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Morbosa Corrispondenza – Capitolo 6

By 26 Marzo 2024No Comments

Mena

Il profumo della campagna, le lunghe distese di alberi di ulivi, il cielo che si colora di rosso. Correva da ore e le gambe iniziavano ad essere indolenzite, sebbene fosse abituata a quella piacevole sensazione di sforzo fisico. Adorava il silenzio di quei sentieri fuori mano, dove la natura non aveva ancora ceduto il passo ai rumori dell’uomo e dove poteva riflettere in pace. Prima della fine del sentiero c’era una discesa piuttosto scomoda e pavimentata sommariamente con dei sassi da cui, superata una piccola chiesa abbandonata, si raggiungeva la strada di casa.
Non voleva rallentare il passo e nemmeno fermarsi, quindi prese la discesa in velocità con dei piccoli salti ben coordinati, passando da un sasso all’altro del sentiero, proprio come faceva quand’era piccola. Atterrando, per poco non inciampò su un masso piuttosto malfermo che invece, fortunatamente, la aiutò a scattare, consentendole di proseguire la corsa senza intoppi. Nella vita, non sempre le cose andavano male. Purtroppo, spesso non si poteva scegliere dove e come essere sfortunati.
Dopo la tragedia di Roberto, nulla sarebbe più stato lo stesso. Suo marito era sveglio ma non parlava, restava inerte. I medici scrollavano le spalle. Nessuno voleva dirle se ci fossero possibilità che tornasse lucido.
Mena non si faceva illusioni, dopo le dimissioni di Roberto dall’ospedale sarebbe stato tragico per lei e suo figlio tirare avanti.
Non avevano le energie mentali né i mezzi per accudirlo a dovere e lei iniziava a covare la recondita paura che suo marito scomparisse senza avere le cure che meritava, tutto ciò per pura debolezza di sua moglie.
Si sarebbero indebitati inutilmente e avrebbero perso tutto.
Apprezzava come suo figlio Toni cercasse di tirarla su di morale e promettesse di trovare lavoro per guadagnare abbastanza da pagare le cure a suo padre. Purtroppo anche lui era umano e invece di cercare un lavoro passava le giornate chiuso in stanza a guardare il computer.

Non gliene faceva una colpa, anzi. Toni era stato colpito da quella disgrazia proprio come lei e non poteva pretendere che così giovane reagisse in maniera lucida. Però avrebbe voluto aiutarlo a uscire fuori dal triste bozzolo di quei giorni anche se non sapeva come.
Al momento la priorità di Mena era trovare i soldi. Tanti soldi. Come fare?
Aveva provato a prendere il discorso con sua sorella. Ingenuo da parte di Mena pensare che Teodora li aiutasse. Si era limitata a dire che “poi si sarebbe visto, l’importante è pregare” e aveva cambiato argomento.
Purtroppo, sua sorella era tanto devota a Dio quanto tirchia. Mena sospettava che negli ultimi tempi Sergio l’avesse maltrattata al punto da renderla ancora più arida, dura e instabile come la pietra che aveva scavalcato. Non le avrebbe più chiesto nulla, piuttosto sarebbe andata a rubare. O peggio, a prostituirsi. Si fermò di colpo, quasi impaurita dal suo stesso pensiero. No, questo no.
Andare con sconosciuti, farsi pagare per del sesso.
E se qualcuno dei suoi conoscenti l’avesse scoperta?
Si piegò appoggiando le braccia alle ginocchia e riprese fiato. Il cuore le batteva forte, probabilmente per la corsa.
Se lo avesse saputo Toni?
Se avesse saputo che sua madre si faceva pagare per soddisfare le voglie degli estranei? Chi sarebbero stati i suoi clienti? Anziani ricchi e potenti? Uomini maturi sposati e senza scrupoli? Ragazzi giovani e passionali dell’età di suo figlio?
Ebbe le vertigini, come se davanti a sé si aprisse un mondo di vergogna, pensieri proibiti e paure nascoste. Il pensiero di tradire suo marito la faceva stare male. E c’era dell’altro. In cuor suo temeva che le potesse perfino piacere! Dopotutto era una professione come un’altra e, anzi, molto redditizia. Da tanti anni era a suo agio con la propria femminilità e ci avrebbe messo ben poco a rispolverare la sua lingerie più sensuale, i suoi trucchi più provocanti.
Sorrise tra sé pensando che, in fondo, le “premesse” per quel lavoro non le mancavano e diede una buona palpata al suo proprio seno. Erano ancora sode, piuttosto grosse, sensibilissime al tatto. Si ritrovò ad immaginare un giovane cliente aggrappato alle sue mammelle, intento a succhiarle con passione, lei che lo fissava teneramente, gli accarezzava piano il capo.
“So che, in alcune culture, palpare lì è un gesto che scaccia la sfortuna. Spero tu non ne abbia bisogno, cara”. Disse pacatamente una voce vicina.
Si mise nuovamente eretta, sorpresa da quell’intervento improvviso.

“Chi..”
Si trattava di un signore sulla quarantina, vestito di scuro. Era seduto sul muretto della chiesa abbandonata. Notò che indossava l’abito da prete.

“Perdonami, non volevo spaventarti. Sono Don Marco e da ieri ho l’onore di essere il sacerdote di questa bella parrocchia, piacere di conoscerti”.
Mena si presentò goffamente e, un po’ imbarazzata e divertita allo stesso tempo, non resistette a fare una battuta.
“Senza offesa, Don, ma potevano darle un onore migliore! Saranno sei o sette anni che passo vicino a questa chiesa e non l’ho mai vista aperta, temo che avrà il suo bel daffare a rimetterla in attività”.
“Visto, cara Mena? Grazie alle mie fatiche potrai fermarti comodamente a pregare dopo ogni corsa”.
Mena scosse la testa, un po’ po’ infastidita: “Mi scusi Don, pregare non fa per me”.
Don Marco accennò una risata. “Potrei farti qualche bel sermone sull’importanza della preghiera per la tua anima ma forse non ne hai bisogno”.
Mena lo salutò educatamente e fece per allontanarsi. Basta preghiere. Basta bigotte.
“Però, se ti servisse qualcuno con cui parlare, io sarò qui”. Aggiunse Don Marco e indicò, sorridendo, il vetro rotto di una finestra. “Non scappo, mi sa che ho tanto lavoro davanti a me”.
Mena sorrise di rimando. “Allora proverò a pregare per lei”, disse di sfuggita e se ne andò.

Anna

“Allora? Ti prepari? Lia ci sta aspettando!”
Toni la ascoltò senza mostrare particolari emozioni e restò a guardare la televisione senza nemmeno accennare ad alzarsi per vestirsi, atteggiamento che diede i nervi ad Anna. Continuava a ripetersi che era colpa della maledetta situazione, della malattia di suo padre, eppure il pensiero non la rassicurava. Da settimane non uscivano né si distraevano in alcun modo.
Il ritorno di Lia era stato una bella ventata di novità ed erano riusciti ad organizzare delle cene a casa e gli animi si erano leggermente rasserenati, però Toni continuava ad apparire abulico. Alternava periodi chiuso in stanza “a giocare al computer” a ore trascorse sul divano.
Non giocava nemmeno a calcio, incredibilmente.

Il suo fidanzato era diventato un pantofolaio apatico e segaiolo?
Quella sera, Anna aveva prenotato un tavolo per tre in un locale esclusivo in città proprio per aiutarlo a riprendersi. Ma lui non voleva saperne: “Dai amore, andate tu e Lia. Non mi va di uscire stasera”.
“È da parecchie sere che non ti va di uscire, sarebbe pure giusto fare un’eccezione”.
“Lo sai che la situazione è quella che è, preferisco stare a casa per adesso”.
“A giocare al computer e tutto il mondo fuori?” Sorrise timidamente lei.
“Non mi piace questo tono, Anna.”
“Scusa. È solo che mi piacerebbe trascorrere più tempo assieme, tutto qui.”
E arricciò le sensuali labbra truccate di rosso acceso. “In compagnia.. e da soli.”
“Passate una buona serata, tu e Lia.”
Anna si voltò e uscì, rassegnata.
Era stata inutilmente sincera una volta di troppo.

Luca

Ricordava chiaramente la sua infanzia e quella di sua sorella. Una volta un loro lontano parente chiese alla piccola Lia se per caso avesse un fidanzatino e lei, con un sorriso da bimba birbante, disse che era fidanzata con suo fratello Luca, tra le risate di tutti gli adulti presenti e lo sbigottimento di Luca. Lia rideva e andò a prendersi un lecca-lecca, tutta contenta, dalle mani di suo padre Sergio che aveva le lacrime agli occhi dalle risate.
Probabilmente, già allora Sergio rideva di lui.
Luca lo sapeva, suo padre non lo aveva mai rispettato. Lo considerava poco più che uno smidollato, non gli aveva mai voluto bene. Quasi nessuno in quella casa gli voleva bene.
Suo padre lo disprezzava, suo fratello Alessio lo ignorava. Sua madre Teodora era un gradino sotto il diavolo, mandata sulla terra per legarlo alla sua cuccia e tiranneggiare su di lui.
Solo la sua fidanzatina dell’infanzia poteva salvarlo, l’unica che tenesse a lui. Solo Lia. Da allora le era sempre stato fedele. Amava sua sorella, così dolce e intelligente, ma allo stesso tempo avvertiva il peso della sua di una perversa eccitazione tutte le volte che l’aveva spiata, che aveva fantasticato.

Gli capitava spesso di perdersi nelle sue proprie fantasie sessuali. Se la mamma lo avesse saputo, probabilmente lo avrebbe seppellito di insulti. Suo padre lo avrebbe deriso, povero imbranato. Ma a Luca non importava, non era colpa sua se il cuore e il sesso lo spingevano nella stessa direzione, verso le candide braccia di sua della sorella.
Cercò rapidamente un video porno online; aveva tanta voglia di confessarle il suo amore ma doveva accontentarsi di un simulacro.

Blonde. Big tits. Blowjob. Cum in mouth. GFE. Parole chiave così familiari. Cercava in attrici pornografiche uno spiraglio, un’immagine di lei. Nomi come Lucie White, Skylar Vox, Eva Elfie, Blake Blossom e Alexis Adams lo perseguitavano, lo facevano impazzire.
Scelse accuratamente su pornhub un video tra i suoi preferiti: “Hot BJ and fuck with big tit blonde Skylar Vox”.
Si abbassò il pantalone della tuta e tirò fuori il cazzo già duro.
Prese il lubrificante e ne spalmò un pochino sulla punta del membro, mentre fissava la bionda seducente spogliarsi piano.
Era lei. O meglio, quello era il suo corpo.
Formoso, ben fatto, florido. Iniziò a masturbarsi, piano, senza perdersi i movimenti regolari della bionda che stava montando di gusto il grosso membro dell’attore, sospirando e gemendo con notevole concentrazione.
Pensò con un po’ di rammarico che se solo avesse avuto gli occhi chiari a mandorla e la bocca più pronunciata, Skylar Vox sarebbe stata tra le sue attrici preferite.

Suo padre avrebbe detto che erano ragionamenti da segaiolo. Accelerò il ritmo della masturbazione ma si accorse con frustrazione che l’erezione era scemata tra le sue mani.
Fissò il suo proprio membro floscio, sicuramente influenzato dai suoi pensieri tristi: perché mentirsi o colpevolizzarsi?
Le sue fantasie lo avevano salvato e maledetto allo stesso tempo.
Sapeva di essere un segaiolo, un segaiolo di sopravvivenza. In una famiglia così opprimente, era inevitabile che cercasse una via di fuga dalla realtà. Aveva sempre e solo fatto quello, chiudersi e passare le giornate con il coso in mano. Ma ora le cose dovevano cambiare e lui doveva prendere una decisione prima che Lia partisse e lo lasciasse di nuovo solo.
Quella sera sarebbe stato diverso, aveva preso la decisione di dirle tutto.
Quella sera le avrebbe chiesto di guardare un film in camera sua e avrebbe trovato il coraggio di confessare.
Le avrebbe aperto il suo proprio cuore e, finalmente, il fato avrebbe deciso al suo posto.

Lia

Aveva letto da qualche parte una citazione del tipo: “le donne vorrebbero essere puntuali, ma tutto inizia così maledettamente presto!”
Beh, chiunque l’avesse scritta aveva dannatamente ragione.
Vestirsi per uscire era sempre un dramma, finiva sempre per non indossare quello che voleva. Fin da adolescente, Lia avrebbe voluto un fisico più “asciutto” con curve appena accennate invece di un fisico procace che faceva disperare sua madre, sempre pronta a imporle maglioni e t-shirt over size che conferivano al suo torso un “effetto scatola” a discapito della sua vita sottile. Dopo molte indecisioni scelse di indossare una maglia a collo alto di colore rosa e un pantalone bianco a zampa di elefante. Niente di troppo sgargiante, valeva la pena evitare incidenti diplomatici con sua madre. Avrebbe tanto voluto truccarsi di più ma scelse un look “acqua e sapone”. Niente rimmel, rossetto, eyeliner e matita, solo una leggera ombreggiatura sulle palpebre. Sotto gli occhi sospettosi della madre, intenta a cucinare, Lia si avviò frettolosamente verso la porta di uscita quando suo Fratello Luca la fermò per chiacchierare.
“Ciao sorellina, dove vai di bello?”
“Luchino, esco. Mi vedo con Toni e Anna, poi andiamo a fare un giro!”
“Ah, ma a che ora torni?”
“Penso di fare tardi, non mi aspettare.”
Luca aveva iniziato ad incartarsi e a balbettare, come al solito.
“Ah, perché.. non fa nulla.. solo.. mi chiedevo se.. stasera ci fosse qualcosa di bello in televisione..”
Lia aveva fretta ma non voleva piantarlo lì: “Luchino, la televisione la guardiamo sempre! Perché non ti unisci a noi? Dai che ci divertiamo”.
Teodora si voltò e intervenne, perentoria.
“Luca mi ha già detto che stasera intende rimanere a casa a guardare un film, tu piuttosto non fare troppo tardi, Lia”.
Luca abbassò lo sguardo.
“Sicuro, Luchino?”
“Massì, oggi non mi va proprio di uscire, tu divertiti!”
“Ok fratellino a dopo!”
Uscì di corsa e non percepì gli occhi di suo fratello fissi su di lei, umidi come vetro pallido in una notte invernale.

Toni

Da quando si erano salutati, Anna aveva trascorso il resto della giornata a mandargli messaggi su whatsapp. Emoticon di baci, labbra, schizzi. Quella stronza giocava con lui. Col pretesto di tirarlo su di morale, voleva solo convincerlo a vederla, scoparla, uscire con lei. E averla finalmente vinta.
Non riusciva proprio a immaginare che le cose non andassero come voleva lei ed era proprio per quello che Toni la stava deliberatamente ignorando, rispondendole raramente e a monosillabi. Vide dall’anteprima del messaggio che aveva inviato una foto. Stava scegliendo le mutandine per la serata e voleva un consiglio.
Le mutandine erano in fila sul letto, una più striminzita dell’altra. La foto era scattata di fronte lo specchio di camera di Anna ed era evidente che il consiglio era solo un pretesto per inquadrarsi “involontariamente” e mostrarsi a lui mezza nuda, le cosce sinuose e perfette fasciate da un paio di parigine. Le chiese sarcasticamente chi intendesse incontrare con quelle mutandine così appariscenti.
“Esci con noi e lo saprai” rispose Anna.
Toni avrebbe voluto litigarci ma in quel momento la porta di casa si aprì ed entrò sua madre Mena.
“Sono tornata!”
“Ciao Ma’!
Un odore familiare si sparse nell’aria, sudore e terra; sua madre faceva certe corse da vera atleta professionista. Era un profumo così familiare, acre e un po’ acidulo, si mischiava alla perfezione con il deodorante di mamma e lo rendeva un odore così intimo, quasi calmante nella sua familiarità.
Mena gli sorrise. “Non ti prepari per uscire?”
“No Ma’, penso di restare a casa oggi.”
“Allora se non ti serve la doccia, la uso io. Sono zuppa di sudore! È stata una bella corsa.”
“Vai pure Ma’!”
Toni non la perse di vista un secondo mentre entrava in bagno e, prima che chiudesse la porta dietro di sé, riuscì a intravedere la sua bella schiena nuda e abbronzata. Amava guardare quella schiena, la pelle scura, liscia e molto tonica. Solo una spruzzata di macchie solari sulle spalle tradiva il fatto che non fosse la schiena di una ragazzina.
L’odore di sudore della madre lo rassicurava e allo stesso tempo colpiva i suoi centri nervosi, lo emozionava repentinamente riportandolo al suo passato. In quel periodo così complicato Toni riusciva a stare meglio anche rifugiandosi nei ricordi d’infanzia. Si distese a letto e iniziò a ricordare. Da piccolo era energia pura: sempre intento a giocare, muoversi, correre e gridare; amava passare il tempo con sua madre, erano inseparabili già allora. Ricordava che quando era triste o annoiato, sua madre lo abbracciava e, per tirarlo su di morale, lo afferrava e lo buttava sul letto gridando “momento lotta!” e si avventava su di lui ridendo e cercando di bloccargli le braccia. Era il loro gioco preferito, lui doveva liberarsi dalla stretta di lei: la mamma lo lasciava divincolare un po’ po’, poi lo lasciava scappare, dicendo “Oh no, ce la sta facendo, incredibile, me l’ha fatta anche stavolta “; poi si davano il cambio, lui si sedeva sopra di sua madre che doveva cercare di scappare.

Toni si rendeva conto che sua madre fosse più forte di lui, quindi avevano inventato delle parole chiave che servivano per riequilibrare le forze in campo. Ad esempio se Toni diceva “Ghiaccio”, lei era costretta a bloccarsi e a rimanere ferma a suo piacimento, mentre lui si posizionava, ridendo, in maniera da bloccarla facilmente (“ah manigoldo, me l’hai fatta anche stavolta!”).
L’altro gioco era quello di impedire all’altro di prendere dei pupazzetti o soldatini di plastica. Era molto sfidante perché oltre alla forza fisica era necessaria una notevole agilità e non sempre sua madre se la cavava meglio di lui in questo.
Erano azzuffate divertenti e li lasciavano entrambi stanchi e felici. Toni trovava rassicurante il loro contatto fisico quando, durante la zuffa, incontrava lo sguardo di sua madre. Toni non se n’era nemmeno accorto, ma il ricordo aveva deviato in quella che aveva tutta l’aria di una fantasia, un pensiero inspiegabilmente sessuale in un ricordo passato.
All’epoca, molto spesso quella lotta si trasformava in un abbraccio e in una raffica di baci, momenti affettuosi che si insinuavano comicamente nel corso della baraonda. Di colpo, Toni pensò a sua madre che si azzuffava con lui, lo sguardo serio mentre, soddisfatta, gli bloccava entrambe le braccia e lui che, d’improvviso, la baciava sulle labbra per disorientarla.
Lei che rideva, lui che, gongolante, si piazzava sopra di lei vittorioso e le bloccava le mani.
L’adrenalina gli giocava strani tiri, sentì che il membro era eretto e lo tirò fuori, mostrando l’asta bollente a sua madre che rideva di quello scherzo. Solo immaginare l’idea che il suo uccello fosse a pochi centimetri da lei lo fece andare fuori di testa, mentre sognava lei che tentava di divincolarsi, lo sguardo fisso sulla cappella gonfia di suo figlio.
Di colpo, immaginò la mano destra di sua madre avvicinarsi e sfiorargli il cazzo con le dita per poi afferrarlo a metà della base.
Ormai ce l’ha in mano, sembrava quasi che lo stringesse. Toni non aveva detto “Ghiaccio”, allora perché non iniziava a segarlo? Cosa aspettava? Nemmeno nella sua fantasia ci sarebbe riuscito?
Poi, la sua mente decise per lui e gli sembrò che sua madre Mena gli dicesse solo “rilassati”; poi mamma si mise della saliva sulla sua mano e la passò sul glande, dopo aver tirato giù la pelle; a quel punto iniziò una sega incredibile, lenta e costante con le sue mani affusolate, mentre con la mano sinistra gli massaggiava i testicoli e con la destra muoveva la pelle, alzandola ed abbassandola sulla cappella che aveva ben inumidito.
Sentiva le unghie lunghe e appuntite di mamma che gli solleticavano lentamente lo scroto, scendendo piano verso il suo ano.
Ogni volta che la pelle scendeva e saliva ricoprendo la cappella, era un tocco di estasi.
Toni si accorse a malapena di essere venuto, sborrando ovunque, sul suo petto e sulle mani; continuò la sega, implacabile.
Molte seghe dopo, il ragazzo realizzò finalmente di essersi masturbato pensando a sua madre.
E che gli era piaciuto da matti.

Lia

“Esisto solo con la luce, con l’oscurità la mia vita subito finisce. Cosa sono?”
“Non ne ho idea!” Rispose Lia incuriosita.
“L’ombra!”
Lia rideva come una matta mentre beveva il suo cocktail. Anna era davvero simpatica e quell’inedita uscita tra ragazze si era rivelata un’ottima idea. Non conosceva bene la fidanzata storica di suo cugino ma le sembrava una tipa affabile. Il locale era carino e c’era molta gente, il contesto era piacevole; avrebbero dovuto vedersi più spesso, aveva così poche amiche in Paese. Poi notò un ragazzo moro avvicinarsi al loro tavolo e pensò che, forse, la serata poteva evolversi in maniera ancora più interessante.

Mena

Aprire un account su un sito di annunci erotici era quanto di più estraneo dal proprio ordinario modo di comportarsi, eppure sapeva che in tempi eccezionali servivano misure eccezionali. Forse fu per l’anomalia del momento che si ritrovò, eccitata come una bimba che ha appena marinato la scuola, a scegliere il proprio nickname. Rimase dubbiosa per qualche minuto, mordendosi il pollice mentre rimaneva distesa a letto con il cellulare nell’altra mano. Sperò che nessuno la scoprisse, soprattutto suo figlio. Ripensò a come gli amici di suo figlio lo avessero soprannominato “Zaniolo” e digitò, in onore della mamma del calciatore, il nickname “Francesca4You”.
Il dado era tratto.

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