzo di chi io mi sia scopato in passato.
Non me ne frega un cazzo nemmeno a me, figuriamoci.

Incomincio a sentirmi arrapato.
Mentalmente ingrifato.
Solo mentalmente, però.
Perché fisicamente… bè… là sotto tutto ancora tace (e chi ride è cornuto come lo sgrammaticato incisore del bancone).
Anche il mio uccello ha avuto una giornata di merda, no ?
Ora farò la mossa che lei sta aspettando io faccia.
Da bravo cliente.
Da perfetto stronzo.
Da porcone depravato che si vuole ingroppare una ragazza che potrebbe essere sua figlia.
A parziale giustificazione, ricordo a lorsignori (tutti lì a giudicare con il dito puntato, eh ?) che lei la fa di professione, la mignotta intendo dire, e che non trattasi, di conseguenza, di quell’ingenua fanciulla che tanta tenerezza vi smuove.
Le fiabe sono morte da un pezzo.
Mi appello al quinto emendamento e alla clemenza della corte.

Per darmi un contegno e per tenerla sulla corda, fingendo di essere indeciso, mi accosto alla slot-machine che è di fianco al bancone.
Gli occhi della ragazza ora mi seguono incuriositi.
Prendo dalla tasca della giacca una moneta e l’infilo nella macchina.
Nella mia immaginazione ho un atteggiamento che sembra voler dire “ragazzina… osserva e impara… a Las Vegas mi conoscono come il becchino di questi arnesi… l’avvoltoio della vincita… l’idrovora di dollari…”.
In realtà devo sembrare un perfetto deficiente, perchè tiro atleticamente la leva e non succede nulla.
Ci vogliono troppi secondi perchè mi renda conto che devo premere un bottone, e che la leva è rimasta solo per bellezza.
Il mondo cambia troppo in fretta, almeno per me.
Allento una rumorosa ditata di superiorità al pulsante lampeggiante, cercando di assumere un’espressione tipo “ragazzina… a Las Vegas e Atlantic City ci sono ancora le leve… porca puttana…”.
Temo, però, che più che un salvataggio in corner sia l’ennesimo ed applauditissimo autogol.

Subito le ciliegine, le campane, le prugne, i cocomeri e i pochi “Magic Star” (quelli che ti dovrebbero far vincere un sacco di soldi) iniziano a vorticare.
Uno ad uno i rulli si fermano.
Prugna, campana, cocomero e “Magic Star”.
La scritta “insert coin” riprende a lampeggiare beffarda.
Immagino che “insert coin”, in inglese, abbia anche il significato di “inculato”.
Come sempre.
Dovrebbero sostituire le prugne ed i cocomeri con zucchine e cetrioli, più adatti all’inculata che ‘ste dannate macchinette regolarmente ti danno.
Con fare altezzoso e di finta indifferenza (anche se mi rode il culo che la slot mi abbia succhiato cinquanta centesimi), torno di fronte alla mia preda.

Dicevo.
Ora farò la prima mossa di quell’inutile pantomima.
Se però la telemaniaca mi chiede troppo, se pensa di spennarmi come un pollo fritto alla sudista, la mando di corsa a fare in culo.
Garantito.
Non mi sento nello stato d’animo di essere per nulla diplomatico.
Ce la mando sparata, a fare in culo, se la troietta fa la preziosa.

Mi decido.
O scopo, o vado a dormire.
O trombo, o mi dedico ad un rapporto gay con quella rinomata checca di Morfeo.
E se non riuscirò a prendere sonno, conterò magari le pecore.
Anche se l’ultima volta, arrivato a contare il milletrecentoventiquattresimo ovino, sveglio come un grillo, mi sono incazzato di brutto, e ho iniziato a contare i calci in culo che davo a quegli stramaledetti quadrupedi.
Dopo una quarantina di goduriose pedate al fondoschiena delle bestiacce, ho preso a russare alla grande.
A volte bisogna pure togliersela qualche soddisfazione.
Okay.
Devo limitarmi.
Tendo a divagare.
Insomma.
La scopo o non la scopo, in un modo o nell’altro questa lurida giornata di merda si concluderà.

Cerco il suo sguardo.
Agganciato.
Le palle dei miei occhi nelle palle dei suoi.
Le altre mie palle che aspettano impazienti di sapere se stasera avranno la loro strizzatina.
Palle da tutte le parti, nemmeno ci fosse un fottutissimo albero di Natale.
E’ il puntale (quello mio, non quello dell’albero) che fa ancora il vago, rifiutandosi di dare un qualunque segnale di vita.
Ma si dovrà rassegnare, lo sfaticato.
Comando ancora io, porca puttanissima.
Almeno credo.

Faccio la famigerata prima mossa.
Le dico, in una pessima imitazione della voce di Humphrey Bogart, che vorrei un’altra coperta per il letto.
Frase inequivocabile nella lingua dei motel, dove la parola coperta fa la rima baciata con scopare.
Lo so che non fa rima, non mi scassate le palle (aridaje co’ ‘ste palle…).
Era solo un modo di dire.

Per un attimo mi compiaccio di essere un poliglotta, di conoscere e parlare correntemente la lingua dei motel, quella lingua indispensabile per contrattare una scopata a pagamento.
Una lingua che non s’impara all’università, ma solo nelle pidocchiose stanze di tutti i pidocchiosissimi motel della Grecia (isole comprese).
Un’altra coperta, le dico con fiero cipiglio.
Perché sono freddoloso, io, irrimediabilmente freddoloso.
All’esterno, alle dieci e mezza di sera passate, vi saranno ancora trenta gradi, un caldo afoso della miseria, ma le regole di contrattazione tra un cliente ed una puttana, in un motel sperduto lungo una superstrada del cazzo, prescindono dalle condizioni meteorologiche.
Per ingropparsi la troietta non è necessario ascoltare il notiziario del tempo alla radio.
Bisogna volere una coperta a prescindere.
E ci vogliono i soldi.
Mi pare di averlo già spiegato.
A volte, oltre che discretamente stronzo, tendo ad essere noiosamente ripetitivo.
Comunque sia.
E’agosto, il caldo è bestiale, ma io voglio una coperta per il letto.
E sono disposto pure a pagarla, ‘sta cavolo di coperta.
Eccheccazzo.

L’appassionata di sit-com dementi mi guarda come se non avessi parlato, o come se avessi parlato in un qualche dialetto cinese delle campagne fuori Pechino.
Sullo schermo, tra le risate fasulle di un pubblico coglione e inesistente, il grassone ha chiuso la valvola posteriore: ora si esibisce in rutti da primato mondiale, roba da generare devastanti tornados come nel Kansas.
Sono talmente disgustato da quell’ammasso informe di lardo che mi sembra di sentire l’odore di cipolla ed aglio che sicuramente esce da quella fogna di bocca.
Ma che si decidesse a cambiare canale, ‘sta stronza !!

Uno, due, tre… cinque secondi.
La ragazza sembra iniziare a connettere.
Finalmente il suo modem cerebrale sembra dare segnali di vita.
Si passa la punta della lingua sulle labbra (gesto arrapante, ammettiamolo, cazzo) e poi mi dice che va bene, d’accordo per la coperta extra, ma che potrà portarmela solo dopo la mezzanotte, e che mi costerà cinquanta eurazzi tondi tondi.
Cazzo.
Quando c’erano ancora le dracme i prezzi erano più bassi.
Che sia stramaledetta l’unione monetaria che si sono inventati.
Anche una scopata, oggi, costa un occhio della testa.
Ce l’hanno messo nel culo con la moneta unica.
Senza burro o vasellina.
Attrito e bruciore per tutti noi, poveri diavoli dalle giornate di merda.
E ce l’hanno messo nel didietro proprio alla grande.

Per un istante mi viene voglia di lasciarla lì, senza nemmeno mandarla a fare in culo, a guardare il panzone sullo schermo del televisore, sperando che l’obeso, una volta sfogato quel temporale di rutti, si diverta a lanciare verso la telecamera caccole della dimensione di una pallina da ping-pong.
Che i cinquanta eurazzi ‘sta stronzetta li sfilasse al prossimo pollo di passaggio.
Il problema, però, è che ho voglia di scopare.
Una gran voglia di fottere.
E lei mi attizza non poco.
Mentalmente, s’intende.
Perchè fisicamente…
L’unico segnale di vita che mi arriva dalle parti del creapopoli è la pressione, sempre più fastidiosa, sulla vescica.
Cazzo.
Devo pisciare come un ippopotamo incontinente.
Ma la stralunata fan del trippone televisivo mi va proprio a sangue.
E poi non mi va di contrattare sul prezzo.
Scoglionato e incazzato come sono, non ho voglia di mercanteggiare, magari per soli dieci schifosissimi eurazzi.
Sono sicuro che, se facessi l’atto di andarmene (mi potrei voltare, e con fare sdegnato, avviare verso l’uscita di questa lercia reception, magari sparacchiando una bella scorreggia come il mitico obeso del cazzo), se solo provassi a lasciarla cuocere nel suo brodo, lei scenderebbe subito, e di corsa, a quaranta eurazzi.
E con una lotta estenuante di almeno un quarto d’ora (senza esclusione di colpi bassi) arriverei a trombarmela con trenta.
Sicuro.
Matematico.
Ho accumulato molta esperienza in materia.
Ma io ho voglia di scopare.
Nonchè di pisciare. E al più presto.
Anche la mia prostata ha avuto una giornata di merda.

Che la tirchieria andasse al diavolo !
E poi, visto lo stato di aggravamento psico-fisico in cui mi ritrovo, i cinquanta eurazzi, la fanciulla, se li dovrà sudare come poche volte le è successo in vita sua.
Rimpiangerà amaramente di avermi portato la coperta.
Assodato e garantito.

Gonfiandomi come un tacchino, e con aria di ostentata superiorità, le dico che va bene, e che aspetto in camera la coperta per mezzanotte.
Lancio un’occhiata all’orologio appeso allo scrostato muro di lato al bancone della ragazza: segna le ventidue e quarantacinque.
Il tempo di una doccia (un quarto d’ora) e di una pisciata (venti-venticinque minuti… almeno…) e mezzanotte sarà quasi arrivata.
E a quell’ora arriverà anche la dannata coperta del cazzo.
A dare sollievo al mio uccello infreddolito.
Mi sento ringalluzzito all’idea.
Neanche aspettassi Babbo Natale e le sue fottutissime e asmatiche renne.
Pago la camera.
Altri quaranta eurazzi.
Altro salasso.
Ma questi, almeno, mi saranno rimborsati dalla ditta.
I cinquanta per la mignotta, invece, ce li dovrò mettere di tasca mia.
E’ proprio vero.
Il mondo è pieno d’ingiustizie.
Me ne vado con la chiave della stanza stretta in mano, lasciando la mia futura benefattrice sessuale lì, in quella squallida e maleodorante reception del cavolo, mentre sullo schermo il debordante ciccione si è alzato da tavola e, berciando con quanto fiato ha in gola e oscillando sulle monumentali zampe, si dirige verso il cesso.
Dal volume delle fasulle risate registrate intuisco che ci si sta avviando verso il gran finale.
Se tanto mi da tanto, la cacata dell’ammasso di lardo sarà una vera e propria apoteosi.
Una pagina miliare del cinema di merda.
Un puzzolente cult da tramandare agli sfortunati posteri.

– continua –

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