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L’ora tarda

By 4 Febbraio 2018Dicembre 16th, 2019No Comments

Erano stati 40 anni di amore. Quello che si dice un matrimonio riuscito, nonostante i 18 anni di differenza di età. Lo avevo conosciuto all’università: il mio primo esame. Lui di là, a spiegare i tanti perché e le tante formule, io di qua a prendere appunti. Sei mesi di corso e poi l’esame: l’unico sentimento che provavo nei suoi confronti era paura, anzi angoscia. Aveva solo 37 anni, ma era già un luminare: qualcuno diceva che sarebbe arrivato al Nobel con le sue ricerche!
‘Signorina, come prima cosa le chiedo di smettere di tremare e di avere quello sguardo allucinato! Non sarò un Adone, ma finora non ho mangiato nessuno. Facciamo così: ci prendiamo 5 minuti 5, ci facciamo portare un caff&egrave e poi riprendiamo!’ mi lasciai sfuggire un sorriso.
Superai l’esame brillantemente, ma i nostri occhi non riuscirono a lasciarsi più: fui io a cercarlo, non ricordo più con quale scusa, ma ricordo che lui mi invitò a parlarne davanti ad una birra e, siccome il discorso si fece lungo, ci facemmo portare anche una pizza.
La cosa più difficile fu dirlo ai miei, per la differenza d’età.
Mi laureai col massimo dei voti: mi piaceva la materia, ma ancor più non volevo far fare brutta figura a lui.
Non lavorai un solo giorno.
O meglio: lavorai sempre per lui, accompagnandolo ai convegni in tutte le parti del mondo, anche dopo la nascita dei nostri due figli.
Poi i figli crebbero, costruirono la loro vita lontano dall’Italia, tanto lontano e, otto mesi fa, anche lui ha deciso di andare via, di notte, in silenzio. Al mattino al mio fianco c’era il suo corpo, ma lui non più!
Mi aveva lasciata! Ricca sfondata, ma sola a sessantadue anni.
Non avevo preoccupazioni di sorta: avrei potuto prendere della servitù, ma mi sentivo ancora giovane e volevo vivere. Mi imposi, quindi, di ricominciare ad uscire. Per una alla mia età, cosa meglio del fare la spesa? Certo: avevo anche altri interessi, ma scelsi di fare la mia piccola spesa tutti i giorni, senza accumulare provviste.
All’ingresso, Franck mi dava il suo buongiorno tutte le mattine. Lui non chiedeva l’elemosina: la accettava se tu gliela proponevi, in silenzio, a testa bassa, ringraziava con un sorriso.
Un giorno, tre mesi fa, mentre mi aggiravo tra i banche dell’ortofrutta, sentì un dolore lancinante al petto. Poi ricordo solo il buio, fino al bianco latte dell’ospedale in cui mi ero risvegliata, con indosso solo il camicione della UTIC, entrambe le braccia occupate da aghi e braccioli vari, il saturi metro al dito e il terribile cicalio delle macchine intorno a me.
‘Bentornata nel mondo dei vivi, dottoressa!’ fu il saluto del medico che mi si avvicinò. ‘Si ricordi di ringraziare il moretto del supermercato: senza di lui ed il suo massaggio cardiaco il nostro intervento sarebbe stato inutile.’
Me ne ricordai appena uscita dall’ospedale.
Mi venne incontro:
‘Signora, &egrave bello rivederla!’
‘Pare che sia merito tuo!’
‘Ho fatto solo quel che potevo!’
La spesa passò in secondo piano: volli sapere come conoscesse la pratica del massaggio cardiaco e fu così che scoprì che Franck era laureato in medicina, ma che la sua laurea, presa in Camerun, non aveva valore qui in Italia, se non fosse stata confermata. Mi appassionai al suo racconto e mi accorsi di quanto poco sapevo di una persona che vedevo tutti i giorni.
Mi raccontò della sua baracca, della necessità di usare il bagno di un bar vicino il cui proprietario, di buon cuore, gli permetteva anche di far la doccia a casa sua.
‘Ora &egrave il mio turno di far qualcosa per te!’ dissi. ‘Abito in una casa che per me &egrave troppo grande e vuota. Verrai a stare da me!’
‘Non posso!’ la sua risposta era disarmante.
‘Perché?’
‘Nella baracca, vivo con mio fratello. Ha 18 anni e non posso lascarlo da solo.’
‘Vorrà dire che verrete entrambi!’
‘Non deve sentirsi obbligata, signora!’
‘Non sei tu che devi dirmi cosa fare. Io ho un tetto troppo grande ed a voi ne serve uno: non c’&egrave nulla di cui discutere.’
Si trasferirono a casa mia in serata. Louis, il fratello di Franck, aveva il corpo di un uomo, ma il volto acerbo di un ragazzino. Era gentile ed educato come il fratello. Non parlava l’italiano nel modo corretto del fratello, ma se la cavava sia a capire che a farsi capire.

Volevo solo sdebitarmi, saldare il mio debito di riconoscenza. Ma la situazione precipitò poche ore dopo che i due giovani si erano sistemati in casa mia.
Passando davanti alla porta del bagno, casualmente il mio sguardo si intrufolò nello spiraglio di quella porta accostata. Riflesso nello specchio, potei vedere Franck, appena uscito dalla doccia, con un accappatoio vecchio di mio figlio addosso, aperto. Gli addominali scolpiti furono un richiamo forte e mi fermai ad osservarlo, scendendo lentamente lungo quel corpo di ebano lucido. Un’espressione di sorpresa mi sfuggì dalle labbra, quando i miei occhi si posarono sul suo bacino: un enorme randello di carne penzolava tra le gambe. Improvvisamente, il mio essere femmina si risvegliò: desideri sopiti da un tempo lunghissimo (mio marito aveva perso di virilità già molto tempo prima di morire) si ridestarono prepotenti e incontrollabili. Mi sembrava di sentire la mia gattina pulsare come ai bei tempi andati.
Mi costrinsi a distogliere lo sguardo ed a proseguire per la mia strada.
Cenammo, guardammo un po’ di televisione e mi commossi quando sottolinearono quale grande novità fosse per loro quella tranquilla normalità.
Poi andammo a letto: io nella mia camera e loro in una accanto, che un tempo era stata di mio figlio maschio. Ma il letto non mi diede riposo. Il mio pensiero tornò a quel che avevo visto e il ricordo si tramutò in desiderio. Cominciai a toccarmi tra le gambe, a sgrillettarmi: ma nulla serviva ad appagarmi. Mi addormentai sfinita dal desiderio.
Ma nel cuore della notte mi svegliai, scossa da una mano forte: la luce sul mio comodino era accesa e Franck era in piedi accanto al letto, chinato su di me.
‘Franck! Che ci fai qui?’
‘Signora, ti lamentavi e mi chiamavi. Ho avuto paura che non stessi bene: ora torno a letto, se &egrave tutto a posto.’
‘S’, certo! &egrave tutto a posto.’
‘Meglio così! Perdonami se sono entrato nella tua camera. Comunque se hai bisogno di qualcosa, qualsiasi cosa, chiamami!’
Aveva calcato l’accento su quel ‘qualsiasi cosa’, o cosa mi era sembrato.
‘D’accordo, grazie!’
Si allontanò in direzione della porta.
‘Franck!’
‘Sì, signora?’
Tentennai un’ultima volta, poi cedetti al comando della fica, che reclamava giustizia.
‘Qualsiasi cosa?’
‘Qualsiasi, signora!’
‘Ti andrebbe di dormire con me!’
‘Questa &egrave la cosa che più speravo mi chiedessi!’
‘Dici davvero?’
‘Puoi giurarci, signora!’
‘Non sono troppo vecchia?’
‘Sai cosa non ti ho detto? Quando ti ho fatto il massaggio, ho aperto la tua camicia e, se fossi stato solo, avrei baciato quel seno stupendo!’
Il seno, in effetti, &egrave la parte del mio corpo che più attira l’attenzione: un’ottava piena.
‘Ti piacciono le mie bocce?’
‘Le divorerei!’
‘Ti conviene cominciare, allora! Ti ci vorrà tempo.’
‘E tu, invece?’
‘Io’.’la sua lingua sul mio capezzolo mi tolse il respiro. Non ricordavo più quali sensazioni potesse dare il corpo di un uomo steso accanto al mio. La mia mano scivolò a cercare quello, la cui visione aveva dato inizio a tutto. Quel che prima penzolava moscio, ora si ergeva duro e minaccioso. Ed ancora più grande! La sua minaccia non mi faceva paura, faceva solo crescere il mio desiderio. E mi spingeva a superare ogni confine di pudore, per naufragare in un baratro di lussuria. Mai avrei pensato che i miei freni inibitori fossero così labili, che avessi una tale inclinazione alla troiaggine. Ed ero solo all’inizio.
‘Io non ho mai visto un bastone così lungo, così largo, così duro! Lo voglio sentire dentro.’
‘E’ un dono di famiglia, signora!’
‘Agata! Chiamami Agata. Vuoi dire che anche tuo fratello” parlavo, mentre la mia mano scivolava sul suo cazzo, restituendomi sensazioni sublimi. Avevo le cosce larghe e sentivo le lenzuola sotto di me inumidirsi dei miei umori.
‘A casa e tra amici lo chiamiamo Dumbo!’
‘Chi? Louis?’
‘Sì! Come l’elefantino.’
‘Perché?’
‘Non lo immagini!’
‘Vuoi dire’? Più di te?’
‘Molto più?’
Dovetti fare una faccia piena di meraviglia, tanto che continuò:
‘Non ci credi?’
‘Sinceramente? No1’
‘Vuoi vedere?’
‘Perché no?’
Lo guardai, mentre si avviava a chiamare il fratello. Il suo corpo tonico e armonioso esaltava le dimensioni di quel tronco di carne che presto sarebbe stato mio. Quando tornò, seguito da suo fratello, aveva la mano sull’uccello e se lo menava.
‘Forza, Louis! Agata ci vuole ospitare, stasera.’
Il fratello non se lo fece ripetere. Cominciò sfilando la maglietta: il suo corpo acerbo contrastava con quello maturo e muscoloso di Franck. Lo guardavo spogliarsi, con l’indice in bocca, mentre Franck si era steso di nuovo accanto a me. Sentivo il suo cazzo appoggiato sulla mia coscia, ma ora volevo vedere cosa nascondeva nelle mutande Louis. In verità, qualcosa si poteva già immaginare, ma non quello che scoprì un attimo dopo. Abbassò gli slip, piegandosi in avanti e rendendo, quindi, difficile fare una valutazione. Ma quando si rialzò, fin quasi alle ginocchia, le gambe erano tre. Con gli occhi pieni di stupore, mi voltai verso Franck: era ora! Lo bacia sulla bocca, infilandogli la lingua ben a fondo, mentre con la mano invitavo il fratello ad avvicinarsi. Ora volevo prendere la mazza di Lois in bocca, volevo sentirla diventare dura sotto la mia lingua. Con i suoi coglioni in mano, mi portai la cappella alla bocca e la ingoiai: avrei voluto prenderlo tutto, ma molto più della metò rimase fuori, per quanto mi sforzassi, fino al punto di avvertire i conati con cui la mia gola cercava di espellerlo, contro la mia volontà.
‘Non ti dimenticherai di me?’ protestò Franck e per tutta risposta, senza lasciare il cazzo di Louis, mi girai sul fianco, offrendogli la visione del mio culo e della mia fica, oscenamente offerta a lui, perché ne facesse ciò che voleva, purché mi facesse godere. Non ebbe bisogno d’altro e il suo cazzo, che si faceva spazio dentro di me, mi eccitò ancora di più, sollecitandomi ad impegnarmi ancora di più su quel tarello pulsante che si manifestava così contento della mia bocca. Il cazzo di Franck mi pulsava nella fica, quello di Louis batteva nella mia bocca. Ero felice, come da tanto non lo ero più. Louis si irrigidì, provò a ritrarsi, ma io volevo il suo seme giovane in bocca. Volevo sentirlo scendere nella mia gola, denso, caldo. Ed era proprio come lo aspettavo: un sorso infinito di sborra si riversò nella mia bocca e strinsi forte le labbra intorno al suo cazzo, per evitare che qualcosa potesse andar perduto, mentre, rischiando di soffocare, deglutivo quel meraviglioso nettare dal sapore acidulo. Godendomi il ritmo di Franck, che aveva preso a spingere più forte e più veloce, fino ad inondarmi l’utero. Mi asciugai con i pantaloni del mio pigiama e feci posto a Louis nel letto.
‘Abbiamo tempo domattina per dormire! Che ne dite di un bis?’
Avevo già le loro teste sui miei seni, a martoriare di morsi e suzioni i miei capezzoli. Avevo un arretrato enorme da soddisfare e sapevo di aver trovato le persone giuste. Invertì i ruoli, prendendo in bocca il cazzo di Franck ed offrendo la fica a Louis alla pecorina. Doveva tendere le braccia in avanti per aggrapparsi alle mie chiappe, mentre la cappella sbatteva sulle pareti dell’utero, con gran parte del cazzo costretto a star fuori.
Ad un tratto, Louis si fermò.
‘Tu non ancora baciato me!’
‘Rimedio subito, amore!’ risposi, lasciando il cazzo del fratello e, tirandomi sulle ginocchia, mi voltai verso di lui e lo baciai.
‘Noi pisello grande, tu tette grandi! Così &egrave bello!’
‘Ho anche una fica grande! Proviamo a farli entrare tutti e due?’
Franck si stese sotto e fece scivolare il suo cazzo nella mia fica. Louis, in piedi davanti al letto, si fece spazio: avevo la fica spalancata a dismisura e godevo. E l’unica cosa che riuscivo a pensare era che ne avrei voluto ancora e che avrei avuto tante volte l’occasione di rifarlo. Mi pomparono a lungo, ma quando sentì che si avvicinava il momento, volli essere troia fino in fondo e bere tutta la loro sborra. Il pieno fino al mattino dopo, quando al risveglio ero sicura mi avrebbero festeggiata ancora.

Mi risvegliai. La sveglia segnava le 11,10: Franck e suo fratello dormivano accanto ame, uno da una parte ed uno dall’altra. Avrei replicato volentieri le gesta della notte, ma ebbi cuore di svegliarli ed ero consapevole di dover fare delle cose. Mi tirai su e scavalcai il corpo di Louis, non senza difficoltà, ma soprattutto cercando di lanciare uno sguardo al suo meraviglioso strumento; infilai un paio di mutandine, prese dal cassetto, ed andai in bagno. Pisciavo e mi guardavo nel grande specchio di fronte, lo stesso in cui avevo ammirato il corpo di Franck: avevo l’aria sfatta, ma soddisfatta. Non ero certo da buttare, pensai. Mi pulì e mi alzai, senza tirar su le mutande: lo specchio mi tornò l’immagine del mio corpo appesantita di qualche kilo, con l’enorme seno abbandonato, ma tutto sommato ancora attraente. Sciacquai il viso ed andai in cucina; mentre preparavo il caff&egrave, sentii due braccia avvolgermi e le mani aggrapparsi al mio seno. Portai la mano dietro ed afferrai il cazzo, valutandone le dimensioni: non avevo più dubbi.
‘Vuoi un altro bacio, Louis?’
‘Il buongiorno, maman Agata!’
Mi sorprese quel suo chiamarmi mamma, mi divertì e mi eccitò. Sospesi la preparazione del caff&egrave e mi dedicai a lui, offrendogli le mie labbra. Mentre la sua lingua duellava con la mia, il suo cazzo si impennò.
‘Amore, basta così! Abbiamo delle cose da fare ed &egrave già difficile per me rinunciare.’
Brontolò qualcosa in francese, poi disse:
‘Stasera, però, non hai da fare?’
‘Se anche avessi qualcosa mi libererei.’
Finii di preparare il caff&egrave giusto in tempo perché anche Franck si unisse a noi.
‘Agata, tu sei splendida, ma”
‘Qualcosa non va, Franck?’
‘Non mi piacciono le mutande. Hai un culo stupendo, dovresti mostrarlo di più.’
‘Dovrò comprare qualcosa: non ho niente di più seducente. Un impegno in più!’
‘Perché? Che hai da fare?’
‘Per me poco. Ma devo cercare di risolvere la vostra posizione. Non vorrete rimanere clandestini a vita?’
‘Non siamo clandestini. Abbiamo il permesso di soggiorno, ma scade tra due mesi.’
‘Quindi dobbiamo trovare una soluzione. Ma dopo il caff&egrave.’
Eppure sentivo di non poter aspettare fino a sera. Dopo il caff&egrave, sorprendendoli, sfilai le mutandine e, appoggiando i gomiti sul tavolo, protesi il culo all’indietro.
‘Dai! Uno alla volta, svuotatevi dentro di me. Altrimenti oggi non combiniamo nulla: io ho troppa voglia e mi pare anche voi.’
Non si fecero ripetere l’invito. Mentre mi chiavava, Louis mi chiese:
‘Lo hai mai preso nel culo, maman!’
Non finiva di sorprendermi: era più intraprendente e più diretto del fratello. E quel suo chiamarmi mamma, rendeva tutto quel che diceva pulito.
‘Non tante volte, ma l’ho preso. Ma da voi &egrave impensabile: m spacchereste!’
‘Non preoccuparti, maman. Ti romperò il culo piano piano e ti piacerà!’
Intanto mi sta piacendo quello che fai ora, pensai.
Mi riempirono la fica di sborra. E mentre mi colava fuori dalla fica, presero la tazzina del caff&egrave e la raccolsero, aiutandosi un po’ anche con le dita.
‘Questo &egrave meglio del caff&egrave!’ dissi, accettando la tazzina dalle loro mani e portandola alla bocca.
Poi facemmo una doccia e ci vestimmo. Si era ormai fatta ora di pranzo, Andammo in una trattoria che conoscevo bene e mangiammo lì: essere ricchi rende più bello il risparmiare.
Quindi mandai un messaggio a Graziella, un mio amico avvocato, di un anno più piccola di me, chiedendole di chiamarmi appena possibile. Pensavo potesse essere in udienza.
Mi chiamò dopo dieci minuti.
‘Ciao, Agata! Oggi abbiamo finito presto: quindi pranzeremo a casa ed alle 4 faccio studio! Hai bisogno?’
Le accennai qualcosa.
‘Meglio che facciamo così, allora: cerco di liberarmi presto e vengo io a casa tua. Una visita di cortesia darà meno nell’occhio.’
Stando così le cose, il pomeriggio si era liberato e ne approfittammo per fare qualche compera. Con la mia macchina, raggiungemmo il centro e cominciammo a curiosare tra le vetrine. Avevano bisogno un po’ di tutto: pantaloni, camicie, maglioni, mutande, calze. Così, ci ritrovammo con un bel po’ di pacchetti e raggiungere la macchina non era semplice. Chiesi al commesso di un negozio se poteva farmeli avere a casa; tentennò un attimo, per via del fatto che non erano tutti di quel negozio, ma intervenne il direttore, che conosceva bene mio marito, e risolse tutto.
‘Ora possiamo tornare!’ dissi.
‘E no! Ricordi che hai detto che avresti comprato qualcosa?’
‘Ah, vero! Intimo, allora.’
‘Non solo! Prendiamo anche un paio di mini.’
‘Ma mi ci vedi con le mini?’
‘Io sì, e tu?’ chiese Franck al fratello.
‘Io voglio vedere occhi arrapati di ragazzi per strada quando maman le mette.’
‘Ma voi siete proprio discoli! Lo faccio per i vostri cazzi, sia chiaro!’
‘Vedrai che i nostri cazzi sapranno ringraziarti!’
‘Sarà meglio per loro!’
‘Andiamo dove non ti conoscono!’ disse il maggiore.
‘Perché?’
‘Perché così i commessi saranno più liberi di giudicare. Mica vorrai comprare, senza sapere l’effetto che fa?’
‘Allora meglio andare altrove, avete ragione!’
Con la macchina, ci spostammo in una città vicina, dove ero meno conosciuta. Entrammo in un negozio di intimo e Franck chiese senza mezzi termini un intimo arrapante per me. La ragazza arrossì e chiamò il proprietario, al quale rinnovammo la nostra richiesta. Lui non si scompose: mi guardò e poi guardò i ragazzi.
‘Stiamo parlando di una donna di classe, vedo! Intendo, mi perdoni, non una sgualdrina. Credo di avere quello che fa per una donna come lei.’ Cominciò a prendere dei perizoma molto carini. Con strass, inseri in metallo, fiocchi. La scelta era difficile e mi affidai a loro.
‘Io penso che dipende come sta sopra!’ disse Louis.
‘Normalmente non consentiamo di provare l’intimo, ma faremo un’eccezione!’ intervenne il direttore.
Presi tre perizoma, facendoli scegliere ai miei accompagnator, ma il direttore intervenne nuovamente.
‘Io le consiglierei di provare questo!’ disse mostrandomene uno con una specie di tendina tutt’attorno e due fiocchetti sui lati, color melanzana. ‘Naturalmente, per tutti c’&egrave anche il reggiseno!’ e mi portò i corrispondenti, invitandomi ad entrare in un camerino di prova.
Mentre mi spogliavo, per poter provare quei capi, sentivo il negpziante parlare coi ragazzi.
‘Un po’ attempata, ma davvero una bella donna. Complimenti! Spero per voi che non vi limitiate a vestirla.’
‘Noi la vestiamo per tutti e la spogliamo per pochi, vero maman!’
‘Sì, amore!’ risposi, sapendo e volendo scatenare la fantasia dell’altro.
Intanto avevo messo il primo coordinato e invitai i ragazzi ad entrare per vedere. Per tutta risposta, tirarono la tenda del camerino offrendomi alla vista anche del terzo uomo. Dopo un attimo, mi ripresi e, piroettando su un piede, chiesi:
‘Come mi sta?’
‘Un incanto!’ commentò Franck.
‘Signora, se mi permette, un culo da favola! Ed un seno da competizione!’ fu il giudizio del negoziante.
‘Le permetto e l’autorizzo anche a toccare, se ritiene necessario!’risposi strizzando l’occhio e aspettando di sentire la sua mano.
Prendemmo 5 coordinati, alcune paia di calze autoreggenti e tre minigonne, che ancora un po’ e lasciavano scoperto il culo.
Era ora di tornare a casa: Graziella poteva arrivare da un momento all’altro e noi avevamo ancora mezz’ora di strada.

Difatti, mentre eravamo ancora per via, Graziella mandò un messaggio, che annunciava che sarebbe stata a casa mia per le 19,30. Avevamo appena il tempo di arrivare.
‘Com’&egrave Graziella, Maman? TI fidi?’ mi chiese Louis.
‘Ci conosciamo da quando eravamo ragazzine. &egrave una bella donna, ma soprattutto un ottimo avvocato. MA mi dici perché mi chiami maman?’
Franck rise e rise anche il fratello. Io guardavo uno e l’altro stupita: scambiarono qualche parola in francese, che non capii, poi fu Franck a rispondermi.
‘In Africa ci sono molti stupri. Le donne devono essere vergini e gli uomini che non sanno controllarsi fanno disastri.’
‘E cosa c’entra?’
‘Mia madre ci ha cresciuti facendoci promettere che quando ci sentivamo’ carichi lo dicevamo a lei, di nascosto da nostro padre.’
‘E lei provvedeva a scaricarvi. Con molto gusto, immagino, visto le mazze che vi trovate.’
‘Lei diceva sempre che si sacrificava, ma spesso era lei a chiamarci, quando papà non c’era. Diceva che era meglio evitare che ci’ caricassimo.’
‘Hai capito la mammina! Tutti e due insieme?’
‘No? Le sembrava esagerato?’
‘Tutti e tre! C’&egrave un fratello che &egrave rimasto in Camerun. Ha 25 anni!’
‘Meno male: povera donna trovarsi senza un cazzo da farsi, dopo averne avuti tre deve essere davvero brutto. Naturalmente anche il terzo mazza da record?’
‘Naturalmente!’
‘E quindi io sono maman che vi fa scaricare!’
‘Una maman splendida come la nostra, Agata!’
Raggiungemmo casa: fuori dal cancello ci aspettava il fattorino per consegnare i nostri pacchetti. Lo aiutammo a portare dentro tutto, poi, mentre lui se ne andava, prendemmo le ultime cose acquistate dalla nostra macchina, proprio mentre Graziella parcheggiava dietro di noi.
Posammo i pacchetti sul tavolino, in salotto e sedemmo insieme a lei ad illustrare i particolari della situazione. Lei ascoltò in modo molto professionale, prendendo degli appunti, quindi tirò le fila.
‘Quel che vogliamo, quindi, &egrave un permesso di soggiorno per motivi di lavoro. Quindi ci serve un lavoro. Poi abbiamo dei titoli di studio di cui dobbiamo ottenere il riconoscimento, ma questo lo possiamo vedere con più calma quando avremo risolto il problema della permanenza in Italia. Se possiamo spostare la residenza in una casa idonea &egrave già un buon punto di partenza.’
‘Possiamo spostarla al numero accanto al mio: risulta come un appartamento diverso!’
‘Ottimo! Idee per il lavoro?’
‘Uno potrebbe essere il mio giardiniere e l’altro’ non lo so’ badante?’
‘Si può anche fare? Ma, perdonatemi, perché hai tanto interesse nei loro confronti, Agata?’
‘Beh, lui mi ha salvato la vita, quando ho avuto l’infarto.’
‘Capisco!’
‘Ti andrebbe una bibita?’
‘Magari un t&egrave, grazie!’
Mi allontanai, per prendere il t&egrave da servire. Al mio ritorno, Graziella soppesava l’intimo e le gonnche avevo acquistato, con fare professionale, suscitando l’ilarità dei due africani.
‘Dunque, &egrave un debito di riconoscenza. La vita non ha prezzo ed &egrave giusto che tu ripaghi questo ragazzo soddisfacendo i suoi bisogni. Magari anche il fratello’ Se poi ne vale la pena’.’
‘Vale, vale! Ti assicuro che vale!’
‘Non ho dubbi! Solo, mai avrei pensato a tanta depravazione in una come te. Sei sempre stata una donna integerrima, una moglie ed una madre devota’ Cosa &egrave scattato?’
‘Al tuo posto mi chiederei cosa lo ha fatto scattare!’
‘Tu sai che io, invece, non sono mai stata una bigotta. Non credo ci sia qualcosa di tanto diverso tra uomo e uomo.’
‘Ti sbagli! La differenza può essere tanta, ma proprio tanta.’
‘Addirittura?’
‘Non puoi neanche immaginarlo!’
Graziella prese a muoversi sulla sedia.
‘Se volevi incuriosirmi, ci sei riuscita. E ora?’
‘Devi chiederlo a loro se vogliono farti vedere’ la differenza!’
Volse lo sguardo sui fratelli, con aria interrogativa. I due si guardarono, sorridendo.
‘Io no ho problema a mostrare. Però anche tu fai vedere!’
‘Cosa dovrei farti vedere?’
‘Perché tu no provare mutandine di maman?’
‘Io? Ci sto due volte ed anche di più!’
In effetti, Graziella &egrave molto più magra di me: una bellissima donna, intendiamoci, con un ovale del viso perfetto e la pelle elastica come quella di una ventenne; due occhi grandi e verdi; capelli lunghi; seno procace, una quarta; un culo a mandola che esalta con gonne e pantaloni attillati. Insomma: siamo due bellezze diverse.
‘Tu provare solo. Per vedere come sta! Poi, se vuoi, io mostrare a te nudo.’
‘E no! Non bariamo: abbiamo detto tutti e due.’
‘Guarda che poi ti viene voglia di entrambi!’
‘Solo vedere!’
‘Ok! Se loro ci stanno, per me non ci sono problemi. Intanto vediamo quest’intimo!’
‘Vado a cambiarmi di là?’
‘Come vuoi! Non &egrave che ci sia grande differenza tra averlo e non averlo.’
‘Va bene. Mi spoglio qui!’
In effetti, i capi le cadevano di dosso, suscitando più ilarità che interesse, ma nei momenti in cui rimaneva nuda, notavo che i ragazzi erano tutt’altro che imperturbabili.
‘Ora tocca a voi!’ Disse, mentre ancora sfilava gli ultimi capi provati. Non riuscì a rivestirsi, perché i ragazzi si spogliarono in un baleno, calamitando il suo sguardo ed il suo desiderio.
‘Porca troia, che armamento non convenzionale! Ce lo avete il porto d’armi? Ora mi fate toccare, però. Mamma mia, quanta grazie. Ci credo che non vuoi farteli scappare!’ era già inginocchiata tra di loro e alternava i loro cazzi nella bocca con una brama indescrivibile.
‘Vieni, maman!’ mi invitò Louis. Stavo per muovermi, ma Graziella mi fulminò.
‘Tu stai là, che hai tutta la notte. E tu tranquillo che ci pensa la zia Graziella a soddisfarti. Maman un cazzo, stasera.’
Non mi restò che sedermi in poltrona a sditalinarmi, guardando loro tre che facevano acrobazie. E quando dico acrobazie, intendo per davvero: avevano girato Graziella a testa in giù e mentre lei cercava invano di ingoiare entrambi i loro cazzi. Loro si accanivano sulla fia e sul buco del culo di lei, slinguandola selvaggiamente e strappandole gemiti di piacere che ancor di più mi eccitavano e mi spingevano ad aumentare il ritmo della mia mano. Poi Louis si sedette: Graziella non aveva bisogno di piegarsi più di tanto per imboccarsi la sua verga, mentre Franck la penetrava e la sbatteva, costringendo il suo seno ad oscillare vertiginosamente.
Quando, dopo essere venuti, si quietarono, Graziella si rivestì, mi chiamò in disparte e mi disse:
‘Mi devi un favore! Ricordi che ho un monolocale affittato ad uno studente universitario? Mio marito ha scoperto che scopo con lui e devo mandarlo via, ma non ho nessuna intenzione di perderlo.’
‘Non preoccuparti! Qui di posto ce n’&egrave, anche perché noi tre occupiamo un solo letto. Piuttosto’se io ti devo un favore, tu me ne devi due, ricordalo.’
Mi guardò con aria interrogativa.
‘Ho scoperto che mi piace far la troia e non intendo fermarmi, tutto qua!’ risposi enigmatica.
‘Dirò a Gianmarco che può trasferirsi quando vuole!’
‘Anche stasera, cara!’ avvicinai il capo e la baciai sulle labbra ‘Buonanotte, amica mia. La mia sarà movimentata, ma dolcissima!’

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