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Nelle puntate precedenti:
Tommaso, malgrado i suoi sforzi, non riesce a smettere di soffrire perché il pensiero delle foto di Linda posseduta analmente da tre dei quattro giudici della gara di pompini sembra aver preso dimora nella sua mente. L’amore che continua a provare nei confronti della studentessa, nonostante abbia tradito la sua fiducia partecipando a quell’oscena competizione, impedisce a Tommaso di dedicarsi come dovrebbe a Tania, e la pazienza di quest’ultima sembra prossima a terminare, paventando il rischio che possa ripetersi il dolore devastante che l’abbandono di Sara aveva causato al ragazzo un anno prima. Quanto tutto sembra essere ad un passo dalla distruzione della loro coppia, Tania sorprende Tommaso proponendogli un’escursione, attività che lui adora ma che lei non ha mai voluto provare: il ragazzo capisce che è il tentativo della sua trombamica di appianare i problemi che li stanno dividendo e accetta con gratitudine, chiedendosi se sia anche il caso di far evolvere il loro rapporto in qualcosa in cui non solo il sesso ad avere importanza, ma anche l’amore.

Capitolo 23

Per qualche motivo che sfuggiva a Tommaso, la Val Sosio sembrava essere uno degli itinerari meno battuti nella zona. In due ore di cammino, dopo aver lasciato l’automobile di Tania, che negli ultimi tornanti stava implorando di non farla proseguire ancora per molto, con la lancetta del surriscaldamento del motore che stava raggiungendo la zona segnata di rosso, avevano forse visto quattro persone, di cui uno che doveva essere uno skyrunner, a giudicare dall’abbigliamento sportivo, che stava tornando indietro correndo, e un altro che aveva svelato di essere un allevatore quando aveva chiesto loro se avessero visto una capra con un macchia nera sulla schiena che aveva abbandonato la mandria, un centinaio di metri più in quota.
La valle, in realtà, era anche piuttosto piacevole da ammirare, dritta e pianeggiante per un lungo tratto, circondata da montagne dirupare, coperte esclusivamente da erba e piccoli arbusti; di tanto in tanto un torrente scendeva dalle cime, e spesso diventava una cascata più o meno grande a seconda del dislivello e della conformazione del terreno in cui scorreva, riunendosi poi tutte in un torrente al centro dello stretto fondovalle.
Tania, nonostante il fisico potesse far credere il contrario, ingannando anche Tommaso, per il primo tratto di percorso lungo la mulattiera che si era inerpicata lungo un primo, ripido gradino, aveva raggiunto il piano con il fiato corto e si era dovuta piegare con le mani sulle ginocchia, ansimando per la stanchezza.
Il ragazzo ne aveva approfittato per dare un’occhiata allo splendido sedere fasciato da un paio di pantaloncini, poi aveva afferrato lo zaino sulla schiena della ragazza per l’impugnatura alla sommità. – Toglilo che lo porto io.
– No, ne hai già uno tuo. – rispose lei, ansimando.
– Sì, ma quello che porti davanti è già sufficiente per te. – ribatté Tommaso, appoggiando una mano su un grosso seno di Tania. Era accaldato attraverso la maglietta, inzuppa di sudore. Il ragazzo sentì un prurito nel basso ventre, trovando segretamente l’odore di sudore femminile incredibilmente erotico.
Tania non replicò, come avrebbe fatto solitamente: si sfilò lo zaino, che il ragazzo giudicò non più pesante di un paio di chili. Tommaso lo indossò tenendolo davanti, così che controbilanciasse minimamente quello che portava sulla schiena, ben più pesante.
– Se ti senti stanca, possiamo fermarci. – le propose. Non aggiunse che potevano tornare indietro perché gli sarebbe dispiaciuto terminare così presto la gita. Quella valle era davvero splendida, e si pentì di non esserci mai venuto prima.
Tania si alzò in piedi lentamente, sospirando. – No, voglio arrivare fino alla località Parora. – confidò. – Non mancherà poi molto. Spero.
Tommaso lanciò un’occhiava verso l’interno della valle. In fondo, dove il piano terminava e la montagna che formava la testata s’innalzava all’improvviso quasi come un muro coperto da pascoli adatti solo a capre e stambecchi, si notava un gruppo di edifici appena distinguibile tra le rocce. Giudicò una distanza di cinque o sei chilometri al massimo, su un sentiero che sembrava pianeggiante. – No, direi che in un’ora ci siamo.
– Ah, bene. – ribatté la ragazza. Non sembrò proprio convinta, ma riprese a camminare con una certa energia.
Forse spaventate dal movimento improvviso, un paio di marmotte, abbarbicate su una roccia nelle vicinanze e intente a rosolarsi al sole dell’alta quota, lanciarono i loro frastornanti richiami di pericolo.
Tania fece un balzo, portandosi una mano al cuore. Tommaso sorrise, tastandole con delicatezza una chiappa, desideroso. – Anche le marmotte riconoscono una bella figa, quando la vedono.
– Pantegane con buongusto per le donne. – commentò sorridendo e voltandosi verso il ragazzo. Sul suo volto trovò una voglia ben conosciuta nell’anno che avevano passato insieme. La mano non si era ancora staccata dal suo culo.
– Mi sembri bello eccitato, Tom. – disse soddisfatta.
La voce del ragazzo si fece bassa. – Non hai idea quanto mi stia trattenendo dallo strapparti i vestiti e scoparti su quel prato. – Strinse un po’ la chiappa. – Non voglio nemmeno leccartela: voglio fotterti e basta.
Il sorriso di Tania si allargò ulteriormente all’idea di essere usata per il piacere di Tommaso. – Tienilo ancora un momento nei pantaloni, maschione, e non te ne pentirai. – Scoccò un’occhiata al sentiero che aveva percorso. – Sarà meglio muoversi, prima che l’amico di Heidi trovi Fiocco di neve e torni indietro.
Il ragazzo non aveva idea di cosa avesse intenzione di fare la sua trombamica, ma era sicuro che la cosa non gli sarebbe dispiaciuta. La seguì mentre si riavviava verso il fondo della valle, più interessato al movimento dei pantaloncini e a quello che si celava al loro interno che allo spettacolo della natura attorno a lui.
Impiegarono un po’ più dell’ora preventivato da Tommaso per raggiungere le case della contrada: erano palesemente abbandonate da decenni, qualcosa più simile a cumuli ordinati di sassi con parti in legno marcio e spesso deformato che edifici dove le persone avevano dovuto cercare riparo dalle intemperie e trovato calore la notte durante il periodo trascorso a quasi duemila metri di quota allevando bovini e caprini. L’erba giallognola, fine e a ciuffi tipica delle alte quote, costellata da piante di rododendri e altri fiori simili a fiocchi di cotone, aveva invaso quelli che un tempo erano stati sentieri tra gli edifici tracciati dall’andirivieni delle persone, mentre piccoli abeti dall’aspetto striminzito avevano cercato di colonizzare i prati nei pressi, forse desiderosi di emulare il pino cresciuto all’interno di una baita il cui tetto doveva essere crollato ormai da lungo tempo.
Tommaso aveva una segreta passione per luoghi simili, vi si recava con un rispetto quasi religioso. Alcuni raggiungevano i campi di battaglia per onorare i morti in guerra per la libertà, lui invece saliva sui monti e nelle valli per rispetto verso chi aveva faticato e spaccato la schiena per mantenere la propria famiglia in tempi in cui la vita era ben più difficile. C’erano dei giorni in cui si sentiva fin troppo fortunato e quasi in colpa per la sua vita agiata, forse per questo si sentiva in obbligo di dare il massimo piacere che fosse in grado alle donne che amava, come una sorta di riscatto.
Dimostrando la propria capacità di arrampicarsi ovunque, una mandria di capre pascolava indifferente ad un centinaio di metri di distanza, belando di tanto in tanto, le marmotte che fischiavano la loro frustrazione nel vedere quei quadrupedi dalle pupille a fessura invadere i loro prati. Il sole picchiava sulla pelle scoperte dei due con rabbia, mitigato appena da una brezza fredda che cadeva dalle cime della testata della valle.
– Adesso che siamo arrivati, – disse Tommaso, senza staccare lo sguardo da Tania, – fai un paio di foto da mettere nelle tue storie Instagram che poi torniamo a casa che non vedo l’ora di fotterti. – Le appoggiò una mano sull’inguine, muovendola avanti e indietro, percependo i pantaloncini umidi di sudore.
La ragazza sorrise maliziosa. – Non c’è bisogno di tornare a casa. – rispose. Aprì lo zainetto sul petto di lui e ne estrasse tutto il contenuto, ovvero un plaid a fantasia scozzese con grosse e morbide frange ai lati che dondolavano al movimento. Si incamminò verso il retro di un edificio, dove avrebbero trovato qualche minuto di privacy nel caso il pastore fosse tornato lungo il sentiero. – A meno che tu non abbia vergogna a scopare in un luogo pubblico.
Tommaso le si pose dietro, appoggiando l’inguine alle chiappe della ragazza e stringendole le grosse tette. – Mi stai arrapando a tal punto che ti fotterei in mezzo alla piazza, Tania. Sei talmente figa che dovresti essere scopata in continuazione.
Lei ridacchiò. – Eh, già, davvero!
Stese alla meglio la coperta sul prato, guardandosi attorno. – Non c’è nessuno. Dai, Tom, sdraiati.
Lui non se lo fece ripetere. Il prato, sotto il plaid, non era soffice come poteva sembrare, e i ciuffi di erba sembravano duri come pietre sotto la schiena, ma non si lamentò: era eccitato al punto tale che avrebbe scopato anche sul letto di chiodi di un fachiro. Un attimo dopo, Tania si sedette sulle sue gambe e gli aprì la patta dei pantaloni, abbassandoli. Sul viso della ragazza comparve un sorriso quando afferrò il bozzo che tirava il tessuto delle mutande.
– Non menarmelo. – ordinò Tommaso. – Ficcatelo dentro e scopami!
Tania rise. – Ma quanto cazzo sei eccitato, oggi? – domandò, spostando gli slip e prendendolo in mano. – L’alta quota ti fa bene, devo dire.
– Sei tu che me lo fai diventare duro, sciocca. – rispose lui. – Fammi venire!
– “Sciocca”! Non ti ho mai sentito così volgare. – disse la ragazza, divertita. – Dovremmo venire più spesso in montagna: magari mi fai felici e cominci a darmi della troia quando chiaviamo. – Un attimo dopo tacque quando si sdraiò sulle gambe del ragazzo e il suo cazzo scomparve tra le labbra di lei.
Tommaso si lasciò sfuggire un gemito di piacere, appoggiando una mano sui capelli della ragazza. Chiuse gli occhi spingendo la testa indietro, sentendo la lingua di Tania accarezzargli il prepuzio e poi scivolare delicatamente sopra la cappella mentre le labbra percorrevano l’asta. Una mano afferrò le palle, massaggiandole, muovendole, e il dito medio premeva con forza contro il perineo.
Il ragazzo avrebbe voluto durare a lungo per godersi quel pompino magnifico, ma erano due giorni che non sborrava, e non riusciva a contenersi. Il tocco più leggero della lingua sulla mucosa del glande gli causava delle scosse lungo il cazzo che sembrava dovesse contemporaneamente ritrarsi al contatto e, al contempo, staccarsi dall’inguine e infilarsi in gola alla ragazza come se stesse per esplodere, e il solletico quasi fastidioso alle palle non gli davano respiro. Era al contempo eccitato per Tania e, per qualche motivo, arrabbiato con lei, infastidito per qualcosa che la sua mente aveva accumulato in qualche punto del suo subconscio e che sembrava pesargli sull’umore.
Sentì un forte fastidio al meato e allo sbocco dell’uretra, l’equivalente della sensazione del prurito al naso e che solo uno starnuto poteva placare. Nel caso del suo cazzo, però, l’unica soluzione sarebbe stata l’eiaculazone e, da come iniziarono a dolergli i polpacci, comprese che stava per esplodere in bocca a Tania.
Non provò nemmeno a trattenersi, a stringere i muscoli che permettevano di bloccare la minzione, per prolungare il pompino. Anzi, appoggiò anche l’altra mano sulla testa della sua amante e la tenne bloccata. Non l’aveva mai fatto, aveva sempre avuto troppo rispetto per lei per fare una cosa simile, ma in quel momento, spinto dal senso di rabbia incomprensibile che provava nei suoi confronti la tenne stretta al suo inguine, facendole finire la testa sulla sua coscia sinistra, il cazzo ancora in bocca che si inclinava per seguire le sue labbra.
– Bevilo tutto… – le ordinò sottovoce. Fu sul punto di aggiungere un “stupida troia”, ma fu solo un lampo nella sua mente e non divenne voce, incapace di arrivare fino a quel punto. Sapeva che Tania si sarebbe eccitata ulteriormente nel sentirsi apostrofare così, ma lui non ce la fece.
Comunque, pochi istanti dopo, ogni suo pensiero fu soffocato dalla sensazione della sborra che risaliva il canale all’interno del suo cazzo, lo stesso che veniva scosso dagli spasmi dei muscoli che pompavano verso l’esterno il suo seme e, finalmente, il liquido caldo placare il fastidio al glande. I suoi muscoli si irrigidirono per tutto il tempo dell’eiaculazione, un inutile sforzo che, al contempo, sembrava dare vita ad ogni fibra del corpo, gli addominali e i lombari che sembravano combattere su chi dovesse contrarsi e chi, invece, rilassarsi, facendo sobbalzare un paio di volte il busto di Tommaso dal plaid. Quando poi i tre secondi di piacere ebbero termine, Tommaso si accasciò al suolo, sospirando, come se dalla punta del suo cazzo fossero schizzati nella bocca di Tania tutti i suoi problemi.
Lasciò la testa della ragazza, la quale non protestò affatto per la costrizione che aveva subito. Si alzò in ginocchio, passandosi la punta della lingua sulle labbra per recuperare un paio di gocce di sperma che le erano sfuggite, e, molto scenicamente, inghiottì alzando la testa. In quel momento, quello in cui una dose di sborra rende la propria partner una dea, sembrò agli occhi di Tommaso la creatura più bella e sexy al mondo.
– Sborra invecchiata un paio di giorni. – commentò, quasi fosse un sommelier alle prese con un vino di cui aveva appena assaggiato un sorso e ne aveva apprezzato a pieno ogni nota gustativa. – Una cosa che succede ben poco spesso nella nostra coppia.
Tommaso allungò le mani per prenderla per le spalle e la avvicinò a sé. – Quella bocca deve essere su due punti del mio corpo: il mio cazzo e la mia bocca. E il mio cazzo, al momento, è a posto. – le disse, stupendosi lui stesso di essere tanto aggressivo.
– Oh, mi piaci così! – gioì la ragazza.
– Taci e limonami. – ordinò lui. Un attimo dopo la sua lingua era nella bocca di Tania. La lingua di lei non rimase a riposo, ma anzi cominciò a strisciare su quella del suo amante, contorcendosi come un serpente nella danza dell’amore. Il cavo orale era pieno di saliva e aveva un forte sapore di sborra e cazzo, mentre il naso del ragazzo era invaso dall’odore di sudore che, sotto l’azione dei batteri, stava macerando e diventando pungente e pesante. Fu il profumo più afrodisiaco che avesse mai avuto la fortuna di inalare.
Non fosse stato per il fatto che, nemmeno un minuto prima, aveva svuotato i coglioni dentro la bocca di Tania e il suo cazzo avesse necessità di qualche attimo per riprendere il suo lavoro, avrebbe strappato le mutande alla ragazza e l’avrebbe scopata con violenza.
Passarono un paio di minuti abbracciati, le lingue che duellavano come le armi di due spadaccini, godendosi il corpo caldo e gli abiti bagnati dalla fatica di lei, quindi Tommaso decise di venerare la sua dea come si imponeva. La fece sdraiare sulla schiena e le abbassò pantaloni.
– Immagino che la chiavata sfonda-figa l’hai rimandata a dopo. – disse lei, soddisfatta.
Tommaso era troppo intento a seguire i contorni delle grandi labbra occultate dal tessuto delle mutandine. Pose il naso sopra il sesso e inspirò: il profumo della vagina misto a quello del sudore fu come un’overdose di droga, un’esplosione di piacere che sbocciava nella sommità del suo cervello. Espirò con una soddisfazione che sembrò che, al posto di un pompino, avesse appena avuto una pessima zangolata.
– Afrore di figa allo stato brado. – commentò lentamente, estasiato, come se ogni singola sillaba di quella frase fosse un orgasmo.
– Dai, Tom… – mormorò lei, imbarazzata, forse per la prima volta per la sua figa. – Deve puzzare da schifo.
Lui rimase qualche altro istante come ubriaco a pochi centimetri dall’inguine, gustandosi l’odore primitivo del sesso, poi la guardò. – Lo sai cosa mi è sempre piaciuto di Napoleone? Non di certo le sue capacità di generale, ma il suo amore per il vero profumo di una donna. – Non lasciò il tempo alla ragazza di replicare ma le abbassò le mutandine.
L’odore che lo colpì avrebbe dovuto disgustarlo, ma invece lo eccitò al punto tale da volerla sbattere con violenza. Nonostante ciò, appoggiò le labbra su quelle della figa di Tania e cominciò a succhiarle, mentre due dita passavano in mezzo alle stesse, delicatamente, avanti e indietro.
La preoccupazione della ragazza passò velocemente, e dopo un paio di frasi preoccupate, iniziò ad ansimare e a chiedere al ragazzo di non fermarsi. Anche lei appoggiò una mano sulla testa del suo amante e gli afferrò i capelli. – Tom, ti amo! Sì… Sì!
Tommaso era inebriato dal profumo che si alzava dalla figa della ragazza, chiedendosi perché le donne si ostinassero a usare tutti quei prodotti che ne coprivano gli odori. Cazzo, avrebbe dovuto portare più volte Tania a fare escursioni o attività fisica perché sudasse e poi scoparla. Ragazzi, non gliene fregava niente: al termine di quella chiavata lei sarebbe tornata a casa senza mutande perché le avrebbe requisite lui, sniffandole per eccitarsi mentre scendevano dalla montagna.
Il clitoride cominciò ad ingrossarsi, scivolando fuori dalla sua tana alla sommità della figa: il ragazzo lo assaltò con le labbra e la lingua, mentre due dita scivolarono nell’utero dilatato e dal quale colava, con un’intensità che sembrava quella del torrente lì vicino, il nettare della ragazza.
Tania appoggiò entrambe le mani sulla testa di Tommaso, ansimando quando la punta delle dita cominciarono a tormentare il punto G. Si muoveva come se stesse cercando una posizione più comoda su un letto pieno di bitorzoli, le gambe che tremavano, la testa piegata all’indietro, gli occhi chiusi e la bocca aperta, avida di ossigeno e gravida di sospiri di piacere.
– Cazzo… sì, Tom… ti amo, Tom…
Lui rispose succhiandole il clitoride e facendola balzare e urlare.
– Sono la donna della tua vita… Sono la donna della tua vita… – balbettò lei, ansimando. – Ti sarò sempre fedele… non come quella troia di Linda che si è fatta inculare da tre bastardi per non farsi buttare fuori dalla gara.
Quelle parole scivolarono attorno a Tommaso, troppo intento a leccare per riconoscerle coscientemente, solo dei suoni che interrompevano i versi di piacere che il ragazzo amava strappare a Tania. Sentiva il nettare colargli fino al polso, le dita strette dalle contrazioni della figa di Tania, sempre più forti, sempre più frequenti.
La ragazza strinse i denti, sollevando l’inguine come colpita da un attacco di tetano, crollando sul plaid e poi sollevandosi di nuovo. Tommaso le mise una mano sulla bocca per non farla urlare nel caso fosse tornato il pastore, ma lei non emise che qualche gemito mentre si contorceva nel piacere. All’inizio non la trattenne perché non sarebbe caduta da un letto, ma quando sembrò voler rotolare fuori dalla coperta la prese e la fermò.
Ci vollero diversi secondi prima che Tania smettesse di tremare ed emettere un suono profondo dalla gola, quindi si rilassò, girandosi su un fianco, sospirando e chiudendo gli occhi, le gambe bagnate di ambrosia che era scivolata fuori dal sesso durante l’orgasmo.
– Quanto cazzo mi ecciti quando godi… – le confidò Tommaso. Sebbene sembrava si fosse addormentata, lei sorrise a quelle parole.
Lui le sollevò una gamba, vi scivolò in mezzo e le aprì le labbra della passera con le dita di una mano. Lunghe bave rimasero attaccate a entrambi i lembi quando si discostarono, colando verso il basso. Tommaso prese il cazzo con una mano e appoggiò la cappella sull’apertura dell’utero che stava ancora spurgando piacere liquido biancastro e trasparente. – …ma adesso voglio godere di nuovo pure io. – disse. Si sporse in avanti, afferrò la spalla sinistra della ragazza e spinse.
Tania emise un gemito di piacere quando l’asta del ragazzo proruppe dentro di lei, lui che sentiva un suono viscido provenire dai loro inguini e uno schizzo caldo finirgli sui coglioni. La figa era bollente e inzuppa di umori, e accoglieva il suo cazzo quasi con felicità, come se volesse trattenerlo quando lo estraeva in parte per un gioco di liquidi e vuoto nell’utero. Tania era dannatamente calda e invitante, sembrava che il suo sesso lo implorasse di fotterla, così come i versi di godimento che la ragazza lanciava ogni volta che un nuovo colpo si scaricava dentro di lei.
Solitamente Tommaso si prodigava a massaggiarle il clitoride per darle piacere mentre la scopava, ma quel giorno sembrava che non potesse fare a meno di trarre da lei e dal suo corpo ogni singola possibilità di soddisfare la sua fame di libidine: le afferrò una tetta e cominciò a stringerla con forza. Si eccitò ancora di più sentendo la consistenza morbida del seno, il calore, come le dita gli affondassero nella carne.
– Sì, Tom, sì! – mormorava la ragazza soddisfatta, restando a occhi chiusi, sdraiata su un fianco, il corpo sbattuto dai colpi dell’amante.
Il sangue stava arrivando alla testa di Tommaso, arrapato e arrabbiato come mai prima di allora. Piaceva farsi sbattere, alla troia? Allora le avrebbe fatto una bella sorpresa: l’avrebbe girata sulla pancia, avrebbe aperto le sue chiappe e le avrebbe piantato il cazzo nel retto. Avrebbe urlato, la troia, avrebbe gridato dal dolore, avrebbe implorato che smettesse, ma lui non l’avrebbe fatto, lui l’avrebbe inculata…
E improvvisamente, come nei browser si completano le frasi quando si sta cercando qualcosa in un motore di ricerca, nella sua mente la voce di Tania, ansimante, completò il suo pensiero.
“…come quella troia di Linda che si è fatta inculare da tre bastardi per non farsi buttare fuori dalla gara.”
Improvvisamente tutta l’eccitazione, il bisogno di godere, la voglia di fottere Tania scomparvero come se non fossero mai esistiti nell’anima di Tommaso. Si bloccò a metà di una spinta, il cazzo per mezzo nell’utero della ragazza e per mezzo di fuori, nella brezza fredda di montagna che congelava l’umore che lo ricopriva. Improvvisamente la giovane donna che stava sotto di lui, godente, le sembrò una sconosciuta, qualcuno che, di colpo, avesse cambiato aspetto come accadeva nei sogni: un attimo prima era la ragazza che amava, un attimo dopo era una persona che non riconosceva.
Lei aprì gli occhi, confusa, poi volse il capo verso di lui, che la guardava allibito.
– Tom… cosa c’è? – domandò, una punta di paura nella sua voce.
Il ragazzo rimase qualche attimo in silenzio, mentre nella sua mente, improvvisamente lucida, turbinavano pensieri, ipotesi, scenari. Poi mise a fuoco il viso della ragazza e, serio, le chiese: – Come sai che Linda è stata posseduta analmente da tre ragazzi? E come sai che volevano buttarla fuori dalla gara?
Gli occhi di Tania, che fino ad un attimo erano socchiusi nel torpore del piacere sessuale, iniziarono ad aprirsi sempre più, fino a spalancarsi nel terrore. La ragazza tremò, come se avesse voluto scrollarsi di dosso il rilassamento dovuto all’orgasmo per prepararsi a combattere, poi venne assalita dal panico, guardandosi attorno. Anche a lei sembrò di scoprire improvvisamente di essere nel bel mezzo di un rapporto sessuale con uno sconosciuto. Anzi, da come si giro sulla schiena, spingendosi all’indietro per far scivolare fuori da sé il cazzo di Tommaso parve fosse stata fino a quel momento impegnata a farsi scopare dal diavolo e solo in quell’istante avesse notato le corna e gli zoccoli caprini.
Si sedette, coprendosi il seno, sebbene fosse sempre stato all’interno della maglietta, e le ci volle qualche secondo prima di rendersi conto che ad essere scoperto era il suo sesso lordo di nettare e saliva. Come fosse stata preda per la prima volta in vita sua della vergogna, si tirò su goffamente le mutandine e i pantaloni.
Tommaso rimase tutto il tempo fermo, stupito dalla reazione di Tania. Si era aspettato qualsiasi cosa, ma quella… quella non era nulla di buono.
La ragazza, forse rendendosi lei stessa del suo comportamento, divenne rabbiosa, sebbene non sembrasse nemmeno lei consapevole del perché. – Cosa… cosa cazzo tiri fuori quella puttanella mentre scopiamo? – ringhiò, mettendosi in piedi con fatica.
Tommaso si alzò con uno scatto, senza nemmeno usare le mani. Rimase con i pantaloni abbassati, il cazzo in parziale erezione con gli umori di Tania che gli colavano dal glande sulla coperta. Fu sul punto di rispondere ma la ragazza mise le mani avanti, sia letteralmente che metaforicamente.
– Non voglio parlare di Linda, cazzo! – sbraitò. – Vaffanculo, Tommaso! Stavamo scopando così bene. Non capisci un cazzo!
Lui la guardò senza commentare, cercando di capire cosa stesse accadendo. Non sapeva quanto fidarsi del suo intuito, ma sembrava che la cosa stesse prendendo una pessima piega. Non era la prima volta che litigavano: Tania, nel suo periodo, diventava molto nervosa, ma mancava almeno una decina di giorni prima che fosse meglio starle alla larga. Ma quella volta qualcosa era diverso, lo avvertiva a pelle. Qualcosa di brutto…
– Levati da questo cazzo di… porca puttana! – gridò lei, cercando di raccogliere il plaid.
Tommaso fece un paio di passi indietro, togliendo i piedi dal tessuto appoggiato sull’erba, e poi si sollevò i pantaloni, mettendo via il suo cazzo, ormai in posizione di riposo. Studiò la sua trombamica strepitare mentre infilava alla meno peggio il plaid nello zainetto, per poi metterselo in spalla.
– Andiamocene! – ordinò con una smorfia di rabbia. – Fanculo te e la montagna!
Si avviò senza nemmeno aspettarlo: se all’andata sembrava fosse distrutta dalla salita, adesso camminava rigida ma veloce, come se volesse abbandonare la zona il prima possibile.
Tommaso prese il suo zaino, ben più voluminoso e pesante, e la seguì. Silenzioso, ma non per la rabbia della ragazza. Pensieri si affastellavano nella sua mente, e cresceva in lui il dubbio che lei gli nascondesse qualcosa di ben peggio dell’essere restata in contatto con Linda.
Quando l’allevatore, di ritorno con la capra smarrita, li incontrò sul sentiero, si spostò, spaventato dalla rabbia della ragazza, che non smise di imprecare finchè non giunsero alla macchina. Tommaso temette di dover subire la sua rabbia anche mentre erano sulla strada, ma la ragazza sembrò calmarsi, come se avesse compreso di aver sbagliato tattica.
Si fermò davanti alla Ford, prendendo un profondo sospiro prima di parlare e alzando le mani chiese a Tommaso di aspettare prima di parlare. Lui non aveva aperto bocca da quando le aveva chiesto di come fosse venuta a conoscenza della perdita della verginità anale di Linda.
– Mi spiace essermi comportata così, Tommaso. – ammise lei, cercando il suo perdono con lo sguardo abbattuto. – Non avrei dovuto avere quell’attacco di rabbia, e impedirti di…
– Non preoccuparti. – disse lui, sebbene non ci fosse un singolo atomo di empatia nell’accento della sua voce. – Non importa.
– Io… – provò ancora Tania, probabilmente spaventata dalla risposta di Tommaso, ma lui mosse una mano e scosse la testa, come a dire che la questione era chiusa, più che perdonata.
Lei lo fissò per un istante, intimorita, non tanto per la paura di un’aggressione fisica, pensò il ragazzo, quanto per il fatto che lei temesse che lui aveva compreso qualcosa e questo avrebbe scavato un solco tra di loro. E la cosa, aveva ormai compreso Tommaso inconsciamente negli ultimi giorni, sembrava terrorizzarla.
Infine, come se non avesse potuto fare altro lì e in quel momento, Tania, le spalle basse, si tolse lo zainetto, lo gettò sui sedili posteriori, poi aprì la portiera dell’autista.
– Devo guidare io? – domandò Tommaso.
– No – rispose la ragazza, e nella sua voce sembrò esserci un muto grido di frustrazione e angoscia.

***

Linda sedeva sul bordo del suo letto, silenziosa, lo sguardo abbassato sul tappeto. L’unico suono che sentiva era l’aria che sibilava nel suo naso, ostruito dalla costernazione che da tutta la mattina l’aveva coperta come un abito di stracci puzzolente e lercio, troppo sconvolta per riuscire a pensare ad altro, ma ormai anche passiva a ciò che l’attendeva da non riuscire nemmeno a piangere per trovare un po’ di sollievo una volta finito.
L’eccitazione e lo sconcerto che avevano animato le ore precedenti la sua prima esibizione alla gara di pompini erano completamente assenti, soppiantati da una sensazione, da una certezza che se si fosse presentata o meno alla vecchia segheria e inginocchiata davanti al suo giudice non sarebbe cambiato nulla: tutto stava degenerando. Le acclamazioni per il suo incredibile pompino, che avrebbero dovuto portarle gloria e rispetto tra i suoi compagni di scuola, in realtà l’avevano fatta passare dalla categoria di “sfigata” a quella di “puttana che lo succhia divinamente”, e chiunque le rivolgesse la parola lo faceva esclusivamente perché voleva il suo viso in mezzo alle proprie gambe o per rubarle i segreti della sua bravura.
L’uomo che amava l’aveva lasciata proprio perché si era presentata a quella squallida gara, e Linda soffriva come mai prima di allora per quella perdita. Avrebbe dato la vita per passare un altro giorno tra le braccia di Tommaso, per essere di nuovo sua come quel giorno nella sua camera. Ma lui, abbandonandola schifato, le aveva dimostrato che era solo una sciocca ragazzina, non le giovane e intelligente donna che credeva di essere.
E, come se non bastasse, quella troia di Francesca aveva corrotto i giudici perché lei venisse squalificata, incapace di credere che Linda potesse essere migliore di lei… Solo l’intervento di Tania aveva le aveva permesso di rientrare a far parte della sfida, ma con quale prezzo? Perdere la propria verginità sessuale con quei tre figli di puttana quando l’aveva promessa a Tommaso, il quale gliel’avrebbe presa con dolcezza e non…
Gli occhi dalle iridi azzurre di Linda si chiusero mentre il suono di un sospiro si diffondeva nella stanza immota ed un paio di gocce di dolore solcavano le sue gote, scivolando fino alle labbra che da giorni non illuminavano il suo viso con un sorriso sincero.
Si concesse qualche attimo per commiserarsi, un’eco buia che rimbombava nella sua mente, annodandole la gola, poi riaprì gli occhi e tirò su con il naso. Lanciò un’occhiata alla sveglia che si trovava sul comodino accanto al letto dove Tommaso le aveva fatto scoprire cosa fosse l’estasi sessuale. A quel pensiero sentì la disperazione avventarsi sulla sua anima, ma non aveva più tempo da perdere: mancava un’ora e mezza alla gara e doveva avviarsi.
Si alzò dal letto e prese il telefonino che aveva lasciato in carica sulla scrivania, accanto al coniglietto di pezza Pato, ora sdraiato su un lato, quasi fosse improvvisamente morto di dolore. Linda allungò la mano per prendere il cellulare, ma non poté evitare di accarezzare il peluche, come se questo potesse infonderle un po’ della illusoria felicità che riempiva i primi anni della sua vita e scacciare la realtà che aveva incontrato poi, crescendo.
Avrebbe voluto dirgli qualcosa, sebbene fosse cosciente che era un pupazzo, ma dalla sua gola sarebbero usciti solo singhiozzi.
Prese il telefonino, lo staccò dal cavetto che ricaricava la batteria e scrisse a sua madre, in quel momento al lavoro al ristorante, che avrebbe passato il pomeriggio da un’amica, nel caso fosse tornata a casa e, non trovandola, le avesse chiamato, magari mentre era intenta a spompinare uno di quelli che le avevano sfondato il culo. Un attimo dopo apparve una scritta, in cui la donna le augurava di passare un piacevole pomeriggio in buona compagnia.
La ragazza osservò per qualche istante il messaggio, delusa da sé stessa e in colpa per aver mentito a sua madre.
Prima di uscire bevve un bicchiere d’acqua per mandare giù un’aspirina con la quale cercare di contenere l’emicrania che le stava crescendo dietro la fronte, sebbene sapesse che non era altro che il pianto che non era stata in grado di liberare.
Si avviò nel primo pomeriggio lungo le strade di Caregan praticamente vuote, con la gente a casa a vedere in tv le ultime giornate del campionato di calcio, o il motociclismo, o a godersi la compagnia della propria famiglia. Anzi, notò mentre camminava verso il bosco dove avrebbe preso di nuovo il sentiero per raggiungere la vecchia segheria, sembrava girasse solo una macchina blu con quel coso dietro, quello che usano le auto da corsa di Formula uno per non prendere il volo quando raggiungevano le velocità massime.

CONTINUA…

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