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Nelle puntate precedenti:
Mentre Linda, sconfitta dalla vita, si avvia lungo le strade di Caregan per raggiungere la zona della finale della gara di pompini, è ignara che Francesca, la sua persecutrice, ha perso la propria dignità vomitando sul cazzo spropositato di Mauro perché quest’ultimo faccia qualcosa per impedirle di arrivare a destinazione. Purtroppo per Linda, Mauro, nonostante quanto possa far credere, è uno che mantiene la parola e, sotto sotto, ha una gran voglia di conoscere carnalmente la ragazza…
Tommaso, invece, ha scoperto la verità che Tania gli nascondeva da quando si erano conosciuti: non solo è una prostituta che sta con lui per la sua bravura nel letto e nega a lui il suo splendido culo lasciandolo in esclusiva ai suoi clienti, ma ha anche orchestrato l’umiliazione anale di Linda, gettandola in pasto a tre stronzi che hanno abusato di lei. Il ragazzo non ha potuto far altro che gettare fuori di casa la ragazza con cui aveva condiviso con soddisfazione per un anno il suo letto ed il suo cuore ed ora si domanda come fare…

Capitolo 25

Seduto sul divano, Tommaso si teneva la testa tra le mani, preda dello sconcerto, come se si fosse svegliato all’improvviso da un brutto sogno per trovarsi in un orribile incubo.
Tania aveva provato a dire qualcosa dopo essersi vestita, ma Tommaso aveva alzato la voce al punto tale che, probabilmente, l’avevano sentito pure i vicini, zittendola. Quando l’eco delle sue grida aveva finito di aleggiare nella casa, le aveva detto che, un paio di giorni dopo, sarebbe potuta passare e raccogliere gli scatoloni con le sue mercanzie dal giardino.
La ragazza aveva provato a replicare, ma lui le aveva detto che, se non fosse uscita all’istante, avrebbe reso reale la minaccia di prenderla a pedate. “Dovrei farti quello che hai fatto subire a Linda, ma probabilmente sarebbe come inculare l’anima di cartone di un rotolo di carta igienica”, aveva aggiunto con disgusto.
Probabilmente la mente di Tania si era affollata da tante di quelle parole da pronunciare che le si erano incastrate nella gola e si era limitata a muovere convulsamente le labbra, sebbene la smorfia che compariva sul suo volto avesse lasciato intendere alla perfezione cosa stava pensando. Non aveva aggiunto altro, e un attimo dopo la porta d’ingresso sbatteva dietro di lei, lasciando per sempre Tommaso con un vuoto più grande di quanto lui si sarebbe aspettato.
Lui si era gettato sul divano sul punto di piangere, ma non lo aveva permesso alle sue lacrime di affiorare. L’aveva fatto quando si era lasciato con Sara, un anno prima, ma allora aveva allontanato una ragazza che sembrava impazzita per la gelosia, che lo controllava in ogni istante per assicurarsi che non la tradisse.
In quel momento la situazione era completamente diversa. Sì, ammetteva che la colpa era sua se era successo tutto ciò: Linda aveva fatto quella cazzo di gara, ma… Lui avrebbe dovuto perdonarla, riaccoglierla tra di loro. Poi ammettere a Tania che l’avrebbe lasciata per lei, perché amava Linda più di ogni cosa. Era ovvio che Tania l’avesse capito già da tempo, forse aveva anche scoperto che lui e la ragazza avevano fatto l’amore nell’appartamento dei suoi genitori, e… E, cazzo, era evidente che aveva fatto di tutto per convincerlo che Linda non era adatta a lui, che era una bugiarda, una di cui non fidarsi.
– …e detto da una che ho scoperto battere solo dopo un anno che stavamo insieme… – si disse il ragazzo, cercando di scovare l’ironia nella situazione senza però riuscire a trovarla. – ‘fanculo.
Prese da una tasca il telefonino, accedendo alla rubrica. Nella sommità, nei contatti preferiti, comparivano i nomi delle due ragazze: Tania e Linda. Avvicinò il dito a quello della bionda, chiedendosi se chiamarla o meno. Se dirle che l’amava e non poteva vivere senza di lei. Se confessarle che era stato un idiota a lasciarla. Che la voleva di nuovo con lui.
Rimase qualche istante in quella posizione, incerto se farlo o meno. Se riprovare con lei o abbandonare per sempre la possibilità che la loro storia potesse rifiorire. O avrebbe fatto meglio a passare un colpo di spugna su tutto, chiudere con il passato e cercare una nuova donna, che non facesse la puttana alle sue spalle e non volesse trovare la fama in una gara di pompini.
Toccò lo schermo ma, al posto di aprire la comunicazione con Linda, comparve un menù dal nome di Tania. Non ebbe remore a premere il comando “blocca”.

***

Ansimante, il cuore che le batteva nelle orecchie al punto tale che le sembrava di averlo nella testa, Linda era acquattata tra le foglie di un cespuglio nel bosco ad una decina di metri dal sentiero. Cercava di non respirare troppo profondamente sebbene fosse in debito di ossigeno, terrorizzata che il frastuono del suo respiro potesse allertare Mauro e fargli scoprire il suo precario nascondiglio. Si guardava attorno, cercando di muovere meno possibile le foglie e i rami, provando a vedere il suo inseguitore in ogni ombra che tremava nel sottobosco.
Non sapeva come salvarsi… Non poteva telefonare, o Mauro l’avrebbe certamente sentita. E non poteva certo mandare un messaggio ai suoi genitori, chiedendo loro di venire a prenderla, avvisandoli che era braccata da un malato di mente che voleva violentarla mentre si aggirava nel bosco e di fare attenzione anche loro. E come avrebbe potuto spiegare loro come raggiungerla, se loro probabilmente non avevano mai nemmeno sentito parlare del sentiero 277?
In realtà, fu quasi più la paura di dover confidare loro quale motivo l’avesse spinta a recarsi in quel luogo, raccontando la scusa che stesse andando da una sua amica per celare la sua partecipazione alla finale. Poi avrebbero scoperto la gara di pompini, e Linda, da regina del sesso orale, sarebbe caduta talmente in basso nella scala sociale che, al suo confronto, lo stato precedente di sfigata di merda sarebbe sembrato quello di una star della musica.
“Che razza di pensieri mi sono ritrovata a fare…” si rimproverò, cercando di ritrovare la lucidità mentale che sembrava essere stata sommersa dalla paura. “Quel pezzo di merda vuole violentarmi!”
Non che Mauro avesse accennato a qualcosa del genere quando le era apparso davanti, ma la smorfia di libido che traspariva sulla sua faccia non lasciava dubbi alla ragazza su cosa le avrebbe fatto se le avesse messo le mani addosso. Linda ebbe un brivido anche solo al pensiero che la pelle di quel malato di mente sfiorasse la sua… non provò nemmeno ad immaginarsi che reazioni avrebbe avuto se l’avesse afferrata e iniziata a palpeggiare. Probabilmente avrebbe sputato le corde vocali per le grida di orrore.
“E dicono abbia un mostro di dimensioni inimmaginabili, lì sotto” si ricordò di aver sentito dire a scuola da alcune ragazze. Non sapeva se fosse vero, ma non voleva il suo cazzo dentro di lei per nessun motivo, grande o piccolo che fosse.
Ma non poteva restare lì, sperando che Mauro si stancasse di cercarla e se ne andasse. Quanto avrebbe continuato la sua ricerca? Fino a notte? E se fosse suonato il telefono per qualche motivo? Lui avrebbe sentito la suoneria. Forse era una stupidaggine dei film, ma non voleva che si mettesse a squillare per qualche motivo, magari a causa di qualche scocciatore che cercava di convincerla a passare ad un altro operatore telefonico.
Nonostante cercasse di fare meno rumore possibile, il fruscio dello smartphone che usciva dalla tasca sembrò il fracasso di un aereo in volo. Lo accese e premette il tasto che abbassava l’audio, fino a quando l’indicatore raggiunse il fondo e l’icona della nota musicale venne sostituita da due lineette spezzettate.
Improvvisamente un rumore di foglie spostate dietro di lei la fece sussultare. Girò la testa e lo vide, tra le piante, alto e magro, simile ad un mostro uscito da un film del terrore, sporco di vegetazione per averla inseguita nel bosco. Da come era cambiata l’espressione sul suo volto, la ragazza comprese che negli ultimi minuti una profonda frustrazione e rabbia bruciante avevano preso il sopravvento sull’eccitazione. Mauro non voleva più scoparla, comprese, ma picchiarla e poi scoparla ancora più violentemente: Linda si abbassò ancora più tra le foglie, intimorita.
L’uomo si aggirava per il bosco, spostando i rami per passare, schiantandoli con i suoi movimenti nervosi con rumorosi schiocchi, calciando le foglie a terra e raccogliendo e lanciando sassi contro qualsiasi cosa potesse fungere da nascondiglio. La ragazza comprese che avrebbe dovuto allontanarsi, ma nell’istante in cui si sarebbe mossa lui l’avrebbe scoperta.
Era così concentrata sull’osservare Mauro che il cellulare, che ancora stringeva in una mano e la cui custodia si era bagnata con il sudore che l’agitazione le aveva provocato, aveva vibrato per diversi secondi prima che se ne rendesse conto.
Controllò un’ultima volta la posizione del pazzo, poi controllò lo smartphone. Ebbe un tuffo al cuore quando lesse il nome di Tommaso sullo schermo.
Gli occhi cominciarono a pizzicarle e tutto il dolore che aveva ingoiato negli ultimi giorni sembrò emergerle sottopelle come la stanchezza il giorno successivo ad un grande sforzo fisico prolungato. Sentì il bisogno di singhiozzare.
Avrebbe dovuto chiamarlo prima, chiedergli perdono, implorarlo di riprenderla con lui, ma non l’aveva fatto. E ora era lì, nascosta in un bosco con Mauro che probabilmente voleva violentarla e magari ucciderla… Come poteva andarsene senza prima aver sentito il suono della voce dell’unico ragazzo che avesse davvero amato e che l’avesse davvero amata?
Sapeva che era una follia, ma doveva rispondergli. Premette il tasto verde sullo schermo e si pose il telefono all’orecchio.
– Linda ti amo! – proruppe dall’altoparlante Tommaso senza preamboli. – Ti prego, torna con me, mi…
– Tommy! – rispose lei, incapace di trattenere il pianto. – Salvami! Sono nel bosco e Mauro vuole farmi del male!
La supplica proveniente del telefonino s’interruppe, poi la voce del ragazzo si fece risentire, ma ben più ferma e decisa. – Cosa? Dove sei, bimba?
Linda strinse il telefonino come se fosse una fune per non cadere in un dirupo, talmente disperata che non percepì il dolore delle dita che facevano troppa forza. – Sono sul sentiero per la vecchia segheria!
– Corri verso la strada statale. – le ordinò. Dall’apparecchio si sentirono il suono di passi affrettati e qualcosa che cadeva a terra e metallo che rotolava sul pavimento. – Cazzo! Linda, arrivo subito!
– Non lasciarmi, Tommy! – strillò lei, ma la comunicazione si interruppe. Provò ancora a chiamarlo, ma il rumore di foglie che venivano schiacciate e rami che si muovevano la riportarono alla realtà. Quando guardò verso la posizione precedente dove aveva avvistato Mauro lo vide cercare di raggiungerla.
– Non mi scappi più, bella figa. – gridò, mentre si dibatteva per strapparsi da un rovo che l’aveva afferrato ai pantaloni.
Linda, confidando che Tommaso avrebbe fatto in tempo a raggiungerla, s’infilò inconsciamente il telefono in tasca, schizzò fuori dal suo nascondiglio e cominciò a correre, inoltrandosi nel bosco.
Non sapeva in che direzione stesse correndo, e il rumore che faceva lei stessa muovendosi tra le piante, i rami e i cespugli non le permetteva di comprendere dove si trovasse la statale. Forse, se avesse cominciato a correre in tondo, allargando sempre più la circonferenza, al pari di una spirale all’incontrario, si sarebbe trovata sulla strada. O finita alla vecchia segheria, in mezzo agli altri ragazzi.
Tra un battito di cuore e l’altro, abbassandosi per passare sotto un abete decisamente fuori dal suo ambiente in mezzo a quei pioppi, si domandò cosa sarebbe successo se avesse portato Mauro tra i suoi compagni. L’uomo era disprezzato e temuto da chiunque a scuola, ma se li avesse trovati davanti tutti in una volta, cosa sarebbe successo? I ragazzi sarebbero fuggiti o lo avrebbero affrontato?
Si voltò per guardare. Il pazzo era ancora dietro di lei, e sembrava non fare fatica. Lei, invece, aveva il fiatone ed era sicura che da un momento all’altro sarebbe svenuta. Per quanto spesso facesse un po’ di attività fisica per tenersi in forma, la corsa non l’aveva mai convinta, e in quel momento stava pagando le conseguenze. In fondo, si chiedeva in quelle occasioni, quando mai avrebbe dovuto fuggire da un predatore?
Fece una svolta, ansimando, per provare a raggiungere la strada, ma un buco, forse la tana di un qualche animale, le catturò un piede. Linda si trovò a terra, tra le foglie e i rametti, un dolore intenso che le azzannava la caviglia sinistra. Si rialzò, o almeno tentò: come appoggiò il suo lieve peso sul piede, lanciò un grido e cadde in ginocchio, atterrando sulle mani.
Il movimento alle sue spalle diminuì di intensità e si ridusse a dei passi. – Eh, la bella figa si è messa in posizione per me, finalmente. – commentò la voce biascicata di Mauro. Sembrava non mostrare il minimo segno di stanchezza nella respirazione.
Linda si girò, una smorfia di dolore sulle labbra, sedendosi. Fissò terrorizzata Mauro, spingendosi indietro con le mani, poi, sotto quella destra sentì qualcosa, lo strinse e se lo pose davanti, stringendo a due mani come una spada un bastone di poco più di mezzo metro, dritto ma non troppo, spezzato in punta.
– Stai lì, bastardo, – lo minacciò, ma il pianto nella voce riduceva di molto l’autorità che la ragazza voleva imporre, – o ti spacco la testa.
Mentre l’uomo rideva a quelle parole, Linda si spinse fino alle radici di un albero accanto a lei. Appoggiò la schiena al tronco, continuando a puntare il ramo come se fosse un’arma anche solo decente. – Non sto scherzando, Mauro. Vattene. – gridò mettendoci tutto il coraggio che aveva, ma non avrebbe ingannato un passerotto.
– Lo vuoi vedere un palo davvero grosso, bella figa? – chiese lui, afferrando i suoi jeans strappati e luridi. Lì sbottonò e abbasso la zip: un attimo dopo una mano ravanava nelle mutande.
– No! No! – urlò Linda, implorandolo, terrorizzata. Se lo avesse tirato fuori allora sarebbe diventato tutto vero, allora ogni possibile timore di quanto avrebbe potuto fare Mauro sarebbe divenuto realtà.
Ma l’uomo non ebbe gli stessi pensieri della ragazza nella mente, o forse, al contrario, voleva che accadesse: con evidente difficoltà estrasse il suo cazzo e, tenendolo in mano come uno spadino pronto a calare sulla sua vittima, lo sollevò.
Per un istante Linda volle credere che fosse uno scherzo, che quello che era apparso davanti a lei era un manganello color pelle, che Mauro tenesse un palo nelle mutande e lo usasse per picchiare la gente. Perché lei sperò che quella fosse un’arma contundente con cui l’avrebbe percossa a sangue e non un vero cazzo che quel mostro avrebbe infilato dentro di lei e usato per scoparla e tratto piacere dal suo corpo e…
Ma quel coso era un vero cazzo, che si mosse quando Mauro cominciò a zangolarlo, con un desiderio malato in faccia, sbavando dalla bocca e dal meato.
Linda non poté più sopprimere il terrore, mettendosi una mano sulla bocca e strillando, gli occhi sbarrati, una gamba che si piegava sull’altra cercando di nascondere il proprio sesso. – No! No, ti prego!
Mauro fece un passo avanti, continuando a massaggiarsi il cazzo. La cappella, piccola fino ad essere ridicola rispetto al fusto, sbocciava dalla pelle e poi veniva di nuovo inglobato ripetutamente. – Adesso sei mia, bella figa.
– Ehi, coglione, la ragazza ha un nome. – pronunciò con rabbia qualcuno alle sue spalle, l’ingresso di scena rovinato da un leggero ansimare nella voce per la corsa. – Si chiama bimba.
Lo sguardo dell’uomo si fece ancora più duro, la rabbia che deformava le labbra mostrando i denti. Si voltò di scatto, pronto ad affrontare il nuovo venuto.
Linda non ebbe bisogno di vederlo, coperto com’era da Mauro, ma le bastò il suono delle parole perché sentisse la speranza inondarle il cuore. – Tommy!

Erano anni che non passava per quel sentiero, ma Tommaso ricordava abbastanza bene come raggiungerlo parcheggiando l’auto in uno spiazzo della strada statale e attraversando un tratto di bosco. Le grida di Linda l’avevano guidato fino a loro, correndo come mai prima di allora: era passato sotto un albero caduto e guadato un torrente, temendo di arrivare in ritardo, e in tal caso non se lo sarebbe mai perdonato. Se avesse trovato Mauro, lo avrebbe ucciso e fatto a pezzi il suo cadavere…
E invece, era giunto appena in tempo per fermare il bastardo che aveva già estratto il cazzo e che adesso era puntato contro di lui. La voce secondo la quale fosse superdotato non dava giustizia alla realtà, pensò, guardando quel palo che spuntava dall’inguine di Mauro. Il ragazzo si era spesso crucciato segretamente di non averlo abbastanza grande, ma non avrebbe certo preteso delle dimensioni simili. Era… mostruoso.
– È meglio se metti via quel coso. – consigliò, cercando di apparire spavaldo davanti a quello stronzo. – Non vorrei che ci inciampassi o ti finisse in un occhio.
Mauro sembrò non sentirlo nemmeno. – Guarda chi c’è. Sei quello che si fotte la bella figa. – Un orribile sorriso si insinuò nel ghigno di rabbia. – Anni fa ti ho picchiato.
Tommaso non l’aveva di certo dimenticato. Alle superiori quel pezzo di merda gli aveva messo le mani addosso e fatto un occhio nero per puro divertimento. Mauro era stato sospeso e lui aveva iniziato a partecipare a corsi di autodifesa in previsione di ulteriori situazioni simili, continuando, dentro di sé, a lasciar macerare la rabbia che quell’episodio gli aveva provocato. Quel giorno, il suo sogno segreto sembrava essere destinato a diventare realtà.
– Sono qui a restituirtelo con gli interessi, Mauro.
Mauro lasciò il suo mostruoso cazzo, si mise una mano nell’altra e fece scrocchiare le dita, prima quelle della sinistra e poi quelle della destra. – Prima ammazzo te, poi mi scopo la puttana.
Lo sguardo di Tommaso di fece duro, preparando la guardia. – Per me puoi fottere tua madre quando più ti aggrada, non preoccuparti.
Mauro si lanciò avanti all’improvviso, alzando il braccio destro al termine del quale un pugno fendette l’aria, calando su Tommaso, il quale, comunque, non aveva abbassato l’attenzione: inconsciamente, ogni mossa e posizione automatizzata da anni di pratica, venne eseguita dai muscoli senza nemmeno bisogno di pensarla. Il piede destro si spostò all’indietro tracciando un arco nelle foglie secche e gialle, su cui il peso del corpo venne a scaricarsi, mentre il braccio sinistro si sollevava, piegandosi sul gomito e intercettando l’attacco di Mauro.
Non fu come agli allenamenti, in cui tre o quattro ragazze se lo contendevano, probabilmente conoscendolo di fama, desiderose di essere nel suo letto, indifferenti al fatto che frequentasse già qualcuno, che passavano più tempo a provarci che a simulare lotte da strada, e che lo colpivano con la forza di una piuma. Il colpo di Mauro, invece, impattò dolorosamente contro l’ulna ed il muscolo che l’avvolgeva, scaricandosi sulla spalla sinistra: Tommaso fu sorpreso che un mingherlino come lui potesse attaccare con tutta quella forza.
Comunque, l’addestramento continuo prevalse sul pensiero e, portando avanti il piede destro, il ragazzo ruotò il busto e sollevò il pugno, conficcandolo sotto lo sterno di Mauro, poi fece un balzo all’indietro, aspettandosi che l’uomo, colpito allo stomaco, rigettasse.
Mauro emise un verso simile ad aria che esce di colpo dai polmoni, sobbalzando all’indietro, ma non fece altro. Non vomitò, non crollò a terra, non si tenne la pancia. Sollevò invece la testa, fissando Tommaso. – È il meglio che sai fare, bamboccio?
Tommaso sbarrò gli occhi, spaventato. Com’era possibile che non avesse… Poi gli sovvenne alla mente che si stava ancora comportando come in allenamento, quando toccava appena, con delicatezza, l’addome piatto delle sue aggreditrici, le quali, solitamente, con un sorriso che lasciava comprendere senza troppi dubbi cosa volesse, dicevano qualcosa del genere: “colpisci un po’ più in alto, magari con la mano aperta.”
Il primo colpo era andato a vuoto perché, nonostante tutto, i suoi colpi erano sempre stati dati come allenamento e prova di aver compreso le istruzioni dell’allenatore, su ragazze che si recavano alle lezioni di Krav perché erano stato reso famoso da qualche vip, mentre, in quel momento, doveva colpire per salvare Linda e sé stesso da uno psicopatico.
Mauro non si fece quei problemi quando si lanciò in avanti, piantando a terra il piede sinistro e, come se stesse per segnare in porta, allungò la gamba destra all’indietro e poi la lanciò in avanti. Il colpo fu violento, ma troppo lento, e Tommaso, non riuscendo a riconoscere l’attacco tra quelli che aveva sperimentato negli anni, per precauzione aveva fatto un balzo di lato. Il piede fendette l’aria quando raggiunse il punto più alto dell’arco, e in quel momento, approfittando dell’impossibilità dell’uomo di difendersi, Tommaso gli assestò un pugno in faccia. All’inizio gli anni di pratica a bassa potenza lo portarono ad un altro attacco debole, ma a metà del movimento il ragazzo ricordò chi aveva di fronte, cosa gli aveva fatto, cosa aveva intenzione di fare alla ragazza che amava, e la rabbia s’ìnsinuò nel colpo.
La testa scheletrica di Mauro si mosse di lato all’impatto delle nocchie, e il resto del corpo, impossibile a trovare un equilibrio con una gamba sollevata, gli si mosse dietro, e l’uomo cadde nel sottobosco, rotolando una volta.
Tommaso ebbe un mezzo secondo per aggredire Mauro a terra, colpirlo fino a tramortirlo, e poi scappare con Linda, ma l’idea che il suo aggressore potesse averne avuto abbastanza lo fece tentennare troppo. Anche l’ipotesi che avrebbe potuto prendere per una mano la sua amata e dileguarsi passò per la sua mente ma, prima che potesse fare un solo passo verso la ragazza, l’altro si stava già alzando con uno sguardo assassino.
Mauro emise uno di quei versi simili a quelli dei tori dei cartoni animati quando mancano il loro bersaglio e si voltano per un secondo attacco, poi si guardò il cazzo che aveva cominciato a perdere il suo vigore, abbassandosi sempre più, e con un gesto di stizza lo strinse alla base e percorse tutta la lunghezza dell’asta, pulendolo dal terriccio e dalle foglie che ci erano rimaste attaccate. La cappella, ormai quasi ingoiata dalla pelle, era lurida. Con un movimento del polso gettò a terra lo sporco che era rimasto tra le dita.
– Quella puttana dovrà pulirmi per bene il mio grosso cazzo.
– Vaffanculo! – gridò Linda, che stava piangendo silenziosamente, probabilmente spaventata dal fatto che Mauro fosse ancora in piedi.
– Zitta, troia! – le impose l’uomo.
– Ehi, pezzo di merda, non osare parlare in quel modo alla mia donna! – gli ringhiò contro Tommaso, alzando i pugni davanti al viso. – Fatti sotto piuttosto, cazzone.
Mauro dimostrò di avere forza ma poca fantasia, attaccando di nuovo con il pugno alzato e lanciandosi contro Tommaso, il quale, questa volta, ebbe modo di prepararsi al colpo. Invece di parare il colpo, usò il braccio sinistro per indirizzare il pugno verso l’esterno, la mano destra, come se volesse seguire il consiglio delle sue compagne di allenamento, la tenne aperta e più in alto di prima, ma invece che sul seno la mise in faccia a Mauro, il palmo sulla bocca, le dita negli occhi, e all’ultimo momento sollevò la gamba destra, conficcando nell’inguine di Mauro il ginocchio.
Questa volta il contrattacco fu gratificato dal grido di dolore dell’uomo, che fece un passo indietro, afferrandosi i coglioni, tremando come una foglia per il dolore. Se già di carnagione era chiaro in viso, in quel momento divenne cinereo, poi rosso.
Tommaso non perse un instante, voltando la testa verso Linda, ancora appoggiata al tronco. – Forza, andiamo! – le disse, allungando la mano verso di lei.
Lei fece una smorfia, cercando di alzarsi. – Mi fa male la caviglia, Tommy, e… Attento! – gridò.
Lui, comprendendo cosa intendesse la ragazza, si voltò verso Mauro, alzando la guardia, ma non abbastanza in fretta. Quasi non vide il pugno sopraggiungere, ma lo percepì in bocca. Una coltre scura coprì tutto per un istante, mentre il dolore alle labbra esplodeva con la violenza di una bomba atomica. Barcollò all’indietro, inciampando sui suoi stessi piedi, e crollando a terra. Quasi non sentì Linda che lanciava un urlo mentre rotolava a sinistra per non rimanere sotto di lui. Cadde su qualcosa di duro e simile ad un tubo che lo colpì alla schiena: solo più tardi si rese conto che era una radice della pianta.
Si portò le mani alla bocca mentre il mondo cominciava a riprendere luminosità. Sentì il sapore del sangue sulla lingua, e in un attimo di lucidità fu felice che non se la fosse tranciata. – Pezzo di merda! – gridò, sperando che tutti i denti fossero ancora al loro posto.
Sul brutto muso di Mauro era ancora ben evidente il dolore della ginocchiata quando apparve nel campo visivo di Tommaso. Lo fissò con una profonda rabbia. – Adesso ti ammazzo. – sibilò, un ghigno di dolore e furia sulle labbra. Avanzò di qualche passo tenendo in mano un grosso sasso sporco di terra. Con uno sforzo provò a sollevarlo ma, nonostante non potesse essere particolarmente pesante, era troppo sconvolto per riuscirci con un movimento fluido.
Tommaso sgranò gli occhi, ma invece di farsi prendere dalla paura, tentò il tutto per tutto: ruotò a terra sulla schiena, allineandosi con il suo aggressore, sollevò la gamba destra mettendola dietro a quelle di Mauro, quella sinistra la pose davanti e, spingendosi con le braccia, rotolò velocemente su sé stesso. Non ebbe modo di vederlo, ma dal rumore che si sollevò dalle foglie secche e dal grido di dolore, comprese che il suo tentativo disperato era riuscito.
Quando si voltò, mettendosi a sedere, trovò Mauro disteso a terra, stordito. Sembrava che fosse caduto di petto sul sasso che cercava di sollevare, prendendosi una botta che, secondo il ragazzo, poteva equivalere al pugno che si era preso in bocca.
Ma nonostante questo, l’uomo allargò le braccia, appoggiò le mani sul terreno e, tremando per la stanchezza ed il dolore, iniziò a sollevarsi.
– Ah, porca puttana… – mormorò Tommaso, chiedendosi quanto ancora sarebbe durato quello stronzo, e soprattutto se sarebbe riuscito a fermarlo, quando un bastone si abbattè sulla nuca di Mauro, spezzandosi a metà per la forza dell’impatto, rimbalzando un paio di volte nel sottobosco e scomparendo in un cespuglio. L’uomo crollò a terra e l’unica prova che fosse ancora vivo fu il piagnucolio lamentoso che si sollevò dalla sua gola.
– Vaffanculo e restaci, stronzo! – gridò Linda, e a Tommaso sembrò impossibile che una creatura così magnifica e minuta potesse essere anche così infuriata.
Con un certo impaccio e dolore, il ragazzo si mise in piedi, scuotendo la testa per schiarire la mente, poi fece qualche passo verso la ragazza, allungando una mano per aiutarla ad alzarsi. Lei gli sorrise, le gote bagnate dalle lacrime, lasciando cadere il pezzo di bastone e afferrando la mano.
– Ah… – disse con una smorfia mentre si appoggiava sulla caviglia che l’aveva fatta cadere.
– Tutto bene? – le domandò Tommaso, ma lei non rispose, abbracciandolo. Se Linda avesse avuto più forza l’avrebbe stretto fino a mozzargli il fiato, ne era certo.
Lui si godette quel contatto per qualche istante, felice di averla di nuovo tra le sue braccia, incredulo di come il semplice tocco di un corpo umano in particolare potesse scatenare tutta quella felicità, quel benessere che sentiva riempire ogni fibra del suo corpo, inondare la sua mente e scaldare la sua anima.
– Andiamocene, prima che si riprenda. – consigliò il ragazzo dopo qualche istante, sciogliendo con dolore l’abbraccio di Linda che aveva cominciato a piangere silenziosamente.
Lei abbassò lo sguardo su Mauro. – Non l’ho… – domandò con un filo di voce, come se si fosse improvvisamente resa conto di cosa avesse davvero fatto qualche istante prima.
– No, – lo rassicurò lui, guardando a sua volta l’uomo, che sembrava si stesse riprendendo molto velocemente. – la bastonata è stata più di effetto che altro. Tra non molto sarà di nuovo in piedi. Comunque, non avresti potuto renderlo più imbecille.
Provarono a fare qualche passo, ma Linda cedette sulla caviglia. Le sfuggì un gemito di dolore.
– Non preoccuparti, ci penso io. – disse Tommaso, inclinandosi in avanti e mettendole una mano sotto le gambe e una mano sotto un’ascella. In un attimo la ragazza si sentì sollevare e si ritrovò in braccio al ragazzo. – Sei leggera quanto una piuma. Mi sa che non hai mangiato molto da quando mi hai lasciato: dovrò prepararti ancora quel risotto che ti piaceva tanto.
– Non è il risotto che voglio da te, Tommy. – le confessò, appoggiando le labbra alle sue.
Lui emise un verso di dolore, staccandosi dal viso della ragazza come se avesse avuto in bocca un cavo elettrico sotto tensione. – Mi sa che quel bastardo sa tirarli bene i pugni! – commentò dopo un istante.
Linda lo guardò spaventata e dispiaciuta, ma poi si accoccolò su di lui, limitandosi a baciarlo sulle guance mentre lui iniziava a portarla verso l’auto, aggirando gli alberi più bassi e guadando il ruscello, indifferente alle scarpe che si bagnavano.
– Forse facciamo ancora in tempo a raggiungere la vecchia segheria, – ipotizzò Tommaso, incapace di trattenere completamente il disprezzo per quanto stava suggerendo, – così puoi fare la finale della gara. Ho visto il video – aggiunse con il cuore che sembrava smettesse di battergli per un istante, – e sei davvero brava. Non vorrei che…
Linda non lo lasciò finire. – Non me ne importa nulla di dimostrare a chicchessia di essere brava a fare pompini se non a te. – gli confessò, riprendendo a baciarlo con ardore. – L’unica gara che voglio vincere è quella che ha il tuo cuore in palio.
Tommaso sorrise soddisfatto. – Oh, in tal caso sei prima, seconda e terza classificata, bimba.
– E Tania?
– Lascia perdere Tania. Spero di non vederla mai più. – La guardò, scoprendola confusa. – Fidati, è meglio se non si fa più anche solo sentire, soprattutto da te.
Linda sembrò comprendere. – Allora portami a casa tua, mio guerriero: sarò io la vincitrice, ma voglio darlo a te il premio.
Tommaso la sollevò meglio tra le sue braccia e la portò con maggiore vigore fino allo spiazzo dove aveva lasciato la Punto.

CONTINUA…

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