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Racconti di DominazioneRacconti Erotici EteroTrio

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By 14 Ottobre 2012Dicembre 16th, 2019No Comments

Giovanni era per l’ennesima volta nell’ufficio della preside, a sorbirsi per l’ennesima volta l’ennesima ramanzina per l’ennesimo ritardo. Ma a lui non importava. Quei dieci minuti di cazziatone quotidiano gli permettevano di stare a stretto contatto con la donna dei suoi sogni e lui non chiedeva altro. La professoressa Lonzi gli faceva ribollire il sangue.
Aveva da poco passato i quaranta ma ai suoi occhi era ciò che di più eccitante esistesse al mondo. La desiderava da quando si era trasferito in quel liceo a quindici anni e ora che ne aveva diciotto aveva perso il conto del numero di seghe che le aveva dedicato.
I suoi capelli rosso mogano incorniciavano un viso segnato con benevolenza dal tempo, solo qualche ruga sotto gli intensi occhi castani e agli angoli della bocca carnosa che avevano l’unico effetto di rendere il suo viso ancora più interessante. Ogni giorno indossava un tailleur diverso, impeccabile ed elegante, emanando sensualità e severità da ogni poro della pelle. La sua camicetta, slacciata all’altezza del primo bottone, lasciava intravedere un seno enorme e pieno in cui gli occhi di Giovanni sprofondavano ogni giorno, come fossero caduti in un pozzo da cui era quasi impossibile risalire e che lo guidavano verso dei fianchi e delle cosce leggermente in carne che ben si sposavano con la morbidezza della sua figura.
Una bellezza irresistibile oltre che inarrivabile.
Giovanni infatti non era ciò che si dice un bel ragazzo, era alto, ma molto sovrappeso e ciò l’aveva portato ad essere l’oggetto di derisione della sua classe e di una compagna in particolare, Enrica Tortona, che non perdeva occasione per chiamarlo palla di lardo o chiappe molli tra l’ilarità degli altri studenti.
Quella cazziata sarebbe stata il momento culminante della sua giornata.
Era ormai nello studio della preside da dieci minuti e da nove la sua devastante erezione lo costringeva a muoversi inquietamente sulla poltroncina. Ogni tanto si sistemava il giubbotto per avere una scusa per toccarsi la patta dei pantaloni fingendo di ascoltare un discorso che si sarebbe ripetuto il giorno dopo e quello dopo ancora.
‘Giovanni non ti senti bene?’
‘No professoressa’ rispose lui continuando ad agitarsi sulla poltrona.
‘Va bene, puoi andare anche per oggi, ma ti avverto che è l’ultima volta, al prossimo ritardo non mi limiterò alla solita ramanzina, ci saranno conseguenze disciplinari’
Per Giovanni fu come uno schiaffo, si alzo annuendo e uscì dallo studio.

Sali al secondo piano, sarebbe andato certamente in classe ma prima doveva fare una capatina in bagno per sfogarsi. Era eccitatissimo e oggi sarebbe stata l’ultima volta in cui avrebbe potuto dedicarne una alla Lonzi e aveva tutta l’intenzione di godersela come si deve. Sua madre l’avrebbe ucciso se ci fossero stati richiami ufficiali e a malincuore doveva smettere di arrivare in ritardo per godersi la compagnia della preside.
Il signor Bruno, il bidello del suo piano lo saluto con entusiasmo, incitandolo a correre in classe, lui risposte al saluto e girato l’angolo senza guardare si infilò in bagno.
Lascio cadere lo zaino alle sue spalle, si liberò del giubbotto ed estrasse il cazzo dai pantaloni iniziando a menarselo selvaggiamente. Apri la porta di uno dei gabinetti e un urlo soffocato lo raggelò rendendolo più rigido del suo cazzo.
Enrica Tortona seduta sul cesso e lo guardava shockata dal basso in alto.
‘Che cazzo fai nel bagno delle femmine, Palla di Lardo?’ gli gridò lei cercando di ricoprirsi.

Il professor Amedei stava chiamando all’interrogazione ed Enrica era terrorizzata. Non aveva studiato quel giorno e doveva assolutamente levarsi da li il più presto possibile. Era stata bocciata già due volte, ed avere vent’anni ed essere ancora in quinta superiore la frustrava non poco.
Alzo la mano colta da una banale ispirazione.
‘Cosa c’è Tortona?’
‘Non mi sento molto bene, posso andare in bagno’
Il Professor Amedei per lei aveva una predilezione dovuta più alle sue lunghe cosce, ai suoi capelli corvini e alle sue labbra carnose che alla sua dedizione allo studio e acconsenti.
Sghignazzando era corsa nel bagno delle ragazze e, per non destare sospetti, si era seduta in uno dei gabinetti quando un sms la distrasse facendole dimenticare di chiudersi a chiave.
Dopo qualche minuto era entrato Palla di Lardo e il suo spavento era stato subito sostituito da una rabbia che aveva bisogno di sfogare.
‘Che cazzo fai nel bagno delle femmine, Palla di Lardo?’ Iniziò a sgridarlo, aveva intenzione di fargliela pagare per questa sua stupida intrusione.
Poi il suo sguardo scese involontariamente dalla sua faccia tonda a ciò che reggeva in mano.

Era uno dei cazzi più grossi che avesse mai visto, e ne aveva visti parecchi. Lungo e scuro, con le vene pulsanti in vista e una cappella violacea che superava di parecchio la circonferenza già non trascurabile dell’asta. Anche se leggermente storto aveva un suo fascino, le ricordava un tronchetto.
Le gambe iniziarono a tremarle e la sua bocca si apri in un’espressione ebete.
Anche Giovanni la stava fissando. Trovarsi Enrica davanti, con i jeans abbassati fino alle caviglie era un’esperienza non da poco e nonostante lo spavento il suo cazzo non aveva perso la propria consistenza.
Sapeva di averne uno di tutto rispetto, con Marco, il suo migliore amico, se l’erano misurati e sopravanzava il suo, che comunque non era indifferente, di svariati centimetri. Vedere come Enrica glielo stava guardando con quei profondi occhi azzurri lo spinse ad osare.
La prese per i capelli facendola inginocchiare nel sudicio pavimento di quel cesso senza darle il tempo di rivestirsi e le punto la nerchia contro la bocca ancora semiaperta.
Enrica si riebbe nel momento in cui la cappella le tocco le labbra, iniziando a sbraitargli contro.
‘Cosa cazzo credi di fare Palla di Lardo. Cosa ti sei messo in testa, povero coglione?!’ cercò di sottrarsi da quella morsa ma non riusciva a distogliere lo sguardo dall’uccello che le si stava strusciando contro il viso mentre il suo tono di voce si stava abbassava sempre di più.
Tre anni di offese e frustrazioni stavano per essere lavate, e non col sangue pensò Giovanni, approfittando del suo blaterare per infilarglielo in bocca.
‘Zitta! Ora mi hai veramente rotto i coglioni’ disse iniziando a muoversi tra le sue labbra.
Per la sorpresa Enrica ebbe quasi un conato di vomito. Palla di Lardo la stava scopando in bocca. La stava violando col suo grosso cazzo e lei l’aveva lasciato fare.
Con un brivido lungo la schiena si accorse che si stava bagnando.
Decise di abbandonarsi a lui, ci avrebbe pensato dopo a fargliela pagare.

Giovanni era come impazzito, le teneva la testa contro la porta del bagno e la pistonava in bocca sfogando tutta la rabbia accumulata contro di lei negli anni passati. Sembrava un animale, un orso spelacchiato e sudato. Ogni tanto lo tirava fuori e la schiaffeggiava col cazzo lungo tutto il viso come aveva visto in un’infinità di film porno e lei muoveva la testa a destra e sinistra, cercando apparentemente di ritrarsi, ma mettendo così a disposizione di quegli schiaffi tutto il suo viso per poi farselo riguidare in bocca. Si era accorto che Enrica iniziava a venirgli incontro con movimenti decisi cercando di ingoiare il suo cazzo il più possibile, affondandogli le mani e le unghie nelle chiappe flaccide.

Marco non ci crederà mai, penso Giovanni, e subito gli balenò in mente un idea. Prese il cellulare e compose un breve sms per il suo migliore amico, smettendo di muoversi:
Bagno delle ragazze, sbrigati!!!
‘Cosa fai col cellulare? Non vorrai fare un video?’ Enrica smise di succhiare e guardò Giovanni spaventata.
Gli aveva appena dato un idea senza saperlo. Lui la prese per i capelli e glielo fece riprendere in bocca strozzando le sue proteste mentre attivava la funzione di registrazione video del suo cellulare.
‘Hai parlato abbastanza stronza, pensa a succhiare!’

Marco non tardò ad arrivare e li trovo così. Una inginocchiata ai piedi dell’altro che si faceva soffocare da spinte violente e potenti.
Marco era tutto il contrario di Giovanni, più basso, sì, ma col fisico scolpito da anni di arti marziali. Scattante e tonico, con tutti i muscoli in bella evidenza anche se non troppo pronunciati.
A differenza di Giovanni lui non era il soggetto preferito delle schermaglie della classe, anzi era piuttosto popolare. Queste loro differenze però non li avevano mai divisi e Marco era stato al suo fianco ogni volta che le cose degeneravano.
‘Ma cos…’ disse Marco avvicinandosi a loro.
‘Tiralo fuori’ disse Giovanni. ‘Enrica oggi ha deciso di scusarsi per il suo comportamento da stronza’.
Marco non si fece pregare. Non pensò che potevano essere visti da qualcuno, che nessuno aveva chiuso la porta a chiave e che da un momento all’altro sarebbe potuto entrare qualcuno.
Aveva diciotto anni e a quell’età quando ce l’hai duro è il cazzo a comandare. Lo tirò fuori e lo portò all’attenzione della sua compagna.

Enrica si accorse del nuovo arrivato solo in quel momento e sgrano gli occhi ritraendosi sorpresa dalla morsa di Giovanni.
Osservo Marco, poi il suo uccello, più piccolo di quello di Giovanni ma nemmeno di tanto, tozzo e dritto come un chiodo. Era un signor cazzo anche il suo.
Lui le era sempre piaciuto ma a causa di Palla di Lardo non avevano mai legato. Sapeva che Marco non avrebbe mai potuto tradirlo e comunque non era l’unico ragazzo carino della scuola. E ora era li. Ai suoi piedi, con un cazzo enorme che le si strofinava contro il viso e un altro che si avvicinava pericolosamente alla sua bocca. Si sentì eccitatissima e la sua mano corse tra le sue gambe dimentica che Giovanni stava ancora riprendendo.
‘Bastardi, siete due bastardi!’ sibilò e iniziò a succhiare il cazzo di Marco, guidata nei movimenti dall’amico di lui.

Si alternava tra di loro senza tregua, prendendo in bocca prima l’uno e poi l’altro. Non aveva più bisogno di essere spinta, voleva farlo e non aveva intenzione di farsi pregare. Era la prima volta che si ritrovava con due cazzi a disposizione e avere quelli di Marco e Giovanni, in quel bagno e in quella situazione l’aveva sconvolta oltre modo. La stavano trattando come la peggiore delle puttane e lei si era ormai abbandonata alle loro voglie completamente.
Si masturbava con intensità, lasciando che le sue dita dessero sollievo al clitoride paonazzo di desiderio. Li spompinava entrambi con voracità crescente. Cercando di infilarli entrambi in bocca, cosa impossibile viste le dimensioni. Quando era su uno l’altro le sbatteva il cazzo sulla faccia e questo la faceva sentire usata e sottomessa.
Era come il cliché di uno di quei racconti erotici letti su internet in cui la ragazza presa alla sprovvista finiva per prenderci gusto ma non le importava.

Decise di concentrarsi su Marco, di tenere gli occhi su di lui. A prescindere da quale cazzo la stesse scopando in bocca. Di concentrarsi sui suoi mugolii, sui suoi gemiti e perché no? Anche sui suoi insulti che certamente non le risparmiava.
‘Fammi una sega troia!’ disse Marco sottraendo alla masturbazione la mano che aveva tra le cosce e portandola sul suo cazzo.
‘Sì, fagli una sega!’ ribatte Giovanni infilandole il suo più in fondo che poteva.
La risposta di Enrica fu di iniziare a strofinarsi contro i jeans consunti e strappati di Marco, quelle irregolarità erano sufficienti a stuzzicarla dandole il piacere che cercava.
Il rumore ritmico dei suoi risucchi rimbombava in quel bagno, quando non erano loro a forzarla era lei che cercava di prenderli il più profondamente possibile per poi masturbarli contemporaneamente premendosi le cappelle ora contro la lingua ora contro le guance.
I loro gemiti erano quasi insostenibili per lei. Lasciavano trapelare tutto il piacere che gli stava regalando con le sue labbra.
Tutti e tre erano al limite, sapevano che quel momento non sarebbe durato ancora a lungo.

I due ragazzi si guardarono tra di loro per un istante.
‘Come in un film porno Marco?’
‘Sì, come in un film porno!’ rispose Marco gemendo.
Si scostarono da lei, sottraendo alla sua bocca avida i loro cazzi duri e pronti ad esplodere.
Iniziarono a farsi una sega davanti al suo viso tenendola entrambi per i capelli in modo che non potesse ritrarsi.
‘Sai cosa sta per succedere stronza?’ Chiese Giovanni gemendo ormai vicino all’apice.
‘Voi bastardi state per sborrarmi in faccia’ rispose lei e riprese a toccarsi gemendo di piacere. Non era la prima volta che le venivano sul viso, ma era il degno finale per quell’esperienza inaspettata.
‘Avanti, cosa aspettate?’ Li incitò lei ‘riempitemi di sperma!’ Aprì la bocca fissandoli con lo sguardo carico di sfida.

Per Giovanni le sue parole furono il colpo di grazia. Con una mano le afferro i capelli riguidandola prepotentemente a contatto con la cappella lucida di saliva e, senza smettere di filmare col telefono, accellerò il ritmo di quella masturbazione già feroce. Aveva resistito anche troppo. Il primo schizzo usci debole e abbondante, coprendole la guancia sinistra e altri due più rapidi le imbiancarono le labbra e la punta del naso. Non era molto sperma, ma quanto bastava per sporcarla.
Marco fu tutt’altro discorso invece. La visione del suo amico che sporcava di sborra la faccia della ragazza più stronza della scuola fu troppo anche per lui. Si menò l’uccello velocemente e avvicinandolo alla bocca di Enrica che prontamente tirò fuori la lingua leccandogli la cappella.
‘Bevi troia!’ Sussurrò quasi con sofferenza spingendola a ingoiarlo nuovamente, iniziando a venire.
Le scarico in bocca due, tre schizzi potenti e abbondanti poi lo tirò fuori e altrettanti le si riversarono in viso. Urlò di piacere riempiendo la bocca e la faccia di Enrica senza alcun riguardo, poi insieme all’amico usarono i loro cazzi come spatole per spargerle sul viso tutto quella sborra.
‘Bastardi! Siete dei pezzi di merda!’ Disse Enrica venendo insieme a loro, toccandosi come mai aveva fatto in vita sua. L’orgasmo la prese all’improvviso e continuò finché non le tolsero i cazzi di dosso.
Si appoggiò sfinita alla parete dietro di se. Lo sperma le scorreva lungo il viso e le ginocchia le facevano male per la posizione tenuta così a lungo come anche la mascella che era completamente indolenzita, ma non le importava, aveva fatto un’esperienza nuova e per giunta appagante. Forse sarebbe stata anche disposta a ripeterla in futuro con quegli stessi ragazzi che l’avevano presa con tanta foga.

Sospirò un’ultima volta prima che il suo sguardo si riempisse di terrore.
Il professor Amedei, era dietro di loro e loro adesso erano nella merda più completa.

Continua…

Capitolo 02

Il professor Amedei le porse delle salviette umide con cui Enrica poté finalmente ripulirsi il viso.
Non era mai stata nel suo studio, ma essere vicepreside non doveva comportare grossi vantaggi. La stanza era piccola e piuttosto sacrificata, probabilmente ottenuta da un’aula più grande, divisa successivamente in due locali più piccoli.
Enrica si guardò intorno tamburellando nervosamente sul bracciolo della poltroncina su cui era seduta senza riuscire a controllare l’agitarsi inconsulto della sua gamba.
Il professor Amedei era di fronte a lei, appoggiato alla sua scrivania. Silenzioso e con lo sguardo furente.
Finì di ripulirsi e porse al professore la scatola di salviettine.
‘Alzati e buttale nel cestino’ soggiunse lui infine.
Lei esegui meccanicamente prima di tornare a sedersi sulla poltroncina.
‘Cosa pensavate di fare?’ sbotto infine il professor Amedei.
Enrica non rispose, trincerandosi nel suo silenzio.

Marco e Giovanni erano nello studio della Preside. La Lonzi e Amedei avevano deciso di affrontare la situazione separatamente prima discutere del da farsi. Quindi lei si trovava lì da sola, senza avere la minima idea di come uscire da quella situazione.

‘Avete preso questa scuola per un bordello? In tutta la mia vita non ho mai assistito a una scena più vergognosa di quella. Cosa ne direbbe tuo padre?’
Enrica non aveva mai visto il professore così arrabbiato in vita sua. Era rosso in viso e le vomitava addosso parole cariche di disprezzo.
‘Non ti è bastato perdere due anni? Vuoi perderne un terzo? Hai idea delle conseguenze che un gesto del genere potrebbe portare alla tua reputazione e a quella di questa scuola?’

Enrica ne aveva un’idea ben chiara. Se si fosse saputo per lei sarebbe stata la fine. Con che faccia si sarebbe presentata a scuola il giorno dopo o quegli successivi e con che faccia avrebbe potuto guardare nuovamente i propri genitori e questo solo se non fosse stata anche sospesa, in caso contrario le conseguenze sarebbero state ben peggiori. No, nessuno doveva saperne nulla all’infuori dei diretti interessati.
Doveva pensare a una soluzione e doveva pensarci in fretta.
‘Posso fumare?’ domandò infine.
‘No, non puoi! Oggi osserverai almeno il divieto di fumo in questa scuola!’
Facendo finta di non averlo sentito Enrica prese una delle sue MS e l’accese soffiando il fumo in faccia al professore.
Fu come se avessero sventolato un drappo rosso in faccia a un toro. Il professore percorse i pochi passi che li separavano e le strappo la sigaretta di bocca spegnendola per terra.
Enrica non si lasciò intimidire. Con lentezza ripeté il gesto fissando negli occhi il professore che ora la sovrastava. Prese un’altra boccata di fumo. Finalmente aveva un piano.

‘Da quanto tempo ci stava guardando?’
Il professor Amedei stava per toglierle di bocca anche questa sigaretta ma si fermò sorpreso.
‘Cosa vuoi dire?’
‘C’è un dettaglio a cui sto ripensando da quando mi ha trascinata qui dentro. Quante possibilità ci sono che lei sia arrivato proprio nel momento in cui Marco e Giovanni mi sborravano in faccia?’
Prese una profonda boccata e sbuffo tutto il fumo in faccia al professore che non poté fare a meno di tossire.
‘Lei è arrivato molto prima ed è restato in disparte tutto il tempo a guardarci. Non è così?’
‘Ma cosa stai dicendo? Sono venuto per cercare te e Marco e vi ho interrotto appena mi sono accorto della situazione.’
‘Balle! Non c’era più niente da interrompere quando ci siamo accorti di lei.’ Enrica decise di bluffare, non aveva più niente da perdere a quel punto. ‘Sono sicura che lei fosse lì da quando è arrivato Marco e non ha potuto fare a meno di osservarci.’ Fece una pausa. Stava fumando rapidamente, era nervosa ma doveva riuscire a controllarsi.

‘Vedo come mi guarda quando siamo in classe, come il suo sguardo si insinua nelle mie scollature o come sia sempre dietro di me mentre mi inchino da qualche parte. Quando mi ha visto con due cazzi in bocca non ha avuto il coraggio di fermarmi, voleva vedere fino a che punto mi sarei spinta. è così vero?’
Il professor Amedei era arrossito di colpo. Enrica non riusciva a capire se di rabbia o di vergogna.
‘Modera il linguaggio, non ti permetto di insinuare ch…’
Enrica non diede segno di averlo sentito.
‘Avrebbe voluto unirsi a noi vero? Ero così eccitata che non mi sarei fatta pregare, ma lei ha preferito aspettare e trascinarmi qui per farmi la morale, ma solo dopo averci guardato fino alla fine. Ipocrita! Sono sicura che stasera si farà una sega pensando a me.’ concluse con disgusto.
Per un attimo ebbe la sensazione che Amedei stesse per schiaffeggiarla, invece si chino su di lei, completamente rosso in viso.
‘Sei a tanto così dal farti sospendere! Non permetterti mai più di rivolgerti a me in questo modo o ti giuro che l’anno prossimo sarai ancora qui.’
‘Ma sì, faccia quello che le pare basta che poi mi lasci in pace, sono stanca, ho avuto una mattinata faticosa io.’ fece un mezzo sorriso prima di tirare l’ultima boccata e gettare la sigaretta per terra.
‘Forse non ti rendi conto di quello che stai dicendo, guarda che sono serissimo.’
‘Mi rendo conto invece. Le sto dicendo di prendere una decisione.’ Continuò Enrica fissando Amedei negli occhi. ‘Decida se sospendermi o se ficcarmelo in bocca anche lei seduta stante!’ Chiuse gli occhi e appoggio la testa alla spalliera della poltrona.

‘Ah, Cristo!’ disse il professore e il rumore di una zip che veniva abbassata le fece capire che non sarebbe stata sospesa quel giorno. Amedei tirò fuori un cazzo durissimo spingendola ad ingoiarlo ed Enrica, come gli aveva preannunciato, non si fece pregare iniziando a succhiarglielo selvaggiamente.
Il terzo cazzo della giornata e non era nemmeno mezzogiorno pensò.
‘Era questo che volevi vero?’ Disse sputandogli sul cazzo e masturbandolo con foga ‘Volevi mettermelo in bocca, farmi succhiare come una troia vero bastardo?’
‘Sì, ma non mancarmi di rispetto troia, ricordati che devi darmi del lei.’
‘Devo darle del lei’ gemette. ‘Mi scopi in bocca allo.. uhg!’
Amedei la interruppe prendendola per i capelli e andandole incontro con movimenti del bacino. La stava scopando in bocca come lei gli aveva chiesto e come aveva visto fare ai suoi studenti poco prima.

Aveva mandato il signor Bruno a cercare Marco nel bagno dei ragazzi quando non l’aveva visto tornare in classe, poi sentendo degli strani rumori in quello delle ragazze si era incuriosito ed era entrato ritrovandosi davanti quella scena incredibile.
Era rimasto in disparte domandandosi come reagire a un fatto del genere ma il suo corpo non era stato preso dalla stessa indecisione sorprendendolo con un’erezione di quelle che non gli capitavano da anni. Avrebbe voluto che scopassero la sua alunna in quel cesso, ma non era stato così fortunato. Quando Marco le venne in bocca capì che era finita e che ci si aspettava da lui una reazione da adulto. E ora invece aveva il naso di Enrica Tortona immerso tra i peli del suo pube per quanto le stava spingendo il cazzo in gola.

Le dettava il ritmo tenendole la testa con entrambe le mani. Infilandogliene in bocca più di quanto lei potesse prenderne. Quando si spingeva troppo in là, Enrica conteneva un colpo di tosse ma non si lamentava, anzi, lo incitava con lo sguardo fisso nel suo, quello stesso sguardo che lo stava facendo impazzire.
Non importava quanto in fondo infilasse il suo cazzo, quegli occhi azzurri non si toglievano dai suoi, fissandolo vogliosa e carica di desiderio. Lei sopportava tutta la sua passione e Amedei non era affatto in vena di galanterie.
Senza smettere di succhiare Enrica si sollevò la maglietta e abbasso il reggiseno mettendo in mostra un seno non troppo grande ma veramente sodo.
Amedei non aspettò un secondo massaggiandolo mentre continuava a dettarle il ritmo di quel pompino indemoniato.

‘Leccami anche i coglioni’ ordinò imperioso.
La lingua di Enrica eseguì l’ordine come la migliore soldatessa continuando a masturbare quel cazzo che le aveva esplorato bocca e gola come un vandalo, andando addirittura oltre, concentrandosi tra l’ano e le palle per poi risalire e imboccarlo di nuovo completamente, provocando Amedei con un occhiolino.
‘Ma quanto sei troia?’ commentò lui premendole nuovamente la testa contro di se fino a farla tossire.

Enrica non ne poteva più. Si staccò improvvisamente, spingendolo via con le mani.
‘Basta! Mi fotta adesso!’
Il professore non la fece attendere. La spinse in avanti facendola piegare a pecorina sulla scrivania, slacciandole i Jeans e abbassandoglieli alle caviglie
‘Prendi la pillola?’ disse scostandole il perizoma e infilandole due dita nella figa, trovandola completamente fradicia.
‘Sì…’ fu la sua unica risposta e alle dita di Amedei seguì immediatamente il suo cazzo.
Iniziò a fotterla lentamente ma profondamente, la penetrava fino in fondo per poi uscire quasi del tutto. A ogni spinta seguiva un rantolo di Enrica. Godevano entrambi di un piacere che si erano negati per troppo tempo.
Lei era fuori di se. Stava venendo scopata in presidenza da un uomo che poteva avere l’età di suo padre e che la trattava come se fosse solo un buco da riempire. La teneva per il fianco con una mano premendole la testa al piano con l’altra e impedendole di muoversi. A renderla completamente impotente contribuivano i suoi jeans che non le consentivano di allargare nemmeno le gambe. L’unica cosa che poteva fare era reggersi alla scrivania e prendere tutto quello che il professore stava dandole.

Amedei aumentò il ritmo. Non avevano molto tempo e aveva un disperato bisogno di venire. Iniziò a muoversi velocemente, scopandola con movimenti sempre più decisi e profondi.
Enrica godeva del trattamento, ma forse un po’ troppo. Urlava ad ogni spinta cercando di andare incontro al cazzo di Amedei come meglio poteva.
‘Zitta! Devi stare zitta troia! Vuoi che ci sentano in tutta la scuola?’ Le tappo la bocca con la mano ed entrò completamente dentro di lei. Con un piede le libero la gamba destra dall’ingombro dei jeans permettendole finalmente di allargare le gambe.
La sollevo contro di se massaggiandole il seno con forza, strappandole mugolii e gemiti di piacere mentre la scopava in piedi.
Quella ragazza tirava fuori il peggio di lui, la stava scopando come non aveva mai osato fare nemmeno con la sua ex-moglie
Enrica soffocò nuovamente un urlo mordendo con forza la mano che la zittiva.
Anche Amedei urlo, ma di dolore stavolta, la sbatté di nuovo contro il piano della scrivania
‘Ti piace mordere eh?’ le sussurrò all’orecchio. ‘E allora mordi questo!’ Strappò qualche foglio da un block notes, lo appallottolò e lo forzò nella bocca di Enrica, come una museruola improvvisata.

Enrica trovò la cosa buffa, ridendo mentre continuava ad andare incontro ad Amedei, poi sentì una sensazione di calore intensissima salire improvvisamente lungo la spina dorsale. Quel gesto era così assurdo e gratuito che la stava portando all’orgasmo. Contrasse la figa stritolando ritmicamente l’uccello che l’aveva scopata fino a quel momento.

Fu troppo anche per il professore che stimolato dalla ragazza le pianto il cazzo dentro fino alla radice e la riempi di sborra con un grugnito.

Restarono ansimanti l’uno dentro l’altra per qualche minuto, incapaci di rendersi conto di ciò che era appena successo.

Enrica si stacco da lui e priva di forze, si lasciò cadere per terra mentre piccole gocce di sperma uscivano da lei bagnando il pavimento. Sputo i pezzi di carta che le tappavano la bocca e sollevò lo sguardo facendo un sorriso storto al suo professore.

Amedei le accarezzò i capelli in un gesto quasi paterno, poi la ricondusse lentamente verso il suo cazzo.
‘Puliscilo dai.’
Questo non avrebbe mai osato chiederlo alla sua ex-moglie, pensò con un sorriso mentre la ragazza leccava via ogni goccia del piacere di entrambi senza distogliere lo sguardo dal suo.

Continua…

La professoressa Lonzi alitò sugli occhiali, pulendoli con un panno scuro prima di indossarli.
‘Tu come ti chiami?’ Domandò.
‘Colombo’ rispose Marco
La preside aprì il registro di classe e controllò l’elenco degli alunni.
‘Sei anche tu uno studente della quinta H?’
‘Sì’ rispose per lui Giovanni.
‘Non mi sembra di averti fatto nessuna domanda!’ Lo incenerì la Lonzi sbattendo una mano sulla scrivania. Poi riportò la propria attenzione su Marco.
‘Sai che potrei sospenderti in questo momento?’

Marco annui mestamente. Aveva la sensazione di dover vomitare da un momento all’altro. Sarebbe bastato chiudere la porta del bagno e abbassare la voce perché nessuno scoprisse qualcosa. Invece ora erano davanti alla preside pronti a essere buttati fuori con un calcio nel culo.
‘Allora spiegami come avete fatto a essere così idioti da fare una cosa del genere durante l’orario scolastico?’ Lo scatto della professoressa sorprese entrambi.
‘Spiegami perché non avete aspettato la fine dell’orario di lezione per trovarvi da qualunque altra parte, dove a nessuno sarebbe fregato niente di quel che avevate intenzione di fare.’ Fece una pausa prendendo un respiro profondo.
‘Sentite, siete tutti maggiorenni e non sono mai stata una bacchettona. All’infuori di questo edificio potete fare quello che volete, ma qua sono costretta a prendere una posizione. Siete a pochi mesi dalla maturità e questo potrebbe costarvi veramente caro. Chi ha avuto l’idea di trovarsi nei bagni stamattina?’
‘è solo successo’
‘Come fa a essere ‘solo successo’, Colombo?’
Il mal di pancia di Marco si acuii.
‘Hai dato appuntamento tu a Tortona o ve l’ha dato lei? Da chi è partita questa storia?’
‘Da me Professoressa, è partito tutto da me.’ Giovanni tentò nuovamente di prendere la parola. Questa volta non fu interrotto.
‘Il bidello mi ha distratto, sono entrato per errore nel bagno delle ragazze, Enrica era lì e… Marco ha solo ricevuto un messaggio che gli diceva dove doveva raggiungermi, non avevo nemmeno specificato il motivo.’

Ora era la Lonzi a essere sorpresa. Aveva pensato che tutto fosse partito da Colombo o da Tortona, ma l’idea che quella bomba fosse stata innescata proprio da Giovanni non l’aveva sfiorata nemmeno di striscio.
Iniziava a essere confusa. Sì pulì nuovamente gli occhiali solo per avere il tempo di pensare. Quella scoperta l’aveva leggermente addolcita. Che quel ragazzo così timido fosse capace di tanto… Conosceva Giovanni da quando si era trasferito da un altro istituto e da allora aveva iniziato quasi ogni settimana sgridandolo per il suo essere costantemente in ritardo.

‘Cosa succede se Tortona dichiara che l’avete presa contro la sua volontà?’ riprese.
‘Avete pensato a cosa potrebbe succedere se le saltasse in mente di salvarsi a vostre spese? Per quanto intimo possa essere il vostro rapporto non esiterebbe a vendervi pur di tirarsi fuori dai guai. Questa situazione potrebbe avere un risvolto penale. Ci avete pensato?’
Giovanni scosse il capo.
La professorezza Lonzi provo una stretta al cuore. Amedei gli aveva spiegato a grandi linee in che tipo di atteggiamenti aveva trovato i ragazzi senza entrare troppo nei particolari, ma era stato abbastanza chiaro quando aveva menzionato dei rapporti orali. Non poteva far finta di niente. Doveva cercare di venire a capo della situazione con i ragazzi prima di discutere di nuovo col professore.

‘Non ci addosserà la colpa.’ Marco la distolse dai suoi pensieri.
‘Fai troppo affidamento sulla tua amica, sappiamo di cosa è stata capace in passato.’
‘No, noi possiamo provarlo invece.’
Marco fece un cenno a Giovanni mentre la preside lo guardava incredula.
Iniziò una comunicazione non verbale tra i due di cui la professoressa non capiva il contenuto. Giovanni sembrava riluttante ma alla fine cedette alle insistenze di Colombo porgendole il proprio telefono.
‘Guardi, c’è un video che le confermerà quanto dico’ riprese Marco.

La Lonzi armeggiò con quel telefono senza successo, non riuscì nemmeno ad accenderlo.
‘Come funziona quest’affare?’ Si arrese stizzita.
‘Posso?’
Senza attendere risposta Marco sì alzò facendo il giro della scrivania fino a ritrovarsi di fianco a lei. Sblocco il touch screen dello smartphone e apri la cartella video facendolo partire.

‘Hai parlato abbastanza stronza, pensa a succhiare!’ riprodussero gli altoparlanti del dispositivo mentre la Lonzi sgranava gli occhi quando la prima scena comparve sullo schermo. In primo piano Tortona veniva forzata a praticare una fellazio a un pene enorme. La professoressa si sistemò meglio gli occhiali convinta che la sua vista le stesse giocando un brutto scherzo. Le ci vollero diversi secondi prima di riprendersi ma si sforzo di nascondere le proprie emozioni. Purtroppo si rese conto di essere rimasta a bocca aperta davanti ai ragazzi per una decina di secondi. Amedei le aveva parlato di un rapporto orale tra tre ragazzi consenzienti, ma quel che vedeva era molto diverso da ciò che aveva immaginato.
Gli insulti di Giovanni si mescolavano ai mugolii soffocati di Tortona. La mano di lui era ben salda nei suoi capelli e guidava la ragazza in movimenti profondi e veloci. A prima vista sembrava uno stupro in piena regola.

‘Può bastare ragazzi. Mi dispiace ma a me sembra una prova contro di voi, non a favore.’ si risolse senza distogliere lo sguardo dal filmato. Il suo tono era stentato, non sembrava completamente presente a se stessa.
‘No, aspetti.’
La professoressa sobbalzò, si era dimenticata che Colombo era proprio di fianco a lei.
‘Continui a guardare.’ Marco le poggiò la mano sulla spalla con fare conciliante.
Gli faceva effetto guardare quel filmato con la Lonzi sentendo il respiro della sua professoressa farsi sempre più pesante. Aveva sempre avuto un debole per due tipi di donne, quelle mature e quella prosperose e la professoressa rientrava in entrambe le categorie. Dall’alto poteva intravedere la leggera scollatura della camicetta di lei e il solco tra quei due seni che si poteva immaginare fossero impressionanti.
Un’altra voce fuoricampo si aggiunse a quella di Giovanni e un secondo pene comparse nell’inquadratura. Tortona fu costretta a raddoppiare i propri sforzi.
‘E questo immagino sia…’
‘Sì professoressa, questo è il mio… Insomma è il momento in cui sono arrivato.’
Marco iniziò a massaggiarle dolcemente la spalla. La Lonzi sembrò non accorgersene nemmeno.

A un primo sguardo, pensò la professoressa, poteva sembrare realmente una violenza. I due ragazzi attiravano Tortona su di se oppure la spingevano sull’altro, la prendevano anche a schiaffi con… beh, non lo facevano con le mani, e gli insulti si sprecavano, ma gli occhi della ragazza erano sempre puntati verso l’alto. Li sfidava e provocava con lo sguardo, come tante volte aveva fatto anche lei nei momenti intimi col marito. Prendeva l’iniziativa ogni volta che i ragazzi le davano un attimo di respiro e rispondeva ai loro insulti ogni volta che aveva la bocca libera abbastanza a lungo.
Nonostante avesse capito come stavano le cose guardò il filmato fino alla fine.

Quando si rese conto di come i ragazzi avevano intenzione di concludere quel quarto d’ora di passione iniziò a batterle il cuore all’impazzata e il suo stato d’animo fu tradito da un respiro che si fece affannoso e irregolare.
Osservò quella doccia di sperma che si abbatteva su Tortona sgranando nuovamente gli occhi, incapace di nascondere le proprie Emozioni.
Il filmato si concluse confusamente. Lo sguardo della ragazza che da appagato si riempiva di terrore e una quarta voce fuoricampo anticiparono lo schermo nero, non ci fu alcun titolo di coda ovviamente.

‘Allora?’ Domandò Giovanni tornando dal limbo in cui era stato per tutta quella ‘proiezione’.

‘Zitti! Zitti, ho bisogno di pensare un attimo.’ La professoressa chiuse gli occhi appoggiandosi alla poltrona.
Non riusciva a pensare lucidamente. L’immagine di quei due ragazzi che violavano ripetutamente la bocca di Tortona le si era impressa a fuoco nel cervello, ma quello che più la turbava era il piacere che sì leggeva negli occhi della ragazza e la voglia con cui si prodigava ogni volta che i due le lasciavano un minimo di iniziativa.
Ora rimpiangeva di non aver seguito il consiglio di Amedei, insistendo per essere lei a parlare con i ragazzi.
Giovanni le aveva sempre fatto tenerezza. Aveva finito per affezionarsi a quel ragazzo timido e impacciato e aveva insistito con Amedei sperando di poter trovare una soluzione che potesse salvarlo a un passo dalla maturità.
Non immaginava che quel colloquio si sarebbe trasformato nella proiezione privata di un film porno, e nemmeno che quelle immagini così crude e reali avessero il potere di sconvolgerla.
Si morse il labbro stringendo ancora le gambe. Doveva andare via prima che fosse troppo tardi.

Sentì una mano insinuarlesi nella camicetta, avvolgendole delicatamente il seno, soppesandolo e accarezzandolo come per accertarsi che fosse davvero reale e non il prodotto di un sogno a tinte forti, mentre qualcosa di duro di cui non fece troppa fatica a capire la natura le si stava strusciando contro il braccio.
Si lascio sfuggire un sospiro e capì di essere perduta. Era già troppo tardi.

Marco aveva osservato la professoressa durante tutto il filmato. Aveva ascoltato il suo respiro e sentito le pulsazioni del suo cuore attraverso la stoffa della camicetta sottile. Che quelle immagini le facessero effetto era evidente. Quando alla fine del filmato la vide sgranare gli occhi si rese conto che quella mattinata poteva avere un risvolto tutt’altro che catastrofico e che una soluzione era arrivata a bussare alla porta dei loro problemi. Non aveva nulla da perdere, nel peggiore dei casi sarebbero stati comunque sospesi, ma nel migliore…
Continuando ad accarezzarle la spalla porto l’altra mano a contatto con il seno della professoressa, massaggiandolo lentamente.
La porta dello studio fu chiusa a chiave. Giovanni aveva imparato la lezione e si era avvicinato a loro.

Altre mani si aggiunsero a quelle che la stavano già accarezzando. I bottoni della camicetta vennero slacciati e il suo reggiseno fu esposto agli occhi di tutti. La Lonzi non potè fare a meno di godere di quel trattamento, cercando di reprimere i sospiri come meglio poteva ma incapace di sottrarsi a quelle attenzioni così sconvenienti. La baciarono sul collo e un seno fu finalmente liberato. Doveva essere uno spettacolo osceno. Un’altra bocca si sostituì alle mani che la stavano accarezzando, leccandole quelle tette maestose.
‘Oddio’ si lasciò sfuggire quando senti dei cazzi duri premerle addosso.

Quel contatto scatenò come un lampo tutti i motivi per cui non avrebbe dovuto trovarsi in quella situazione. Pensò a suo marito, alla carica che ricopriva, allo scandalo che poteva generare se si fosse venuto a sapere.
Lei non era più una ragazzina, era una donna adulta. Poteva e doveva fermarli. Poteva e doveva uscirne a testa alta.
I due ragazzi smisero di toccarla, era il momento giusto. Aprì gli occhi decisa a porre fine a quella follia.
‘Ragazzi non…’ le parole le morirono in gola. Due cazzi puntavano minacciosamente verso il suo viso.

Averli visti in video non l’aveva preparata. La sua testa scattò all’indietro per la sorpresa ma quegli uccelli la seguirono. Marco le accarezzo i capelli guidandola lentamente verso Giovanni.
‘Aspettate un attimo, è meglio che ne parliamo’ supplicò.
‘Dopo, adesso apra la bocca’ le rispose Marco e quando le fece sfiorare la cappella dell’amico con le labbra le sue ultime resistenze furono vinte.
‘Apra la bocca e succhi.’ La Lonzi lo fece e Giovanni sospirò di piacere.

Impugnò entrambi i cazzi masturbandoli dolcemente. Si fermò il tempo di uno sguardo, poi prese Marco in bocca.
‘Sì, anche il mio, succhi anche il mio.’
I due ragazzi lasciarono che fosse lei a prenderli in bocca. Era libera di giocare con la lingua, di leccarli e di succhiarli come meglio credeva. Ma quel video le aveva suscitato fantasie molto diverse. Desiderava essere presa con la forza, essere costretta. Lei voleva rivivere il filmato che le avevano appena mostrato.
Prese la mano di Giovanni e se la portò sulla testa, lui la accarezzo dolcemente. La preside lo guardò negli occhi e lo prese fino in gola, arrivando così vicino al suo pube che i peli le solleticavano il naso.
Il ragazzo urlò.

Marco doveva essere il più sveglio e smaliziato dei due. Tenne la testa della professoressa sul cazzo di Giovanni, poi la spinse su e giù velocemente, senza remora alcuna. Tenendola ben salda per i suoi lunghi capelli rosso mogano.
‘Oddio!’ sussurrò la Lonzi appena riuscì a prendere fiato.
‘Scopala in bocca, scopa in bocca questa puttana!’ ordinò Marco.
Giovanni la allontanò da se prima di chinarsi verso di lei.
‘Mi scusi professoressa, ma aspetto questo momento da troppo tempo’ la baciò con foga prima di attirarla nuovamente verso il suo uccello, infilandoglielo in bocca fino a farla tossire. Il ragazzo mosse il bacino velocemente, soffocando la preside finché l’amico non reclamò la sua parte. Finalmente le dedicavano le stesse cortesie che avevano riservato a Tortona.

Non aveva mai nemmeno pensato di tradire suo marito e invece ora stava spompinando non uno ma due ragazzi che avevano l’età per esserle figli.
Si sottrasse a entrambi e si sbatte i cazzi sulla lingua. I ragazzi capirono e la costrinsero a scendere dalla sedia e inginocchiarsi per terra prima di schiaffeggiarla con essi.
Ora era davvero come nel video.
Ripresero a scoparla in bocca strapazzandole quelle tettone immense.
‘Doveva aspettare la fine delle lezioni’ la canzonò Marco.
‘Fuori da questo edificio può fare tutto ciò che vuole ma ora sono costretto a prendere una posizione’ e stringendole i seni uno contro l’altro iniziò a servirsi una spagnola.
‘Stai esagerando Colombo’ sussurrò a denti stretti, ma le sue mani sostituirono quelle di Marco mentre Giovanni riportava le sue labbra su di lui.

I ragazzi si diedero il cambio più volte. Si lubrificavano i cazzi nella sua bocca e a turno le scopavano le tette. Una cosa così porca non l’aveva mai concessa nemmeno al marito.
Il pensiero di interrompere tutto e fuggire la sfiorò un’ultima volta. Durante l’ennesimo cambio lei fece per alzarsi ma perse l’equilibro e cadde nuovamente in ginocchio. Posò le mani in terra per proteggersi il viso ma fu un errore. Si era messa a pecorina da sola.
Marco lo prese come un invito. Le sollevò la gonna fino ai fianchi e strappò i suoi collant.
‘No, questo no! Ci stiamo spingendo troppo in là!’
Ma il cazzo di Marco aveva già superato la difesa del perizoma e, trovandola completamente bagnata, l’aveva penetrata fino in fondo.
‘Ma stia zitta! è più arrapata di noi.’
Un gemito di disappunto sfuggì dalle labbra della professoressa ma fu soffocato dal cazzo di Giovanni.

L’avevano messa allo spiedo sincronizzandosi nei movimenti. Marco la spingeva verso l’altro cazzo a ogni colpo, tenendola ben salda per i fianchi mentre lei non poteva far altro che aggrapparsi con le mani alle cosce di Giovanni.
Marco la scopava con tutta la foga dei suoi diciotto anni, con penetrazioni profonde e veloci, tirandolo fuori il tempo di sculacciarla con il cazzo per poi rimetterlo dentro. La stava facendo impazzire. Farsi usare da due ragazzini che non avevano nemmeno la metà dei suoi anni la stava già portando sull’orlo dell’orgasmo.
‘Basta, voglio scoparla io adesso!’ Giovanni uscì dalla bocca della Lonzi mentre l’amico gli cedeva il posto.
‘No, no Giovanni sei troppo grosso, non ce la farò mai a… ugh!’ Marco l’aveva zittita nuovamente piantandosi completamente tra le sue labbra mentre l’altro cazzo faceva lo stesso con quelle inferiori.
‘Cosa le avevo detto? Stia zitta che al resto pensiamo noi.’
Un urlo roco e gutturale accolse la penetrazione di Giovanni. La Lonzi stava urlando così forte da temere che qualcuno potesse sentirli, ignorando che Amedei era troppo impegnato per accorgersi di qualcosa.

Bastarono poche spinte di Giovanni per farla venire. Era così bagnata che aveva preso quell’uccello enorme senza problemi e così eccitata che l’orgasmo l’aveva colta di sorpresa ma i ragazzi parvero non accorgersene nemmeno.

La scoparono con violenza, scambiandosi i ruoli numerose volte in quella pecorina selvaggia fino a quando la Lonzi si rese conto che anche loro stavano per avere la loro parte di piacere.

‘Le vengo dentro professoressa!’ Disse Marco mentre la penetrava senza sosta.
‘No, Colombo! Sborrami in faccia come hai fatto con Tortona!’ Sì scostò da lui tornando a sedersi sulla poltrona. ‘Dai Giovanni, anche tu, sborrami in faccia anche tu!’
I due le si fecero intorno masturbandosi davanti al suo viso. Lei li fissava negli occhi accarezzando le palle di entrambi. Ormai era successo, tanto valeva lasciargli un ricordo che non avrebbero dimenticato.
‘Avanti Giovanni! Da quanto volevi riempirmi di sborra eh? Quante volte hai sognato questo momento?!’
‘Ah! Che Troia!’ Giovanni la prese per i capelli rossi e le forzo la cappella in bocca riversandole dentro tutto lo sperma represso negli ultimi anni.

Fu investita da due raffiche di sborra micidiali che lasciò colare dalla bocca e che le si riversarono sul seno. Marco invece decise di imbrattarle tutto il viso. La fronte, la guancia, il naso, molto le fini anche sulle lenti degli occhiali. Dopo il quinto schizzo smise di contare.
La Lonzi sostitui le sue mani alle loro e continuò ad accarezzarli dolcemente infilandoli in bocca per ripulirli uno dopo l’altro.
‘Questo è stato un errore.’ Disse infine. ‘Ci siamo divertiti ma non dovrà ripetersi più.’

‘Va bene professoressa, ma mi guardi, mi guardi negli occhi, voglio ricordare questo momento per sempre.’ La Lonzi sollevò lo sguardo e un flash la accecò. Marco l’aveva fotografata col suo cazzo in bocca e quello di Giovanni che si strusciava sul suo viso.
Il ghigno di Colombo le annunciava che i ruoli adesso erano completamente ribaltati.

Amedei passeggiò per mezzorà davanti allo studio della Lonzi prima di decidersi a bussare. Entrò trovandola impegnata a riordinare la sua ventiquattrore.
‘Patrizia, ho appena fatto una cazzata.’
‘Scusami Flavio, ma devo proprio andare.’ lo interruppe lei chiudendo la valigetta e uscendo a passi veloci dalla stanza.

Continua… Amedei non sapeva dove sbattere la testa. La professoressa Lonzi era in malattia già da una settimana e non si intravedeva all’orizzonte la data in cui sarebbe tornata a lavoro.
Dirigere la scuola non faceva per lui e ancora non si capacitava di come avesse potuto offrirsi per quella carica. Non era stato in grado di gestire il suo matrimonio, figuriamoci milleduecento studenti.
Era arrivato al punto di dover chiedere una mano ma pochi si erano fatti avanti. Alla fine si era dovuto accontentare della professoressa Ruggiu e da quando le aveva affidato l’incarico non aveva fatto altro che pentirsene.

La Ruggiu era una delle donne più irritanti che Amedei avesse mai conosciuto. Entrata qualche anno prima come insegnante di religione scelta dalla curia, aveva prontamente cambiato materia e ora si atteggiava come se la Lonzi non dovesse far più ritorno, arrivando a sostituire la targhetta all’ingresso dell’ufficio di Amedei con una che riportava il suo nome.
‘Solo per non creare malintesi’ si era giustificata.
Non era bella, ma un pensiero poteva ispirarlo, e forse anche più di uno. Il guaio è che lei ne era consapevole.
Era arrogante, leggermente sovrappeso e mal vestita, a metà tra la donna d’affari e quella di strada.
Indossava sempre i pantaloni ma li accompagnava con giacche scollatissime che lasciavano intravedere un seno enorme anche se un po’ flaccido e cadente. Nonostante truccasse solo gli occhi lo faceva in modo così pesante da rendersi quasi volgare. Decisamente una tenuta inappropriata per quel luogo, ma date le sue conoscenze era un sollievo che si limitasse solo a questo. Averla scelta era solo la riconferma che quel ruolo non faceva per lui.

Da quando la Lonzi era scomparsa si erano sentiti solo una volta ed era stato disastroso.
L’aveva chiamata per sapere come stava. Lei era un fascio di nervi.
Le cose avevano iniziato a precipitare quando lui accennò a chi aveva scelto come sostituta. La preside aveva accolto la notizia con fastidio e disappunto, stavano per litigare ma Amedei era riuscito a cambiare argomento.
Avevano parlato un po’ della scuola, della famiglia e del più e del meno finché non era più riuscito a trattenersi. Le aveva raccontato tutto.
La reazione della professoressa l’aveva travolto. Gli aveva gridato che era un porco, che aveva approfittato della sua posizione per abusare della ragazza e che gli sarebbe costato molto caro.
‘Quando avrò finito con te non potrai nemmeno avvicinarti a un edificio scolastico!’ Aveva concluso lei prima di chiudergli il telefono in faccia.
Amedei non aveva saputo come risponderle. Avrebbe voluto richiamarla, farla ragionare, spiegare le sue ragioni ma non aveva osato.
Sapeva che la Lonzi aveva ragione. Aveva infranto un tabù e avrebbe dovuto pagarne le conseguenze. Doveva solo resistere fino al ritorno della legittima preside. Sentiva di doverglielo e di doverlo soprattutto ai ragazzi. Aveva fatto una stronzata e non era portato per quel lavoro ma sapeva bene che la professoressa Ruggiu era molto meno indicata di lui.
Insomma, aveva deciso che se ne sarebbe andato ma l’avrebbe fatto col botto. Magari scopandosi quella stronza della Ruggiu in aula magna, così che licenziassero anche lei. Sorrise al pensiero. Sì, così gli sarebbe piaciuto.

Lo squillo del telefono lo distolse dai suoi pensieri.
‘Flavio, sono Patrizia. Ho bisogno di vederti.’
‘Sicura che sia una buona idea dopo quello che è successo l’ultima volta?’
‘Sì, passa da me questo pomeriggio.’

Suonò il citofono alle quattro in punto. La Lonzi lo aspettava dietro la porta. Sembrava provata. Indossava un pigiama azzurro e gli immancabili occhiali. Probabilmente non usciva da giorni. Il viso era stanco, gli occhi arrossati e gonfi. Doveva aver passato una notte insonne e si poteva scommettere che non era stata l’unica volta.

Si guardarono incapaci di salutarsi. Lei lo fece accomodare in casa indicandogli una poltrona. Senza chiedere gli offrì un bicchiere di whisky, poi ne verso due dita per se che bevve in un sorso solo prima di versarsene ancora e sedersi sul divano di fronte a lui.
‘Tortona si è fatta viva dopo quello che è successo?’
‘No, ci siamo visti solo a lezione, non ci sono stati sviluppi.’
‘Nessun contatto, nessuna minaccia di rivelare a qualcuno quel che è successo?’
‘Nessuna, anzi, ora sembra un’alunna modello.’
La professoressa Lonzi fece un respiro profondo, poi vuotò nuovamente il bicchiere prima di riempirselo ancora.
‘Patrizia, stai esagerando.’
‘Non farmi la paternale’ rispose lei scocciata. ‘Ho cinque anni più di te e non è certamente la prima volta che bevo.’
‘Non ti riconosco Patrizia. Sei in malattia da quasi due settimane e ora ti vedo in queste condizioni. Sono preoccupato. Se è per la mia permanenza a scuola ti assicuro che sto solo aspettando il tuo ritorno per dare le dimissioni.’
La Lonzi per la terza volta bevve tutto d’un fiato e se ne versò ancora.
‘Flavio, non sono stata sincera con te.’
Amedei la guardò perplesso. Lei invece concentrò la sua attenzione su un angioletto di porcellana alla sua sinistra che, improvvisamente, era diventato interessantissimo.
‘Ho fatto una cazzata anche io.’
‘Cosa vuol dire?’
‘Sala e Colombo. Mentre tu eri con Tortona io ero con Loro.’
Amedei si gratto la testa. Era incredulo, sbuffò e si alzò in piedi, aveva capito ma non voleva crederci.
‘Sii più specifica, cosa vuol dire che eri con loro?’
‘Vuol dire che mi sono fatta scopare da tutti e due.’ e con una risatina nervosa bevve ancora tutto il contenuto del bicchiere. Quando fece per versarsene ancora Amedei le strappo di mano la bottiglia.

‘Adesso basta Patrizia.’ Amedei era sempre stato un uomo passionale. Non era mai riuscito a trattenersi. Aveva sempre dovuto urlare la sua rabbia ai quattro venti ma quella volta era diverso. Era freddo, troppo sconvolto per reagire normalmente.
‘Che cazzo fai? Ti ho detto che non devi farmi la predica!’ La Lonzi cercò di alzarsi e avventarsi sulla bottiglia, ma ormai l’alcol iniziava a farsi sentire minando il suo equilibrio. Per Amedei fu facile spingerla sul petto e rimetterla a sedere. La Lonzi non si diede per vinta e si avventò sulla bottiglia ancora una volta. Questa volta il professore la rimise a sedere con tanta decisione da farla desistere.
‘Ho detto basta!’ urlò finalmente. ‘Ero pronto a dare le dimissioni e a rinunciare alla mia carriera dopo quel che mi hai detto e ora salta fuori che invece hai fatto la stessa cosa. Hai idea di come mi sia sentito? Perché non hai detto niente?’
‘Non avevo il coraggio di dirlo a nessuno! Per quale motivo pensi sia scomparsa? Perché avevo voglia di farmi una vacanza? Non avevo il coraggio di farmi rivedere a scuola e quando mi hai raccontato di quel che è successo con Tortona ho sfogato su di te tutta la rabbia che avevo per me stessa. Il senso di vergogna per essermi lasciata andare e per averne anche…’
‘…goduto.’ concluse lui per lei.
‘Sì.’
‘Un tempo eri una mogliettina irreprensibile e ora cornifichi tuo marito due cazzi alla volta’ la schernì Amedei.
‘Non è stato qualcosa che ho cercato io Flavio.’ cercò di giustificarsi lei.
‘Ma hai lasciato che accadesse! Mi hai detto di no per cinque anni e l’hai data a due ragazzini che potrebbero essere figli tuoi!’
‘è solo questo che ti brucia allora. Che l’abbia data a loro e non a te! Esci da casa mia e vai a farti fottere Flavio!’

La Lonzi si alzò dal divano e gli diede uno spintone così forte che quasi gli fece perdere l’equilibro ma Amedei non aveva quattro bicchieri di whisky in corpo e riuscì a restare in piedi. La spinse a sua volta rimettendola a sedere per l’ennesima volta, era furente anche lui.
‘Sai cosa ti dico Patrizia?’ Sussurrò a denti stretti ‘chi va a farsi fottere oggi sei tu.’
Lei lo schiaffeggiò con la mano che portava la fede. Lo colpì così forte da rompergli il labbro ma non fu abbastanza per lei. Sollevò la mano e cercò di colpirlo ancora.
Amedei le blocco i polsi per farla calmare ma lei era furente. Riuscì a liberarsi e a mettersi sopra di lui colpendolo con quanta più forza aveva. Il professore provò a liberarsi, le bloccò ancora una volta i polsi e la ribaltò riportandola a sedere sul divano, sotto di lui, tenendola premuta allo schienale con la mano libera.
La Lonzi sì fermò improvvisamente sospirando. La mano di Amedei era sul suo petto.
Sì guardarono un istante poi lui iniziò a massaggiarle il seno da sopra il pigiama. Il respiro di entrambi si fece irregolare.
Amedei le lasciò i polsi e le sollevò la maglia un centimetro alla volta, scoprendo ciò che da anni desiderava vedere. Le sollevò il reggiseno e quando li vide sospirò ancora. Strinse i seni con le dita giocando con i capezzoli delicatamente ma lei non fu d’accordo. Lo prese per i capelli e lo guidò a continuare quel gioco con la bocca. Lui li baciò avidamente cercando di insinuarle le mani nei pantaloni. La trovò umida ed eccitata.
Iniziò a toccarla facendola gemere di piacere. Le stuzzicò il clitoride con il pollice e quando lei si spinse verso di lui per cercare maggior contatto decise di penetrarla prima con due dita, poi con tre, masturbandola con foga.
‘Finalmente ci sei riuscito, eh Flavio? Guarda quante me ne stai infilando dentro.’ gemette lei.
‘Dovevo farmi rompere il labbro per riuscirci?’
Lei sorrise e si abbandonò alle dita di Amedei appoggiandosi completamente al divano.
‘Non penso proprio Patrizia, vieni qui!’ Amedei si alzò e prendendola per i capelli la trascinò in ginocchio ai suoi piedi.
‘Abbiamo fretta vedo.’ Sussurrò la Lonzi strofinando la guancia contro la sua eccitazione.

Amedei si slacciò i pantaloni e il suo uccello saltò fuori in tutta la sua durezza. Sempre tenendola per i capelli cercò di guidarla a prenderlo in bocca. Lei lo guardò dal basso verso l’alto e strofinò la guancia e le labbra su tutta la lunghezza.
‘Voglio sentirti chiedere per favore Flavio.’
Lui per tutta risposta cercò di forzarglielo tra le labbra.
‘No, non ci siamo.’ Continuò lei guardandolo maliziosamente negli occhi ‘Voglio sentirti dire ‘Patrizia, per favore, fammi un pompino’.’
‘Col cazzo! Apri la bocca e succhia!’
‘Prova ancora. Peeer favore Patrizia. Non è difficile, dai.’ Lo canzonò lei.
Amedei non aveva nessuna intenzione di cedere. Le tappò il naso e quando lei fu costretta ad aprire la bocca per respirare le infilò il cazzo così profondamente da farla tossire.
‘Potrei farti licenziare per questo, lo sai?’ rise lei liberandosi dalla morsa tra un colpo di tosse e l’altro.
Per tutta risposta Amedei cercò di forzarla a prenderlo in bocca ancora una volta.
‘Se vuoi fare il duro devi farlo fino in fondo. Non vuoi chiedere per favore? E allora devi scoparmi in bocca!’
Amedei si bloccò guardandola negli occhi. Le mani poggiate sul capo della Lonzi e lo sguardo fisso nel suo.
‘Vuoi fare il duro, Flavio?’ Gli chiese lei.
Amedei annuì.
‘Scopami in bocca allora!’ Sorrise e spalancò le labbra. Fu immediatamente spinta a prenderlo tutto. Amedei le penetrò la bocca ancora più di prima e iniziò a muoversi con foga. La Lonzi si aggrappò ai suoi fianchi sperando si spingesse ancora più a fondo. Lui l’accontentò.

Ora Amedei era immerso fino alle palle nella bocca di una donna che qualche minuto prima aveva rispettato e soprattutto temuto. La teneva saldamente per i capelli e le spingeva la testa avanti e indietro facendo scorrere quelle labbra sognate per anni lungo tutto il suo cazzo. Sembrava la stesse dominando ma era stata lei a volerlo, modellando quell’atto così rude esattamente secondo i propri desideri. Lo frenava quando si spingeva troppo oltre e lo incitava quando non lo spingeva abbastanza. Continuava a essere il suo capo anche mentre la violava in quel modo.

Amedei si sottrasse alle sue labbra e le strofinò l’uccello su tutto il viso, spostandole gli occhiali sulla fronte per poi farli ricadere sul naso. Lei fece per toglierli ma lui glielo impedì.
‘L’hai succhiato anche a loro?’ sussurrò colpendole velocemente le guance con la cappella.
‘Tu cosa dici?’
Lui la schiaffeggiò più forte, colpendo anche il naso e le labbra.
‘Sono io che ho fatto la domanda.’
‘Sì e sai che altro ho fatto?’ si strinse le tette una contro l’altra inarcando la schiena all’indietro, poggiandosi al divano dietro di lei.
Amedei le si mise quasi a cavalcioni e le scopò anche quelle. Si aggrappò allo schienale del divano e mosse il bacino freneticamente. Lei continuava a guardarlo eccitata.
Erano stati colleghi per anni e non erano mai andati oltre il bacio sulla guancia. La Lonzi incolpò l’alcol di quel che stava succedendo ma in cuor suo sapeva che dopo quei giorni di stress e depressione aveva bisogno di una valvola di sfogo e Amedei gliene aveva fornito una coi fiocchi.
Fece guizzare fuori la lingua cercando di leccargli la cappella ogni volta che poteva.
‘Ah, sei una gran troia’ ansimò Amedei.
‘Sì, me l’hanno detto anche Sala e Colombo ma avevo sempre la bocca troppo occupata per riprenderli’

Amedei capì che stava per raggiungere il punto di non ritorno. Si scostò bruscamente da lei e si inginocchiò ai suoi piedi. Le sfilò pantaloni e mutadine e si gettò a leccarle la figa. La Lonzi ansimò pesantemente, godendosi quella lingua che le stava torturando il clitoride, succhiandolo e mordendolo senza darle tregue seguita da due dita che ripresero a esplorarla senza ritegno.
Quando la Lonzi ne ebbe abbastanza, i ruoli si invertirono e lei gli fu sopra. Impugnò il suo cazzo e lo guidò dentro di se lasciadovisi cadere sopra di colpo. Iniziò a cavalcarlo con rabbia mentre lui si impadroniva di quel seno immenso con la bocca dopo averle tolto la parte di sopra del pigiama, lasciandola finalmente completamente nuda.
La Lonzi gli accarezzò il labbro ferito poi lo schiaffeggiò ancora e rise. Lui reagì, ricambiando lo schiaffo. Lottarono senza smettere di scoparsi un istante, finché lui non la ribaltò sotto di se. Lei lo avvolse con le gambe mentre dettando un nuovo ritmo molto più intenso di quello tenuto pochi istanti prima. Amedei usciva quasi del tutto lasciando dentro solo la cappella e dandosi lo slancio la penetrava nuovamente, spingendola contro lo schienale di quel divano che ormai era bagnato di sudore e dei loro umori.
Un movimento un po’ più intenso lo fece uscire completamente da lei. Lui si riportò all’altezza del suo viso offrendo nuovamente il cazzo a quella bocca famelica. Questa volta lei non chiese nessun ‘per favore’, accolse quel cazzo e lo spompinò con tutta se stessa.
La Lonzi faceva scorrere la sua lingua dalla cappella lungo tutta l’asta accarezzando le palle con un movimento delicato e deciso. Lui era in estasi, le accarezzava i capelli rossi e cercava il contatto con quegli occhi castani che si nascondevano dietro un paio di occhiali eleganti.
‘Vuoi fare ancora il duro Flavio?’
Amedei non se lo fece ripetere, afferrò quei capelli che aveva accarezzato fino a pochi istanti prima e riprese a muoversi con più irruenza che mai. Stavolta non la fece condurre. Per quanto lei cercasse di frenarlo ormai era troppo eccitato e vicino all’orgasmo. Alcune lacrime scesero lungo il viso della Lonzi nel tentativo di non soffocare sotto l’impeto di quell’uccello così violento.
La scopava in bocca con tanta foga da farle ballare gli occhiali sul viso. Lei aveva cercato di toglierli definitivamente ma lui non l’aveva permesso. Ogni volta che le arrivavano sul naso Amedei li rimetteva diligentemente al loro posto.

La schiaffeggiò ancora col cazzo finché l’orgasmo imminente non fu allontanato. Si riportò all’altezza della figa e riprese a fotterla nella stessa posizione di prima.
‘Hai scopato così Tortona?’
‘No’ sussurrò prima di girarla improvvisamente, mettendola a pecorina e penetrandola con forza ‘Tortona l’ho scopata così!’ La prese saldamente per i fianchi e la penetrò ancora.
‘Sì! Scopami come hai scopato quella puttanella!’

La Lonzi si abbandono esausta sul divano lasciando che Amedei la usasse senza ritegno. Le ultime spinte furono devastanti e la condussero a un’orgasmo spossante. Morse un cuscino per soffocare l’urlo che le veniva dal profondo mentre raggiungeva un’apice intensissimo. Le gambe tremarono e la sua figa stritolò letteralmente il cazzo che aveva dentro.
Amedei riusciva ancora a controllarsi e continuò assecondando il suo orgasmo.
‘Dai vieni!’ Gli intimò lei ‘Non resisto più!’
‘Dove mi vuoi Patrizia? Dove vuoi che venga?’
‘Dove cazzo ti pare, basta che vieni.’
‘Dove ti sei fatta venire da Colombo e Sala?!’
‘In faccia Flavio, in faccia e sulle tette!’ Gli urlò lei.

Il professore si scostò bruscamente da lei e la girò sulla pancia masturbandosi intensamente.
Lei si lasciò cadere in ginocchio stringendosi le tette una contro l’altra invitandolo a riempirla.
‘Dai Flavio, sborra! Sborrami addosso!’
Amedei la prese per i capelli e avvicinò il cazzo al suo viso. Lei tirò fuori prontamente la lingua cercando il contatto con quella cappella così gonfia che sembrava sul punto di scoppiare. Appena fu abbastanza vicina la lecco e quella esplose. Fiotti di sperma le investirono la lingua, le labbra e soprattutto gli occhiali con cui Amedei era ormai evidentemente fissato, trasformandola in una maschera di sperma.
La Lonzi lo guardò da dietro quella maschera e, con la bocca, ripulì diligentemente Amedei dal piacere di entrambi.
‘Hanno una mia foto in queste condizioni.’
‘Chi?’ Domandò stupidamente Amedei, osservando come aveva ridotto la preside.
‘Sala e Colombo.’
‘Ah…’
Il suo cazzo non accennò a perdere consistenza. Decise di fare il duro un’ultima volta.

Continua…

Capitolo 5

I rapporti con Enrica erano diventati quasi cordiali ma Giovanni era nervoso.
Nessun accenno a quello che era successo tra loro, lei manteneva le distanze e questo era già un miglioramento rispetto alla condizione precedente. Avevano addirittura iniziato a salutarsi incontrandosi per strada, ma ricevere un invito per la festa di compleanno di Tortona era qualcosa che l’aveva profondamente scosso.
Difficilmente veniva invitato a una festa e questa era la prima volta che si ritrovava un invito del genere tra le mani. Sabato sera. Nella villa della ragazza.

Marco impiegò una settimana intera per convincerlo. Giovanni avrebbe voluto stare a casa. Non era un animale da festa, non gli piaceva stare in mezzo alla gente e nonostante tutto c’era la possibilità, anche se improbabile, che fosse una trappola, che Tortona volesse vendicarsi per quello che era successo nei bagni. Invece alla fine aveva ceduto e ora si trovava davanti al citofono in attesa che qualcuno gli aprisse il cancello.
Il signor Tortona era un uomo molto ricco. Aveva fatto fortuna con la sua agenzia immobiliare e ora ostentava ricchezza con la volgarità di chi si è arricchito in troppo poco tempo. La sua villa, completamente rivestita in pietra, si sviluppava in quattro piani ed era enorme. I due ragazzi si guardarono intorno con una certa soggezione quando Enrica venne ad aprire sorridendo con calore.

‘Ce l’avete fatta allora’ disse Enrica facendoli entrare in casa. Erano arrivati verso mezzanotte e la festa era già iniziata da almeno un ora.
Enrica si trattenne con loro un paio di minuti. Le fecero gli auguri dandole due baci imbarazzati sulle guance dopo di ché lei si congedo andando ad accogliere la sua migliore amica, Claudia.
Il deejay mixava musiche da discoteca come se stesse sparando con una mitragliatrice ma il risultato poteva essere peggiore.
I due ragazzi presero una birra per iniziare la serata, poi Marco andò a salutare qualche altro compagno di classe.
Giovanni restò da solo, in un angolino nascosto del salone principale. Intorno a lui c’erano decine di ragazzi ma nessuno sembrava prestargli attenzione, erano tutti troppo concentrati su Enrica.

Giovanni si allontanò, girando un po’ per la casa. Nelle altre stanze c’erano ragazzi intenti a chiacchierare, gridare, pomiciare, e bere. In una di queste prese un’altra birra. Qualche ragazzo lo invitò a unirsi a loro. Lui declinò educatamente e riprese il suo giro di esplorazione in compagnia di quella bionda.
Mentre attraversava un lungo corridoio saltò improvvisamente la luce. Si senti un vociare in tutta la casa mentre dei ragazzi urlavano e battevano i piedi. Giovanni si ritrovò a ridere quando qualcosa di morbido andò a sbattere contro di lui facendogli quasi cadere la birra di mano.
‘Scusa, non ti ho proprio visto’ Senti sghignazzare una vocetta femminile un po’ stridula.
‘Non preoccuparti, come avresti potuto’
‘Giovanni?’
‘Sì.’ rispose lui un po’ imbarazzato. Aveva capito cos’era la morbidezza che l’aveva appena colpito. Claudia era una ragazza abbondante nelle forme e il suo seno era tra i più inseguiti dagli sguardi dei ragazzi della loro classe e non solo.

‘Questa proprio non ci voleva, Enrica sarà incazzata a come una iena.’ rise allegra ‘Aveva pianificato tutto nei minimi dettagli e poi ecco l’imprevisto che rovina tutto, poverina.’
‘Già, che sfiga…’
Giovanni era troppo intimidito per poter pensare a una risposta più complessa. Dalla bocca gli uscivano solo monosillabi e mezze parole. Claudia era una bella ragazza ed era una delle poche che negli anni passati l’aveva sempre trattato con gentilezza, ma nonostante questo Giovanni si sentiva comunque a disagio.

Complice quell’oscurità inaspettata e la grandezza della villa furono costretti a trovare a tentoni un divano e fermarsi li a parlare scambiandosi sorsi della birra di Giovanni, quando la finirono ne spuntò una seconda e poi una terza offerta da ragazzi che a tentani si avventuravano per quelle stanze buie condotti dalla luce di qualche candela o del proprio telefono.
Fu soprattutto Claudia a condurre il discorso. Parlava di tutto e di niente. Piccoli pettegolezzi, qualche aneddoto divertente e il fatto che era finita in quel corridoio cercando di sfuggire a un ragazzo molto insistente e poco interessante.
‘E tu che stai facendo qua tutto solo?’
‘Andavo un po’ in giro senza meta, niente di che.’ fu tutto quello che Giovanni riuscì a dire
‘Io stavo cercando di andare in bagno e inizio davvero a non resistere più’ ridacchiò allegra.’Purtroppo con tutto questo buio non saprei dove andare.’
Giovanni prese il telefono e la luce del flash led illuminò il corridoio in cui si trovavano.
‘Oh, grazie per esserti offerto di accompagnarmi, dovrebbe essere di qua, aspettami un attimo.’?
‘Vuoi che ti accompagni?’ Esclamò sorpreso.
‘Non lo sai che le ragazze non vanno mai in bagno da sole?’

Lungo i corridoi e le rampe di scale non incontrarono nessuno, il chiacchiericcio dei ragazzi si faceva sempre più lontano e indistinto.
Claudia entrò in bagno e chiuse la porta dietro di se. La pareti erano così sottili che Giovanni poteva sentire tutto. La tavoletta che veniva alzata, la zip della gonna che si abbassava, lei che si sedeva e soprattutto il suono della pipì che scendeva.
Il rumore dello sciacquone e dell’acqua che scorre fece capire a Giovanni che lei aveva finito.
Uscì dal bagno e gli sorrise.
‘Ah, molto meglio adesso!’
Giovanni le sorrise e sorseggio la birra che aveva in mano continuando ad illuminare la stanza col telefono.
‘Tu non devi farla?’
‘In effetti sì, reggeresti questo?’ Giovanni fece per porgerle il telefono. Claudia invece di prenderlo porto la mano alla zip dei pantaloni di lui e la fece scendere lentamente.
‘Volentieri.’ sussurrò lei.
Giovanni era sbalordito dall’intraprendenza della ragazza e incapace di agire ma il suo cazzo prese rapidamente consistenza. Claudia lo spinse in bagno e chiuse a chiave la porta senza lasciare i suoi pantaloni. La sua mano si infilò all’interno di essi, cercando l’oggetto dei suoi desideri.
‘Oddio!’ Esclamò con sorpresa quando riuscì a tirarlo fuori. ‘è tutto vero.’
Claudia aveva una mano sul cazzo di Giovanni e l’altra sulla propria bocca, come se nemmeno lei potesse credere a quello che stava facendo, gli occhi sgranati per lo stupore. Lo condusse alla tazza del water e sollevò la tavoletta.
‘Dai, piscia.’ ordinò senza mezzi termini masturbandolo dolcemente.
Giovanni provò a concentrarsi ma senza successo. Lo stimolo c’era ma la situazione, l’imbarazzo e quella manina lo stavano facendo morire.
‘Non riesco, Cla’ ansimò lui.
‘Ti vergogni a farti vedere da me?’ Lo stuzzicò maliosa.
‘No, non è quello. è che…’
‘…non riesci perché è troppo duro vero?’
Giovanni annuì.
‘Poverino. Vediamo cosa possiamo fare a riguardo allora’ e subito portò anche l’altra mano su quell’uccello così duro, massaggiando dolcemente sia l’asta che le palle. ‘Punta la torcia su questo cazzone, voglio vederlo bene.’ Ordinò ancora.
Giovanni non poté far altro che obbedire.
‘Enrica mi ha raccontato tutto, sai?’
Claudia accarezzò lentamente lo scroto di Giovanni, smettendo solo quanto bastava per lasciar colare un po’ di saliva, lubrificandolo sulla punta.
‘E da allora non ho voluto altro che verificare di persona la sua storia.’

Giovanni gemeva sommessamente di piacere. Avrebbe voluto fare qualcosa anche lui ma era diventato incapace di prendere qualsiasi iniziativa. Era completamente diverso da quanto era successo con Enrica. Non era arrabbiato con Claudia, anzi, le era riconoscente per cinque anni di rispetto a cui si aggiungeva il piacere che le stava dando in quel momento. Si appoggiò al muro inarcando la schiena, esponendo il suo uccello ancora di più alle attenzioni della ragazza.
‘Ti piace vero?’ Chiese Claudia, aumentando il ritmo di quella sega.
‘S-sì’
‘E queste? Ti piacciono anche queste?’ Claudia abbassò la vistosa scollatura della maglietta che portava quella sera. I suoi seni balzarono fuori sfidando la gravità. ‘Illuminale con la torcia, voglio fartele vedere bene.’
Le tette di Claudia erano grandi, tonde e sode. Se non potevano battere quelle della Lonzi in quanto a dimensioni sicuramente vincevano per quando riguardava la consistenza, erano gonfie e piene come solo a diciotto anni possono essere.
Timidamente Giovanni si risolse ad accarezzarle il seno. Posò la bottiglia di birra sul davanzale della finestra dietro di se e lo accarezzo dolcemente, stringendo i capezzoli tra le dita.
Claudia sospirò, Giovanni l’attirò a se e continuò con la bocca ciò che aveva iniziato con le dita.
Lei era sempre stata sensibile a quel tipo di attenzioni e quella sera non faceva eccezione. Sì lasciò sfuggire dei piccoli gridolini, attirandolo di più a se.
‘Non essere così delicato. Baciale, mordile, stringile!’
Ma Giovanni voleva essere delicato, aveva sempre avuto una piccola cotta per lei, di quelle che soffochi perché sai che lei non ti ricambierà mai.
Lei gli prese la mano e lo forzo a stringerla sul suo seno.
‘Così dai!’

C’è qualcosa di sbagliato, pensò Claudia. Aveva fantasticato su quel momento per giorni e non stava andando assolutamente come aveva sperato. Tenere in mano quel cazzo bastava a farla bagnare copiosamente, ma lui era troppo delicato, troppo prudente. Nelle ultime sere si era toccata intensamente pensando al racconto della sua amica, immaginando di essere al posto suo, in balia della voglia di quel ragazzo che invece la stava trattando con una dolcezza che non tollerava. Doveva fare qualcosa, doveva smuoverlo in qualche modo.

Sì sottrasse alle sue attenzioni inginocchiandosi ai suoi piedi, desiderando che fosse lui a prenderla per i capelli forzandola ad abbassarsi. Da vicino il cazzo di Giovanni la impressionò ancora di più. Aprì la bocca e l’avvicinò alla cappella facendogli sentire il proprio respiro su di essa prima di iniziare un lento pompino.

Giovanni prontamente portò una mano sulla sua testa avvolgendo le dita tra i capelli di lei.
Ci siamo, pensò Claudia con un fremito di eccitazione ma quando le accarezzo dolcemente i capelli perse tutte le speranze.
Cosa stava sbagliando? Cosa c’era di diverso in lei? Forse non osava perché avevano poca confidenza? In cinque anni avevano scambiato due parole poche volte e in quelle occasioni lei si era sempre dimostrata gentile e… Ecco! Era sempre stata gentile. Enrica invece gli aveva reso la vita un inferno per tre lunghi anni fin quando la fatidica goccia aveva fatto traboccare il vaso.

La luce tornò improvvisamente com’era andata via, accolta dalle urla dei ragazzi e dalla musica che riprendeva ad animare la festa. Il bagno, finalmente illuminato, si rivelò essere proprio come la villa. Grande e lussuoso fino al cattivo gusto.
Questa novità interruppe i pensieri di Claudia e per la prima volta i due ragazzi poterono guardarsi negli occhi.
Giovanni rimase stupito dalla bellezza della ragazza. Riusciva a non essere volgare nonostante gli stesse succhiando l’uccello. Le accarezzò delicatamente la testa accompagnandola nel movimento.
Quei capelli e quegli occhi castani gli stavano facendo più effetto di quanto avesse immaginato.
Era così bella che decise di osare.
Giovanni le sollevò il mento con due dita e si chinò verso di lei avvicinando le labbra alle sue, chiuse gli occhi. Stava per baciarla, un bacio che aspettava di darle dal giorno in cui l’aveva conosciuta.

Per Claudia il tempo rallentò di colpo. Vide quel viso tondo e arrossato avvicinarsi al suo, gli occhi di Giovanni chiudersi nel trasporto dell’emozione. Il poverino doveva avere una cotta per lei.
In una frazione di secondo capì cosa doveva fare.

‘Cazzo, ma allora sei proprio un coglione! Si può sapere cosa stai facendo?’ Sbottò di colpo, allontanando disgustata la bocca dalla sua.
‘Cosa ti sei messo in testa?! ‘ urlò schiaffeggiandolo sull’uccello, facendole gemere di dolore. Ora che era tornata la corrente non si preoccupava di tenere bassa la voce. La musica al piano terra era così assordante che si sentiva distintamente al loro piano.
‘I-io, pe-pensavo…’ Giovanni era così sorpreso che iniziò a balbettare cercando inutilmente una giustificazione. Il suo faccione era diventato ancora più rosso.
‘T-tu P-pensavi cosa?’ Lo derise lei. ‘Ti sto succhiando il cazzo quindi voglio anche baciarti? Cosa pensavi? Che mi sarei accorta di quanto sei speciale e questo squallido pompino si sarebbe trasformato in una relazione romantica?’

Giovanni la fissava attonito.
‘Chiariamoci Palla di Lardo’ continuò lei, ‘gli unici motivi per cui sono qua sono questo cazzo e il racconto di Enrica. Se tu ti illudi che io possa avere anche il minimo interesse per te sei fuori strada!’
Claudia vomitava parole a ripetizione, ogni cattiveria, ogni insulto che le venisse in mente veniva pronunciato senza che fosse necessariamente coerente col discorso.
‘Io, io per un attimo avevo creduto che in questi anni tu… ‘
Giovanni era arrivato al punto di non ritorno. O si metteva a piangere o stava per darle quello che voleva.
‘Stai confondendo la pietà con l’affetto. Sei una nullità! Solo perché non ti ho umiliato come faceva Enrica non significa che non abbia riso con lei mentre ci chiedevamo se la notte non piangessi fino ad addormenr-uuugh!’

Giovanni non stava per mettersi a piangere.
L’aveva afferrata con entrambe le mani e zittita spingendole il cazzo così in fondo alla bocca da farla tossire. Rimase fermo dentro di lei, respirando affannosamente per la rabbia e la scarica di piacere e soddisfazione che gli aveva dato farla smettere di parlare. Claudia cercò di divincolarsi. Lui la tenne così, stringendola tra se e la tazza del water. Contò i secondi. Dieci, quindici. Poi la liberò osservandola cercare disperatamente di prendere fiato.
La guardò. Nei suoi occhi lesse solo sconcerto e eccitazione. L’aveva provocato di proposito.

La prese esattamente come prima, infilandole il cazzo fino a che dei colpi di tosse non l’avvertirono che oltre non poteva andare e riprese a contare i secondi. Dieci, quindici, venti. La liberò ancora facendole prendere un breve respirò poi iniziò a scoparle oscenamente la bocca.
‘è questo che volevi?! è questo che volevi?!’ Ripeté ossessivamente questa frase, penetrandole la bocca come fosse una figa.

Claudia avrebbe voluto urlare. Sentiva la sua eccitazione farla bagnare a dismisura. Si aggrappò alle chiappe flaccide di Giovanni e cerco di contenere tutta la sua foga senza soffocare. Era completamente in sua balia mentre quel cazzo le allargava la bocca a dismisura sfregando sulle sue labbra fino a farle bruciare.

Giovanni la teneva prigioniera di quella morsa come un carceriere crudele. Si fermava solo quanto bastava per un rapido respiro e poi ricominciava.
In una di quelle ‘ore d’aria’ la schiaffeggiò sul viso con l’uccello. Quel gesto era diventato ormai un’abitudine.
‘è questo che volevi!?’ Chiese ancora.
‘Sì! Dammelo cos-ugh!’
Giovanni le aveva fatto quella domanda proprio per poterla interrompere. Lo eccitava enormemente zittirla così.

Sì scostò dalla bocca di Claudia nel disappunto di lei. La prese per entrambe le braccia e la mise a sedere sul bordo del water.
A suo confronto la ragazza era una piuma e fu uno sforzo da nulla sollevarla da terra.
Con sua sorpresa vide che portava delle calze autoreggenti. Giovanni dovette solo scostarle il tanga per puntarle il cazzo contro la figa. Fece per entrare ma poi si sollevò di poco andando a stimolarle intensamente il clitoride. Ma quella era solo una fermata intermedia, il capolinea era più su.
Le strinse le tette tra le mani e prese a servirsi una spagnola guardandola negli occhi.
Claudia sostituì le sue mani a quelle di Giovanni.
‘Fammi sentire quanto è duro tra le mie tette! Non ce la fai più Palla di Lardo? Vuoi già innaffiarmele di sborra?!’ Lo provocò infine.

Giovanni la costrinse ancora a prenderlo in bocca fermandosi poi dentro di essa. Contò nuovamente. Dieci, quindici, venti, venticinque, ascoltando quei colpi di tosse soffocati con sadica soddisfazione. Le tirò i capelli facendole reclinare la testa all’indietro e la baciò. Non fu un bacio dolce come avrebbe potuto essere quello di prima. Fu un bacio arrabbiato e carico di rancore al termine del quale Claudia si avventò nuovamente sul suo cazzo. Lo leccò partendo dalla base alla punta per poi fargli riprendere il posto che gli spettava tra le sue tette, riprendendo la spagnola da dove era stata costretta a interromperla.

Giovanni la prese per un braccio e la trascinò davanti allo specchio costringendola a dargli le spalle e facendola appoggiare al lavandino.
La montò così, senza preavviso. Da dietro, con forza, spingendole il cazzo fino in fondo.
‘Oh sì!’ gemette Claudia allargando le gambe.
Finalmente poteva vedere il proprio riflesso. Era uno spettacolo. Il mascara le era colato lungo le guance insieme alle lacrime, gli occhi erano arrossati e le labbra in fiamme.
Vedersi in quelle condizioni la eccitò a dismisura. Il suo seno esposto penzolava fuori dalla maglietta scollata e ondeggiava avanti e indietro, seguendo la cadenza dei colpi che stava ricevendo. La stava scopando così forte che spesso scivolava rischiando di perdere l’equilibrio costringendola a reggersi come poteva, facendo cadere gli asciugamani, aprendo il rubinetto dell’acqua o rovesciando per terra il contenitore del sapone.
Prese il ritmo di Giovanni e gli andò incontro, rendendo la penetrazione ancora più profonda. Quando lui la prese per i capelli tirandoli all’indietro così forte da farle inarcare la schiena, fu sul punto di venire.

Ora si trovava al di là delle sue fantasie. Enrica non era stata scopata, lei invece stava venendo letteralmente sventrata da quel ragazzo grassoccio e dal suo cazzo fuori dal normale.
Non prestava più attenzione a nulla, ne alla musica della festa, ne alle urla dei ragazzi ne al lavandino che si era riempito fino a traboccare sotto di lei.

Quando si accorse che Giovanni la stava spingendo verso il basso fu troppo tardi per reagire.
Cercò di divincolarsi ma quel ragazzo era il doppio di lei.
‘No! No! No Giovanni! Ti prego! No!’ Claudia aveva capito cosa stava per succedere ma era troppo tardi. Giovanni le infilò la testa sott’acqua e contò fino a venti.

La sorpresa, l’eccitazione e la mancanza di ossigeno portarono Claudia a un orgasmo intensissimo.
Riemerse accompagnata dal suono delle proprie urla. Gridava a squarciagola tutto il suo godimento mentre Giovanni le chiedeva ancora se era questo che voleva, aumentando vertiginosamente le sue spinte dentro di lei.

Il ragazzo sentì l’orgasmo montare. Costrinse Claudia a immergersi ancora una volta poi si scostò da lei trascinandola in ginocchio sul freddo pavimento.
Claudia afferrò il cazzo iniziando una sega feroce. Prese la cappella in bocca masturbandolo con foga. Quando sentì che era al culmine lo puntò sulle tette.
‘Dai dammela, dammela Giovanni!’
Con un rantolo sofferto Giovanni l’accontentò. Piccole gocce di sborra cominciarono a cadere sulle tette di Claudia fin quando un fiotto molto abbondante non le investi entrambe.
La ragazza accolse la cappella in bocca per l’ultima volta le diede due pompate prima di lasciarsi cadere a terra scoppiando a ridere a più non posso.

‘Che scopata, cazzo che scopata!’ Fu tutto quello che riuscì a dire.

Rimasero in silenzio a lungo, fradici e sfiniti, ascoltando il respiro affannato l’uno dell’altra. La musica era ancora molto alta, la festa era ancora nel vivo.

Quando Claudia ebbe ripreso le forze si pulì come meglio poté, cercando inutilmente di darsi un’aria presentabile.
‘Aspettami qui, vado a cercare un fon’ si risolse quando capì che era tutto inutile.

Continua… Capitolo 6

Quando Claudia tornò con il fon, Giovanni era già andato via.
Aveva cercato Enrica tra la folla per farle nuovamente gli auguri e aveva guadagnato l’uscita nonostante lei avesse cercato di trattenerlo ancora un po’.
Rimani almeno per il taglio della torta, aveva chiesto lei, ma Giovanni non se l’era sentita. Aveva lasciato la villa ed era fuggito senza guardarsi indietro.

Camminava a passo spedito ma più si avvicinava a casa meno aveva voglia di arrivarci. L’eco delle parole di Claudia accompagnava il suono dei suoi passi e una volta a letto ne sarebbe stato assordato.

Quella ragazza l’aveva manipolato. L’aveva portato esattamente dove voleva e non aveva faticato troppo a farlo.
Giovanni si accorse di avere un problema di autocontrollo. Il ragazzino timido e impacciato, se provocato, si trasformava in una bestia fuori controllo. Non esisteva una via di mezzo o non era ancora riuscito a trovarla.
Era stato fortunato fino a quel momento. Aveva incontrato ragazze e donne che lo volevano in quel modo. Ma se fosse capitato in una situazione più normale, una situazione in cui gli era richiesto di contare almeno fino a dieci?
Forse avrebbe dovuto andare in analisi, magari cercare un aiuto professionale. Probabilmente, dopo diciotto anni, era arrivato al punto in cui non tollerava più che qualcuno cercasse di mettergli i piedi in testa. Forse. Oppure aveva semplicemente perso il senno.
No, sarebbe cambiato. Avrebbe imparato a contare.
Per Claudia invece? Superarla avrebbe richiesto ben più che imparare a contare.

Senza rendersene conto si trovò di fronte al portone di casa sua. Il tempo di prendere le chiavi di casa e la solitudine della sua camera l’avrebbe accolto come un’amica un po’ invadente. Frugò nelle tasche, prima con calma, poi con impazienza, infine con esasperazione. Nella fretta e nell’ansia per la festa le aveva dimenticate.
Perfetto. Ora avrebbe dovuto aspettare il sorgere del sole o citofonare per poi venire polverizzato dal padre per averlo svegliato nel cuore della notte. Prese la decisione più saggia. Si sedette sul gradino del portone e iniziò ad aspettare cercando di non pensare a nulla.
Impresa vana.
‘Se tu ti illudi che io possa avere anche il minimo interesse per te sei fuori strada!’ Iniziò a ripetergli Claudia non appena posò la testa contro la parete.
Dopo un tempo che gli parse infinito, guardò l’orologio. Non era passata nemmeno mezzora. Sarebbe stata una nottata veramente lunga.

‘Giovanni?’
Giovanni alzò lo sguardo e trovò una figura che lo osservava mantenendosi a distanza.
‘Sì?’ Si azzardò a dire.
‘Mi hai fatto prendere un’accidente! Ti avevo preso per chissà quale malintenzionato. Cosa ci fai qua fuori?’ La figura avanzò finché non fu illuminata dalla luce di un lampione. Giovanni si senti rincuorato, era Mara, la sua vicina di pianerottolo.
‘Ho dimenticato le chiavi.’
‘E non puoi citofonare?’
‘Sono le due. Se lo sveglio a quest’ora, mio padre è capace di ammazzarmi.’
‘Capisco. Quindi hai intenzione di passare la notte seduto qua fuori?’
‘L’idea era questa’ rispose imbarazzato Giovanni.
Mara sospirò e guardò quel ragazzone che si accingeva ad aspettare l’alba seduto al freddo e al gelo e si decise.
‘Perché non sali da me invece? Ho un divano sicuramente più comodo di quello scalino.’
Di norma non avrebbe mai fatto una cosa del genere, ma Giovanni era un ragazzo innocuo e le faceva tenerezza. Inoltre il suo compagno era fuori per lavoro e avere un uomo per casa l’avrebbe fatta sentire più sicura.
‘Non c’è bisogno, non devi disturbarti.’
‘Dai sali, o citofono io ai tuoi’ gli sorrise Mara posando l’indice sul campanello della famiglia Sala.
Giovanni rispose timidamente al sorriso e la seguì.

Mara lo condusse in salotto indicandogli il divano.
‘Puoi dormire qua se vuoi, è grande e abbastanza comodo. Vado a prenderti una coperta.’
‘Ti ringrazio ma non c’è bisogno e poi non ho sonno in realtà.’
Mara aveva notato che qualcosa non andava. Solo un cieco o uno stupido avrebbe potuto non capire che Giovanni era turbato. Sembrava che qualcuno l’avesse colpito con una mazza di legno lasciandolo stordito, a metà tra la sorpresa e il dolore. Non sapeva se fosse il caso di indagare. Aveva il difetto di dire esattamente cosa pensava e, con gli anni, aveva imparato a farlo solo con chi conosceva bene, però quel ragazzo le ispirava una gran pena.
‘Andiamo in cucina allora, ti offro qualcosa da bere.’
Giovanni prese il bicchiere di birra che Mara gli porgeva e si lasciò cadere pesantemente sulla sedia. Bevve in silenzio, guardando un punto non meglio precisato della stanza. Le parole di Claudia lo stavano colpendo ripetutamente alla bocca dello stomaco. Era stata una pessima idea accettare quell’invito.
Certo, il gradino del portone era scomodo, ma si sentiva di pessimo umore e ora più che mai provava il desiderio di star da solo con se stesso. Non aveva mai affrontato un dolore del genere. Claudia l’aveva usato. Le sue parole non gli facevano male in quanto tali. Non venivano dal cuore.
Erano state dette per provacarlo, per fargli avere quella reazione così violenta e assurda. Era questo a ferirlo. Claudia aveva calpestato i suoi sentimenti come se non esistessero. Più che rifiutato, si sentiva invisibile.

Mara osservò Giovanni perso nei suoi pensieri per qualche minuto, finché non si decise a rompere gli indugi.
Conosceva il ragazzo da quando si era trasferita in quel palazzo qualche anno prima. L’aveva visto crescere. Trasformarsi da bambino paffutello al ragazzone che gli stava davanti, la cui vicinanza la faceva sentire ancora più piccola di quanto non fosse in realtà. La sua pubertà non era stata proprio la favola del brutto anatroccolo ma nemmeno l’horror di Frankenstein.
Forse aveva dei problemi in casa. I Sala erano una famiglia della cosiddetta classe media, ma che la crisi stesse colpendo tutte le classi sociali era un dato di fatto.
Nemmeno lei se la passava bene. L’affitto e le bollette aumentavano, mentre i soldi non facevano altro che diminuire. Probabilmente per la famiglia di Giovanni le cose non andavano molto diversamente.
Voleva tirarlo su di morale o almeno rendergli meno tediosa l’attesa per tornare a casa. Pensò qualche istante prima di schiarirsi la gola, richiamando il ragazzo alla realtà.
‘Non possiamo passare la notte fissando il tavolo. Sai giocare a Poker?’
‘Sì’
‘E ti va anche di giocare?’ chiese Mara con un pizzico di esasperazione.
‘Va bene. Potrei avere anche un’altra birra?’

Mentre Mara dava le carte, Giovanni poté osservarla con attenzione. Doveva avere da poco passato i trenta e l’aveva fatto con un certo stile. Più volte si era perso guardandole il sedere mentre saliva le scale dietro di lei. Era minuta e non eccessivamente formosa ma la sua statura contribuiva a mettere in risalto un seno generoso mentre il suo caschetto nero incorniciava due intensi occhi scuri che guardavano il gioco attraverso le lenti di un paio di occhiali.
Stavano giocando alla versione Texas Hold’em. Cinque carte scoperte sul tavolo e due a testa per ogni giocatore.
Erano anche riusciti a mettere insieme una decina di euro in monete che avrebbero usato come chips.
Giovanni perse le prime due mani. Non era mai stato eccessivamente bravo a quel gioco e quella sera preferiva di gran lunga concentrarsi sulla birra che sulle carte.

‘Non ti stai impegnando’ disse Mara vincendo la terza mano consecutiva. ‘Non capisco se sono diventata veramente brava o se sei tu a essere veramente scarso’
‘No, scusami, non non sono in me oggi.’
‘Brutta serata?’
Giovanni annuì.
‘Problemi di famiglia, di studio o di donne?’
‘Di donne, credo.’
‘Non ne sei sicuro?’
Faceva troppe domande per i suoi gusti ma la trovava gentile e forse era quello che cercava quando aveva accettato il suo invito.
Complice la birra e la vittoria di una mano, iniziò a raccontarsi a senza rendersene conto.
Le raccontò di Enrica e dei suoi soprusi negli anni passati. Le accennò della rivincita che si era preso su di lei, omettendo il come e il dove, tralasciando quell’avventura che avevano condiviso in tre. Arrivò a parlarle di Claudia, del suo amore non corrisposto, della piccola speranza che lei gli aveva dato e di come poi gliel’aveva strappata via proprio quella sera.

Mara ascoltava con cortese attenzione. Aveva trattenuto una risata all’inizio del racconto ma il ragazzo sembrava non averci fatto caso. Temeva fosse successo qualcosa di grave, ma alla fine si era rivelata essere semplicemente una cotta non corrisposta.

‘Non credo mi lascerò più andare in questo modo con una ragazza.’ Concluse Giovanni con una vena di tristezza nella voce.
‘Queste sono le classiche frasi che si sparano quando si è troppo giovani e non si è amato abbastanza. Più avanti incontrerai un’altra ragazza che ti farà pensare a questa cottarella come a una cosa di poco conto. Il primo amore a volte può far schifo’
Il ragazzo era distrutto ma doveva smuoversi e gli avrebbe fatto bene un po’ di onestà.
‘Certo, con questo atteggiamento non succederà molto presto.
Devi cercare di essere un po’ più duro, un po’ più sicuro di te.
è troppo facile leggere i tuoi sentimenti e le tue intenzioni. Sicuramente lo è stato anche per Claudia che ha saputo usarli a proprio vantaggio.’ Mara aveva vinto ancora. Ormai a Giovanni rimanevano solo pochi centesimi.
‘Prendiamo per esempio le mani che hai perso fino ad ora. Non è stata per sfortuna o perché non ti è capitata la carta giusta, ma perché è troppo facile capire quale sarà la tua prossima mossa. Forse se non ti comportassi come un ragazzino la gente approfitterebbe di te.’ Si pentì subito di quelle parole. Era ancora così giovane e per lui doveva sembrare la cosa più grave del mondo. Era troppo tardi per ritirare quello che aveva detto, ma forse era meglio così, forse quelle parole l’avrebbero veramente aiutato.

Giovanni la ascoltò allibito. Mara non poteva capire quello che lui stava provando. Avrebbe voluto risponderle che al rigetto non si fa mai l’abitudine e che a ogni rifiuto si somma il dolore di tutti gli altri, ma si limitò a guardarla, non riuscendo a far altro che rifugiarsi nel suo silenzio, continuando a giocare.

Vinse due mani di seguito, ignorando la tensione che si era creata tra loro. In realtà stava ribollendo. Quella risata non gli era sfuggita. Doveva contare. Conta Giovanni, conta. Ripetè a se stesso.
Uno, due, tre…
‘Hai visto?’ disse Mara, cercando di sdrammatizzare ‘Hai già capito!’
Dieci! Un’idea malsana attraversò la mente del ragazzo quando prese le sue carte.
Alla puntata successiva, aprì il portafoglio e mise sul tavolo quattro banconote da cinquanta, facendole cadere una dopo l’altra.
‘Scommettiamo che vinco anche questa?’
Mara guardò prima i soldi poi Giovanni.
‘Non…’ Mara dovette schiarirsi la voce prima di poter continuare ‘non ho tutti quei soldi con me e soprattutto non mi sembra il caso di giocare una posta così alta…’
‘E chi ha detto che tu debba puntare dei soldi?’
‘Non, non capisco, Giovanni…’
‘Voglio solo dimostrarti che poco fa hai detto una discreta quantità di cazzate. Se hai ragione tu e riesci a ‘leggermi’ con facilità, questi duecento euro sono tuoi. Però se vinco io…’
‘Se vinci tu…?’
‘Fai tutto quello che voglio, e non penso ci sia bisogno di spiegarti di cosa stiamo parlando’.

Mara osservò il ragazzo cercando di capire cosa gli passasse per la testa. Tutto quel denaro le avrebbe risolto non pochi problemi. Il periodo non era dei migliori. L’affitto da pagare, le bollette, i conti vari erano tutte spese che richiedevano del denaro che non riusciva mai a mettere completamente insieme. Certo, non le avrebbero cambiato la vita ma l’avrebbero aiutata ad arrivare a fine mese con più tranquillità.
Giovanni voleva solo provocarla o aveva davvero intenzione di andare fino in fondo?
Erano passati diversi anni da quando si era trasferita in quel palazzo e Giovanni era sempre stato un ragazzo educato e gentile. Forse un po’ sempliciotto. Le sarebbe dispiaciuto portargli via tutti quei soldi.
Ma se avesse vinto lui? In quel caso avrebbe potuto cavarsela con una sega. Probabilmente Giovanni non era mai stato con una donna, un paio di colpi di mano e sarebbe finito tutto. Suo malgrado si rese conto che stava prendendo in considerazione l’ipotesi di accettare.

Mara guardò le banconote, poi le carte sul tavolo. Un asso, una donna, un dieci, due tre. Lei invece aveva altre due donne. Un full. Un punto molto alto.
Aveva un po’ esagerato. Non era così facile leggere quello che gli passava per la testa, in fondo qualche mano l’aveva pur vinta, ma con le carte disponibili poteva fare solo un poker e comunque non sarebbe bastato.
Provò un senso di colpa sincero a cui si affiancò una certa vergogna all’idea di vincere. Aveva iniziato quella partita con le migliori intenzioni e l’avrebbe finita portandogli via quelli che probabilmente erano tutti i suoi risparmi.
Non era un comportamento che avrebbe considerato in situazioni normali, ma in tempi come quelli doveva cercare di pensare a se stessa e al suo compagno. Avrebbe trovato il modo di farsi perdonare dal ragazzo in qualche modo.
‘Va bene, ci sto!’
‘Non ti tirerai indietro se dovessi vincere?’ le chiese Giovanni.
‘Siamo sicuri che non sarai tu a tirarti indietro quando perderai?’ Lo stuzzicò lei.
‘Non preoccuparti di me. Abbiamo un accordo allora?’ il ragazzo le tese la mano per sigillare il patto.

Mara per un attimo fu sfiorata dal dubbio. Per un attimo ebbe l’impulso di passare quando, con un tuffo al cuore, vide la mano di Giovanni tremare leggermente. Probabilmente non aveva nemmeno quel poker. Stava tentando la sorte, mostrando una sicurezza che non aveva.
Si decise a stringergli la mano e scoprì le sue carte.

‘Full’ disse con un sospiro di sollievo, cercando di lasciare la mano del ragazzo per prendere i soldi, ma Giovanni non le diede il tempo e, scoprendo le sue, mostrò un re e un jack.
Con terrore, Mara vide che erano dello stesse seme dell’asso, della donna e del dieci. Aveva fatto una scala reale. Aveva vinto.

Senza lasciarle la mano, Giovanni le fu davanti.
Mara cercò di ritrarsi. Non era preparata all’ipotesi della sconfitta. Non poteva credere che quel ragazzo così tranquillo potesse già pretendere di riscuotere la sua vincita. Cercò di rialzarsi ma Giovanni la rimise bruscamente a sedere.
‘Scusami! Hai dimostrato di aver ragione. Sono stata una cretina, non c’è bisogno di…’
Le manco il fiato quando vide Giovanni abbassarsi la zip e tirarlo fuori già in completa erezione.
Ormai il ragazzo aveva capito l’effetto che il suo “mostro” poteva avere.
‘Questo è riuscito a sorprenderti, vero?’ La derise, agitandole l’uccello davanti agli occhi, godendosi lo sguardo sgomento di lei, ‘I debiti di gioco si pagano subito, Mara.’
‘Oh, merd…ugh!’ fu tutto quello che la ragazza riuscì a dire prima che Giovanni approfittasse delle sue parole per afferrarla per il caschetto nero, spingendola a prendere quel cazzo enorme fino in gola.
Tenendola saldamente per il capo, iniziò a muovere velocemente il bacino, sfogando rabbiosamente tutta la tensione accumulata.
‘Ti sembro un ragazzino adesso?!’ Le chiese, spingendola a prenderlo così profondamente da farla tossire.

Giovanni aveva temuto che quel tremore alla mano potesse tradirlo, facendo capire alla donna che aveva un punto che non poteva essere battuto. Invece era stato fortunato. Lei l’aveva interpretato come un segno di debolezza e ora ne stava pagando le conseguenze.
Sua madre gli aveva parlato delle condizioni economica dei suoi vicini di pianerottolo. Il lavoro di Mara procedeva a rilento e il compagno cercava di compensare senza troppo successo. Sapeva che duecento euro sarebbero stati un’esca troppo invitante perché lei decidesse di rifiutare e quando aveva visto che carte gli erano capitate e non si era fatto alcuno scrupolo.

Mara lo guardò dall’alto in basso mentre una lacrima le rigava il viso per lo sforzo. Ancora incredula. Incapace di realizzare che tutto questo stava succedendo proprio a lei.
Quello sguardo smarrito fece eccitare Giovanni ancora di più che, senza scostarsi da lei, la costrinse a scendere dalla sedia e a inginocchiarsi di fronte a lui.
‘Allora? Ti sembro ancora un ragazzino?’ Disse tirandolo fuori dalla sua bocca, strofinandoglielo contro il viso.
‘No… No…Ugh!’
Soddisfatto della risposta, Giovanni glielo rinfilò in bocca ancora una volta, cercando di arrivare ancora più in profondità. Quando capì che lei non poteva prenderne di più si fermò, contando i secondi che la donna riusciva a resistere, godendosi la sensazione di quella bocca così calda e accogliente, prima di riprendere a muoversi con più foga di prima.

Mara non riusciva ancora a crederci. Sentiva il cuore esploderle nel petto, spinto dall’adrenalina dovuta alla paura e all’eccitazione. Aveva fantasticato spesso di essere presa in quel modo. Da ragazza immaginava di essere portata in macchina in qualche posto sperduto e costretta alle voglie del ragazzo di turno per pagarsi il biglietto di ritorno a casa, ma la realtà era completamente diversa.
Giovanni l’aveva attirata in una trappola in cui era stata troppo arrogante per non cadere. Lo conosceva da quando era piccolo e perciò l’aveva sottovalutato, perfino offeso e per questo il karma aveva deciso di rivoltarlesi contro, dando al ragazzo la possibilità di scoparla in bocca senza remore, costringendola ad adattarsi in fretta al cazzo più grosso che avesse visto in trentacinque anni.
Dopo le prime pompate, aveva capito di dover approfittare di ogni pausa che il ragazzo le dava per respirare profondamente, prima che quelle mani enormi la riportasero a soddisfare quelle voglie oscene.
Il terrore e il desiderio la stavano dividendo in due parti completamente distinte. La prima avrebbe voluto fuggire via, sperando che il ragazzo si accontentasse delle sue labbra e considerasse saldata la scommessa. La seconda voleva essere riempita e stava iniziando a farla bagnare in mezzo alle gambe. Era quasi curiosa di sapere se sarebbe riuscita a prenderlo dentro di se.
Se pensava che all’inizio della serata l’aveva considerato innocuo…

Come leggendole nel pensiero, Giovanni le tolse il cazzo dalla bocca, sollevandola per le braccia e costringendola contro il tavolo della cucina. Le monetine si sparsero un po’ ovunque, cadendo a cascata sul pavimento, accompagnate dal fruscio delle carte che volavano insieme a loro.
Torcendole un braccio la costrinse a piegarsi in avanti mentre con l’altra mano le alzava il vestito, togliendole le mutandine.
Mara emise un gemito di sorpresa e di dolore quando le dita del ragazzo s’intrufolarono dentro di lei, muovendosi lentamente avanti e indietro. Un fremito la percorse dal collo alle dita dei piedi, sentendo l’erezione del ragazzo premerle contro il sedere. Che lo volesse o no la sua cuorisità sarebbe stata appagata.
Le dita di Giovanni si spostarono più su, stuzzicandole il clitoride e poi ancora oltre, facendole uscire dal vestito il seno pieno che massaggiò attirandola a se.

Mara poteva sentire distintamente quell’uccello tra le natiche e quelle carezze così rudi la stavano eccitando non poco.
Di colpo Giovanni la spinse nuovamente contro il tavolo, posizionandosi dietro di lei.

Quando sentì la cappella penetrarle lentamente la figa non potè trattenersi dall’urlare.
‘Piano! Fa piano!’
‘Zitta!’ Le rispose bruscamente il ragazzo ‘Vuoi svegliare tutto il palazzo?’
Senza farsi impietosire, Giovanni continuò la sua lenta avanzata fino a ritrovarsi completamente dentro di lei per poi restare fermo alcuni istanti, dandole il tempo di abituarsi a quell’ingombrante presenza.

Mara aprì nuovamente la bocca ma non riuscì ad emettere alcun suono. Sentiva le pareti vaginali dilatate come non mai. Quando poi il ragazzo iniziò a muoversi, non potè trattenersi dal gemere di piacere. La sensazione di quel cazzo enorme dentro di lei si mischiava a quella del suo seno schiacciato tra lei e il tavolo mandando in confusione i suoi sensi.
Se le avessero detto che avrebbe terminato quel sabato sera scopata in cucina dal figlio dei suoi vicini non avrebbe mai potuto crederci.
Chiuse gli occhi mentre il rumore umido dei loro corpi che si scontravano le invadeva le orecchie martellandole il cervello al ritmo crescente con cui veniva scopata.

Giovanni non riusciva a controllarsi. La teneva saldamente per la palla e il fianco, dandosi forza nei movimenti che diventavano sempre più intensi.
In un momento di lucidità, capì che Mara stava solo scontando ciò che Claudia gli aveva fatto subire. Avrebbe dovuto rallentare ma non poteva. Aveva un disperato bisogno di godere e aveva guardato quel culo salire e scendere le scale troppo a lungo per farselo scappare.
Fece scendere le mani lungo i suoi fianchi fino ad afferare saldamente le natiche di Mara. Le strinse, poi la trascinò indietro, andandole incontro con il bacino. Una volta, due volte, tre volte.
Infine la sollevò dal tavolo. Pesava così poco che per lui fu uno scherzo farla girare e rimetterla a sedere sulla sedia alle loro spalle.

Mara fissò Giovanni negli occhi ansimando intensamente. Stava godendo, era inutile prendere in giro il ragazzo o se stessa. Allargò le gambe invitante e Giovanni la penetrò ancora, facendola gemere di piacere. Anche se aveva perso la cognizione del tempo, sapeva che era troppo tardi e che non poteva farsi sentire. Nascose la faccia nel collo di Giovanni e lo morse, soffocando i gemiti e le urla che avrebbe voluto sfogare pienamente.
‘Ah, troia!’
Giovanni si scostò da lei, facendola inginocchiare in avanti, contro la sedia. La costrinse a pecorina, schiaffeggiandola rudemente sul culo prima di penetrarla con forza fino in fondo, riprendendo subito a scoparla con tanta rabbia da spingerla con la testa oltre i sostegni dello schienale.

Mara non poteva far altro che aggrapparsi alla sedia e lasciare che Giovanni la montasse come meglio credeva. Sentiva l’orgasmo avvicinarsi e quando il ragazzo la afferò per i capelli facendole inarcare la schiena all’indietro, lo raggiunse così intensamente che le gambe le vennerò meno. Si abbandonò sulla sedia mentre le contrazioni della sua figa stritolavano l’uccello del ragazzo come se non volessero più lasciarlo andare.

Giovanni sapeva che quella scopata non si sarebbe protratta ancora a lungo e quando capì di non poter continuare uscì da lei facendola sentire improvvisamente svuotata. Girò intorno alla sedia e, prendendola per i capelli, le puntò il cazzo contro le labbra.
Mara lo afferrò con la mano destra e incominciò a succhiarlo con tutta se stessa. Lo prese profondamente per poi risalire fino alla punta, continuando questo su e giù finché la mano di Giovanni l’attirò a se facendole capire che era troppo tardi per tirarsi indietro.
Il ragazzo le sborrò in bocca rantolando per il piacere.
Uno, due, tre schizzi abbondanti le si riversarono in gola mentre lei continuava a masturbarlo per farlo sfogare. Quando ebbe finito di godere, il ragazzo la lasciò liberà ma lei continuò a leccarlo fino a pulirlo completamente.

Giovanni si lasciò cadere a terra respirando a fatica, mentre Mara lo guardava incapace di rialzarsi o anche solo di cambiare posizione.

‘Credo di avere un serio problema…’ Esclamò infine il ragazzo.
‘Credi?!’ fu tutto quello che la donna riuscì a rispondere.

Continua…

La Ruggiu uscì dall’ufficio sbattendosi la porta alle spalle e Amedei non poté fare a meno di lasciarsi andare a un sospiro di sollievo. Erano le otto del mattino, nemmeno il tempo di prendere il caffè che la professoressa aveva fatto irruzione nel suo studio, blaterando per almeno quaranta minuti su come dirottare i fondi destinati alla riapertura dell’aula computer su qualche iniziativa pseudo educativa che coinvolgeva mezza curia e forse anche il papato. Amedei si era limitato ad annuire senza ascoltarla davvero, lasciando cadere lo sguardo più di una volta sul generoso e un po’ cadente seno della donna fin quando, stremato, le aveva detto fermamente che di utilizzare quei fondi in un modo diverso da quello stabilito dalla professoressa Lonzi non se ne parlava nemmeno. Lei si era limitata ad alzarsi, andando via senza salutare.
Amedei chiuse gli occhi maledicendo se stesso ancora una volta per aver scelto una persona tanto inadatta come assistente, quando senti la donna urlare nel corridoio a dei ritardatari, sfogando su di loro la rabbia accumulata in quell’incontro.
Suo malgrado si costrinse ad alzarsi e a uscire dalla stanza. La Ruggiu gli dava le spalle sgridando a pieni polmoni sia Sala che Colombo. Stava disturbando l’intero istituto durante lo svolgimento delle lezioni ma non le importava. Basta, aveva dato troppo potere a una persona che non lo meritava. Quella situazione doveva essere risolta il giorno stesso. Osservo i ragazzi guardare impassibili la professoressa, fomentandola ancora di più con il loro atteggiamento quando gli venne un’idea.
Si schiarì la voce e avanzò verso il terzetto attirando la loro attenzione.
‘Grazie Manuela, ci penso io.’

Patrizia non riusciva a stare ferma sulla sedia, la gamba le ballava e, per quanto si sforzasse, non poteva fare a meno di sobbalzare ogni volta che qualcuno varcava la soglia di quel locale poco affollato. I due whisky che aveva bevuto fino a quel momento non erano serviti a niente e il terzo che aveva davanti non sembrava destinato a fare alcuna differenza.
Avrebbe voluto alzarsi e tornare di corsa a casa ma era sicura che le sue ginocchia non avrebbero retto. Come aveva fatto a lasciarsi convincere? Non era ancora pronta ad affrontare quella situazione, lo sapeva lei e lo sapeva Flavio. Eppure ora si trovava al Caffè sotto casa in attesa del suo destino.
Amedei le prese le mani tra le sue cercando di tranquillizzarla. Lei lo guardò negli occhi, indecisa se essergli riconoscente per quanto le era stato vicino in quel periodo o mandarlo al diavolo per averla praticamente costretta a quell’incontro, quando Sala e Colombo entrarono nel bar interrompendo i suoi pensieri e il suo battito cardiaco.
Amedei fece loro cenno di avvicinarsi e al saluto segui un lungo silenzio imbarazzato.
Patrizia provo vergogna di se stessa non solo per quello che aveva lasciato che accadesse coi due ragazzi, ma anche per quello strano languore che provava nel rivederli. Avrebbe voluto dire qualcosa ma non sapeva da dove iniziare. Fu Flavio a toglierla d’impaccio.
‘Sono contento che abbiate deciso di venire. La situazione è diventata insostenibile e ho bisogno di risolverla oggi, non posso più aspettare. La professoressa Lonzi deve tornare a scuola ed è chiaro quale sia il motivo che la tiene lontana. Questo ci porta alla domanda che sto per farvi. Cosa serve perché quella foto sparisca dal vostro cellulare? Volete dei permessi particolari? Avete qualche materia che pensate possa essere un problema? Tra poco ci sarà la maturità e una mano può sempre serv”
Patrizia sbatté con decisione il pugno sul tavolino richiamando l’attenzione dei pochi presenti nel locale.
‘No Flavio! Piuttosto che regalare voti, preferisco che usino la foto come meglio credono, ho già commesso l’errore di non distruggere i loro telefonini prima che mi saltassero addosso, ma non ho intenzione di svendere quel poco di dignità che mi è rimasta come educatrice permettendo che i risultati scolastici siano falsati solo per salvarmi la carriera.’ sussurrò a denti stretti.

I due ragazzi si guardarono tra di loro. Giovanni fece un cenno d’impazienza al suo migliore amico e Marco, con riluttanza, si decise a parlare.
‘In realtà avevamo già deciso di non farne niente. Con lei abbiamo vissuto un’avventura fantastica e non ci sembra giusto punirla per questo.’
Giovanni lancio un’altra occhiataccia a Marco.
‘E poi Giovanni ha tanto insistito’ precisò svogliatamente il ragazzo.
Tutto qui? Pensò Patrizia. Un mese in clausura ed era bastato semplicemente invitarli a un tavolo per far sparire la foto? Si sentiva così sollevata che gli occhi le s’inumidirono di lacrime. No, un momento. La foto non era ancora sparita, semplicemente non sarebbe stata usata. Era un rischio, doveva accertarsi che fosse cancellata quella sera stessa per poter anche solo immaginare un suo possibile ritorno a scuola.
‘Ragazzi, vi ringrazio. Sono così sollevata che non riesco a trovare le parole. Quello che dovete capire è che per quanto mi fidi di voi, non potrò essere tranquilla fin quando non cancellerete quella foto. Se doveste perdere quel telefono e finisse nelle mani sbagliate, per me sarebbe la fine’ si ritrovò a chiedere in un tono più supplichevole di quanto avesse preventivato, ma a un passo dalla metà non aveva più importanza..
Marco guardò ancora una volta l’amico che gli rispose allargando le braccia, esasperato.
‘E va bene, come volete voi, cancelliamo questa maledetta foto’ esclamò estraendo il cellulare dalla tasca. Mentre cliccava sulla galleria, Amedei lo fermò con un cenno della mano.
‘Non corriamo rischi. Usciamo e la cancelli fuori dal bar, qui troppe persone conoscono Patrizia’.

Amedei condusse il gruppo in un vicolo adiacente al locale. Marco riprese il telefonino e seleziono la foto per cancellarla ma il suo professore lo fermò e girò il telefono verso di se. Doveva vederla, sapeva che si sarebbe fatto del male ma non poteva fare altrimenti.
‘Dio mio’ sussurrò sconvolto quando apparì sullo schermo.
Quella foto poteva essere trovata sul dizionario alla voce pornografia. Il viso di Patrizia si distingueva a fatica sotto una quantità impressionante di sperma; su una guancia, sulla fronte, sul naso, persino gli occhiali ne erano coperti. Teneva in bocca il pene di uno dei ragazzi che le deformava grottescamente una guancia mentre l’altro era appoggiato sul suo viso. Amedei rimase imbambolato a fissare quella foto e fu turbato a tal punto che anche Patrizia volle vederla.
La donna restò in contemplazione qualche secondo, poi, con una risatina nervosa impose ai ragazzi di cancellarla. Trattenne il respiro mentre un messaggio sullo schermo del telefono confermava che la foto non esisteva più.
Abbracciò i ragazzi in un impeto di gioia e li attirò a se.
‘Grazie’ sussurrò dando un bacio sulla guancia di Marco.
‘Grazie’ sussurrò ancora dando un bacio sulla guancia di Giovanni.
Patrizia continuò così alternandosi nei baci tra uno e l’altro, continuando a ringraziarli e a stringerli in modo quasi materno.
Materna però non fu la reazione dei due. Giovanni iniziò a strusciarsi a lei, facendole sentire contro la pancia l’erezione che quell’abbraccio aveva fatto crescere, mentre Colombo le afferrò saldamente il seno massaggiandolo con vigore. Patrizia si ritrovò contro il muro, in balia di quei giovani ma incapace di reagire. Il languore che la accompagnava da quando si erano incontrati era diventato una fame incontrollabile. Allargò le gambe per sentire meglio l’erezione di Giovanni e fregandosene di tutto andò a saggiare quella di Marco con la mano.
‘Aspettate’ supplicò ipocritamente ‘aspettate’.
Amedei osservava la situazione divorato dall’indecisione. Una parte di se sapeva che doveva fare qualcosa, non poteva lasciare che i due ragazzi scopassero Patrizia per strada, ma il suo uccello non desiderava altro che unirsi a loro. Si ritrovava ancora una volta a guardare mentre quei due ragazzi minacciavano di riempire la sua amica dalla testa ai piedi. Durante queste sue dotte considerazione Marco spinse Patrizia a inginocchiarsi, guidandole la testa a strusciarsi sulle loro patte. La professoressa eseguì docilmente, iniziando ad armeggiare con le cinture dei due. Fu allora che Flavio capì di dover necessariamente intervenire.
A fatica sposto di peso i ragazzi, prese Patrizia per i polsi e la trascinò via. Giunti alla macchina la fece salire, mise in moto e partì.

Flavio guidò senza metà guardando di tanto in tanto la sua passeggera con la coda dell’occhio. Era accaldata e ansimante. Il seno imponente, coperto solo dal reggipetto, era quasi del tutto fuori dalla camicia sportiva e si muoveva su e giù ipnoticamente. Ci volle qualche minuto perché la respirazione dell’amica tornasse normale.
Mentre percorrevano una stradina deserta di un quartiere con distinte villette di nuova costruzione, Patrizia si decise ad abbattere il muro di silenzio che si era interposto tra loro.
‘Stavano per scoparmi Flavio, stavo per farmi scopare in quel vicolo’.
‘In realtà stavi per fargli un pompino’.
‘Accosta’.
Amedei temette di aver esagerato.
‘Siamo anche in mezzo al nulla e… ‘
‘Accosta, ho detto’. Intimò lei afferrandogli l’uccello da sopra i pantaloni.
Flavio quasi inchiodò, parcheggiandosi di fronte a una casa in costruzione, in una zona illuminata tenuemente dai lampioni.
Patrizia si liberò bruscamente della cintura e degli occhiali da vista e si chinò su di lui slacciandogli freneticamente i pantaloni, liberandogli il cazzo duro e pulsante.
‘Sì, stavo per fare un pompino a tutti e due’ sussurrò a denti stretti massaggiandoglielo prima di iniziare a leccarlo lentamente dalla base alla punta e viceversa.
Amedei appoggiò la testa al sedile con un gemito, intreccio le dita tra i suoi capelli e si godette il ritmo che la donna aveva deciso di imporre, pregustando il momento in cui quelle labbra carnose l’avrebbero avvolto.
‘Stronzo’ sussurrò Patrizia, dando dei colpi di mano intensi e decisi, scoprendo e ricoprendo la cappella ritmicamente. ‘Dovevi farti i cazzi tuoi’.
‘Dovevo lasciare che ti scopassero nel vicolo sotto casa, vero?’ ansimò Amedei al passaggio della lingua sulla cappella inturgidita. ‘Con un po’ di fortuna poteva passare qualcuno, sputtanandoti per sempre’.
‘Sì, e dovevi venire a darmi anche il tuo’.
‘Cristo! Quando sei eccitata smetti di ragionare’
Patrizia lo zittì prendendolo finalmente in bocca mentre continuava a segarlo con decisione. Cercava di spingersi il più a fondo possibile osservando il suo collega con la coda dell’occhio. Non ricordava da quanto tempo non facesse un pompino in macchina. Probabilmente da prima del matrimonio, non avrebbe saputo dirlo. Sapeva solo che i due ragazzi le avevano messo un fuoco addosso che aveva un disperato bisogno di spegnere; continuava a ripensare a quando l’avevano sbattuta al muro e si erano strusciati senza pudore su di lei, finché non l’aveva spinta a inginocchiarsi tra di loro strusciandole le loro patte durissime sul viso.
Una parte di lei si vergognava per averli lasciati fare, ma l’altra voleva dire a Flavio di mettere in moto e riportarla in quel vicolo. Se non fosse stato per l’amico, avrebbe lasciato che accadesse, non aveva dubbi a riguardo. Era iniziato con un abbraccio innocente, voleva sinceramente ringraziarli, ma la loro reazione non le era dispiaciuta e non riusciva a smettere di pensarci.
Sentì l’uomo allungare finalmente la mano per afferrarle le tette liberandole dal reggiseno, seguendo i movimenti della sua testa con l’altra. Poteva distintamente sentire i gemiti di Flavio riempire l’abitacolo accompagnati dai versi che lei stava soffocando su quell’uccello.
‘Hai intenzione di scoparteli ancora?’
Patrizia si rialzò e lo guardò dritto negli occhi continuando a masturbarlo.
‘Sì, dopo la maturità mi faccio scopare senza pensarci due volte’.
‘Se te li porti a casa dopo gli esami’ ansimò ‘quelli ti sfondano’.
‘Allora me li porto a casa tua così a sfondarmi sarete in tre’ lo sfidò lei.
‘Mi farai perdere la testa’ esclamò Amedei, afferrandole improvvisamente i capelli con entrambe le mani, spingendola con forza sul suo cazzo. Patrizia non fece altro che aprire la bocca lasciandosela riempire. Ora era l’uomo a dettare il ritmo e ne scelse uno forsennato. La guidava su e giù velocemente andandole incontro con movimenti di bacino violenti, incurante dei colpi di tosse che le provocava e di tutta la saliva che la donna gli stava facendo colare addosso. Lei per tutta risposta lo cercava con lo sguardo che le si riempiva di lacrime per lo sforzo di contenere tutta quella foga, andando finalmente a darsi un po’ di piacere con le dita.

Amedei senti di essere già a un passo dall’orgasmo. Cercò di trattenersi, di godersi quell’istante ancora per un po’, ma aveva accumulato troppa eccitazione nell’ora precedente e non poteva farci nulla. Vedere Patrizia lasciarsi andare in quel modo gli aveva fatto effetto. Se non fossero stati in quel vicolo così vicino alla casa dell’amica, non aveva dubbi che li avrebbe lasciati fare e probabilmente si sarebbe unito a loro. Continuava a rivedere l’immagine dei ragazzi che la facevano inginocchiare per terra e la docilità della donna nell’assecondare il loro desiderio. Il pensiero era troppo da sopportare a palle piene, le avrebbe riempito la bocca di sperma e poi avrebbe fatto godere anche lei.
La forzo a prendere il suo cazzo più a fondo di quanto non avesse fatto finora e proprio nel momento in cui stava per lasciarsi andare all’apice del piacere un’ombra alla sua destra lo fece sobbalzare. Seguì quell’ombra con lo sguardo e mise a fuoco la sagoma che li osservava dal finestrino del passeggero. La luce giallognola dei lampioni schermati illuminava la figura del loro spettatore. Flavio non riusciva a vederlo in viso ma sembrava un uomo distinto. Alto, completo gessato con cravatta rossa, cappotto scuro in cashmere e ventiquattrore in pelle. Era fermo di fronte alla portiera, intento a guardare la coppia darsi piacere.

Lo spavento aveva allontano l’orgasmo di Flavio ma non la sua eccitazione. Allentò la presa sul capo di Patrizia che lasciò il suo cazzo per guardarlo.
‘Cosa succede, perché ti sei fermato?’ chiese massaggiandogli il cazzo lentamente.
‘Non spaventarti, ma c’è qualcuno che ci sta guardando’.
‘Ah sì?’ domandò divertità.
‘Sì, un uomo ci sta guardando dal tuo finestrino’.
Patrizia lecco languidamente la cappella di Flavio poi, gattonando, si girò verso la portiera del passeggero incurante del fatto che il suo seno era completamente scoperto.
Era vero. Un uomo li stava guardando. Non riusciva a vederlo in volto ma era proprio li davanti a lei. Patrizia senti una scossa alla base della schiena, si slacciò i jeans e li abbassò quel tanto che bastava per mettere in mostra il sedere e la figa.
‘Scopami!’ ordinò.
Quella donna tirava fuori il peggio di lui. Flavio si mise in ginocchio alle sue spalle e la penetrò violentemente scostandole le mutandine.
Patrizia soffocò un urletto e, aggrappandosi alla portiera, andò incontro ai suoi movimenti. La posizione era scomoda e stretta ma non importava, era così eccitata che anche il letto di un fachiro avrebbe fatto al caso suo. Si senti afferrare per i fianchi da Flavio che impresse un movimento lento e profondo a quella scopata. Poteva sentire il suo bacino sbatterle umidamente sul culo, spingendola sempre di più verso il finestrino.
Il loro spettatore si guardò intorno e, senza lasciare la ventiquattrore, tirò fuori un cazzo duro e nodoso iniziando a farsi una sega di fronte agli occhi di Patrizia.
Per la donna fu troppo. Si puntellò con le mani e andò incontro a Flavio molto più intensamente. Voleva godere e voleva farlo adesso.
‘Più forte, scopami più forte!’ Gli urlò.

Fu accontentata. Amedei la prese per le spalle e iniziò a scoparla con colpi sempre più veloci e profondi, premendola contro la portiera mentre lo spettatore poggiò la cappella al finestrino, proprio in corrispondenza del suo viso.
L’orgasmo la prese all’improvviso, facendola urlare di piacere. Si senti mancare e cadde in avanti. Istintivamente cercò un appiglio, andando ad aggrapparsi alla maniglia della portiera, aprendola.
Lo sconosciuto fraintese quel gesto per un invito. La sorresse, lasciando cadere la ventiquattrore senza smettere di masturbarsi. Le avvicinò l’uccello alla bocca e lei, esausta, la dischiuse. Quando realizzò ciò che stava facendo l’adrenalina entrò in circolo dandole nuove energie. Era ancora alle prese con due cazzi ma questa volta era in una strada pubblica, illuminata e in un quartiere pieno di case. Flavio in tutto questo non aveva smesso di scoparla, anzi, sembrava ancora più fomentato da quel che stava succedendo. Era la realizzazione della sua fantasia.
I due uomini la afferrarono per i capelli. Due mani diverse di due uomini diversi la guidavano nello stesso gesto. Si ritrovò aggrappata ai glutei dello sconosciuto lasciandosi usare da entrambi come preferivano mentre sentiva montare il secondo orgasmo.
Anche i due uomini erano al culmine. Le loro spinte erano sempre più violente e decise, le loro gambe tremavano. Patrizia avrebbe voluto allargare le gambe per meglio godersi le ultime spinte di Flavio ma i jeans non glielo permettevano.
Lo sconosciuto si scosto improvvisamente da lei puntandolo per terra mentre si masturbava. Era sul punto di venire e l’avrebbe fatto sul marciapiede.
‘No! No! In bocca!’ intimò Patrizia a quel galantuomo che non aveva voluto disturbarla col suo sperma.
L’uomo le riprese il capo con tanta urgenza che per poco non la strappò via da Flavio.
Un paio di pompate e l’attirò completamente a se iniziando a sborrarle in gola con un rantolo di piacere.
Flavio lo segui quasi in contemporanea. Con un’ultima penetrazione si fermò dentro di lei e venne portando con se anche Patrizia che soffoco le proprie urla su quel cazzo estraneo che ancora le riempiva la bocca.

Quando gli ultimi momenti dell’orgasmo li lasciarono i tre si ricomposero con non poco imbarazzo.
Lo sconosciuto offrì a Patrizia la propria Pochette su cui erano ricamate le iniziali VM. Ringraziò con un piccolo inchino e raccogliendo la ventiquattrore s’incamminò lungo la via.

Continua’

Per commenti, suggerimenti e critiche potete contattarmi su extales@hotmail.it
Giovanni camminava con passo spedito, percorrendo la breve distanza che ancora lo separava da casa. Nei suoi occhi, il vivido ricordo di ciò che stava per succedere pochi minuti prima gli provocava dolorose fitte di eccitazione allo stomaco e al basso ventre.
La Lonzi gli era entrata nel sangue dal primo anno di liceo e averla avuta una volta non era bastato a placare quel desiderio che si portava dentro. La voleva ancora e malediceva Amedei per averli fermati a un passo dal riuscirci, ma del resto il professore che altro poteva fare?
Erano in un vicolo a un passo dalla casa della professoressa. Potevano distruggere la sua reputazione per sempre e questo cozzava un po’ col proposito di non rovinarla con cui aveva assillato Marco fino allo sfinimento.
La Lonzi non lo sapeva, ma aveva un debito di gratitudine non indifferente nei suoi confronti e, in cuor suo, Giovanni pensava che lei gli dovesse qualcosa. Magari non in quel vicolo e non a quell’ora ma almeno un altro pompino se lo meritava proprio. Lui almeno. Marco forse no, Ma il pensiero di farlo senza il suo migliore amico toglieva all’esperienza parte del suo fascino.
Alcuni ritengono che queste voglie celino alla base il desiderio di stare con un altro uomo. Se fosse stato così l’avrebbe ammesso serenamente, almeno con se stesso, ma Giovanni era arrivato alla conclusione che ciò che lo faceva impazzire era quanto in là possa spingersi una donna se coinvolta, più o meno, nelle giuste condizioni.
Questi pensieri stavano peggiorando la sua condizione. Il pisello di Giovanni, da barzotto che era, stava lentamente diventando sempre più evidente. Affrettò ancora il passo, immaginando il momento in cui avrebbe potuto chiudersi in camera sua e sfogare tutta la sua voglia in un fazzoletto.

Come in un miraggio il profilo del suo palazzo comparse in lontananza, A questo punto Giovanni stava praticamente correndo senza nemmeno rendersene conto.
Una ricerca rapida delle chiavi e irruppe nel portone.
Il suo dirimpettaio stava controllando la posta, non erano mai andati oltre il buongiorno e il buonasera ma il ragazzo cercò di evitare ogni possibile rallentamento. Chiamò l’ascensore, tamburellando nervosamente il piede in attesa che arrivasse al piano.
Doveva essere occupato perché ci mise una vita a scendere e questo diede modo al suo vicino di arrivargli alle spalle scartando il pacco che aveva appena ritirato dalla cassetta: era un gioco della Nintendo.
‘Il nuovo Mario Kart?’ Domandò Giovanni pentendosi subito della sua domanda.
‘Proprio lui, Mario Kart 8, pensa che ho comprato un Wii U apposta per questo e finalmente è arrivato anche il gioco’
Il suo vicino lo bloccò fino a che non arrivarono al loro piano e continuò sulla porta d’ingresso, gettandosi a capofitto in una dissertazione su come Mario Kart avrebbe salvato la nuova console Nintendo e su quanto avesse amato tutte le precedenti incarnazioni del titolo. In condizioni normali Giovanni avrebbe partecipato con entusiasmo a quella discussione. Era da sempre un appassionato videogiocatore e, se le sue finanze gliel’avessero permesso, alla sua Playstation 4 si sarebbe sicuramente affiancato un Wii U, ma in quel momento nella sua mente c’era solo un mouse e un’altra mano troppo impegnata per digitare sulla tastiera. L’ultima domanda dell’uomo, però, gli gelò il sangue.
‘Perché non vieni da me, così lo proviamo insieme. Non gioco con una persona ‘vera’ da troppo tempo e stracciare qualcuno online non da la stessa soddisfazione di una persona in carne ed ossa.’
‘Volentieri ma devo studiare, sta arrivando la fine dell’anno e sono molto indietro e poi non vorrei disturbare’ Coltò alla sprovvista Giovanni non seppe biascicare di meglio.
‘Ma figurati, e poi tra poco iniziano le vacanze di pasqua, una sera puoi concedertela. Dai e poi a Mara farà sicuramente piacere avere un ospite.’

Giovanni si sentì morire al ricordo di Mara. Da quella notte aveva fatto di tutto per evitarla. Si sentiva in colpa per ciò che era successo e anche se in parte sentiva di essere stato provocato non riusciva a smettere di provare vergogna per come quella parte di se prendesse sempre più spesso il sopravvento. Era un uomo, non una bestia ma iniziava a dubitarne sempre di più.
Immerso nei suoi pensieri non si accorse che Andrea, così si chiamava il suo vicino, l’aveva praticamente trascinato nell’appartamento, guidandolo verso il salone e la tv dove Mara stava guardando il TG. Quando la donna si ritrovò il ragazzo davanti sbiancò per un attimo.
‘Ciao amore’ disse riprendendosi dallo shock. ‘Hai ospiti stasera?’
‘Il qui presente Giovanni sostiene di essere più abile di me a Mario Kart e ho pensato di dovergli dimostrare come stanno davvero le cose.’
‘Posso immaginare. Ti ha trascinato qua contro la tua volontà vero?’
‘Ma… Ma no, mi fa piacere’ Giovanni abbasso lo sguardo faticando a incontrare il suo.
Com’era diverso, pensò Mara, praticamente un’altra persona. Dimesso, timido, educato. Molto lontano dalla bestia affamata che le aveva tenuto compagnia quella notte. Se avesse ignorato di cosa era capace quel ragazzo le avrebbe quasi fatto tenerezza, invece lo sapeva bene e non si capacitava di come quel Dottor Jekyll di fronte a lei potesse trasformarsi così repentinamente in un mister Hyde molto dotato.

Andrea distolse il ragazzo dalla propria vergogna mettendogli un controller tra le mani e facendo partire il gioco. La musica riecheggiò nella stanza e il rombo dei kart coprì i loro pensieri.
‘Si comincia!’ Urlò con entusiasmo l’uomo.

Mara si sedette sulla poltrona di fianco a loro. Gli tremavano le gambe e faticava a nasconderlo. Essere così vicina a Giovanni la riempiva al tempo stesso di rabbia ed eccitazione: rabbia per essere stata ignorata dal ragazzo per tutti quei giorni ed eccitazione perché il ricordo era ancora molto vivido.
Aveva ripensato spesso a quella notte, ripromettendosi più volte di parlarne con Giovanni ma non ne aveva mai trovato l’occasione. Si erano semplicemente evitati e le poche volte che era capitato di incrociarsi per le scale lui le era passato di fianco facendo finta di non accorgersi di lei.
La sua coscienza, inoltre, non le dava pace. Andrea le voleva bene e non se lo meritava, ma col tempo la fantasia si era un po’ spenta e lei aveva iniziato a sentire il bisogno di aprirsi a nuove esperienze. Il logorio della vita di coppia, si era detta, promettendo a se stessa che non si sarebbe più ritrovata in una situazione del genere, ma se così fosse perché più volte si era ritrovata a toccarsi su quello stesso divano dove erano seduti i ‘suoi’ due uomini?
Mara si forzò a guardare il gioco con una certa noia, gettando di tanto in tanto lo sguardo su quel ragazzo che l’aveva posseduta con tanta foga.
Ora che lo guardava bene si rendeva conto che era proprio bruttino, così cicciottello e sgraziato si domandava come potesse suscitare in lei emozioni così contrastanti. Evidentemente l’attrazione non si basa solo sull’aspetto fisico, o almeno non su ciò che poteva essere visto con un vestito addosso.
Improvvisamente l’immagine del cazzo del ragazzo le si materializzò davanti al viso, accendendola di desiderio. Si ritrovò a mordersi involontariamente il labbro e a stringere le gambe proprio nel momento in cui il ragazzo si voltava verso di lei.
La rabbia e l’eccitazione si fusero insieme facendole decidere di prendersi una piccola vendetta nei confronti di Giovanni.

Finalmente mi guardi, pensò Mara con malizia, sapendo benissimo che anche il ragazzo stava pensando a quella sera. Si pentì improvvisamente di aver indossato solo una felpa e dei jeans consunti quella sera, ma tenendo un occhio sul marito si porto il dito medio alle labbra e decise di osare. Quando Giovanni si voltò nuovamente verso di lei, si spinse il medio profondamente in fondo alla bocca dando un unica, lentissima pompata.
La reazione che ne seguì fu esilarante. Il ragazzo, che fino a quel momento aveva dato del filo da torcere ad Andrea, sgrano gli occhi e finì subito fuori strada, suscitando la derisione del suo avversario.
Non passò molto tempo che lo sguardo di Giovanni torno su di lei. Ignorami adesso, piccolo stronzo. Questa volta fece semplicemente saettare la lingua intorno alla punta del dito per poi strofinarselo sulle labbra.
Giovanni finì nuovamente fuori strada e la ragazza poté constatare che il calo di prestazioni nel videogioco non era l’unica conseguenza del suo comportamento.
Il suo volto era diventato paonazzo e, osservandogli il cavallo dei pantaloni vide quella che sembrava l’inizio di una prorompente erezione. L’avrebbe torturato fino a costringerlo a scappare in bagno per farsi una sega.
Una parte di se si vergognava di questo comportamento. Era una donna adulta, non una ragazzina e il fatto che il suo orgoglio fosse stato ferito non le dava il pretesto per provocarlo così, però la tentazione era troppo forte e il fatto che in tutto quel tempo suo marito non le avesse lanciato nemmeno uno sguardo le diede la spinta di cui aveva bisogno, le cose non avrebbero degenerato, in fondo la presenza di Andrea sarebbe bastata a proteggerla.
No, non si sarebbe fermata finché non avesse visto quel cazzo completamente duro.

Con un certo divertimento, e incurante di ciò che stava stuzzicando in quel momento, si succhiò nuovamente il dito medio, esibendosi in un silenzio e intenso su e giù. Giovanni finì per per incurvarsi sempre più davanti nel tentativo di nascondere la propria eccitazione, finendo per perdere tutte le partite successive.
Mosso a pietà Andrea propose una pausa.
‘Che ne dici se andiamo a prendere un paio di pizze e ti fermi a cena da noi?’
Ecco bravo, ora vediamo come fai ad alzarti, pensò con una punta di cattiveria Mara.
‘Dovrei avvertire i miei, ma non vorrei fare troppo tardi, domani è un giorno di scuola’
‘Ceniamo in fretta, facciamo un altro paio di partite e poi torni a casa. Chiamali e andiamo’ rispose Andrea, guardando le statistiche delle partite precedenti.
Giovanni inclinò lo smartphone verso Mara e compose il numero, poi, facendo attenzione che la donna lo stesse guardando, spense lo schermo e porto il telefono all’orecchio, lanciandole un sorriso che non prometteva niente di buono.
‘è occupato.’
Aveva fatto finta di chiamare e Mara l’aveva capito. Cosa stava tramando?
‘Potremmo scendere ad ordinare e riprovare mentre siamo per strada, tanto la pizzeria è quella sotto casa’
‘Il problema è che sono uscito alle otto di casa e non sono ancora tornato, forse non è una buona idea che resti a cena’, rispose Giovanni guardando Mara con la coda dell’occhio. ‘Potrei andare a casa e chiedere il permesso ma conoscendo mio padre mi chiederà sicuramente di aiutarlo a fare qualcosa appena varcherò la soglia, ti spiacerebbe andare da solo?’
Mara si senti mancare, ecco cosa aveva in mente. Cercò disperatamente di intromettersi nella discussione ma aprì la bocca senza che ne uscisse alcuna parola.
‘Oh… Va bene dai, tanto ci vorrà un po’ perché arrivino, avrai il tempo di farti schiavizzare dai tuoi come meglio credono’ e rise. ‘Che pizza vuoi?’
‘Wurstel e patatine.’
‘Per te la solita invece?’
Che ti prende? Parla porca miseria! Sei ancora in tempo! Digli che non hai voglia di pizza stasera e preferiresti preparare una spaghettata veloce, digli che lo accompagni a ordinare le pizze, digli quello che ti pare, basta che apri quella maledetta bocca e fai in modo di non restare da sola con Giovanni!
‘Mara, allora? ‘ Alzò la voce Andrea scuotendola dai suoi pensieri. ‘Ti prendo la solita?’
Mara si limitò ad annuire.
‘Faccio in un attimo allora, a tra poco.’
‘A tra poco’ rispose Giovanni.
Sai cosa sta per succedere, pensò disperata la donna, questa è la tua ultima chance! Ora ti alzi prima che Andrea si chiuda la porta alle spalle e scappi in bagno finché non lo senti tornare. Concentrati o te lo ritroverai addosso ancora una volta. Mettiti in piedi e vattene stupida deficiente che non sei altra!

Con uno sforzo che le sembrò sovrumano riuscì lentamente ad alzarsi, ma durante quel movimento sentì distintamente lo sbattere della porta d’ingresso. Era troppo tardi.
Una mano enorme l’afferrò per la spalla e la rispinse a sedersi, l’altra invece la prese per i capelli e la forzo ad alzare gli occhi.
‘Seduta!’
Mara guardò il ragazzo attraverso le lenti degli occhiali, gemendo di dolore.
‘Hai scelto il giorno peggiore per provocarmi’ sussurrò Giovanni a denti stretti portandole il viso a contatto della patta dei pantaloni.
Lei rimase passiva lasciando che quell’erezione le venisse strofinata per tutto il viso. Poteva sentirne la consistenza attraverso il tessuto. Strinse le gambe e un altro debole gemito le sfuggi dalle labbra. Si maledisse ancora una volta ma aveva iniziato a bagnarsi.
Tutte quelle promesse che aveva fatto a se stessa. Tanto è solo un gioco, aveva detto più volte ed eccola qua a un passo dal tradire ancora Andrea.
Merda, Andrea!
Il panico le fece recuperare parte delle forze che aveva perso poco prima. Andrea era ancora troppo vicino, poteva sorprenderli come niente fosse.
‘Tu sei fuori di testa’ urlò ‘Andrea potrebbe tornare da un momento all’altro!’
‘Io sono fuori di testa? Mi hai provocato da quando ho messo piede in casa tua e io sono quello pazzo?’ Giovanni mosse il bacino avanti e indietro contro la sua faccia, così intensamente da abbassarle gli occhiali sul naso. ‘Senti come mi hai ridotto? Lo senti?’
‘Dio, quanto sei duro!’ sussurrò Mara assaporando quel contatto. ‘Mi farò perdonare, te lo giuro, ma ti prego, adesso lasciami stare!’
Senza dare l’impressione di averla sentita Giovanni si abbassò la zip dei pantaloni tirandolo fuori. Era così eccitato che il suo cazzo balzò verso l’alto come fosse azionato da una molla, riportando in posizione gli occhiali che le aveva spostato prima.
La donna sgranò gli occhi. Il respiro già irregolare. Rivederlo le fece più effetto della prima volta, rimase incantata finché il ragazzo non la riscosse dal suo torpore.
‘Apri la bocca.’ ordinò strofinandole la cappella sulle labbra
Mara la tenne chiusa, non poteva cedere, non doveva cedere.
‘Ascoltami attentamente, ora hai due possibilità: o apri la bocca e mi succhi tutta la sborra che mi hai fatto accumulare nelle palle o mi faccio una sega davanti a te e aspetto che tuo marito varchi la soglia di casa per venirti in faccia come meriti, immagina che bello spettacolo.’
‘Se Andrea dovesse tornare a casa ora…’ provò a ribattere lei, cercando di schivare gli assalti incessanti del ragazzo.
Giovanni prese il cordless dal tavolinetto di fianco al divano e lo porse alla ragazza interrompendo quell’assedio, dandole finalmente un po’ di spazio.
‘Chiamalo, chiedigli se è in pizzeria e se posso cambiare gusto della pizza.’

Sconfitta, Mara compose il numero e si portò il telefono all’orecchio.
‘Sta suonando?’ domandò Giovanni?
‘Sì, sta… ugh!’ Mara sgranò gli occhi per la sorpresa. Giovanni aveva approfittato della sua risposta per sbatterglielo profondamente in fondo alla gola gridando a gran voce tutta la voglia repressa fino a quel momento. Lei cercò disperatamente di liberarsi ma il ragazzo la teneva saldamente per i capelli.

‘Pronto?’ si sentì provenire dall’altro capo del telefono.
Giovanni la tenne così, con metà del suo cazzo sprofondata dentro la bocca mentre gli occhi della donna lo supplicavano di lasciarla.
‘Pronto? Pronto Mara?’
Giovanni uscì dalla sua bocca poggiandole la cappella sulla fronte, strofinandola contro di essa. Mara tossì convulsamente, maledicendo mentalmente il ragazzo con tutta se stessa.
‘Pronto?’ tossì Mara ‘Andrea?’
‘Dimmi cara, tutto bene?’
Giovanni si muoveva avanti e indietro, continuando a strusciare quell’arma impropria contro il viso della donna, quando si spostava in avanti arrivava fin quasi a metterle le palle contro il naso.
‘S… Sì, tutto bene’ rispose la donna riprendendosi stoicamente dai colpi di tosse, ‘mi è solo andato qualcosa di traverso. Giovanni voleva sapere se può cambiare gusto, sei già arrivato?’
‘Quindi ha avuto il permesso di restare? Non sa cosa lo aspetta. Comunque sì, sono appena arrivato, che gusto vuole?’
‘Che gusto vuoi?’ chiese Mara al ragazzo.
‘Digli di portarmi una quattro formaggi.’
Era un ordine, pensò fremendo Mara, quel bastardo stava ordinando ad Andrea di portargli una pizza mentre strusciava il cazzo contro il viso di sua moglie.
Quel pensiero la fece fremere di desiderio e vergogna.
Giovanni glielo riportò contro le labbra, Mara istintivamente lasciò scorrere la lingua intorno alla cappella per qualche secondo.
‘Una quattro formaggi’
‘E una quattro formaggi sia.’
‘Senti…’ riprese lei, cercando, con la mano, di spostarsi quel cazzo dalla faccia. ‘Quanto pensi di metterci? Giovanni è già qui…’ chiese con un filo di voce.
‘Credo una ventina di minuti, non c’è molta gente ma devono ancora farle.’
Una fitta da senso di colpa prese Mara allo stomaco. Stava per tradire ancora il suo compagno e una parte di se non vedeva l’ora, grondando nell’attesa, ma Andrea non se lo meritava davvero e forse c’era un modo per limitare i danni. Si spostò bruscamente il cazzo dalla faccia, impugnandolo con la mano e guardò Giovanni piena di sfida.
‘Perché… perché non torni ad aspettare a casa? Potreste fare un’altra partita, Giovanni non aspetta altro…’ Lasciò quella frase in sospeso e sperò con tutte le sue forze che il desiderio di giocare ancora fosse sufficiente a riportarlo da lei. Le corna uno deve anche cercare di evitarsele.
Giovanni strinse il pugno carico di rabbia. L’aveva fregato e non poteva farci nulla.
‘Il fatto è che ho incontrato qua Fabrizio e stiamo chiacchierando un po’, a proposito, ti saluta. Ti dispiace tenere compagnia a Giovanni finché non arrivo?’
‘Ah, salutamelo…’ Le speranze di Mara si erano infrante su uno scoglio chiamato Fabrizio. ‘Va bene, gli terrò compagnia’ e chiuse il telefono gettandolo sul divano con stizza.
Giovanni le sorrise vittorioso.
‘è proprio un coglione’ si arrese lei alzando lo sguardo verso il ragazzo, iniziando a masturbarlo.
‘Ci hai provato. Adesso succhia!’

Marà prese la punta in bocca, ubbidendo con più entusiasmo di quanto non avrebbe dovuto. Il senso di colpa non era sufficiente a soffocare la sua eccitazione. Quel cazzo la incantava e quei modi la soggiogavano. Ancora una volta era nelle mani di un ragazzino che avrebbe fatto di lei quel che voleva. Ancora una volta il Mister Hyde era passato a trovarla e aveva preteso che lei pagasse la sua tassa.
Giovanni la afferrò nuovamente per il caschetto nero e iniziò a darle il ritmo. Non voleva proprio saperne di lasciarla fare ed era un peccato perché l’abilità di Mara veniva ancora rimpianta da tutti i suoi ex.
Il ragazzo però aveva solo un disperato bisogno di venire. Troppe emozioni tutte nello stesso giorno. Prima la Lonzi e ora lei: un’escalation continua che poteva portare solo verso un unico finale.
Giovanni non avrebbe potuto resistere a lungo; quella situazione l’aveva eccitato ancora di più di quanto non fosse sulla strada verso casa.
Le tolse la mano dal proprio cazzo e prese a spingersi ancora più profondamente. Ogni tanto la sentiva tossire ma non gli importava. L’aveva provocato per un ora intera, facendolo soffrire come un cane. Che ne pagasse le conseguenze.
Uscì dalla sua bocca e la schiaffeggiò col cazzo sulle guance dandole il tempo di respirare, poi riprese più intensamente di prima. Infilò l’altra mano dentro la felpa di lei e le afferrò bruscamente il seno.
Marà soffocò un gemito. Iniziava ad aver bisogno di godere anche lei e le sue tette erano sempre state molto sensibili. Gli occhi le lacrimavano e la mascella le faceva male per lo sforzo ma non le importava, faceva parte del gioco. Si slacciò i bottoni dei jeans e iniziò a toccarsi furiosamente.
Giovanni la vide e le tolse immediatamente le mani.
‘Perché?!’ gemette la donna, carica di frustrazione.
‘Non ci pensare nemmeno’ disse portandole le mani dietro la testa, bloccandole con le sue quasi senza interrompere quella violenta scopata in bocca. ‘Ora soffri come ho sofferto io poco fa.’
Incapace di darsi piacere, Mara non poté far altro che lasciarlo fare. Era un semplice burattino mosso dal desiderio di quel ragazzino. Nessuna volontà, nessun diritto, solo una bocca calda e spalancata nell’estenuante tentativo di accogliere quel cazzo.
Sentiva che ormai non doveva mancargli molto, e ne era quasi dispiaciuta, avrebbe voluto avere il tempo di farsi riempire ma quel bastardo non le permetteva nemmeno di masturbarsi.
Il respiro del ragazzo divenne sempre più affannoso e le sue spinte sempre più veloci e profonde.
Mara doveva resistere ancora un po’ e sarebbe finita.
Giovanni uscì dalla sua bocca iniziando a segarsi velocemente. La prese per i capelli e la forzò ad alzarsi in piedi premendole la fronte contro la sua.
‘Adesso ti vengo in gola e prima di andare a letto ringrazi mille volte la tua buona stella che non ti ho riempito la faccia di sborra, hai capito?!’
‘S…Sì!’ fu tutto quello che Mara riuscì a rispondere prima di essere spinta in ginocchio.
Giovanni continuò a masturbarsi di fronte al suo viso. La sua mano scorreva sull’asta sempre più velocemente facendolo diventare sempre più rosso e paonazzo. Con un rantolo sofferto glielo rimise in bocca, piantandole la cappella contro la guancia, gonfiandogliela in modo volgare. Come oltrepassò le labbra Giovanni iniziò a venire.
Un urlò soffocato segui ognuno dei cinque schizzi che la riempirono senza il minimo pudore. Mara si aggrappò a quel cazzo con entrambe le mani e pompò le ultime gocce con le ultime forze che le erano rimaste poi fece una cosa che non sorprese solo Giovanni ma anche se stessa. Aprì la bocca mostrandogli la quantità oscena di sperma che vi era contenuta e ci giocò qualche secondo con la lingua prima di ingoiarlo tutto, poi aprì ancora la bocca mostrandola vuota.
Giovanni si lasciò cadere nella poltrona dietro di lui e Mara corse in bagno a darsi una sciacquata, lasciandolo nella sua vergogna.

Ebbero appena il tempo di sistemarsi alla meno peggio che Andrea fu di ritorno con le pizze. Mangiarono velocemente e in silenzio, dominati dall’impazienza di riprendere a giocare. Quando Mara fu finalmente sola in cucina appoggiò la testa al tavolo dandosi rabbiosamente il piacere che Giovanni le aveva negato. Lo odiò con tutta se stessa in quel momento ma fu il pensiero di ciò che era successo a guidarla rapidamente a quell’orgasmo devastante di cui aveva bisogno.
Continua…

‘Non ce la faccio più!’ Urlò la Ruggiu sbattendo la porta della vicepresidenza.
Flavio quasi cadde dalla sedia.
‘Sei impazzita?’
‘Sì, da quando quella stronza è tornata a lavoro questo posto di merda mi sta facendo uscire di testa’
‘Di che stai parlando?’
‘Di questa scuola di merda. Oggi ho incrociato la signora Rossana e sai che ha fatto? Mi ha guardato con un sorrisetto che mi ha fatto venire voglia di tagliarle la gola. Come a ricordarmi che non conto più un cazzo. Ma non conta un cazzo lei! Mio marito è deputato in regione, una telefona e i cessi torna a pulirli solo a casa sua, quella bidella di merda!’
‘Cerca di calmarti o ti sentiranno tutti’
‘Ma calmati tu! Non capisci che questa scuola senza di me sta cadendo a pezzi? L’amica tua non ha il senso della disciplina’ urlò ancora più forte ‘come cazzo fai a non rendertene conto?’

La professoressa Ruggiu era completamente fuori controllo, il viso arrossato tradiva una collera irrazionale e Flavio ne aveva quasi paura. Fisicamente non suscitava molto timore, era una donna piccolina e formosa, un po’ pienotta forse, non proprio lo stereotipo del mostro assetato di sangue, ma suo marito e la sua instabilità la rendevano una persona molto pericolosa e difficile da contraddire. Le minacce nei confronti della povera bidella non erano lanciate a vuoto e non si sarebbe meravigliato più di tanto se da un giorno all’altro la signora Rossana fosse sparita dall’organico della scuola. Decise di provare l’approccio diplomatico, assecondandola per quanto poteva.
‘Capisco la tua frustrazione, davvero. Sono certo che una persona con le tue capacità e che si è distinta come hai fatto tu nelle settimane passate potrebbe farsi valere alla guida di un istituto come il nostro, ma col ritorno di Patrizia forse sarebbe il caso di cercare altrove, non pensi?’
‘E allora lo vedi che lo dici anche tu? Ho fatto un buon lavoro come tua vice, no? Ho trasformato questa scuola in un paio di settimane e ora la tua amica pensa di tornare e riportare tutto com’era prima? No, non penso proprio. Se ne deve andare! è da quando sono passata di ruolo che tutto l’istituto mi guarda dall’alto in basso. Solo perché sono passata da religione a lettere. No, se ne deve andare cazzo, questa scuola è mia. Anzi, questa scuola è nostra, vero Flavio?’ Disse poggiando le mani sulla scrivania e sporgendosi in avanti. Il suo maglione leggermente scollato lasciava intravedere un seno abbondante anche se un po’ cadente. La Ruggiu fece il giro della scrivania si piantò davanti a Flavio. ‘Ho bisogno del tuo aiuto per far fuori quella stronza.’

‘Senti” iniziò Flavio con po’ di esitazione ”non saprei nemmeno da dove iniziare a”
‘Siete in confidenza, no? Sarà successo qualcosa di torbido, qualcosa che possiamo usare contro di lei, sei il suo vice da cinque anni.’
Flavio esitò. Qualcosa di torbido era successo ma Manuela non era certamente la persona adatta a cui confessarlo.
‘Quella faccia da madre Teresa nasconde sicuramente qualcosa e sono certo che te l’abbia almeno accennato’
‘Ma cosa vuoi che sia successo? Patrizia ha sempre tenuto un comportamento irreprensibile.’
‘Non capisco perché ti ostini a difenderla così. è un’incapace, io sarei certamente una preside migliore di lei. Cos’è, te la porti a letto?’
Flavio arrossì di colpo, col suo ragionamento delirante aveva colto nel segno.
Manuela sgranò gli occhi.
‘Brutto porco, te la scopi!’
‘Ma’ Ma cosa ti viene in mente, sei impazzita?’
‘Senti, non giriamoci intorno, se è questo che vuoi possiamo trovare un accordo.’
‘Un accordo?’
‘Hai capito benissimo, non fare il finto tonto.’
‘Ma di che diavolo stai parlando?’ Strillò con una voce più acuta di quanto non avrebbe voluto ‘mi stai seriamente mettendo in difficoltà’

La professoressa Ruggiu lo spinse a sedersi.
‘Sto per fare molto di peggio’ Disse inginocchiandosi di fronte a lui iniziando ad armeggiare con la cintura dei suoi pantaloni.
Flavio fu sul punto di cadere nuovamente dalla sedia.
‘Ma che fai? Se entrasse qualcu”
Il suo cazzo fu liberato in un attimo inturgidendosi prontamente tra le dita corte e tozze della Ruggiu.
‘Pensi che non mi sia accorta di che razza di porco sei? Che non abbia mai notato quando ti cade lo sguardo nella mia scollatura?’ disse iniziando lentamente a masturbarlo.
‘Tu e quella troia della tua amica vi siete divertiti, vero? Per questo non vuoi aiutarmi. Chissà quanto è contento il marito. Ipocrita. Sempre pronta a farti la morale e poi eccola fare la zoccola con tutto il corpo docente.’
Flavio la ascoltava perplesso, ma non era sposata anche lei? Quanto sarebbe stato contento il marito di vederla in questa situazione? Però non poteva fare a meno di godere dei gesti esperti con cui lo stava masturbando. Quella manina si muoveva agilmente lungo il suo cazzo con un’abilità tale da fargli provare brividi di piacere. Per la moglie di una figura di spicco della corrente cattolica della regione sapeva veramente il fatto suo. Se solo fosse riuscita a stare zitta…
La professoressa Ruggiu chinò lentamente il capo, andando a lambire con la lingua la punta la cappella. ‘Mi aiuterai allora?’
Flavio gemette di piacere.
‘Mi aiuterai o no?’ chiese ancora, strofinando le labbra lungo tutta l’asta.
‘Sì…’ sussurrò a denti stretti il professore.
‘Non ho sentito’ replicò malignamente lei.
‘Ho detto di sì’
‘Flavio, devi parlare a voce più alta, proprio non ti sento’ gli rispose ancora, questa volta aprendo la bocca proprio davanti alla cappella ormai paonazza di lui, tirando fuori la lingua senza toccarlo.
‘Ti ho detto di sì. Sì, cazzo!’
E la professoressa Ruggiu con un sorriso trionfante lo premiò per la sua risposta. Imboccò quel membro pulsante, prodigandosi in un lento su e giù. Flavio non se lo sarebbe mai aspettato, ma quel pompino era estremamente appagante. La Ruggiu lo prendeva profondamente in bocca, accompagnandosi nel gesto con la mano destra, alternando quei momenti con lunghe leccate sull’asta. Aveva fantasticato più di una volta su quella donna, per quel parallelismo innegabile che lega spesso odio e desiderio e ora, in maniera del tutto inaspettata, aveva le labbra della professoressa più detestata della scuola intorno al proprio cazzo. Allungò le mani accarezzandole il seno abbondante. Non era proprio sodissimo ma per una donna che si avvicinava alla quarantina non era affatto da buttar via. Fece per scoprirlo sollevandole il maglione ma lei gli schiaffeggiò la mano.
‘No no, con questo potrai giocarci solo a cose fatte’ Gli sorrise lei, ‘avrai solo da guadagnarci, Flavio’ continuò alternandosi tra un risucchio e l’altro, ‘potrai avere questo trattamento tutte le volte che vuoi’.
‘Tutte le volte che voglio?’ doveva essere sincero con se stesso e ammettere che il pensiero un po’ lo tentava ma sarebbe bastato a convincerlo ad aiutarla davvero?
‘Tutte le volte che vuoi.’
Flavio sentiva già l’orgasmo sopraggiungere. Non era il miglior pompino della sua vita ma quella situazione inaspettata lo stava già portando al punto di non ritorno.
Preso dalla voglia afferrò i capelli della donna e la spinse a prenderlo profondamente in bocca.
La Ruggiu tossì e lottò per scostarsi da lui.
‘Che cazzo fai?’ gli urlò lei continuando a tossire, dandogli poi una dolorosa manata sulla coscia.
‘Scusami, ho pensato che avrei”
‘Hai pensato male, non mi piace per niente.’
Contrariata riprese ciò che aveva interrotto infondendo nel pompino la rabbia che l’essere spinta le aveva causato. Quel gesto aveva completamente cambiato l’umore della donna, se prima sembrava complice ora mostrava solo il desiderio di farla finita il più velocemente possibile. Flavio le accarezzo la testa spostandole i capelli da davanti al viso accompagnandole i movimenti .
‘Lasciami dai, ti ho detto che non mi piace.’
Scocciata afferrò il membro alla base masturbandolo velocemente accompagnando quella sega con veloci colpetti di lingua. Ci volle qualche minuto per riportare Flavio verso l’apice del piacere ma quando senti che l’uomo stava ormai per arrivare, con un sorriso maligno interruppe quel pompino e, nella perplessità di Flavio, glielo rimise a fatica nei pantaloni rialzandosi per uscire dalla stanza.
‘Questo era solo un acconto, il resto a cose fatte.’

Flavio era letteralmente sbalordito. L’aveva portato a quel punto solo per fargli venire le palle blu? Eh no, cazzo! Va bene essere stronzi, ma questo è voler superare se stessi.
Con due falcate Flavio le fu dietro sbattendola contro la porta della vicepresidenza.
Questa volta a essere sbalordita fu la professoressa.
‘Pensi di potermi lasciare così, Manuela? Pensi che sia uno stronzo qualunque?’
‘Che cazzo fai? Mi stai facendo male!’
‘Farò di peggio se non ti inginocchi immediatamente riprendendo da dove hai lasciato’
‘No, ti ho detto che Il resto l’avrai a cose fatte.’
‘A cose fatte un cazzo, brutta stronza. A cose fatte voglio scoparti ogni buco disponibile, adesso invece ti inginocchi e me lo riprendi in bocca’ le intimò lui tirandolo fuori.
‘Non hai capito allora, ti ho detto”
‘Ho capito benissimo, ma o apri la bocca e succhi fino a farmi venire oppure vado da Patrizia a raccontarle quello di cui abbiamo appena discusso. Decidi in fretta, se lo rimetto dentro i pantaloni senza essere venuto l’accordo salta e ti ritrovi senza un solo amico in tutta la scuola.’

Sospirando sconfitta la professoressa Ruggiu si inginocchiò di fronte a lui riprendendo svogliatamente a leccarlo. Flavio la afferrò per i capelli e gliele spinse fino in gola.
La Ruggiu tossì violentemente ma questa volta il professore non se ne curò. Mentre una scarica di adrenalina gli percorreva la spina dorsale iniziò a muoversi violentemente nella sua bocca per parecchi istanti prima di decidersi a lasciarla andare.
‘Ti ho detto che così non mi piace, stronzo!’ tossì lei.
‘Hai avuto la tua occasione per fare le cose a modo tuo e l’hai sprecata. Quindi, visto che di te non ci si può fidare, prendo il controllo della situazione. Apri la bocca!’
La professoressa la tenne ostinatamente chiusa.
‘Vuoi il mio aiuto o no?’ le chiese Flavio a denti stretti.
‘Sì’ sussurrò lei.
‘E allora apri la bocca e non rompere i coglioni. Spalancala, forza!’
La professoressa questa volta lo ascoltò. Le mani di Flavio la afferrarono ai lati della testa e la spinsero rabbiosamente sul suo cazzo. Il professore iniziò a scoparla in bocca con foga provocandole dei conati di cui questa volta non sembrava minimamente curarsi.
La Ruggiu era sconcertata. Nella sua vita non era mai stata trattata come un oggetto senza valore. L’umiliazione che il professor Amedei le stava infliggendo era più bruciante della sofferenza fisica che l’atto stesso le provocava. Come si permetteva quel bruto? Era pur sempre la moglie di un deputato regionale, le sarebbe bastata una parola per rendergli la vita estremamente difficile e allora perché lo stava facendo fare? Era davvero solo perché aveva bisogno del suo aiuto o c’era dell’altro?
Il professore la riscosse dai suoi pensieri schiaffeggiandola sul viso con la propria erezione.
‘Le tette, tirale fuori.’
‘No, quelle ti ho detto che le vedrai sol… Ugh!’
Flavio aveva interrotto la sua frase riprendendo a scoparle velocemente la bocca.
‘Tirale fuori o lo faccio io.’
Non aveva senso continuare a discutere. La Ruggiu sollevò il maglione rivelando un semplice reggiseno nero che slacciò goffamente mentre la sua testa veniva mossa violentemente avanti e indietro. Suo malgrado si rese conto che quel trattamento la stava un po’ eccitando. Suo marito non era mai stato un uomo passionale, era tanto se facevano l’amore una volta la settimana e più di una volta si era ritrovata a desiderare un amante più focoso. Flavio la stava usando, era vero, ma non c’era dubbio su quanto desiderio provasse per lei.
Tenendola sempre per i capelli Flavio la forzò a sollevare il busto poggiandole il cazzo tra le tette. La Ruggiu gliele strinse intorno e Flavio iniziò a muoversi tra di esse.
‘Ti piace, troia?’ Le chiese lui a bruciapelo.
‘Vaffanculo, Flavio! Non chiamarmi così.’
Flavio la riprese per i capelli e la forzò a prenderglielo nuovamente in bocca, spingendoglielo più profondamente di quanto non avesse fatto fino a quel momento. Le chiuse le narici tra le dita mentre la professoressa cercava spasmodicamente di liberarsi da quella stretta per prendere aria. Contò a voce alta fino a venti poi la lasciò andare riprendendo la spagnola da dove l’aveva interrotta.
‘Allora, Troia? Ti piace?’
‘Brutto stronzo! Volevi ammazzarmi?!’
Flavio fece esattamente come prima, spingendola ancora più in profondità e contando questa volta fino a venticinque.
‘Allora?’ Le chiese ancora, rimettendole il cazzo tra le tette ‘Devo arrivare fino a trenta?’
‘No, mi piace!’ Esclamò la professoressa con una punta di panico nella voce.
‘Non ti sento, devi parlare più forte.’
‘Mi piace, mi piace cazzo!’
Ed era vero, era sconvolta dall’eccitazione che stava provando in quel momento. Odiava Flavio per come la stava trattando ma una parte di lei voleva essere dominata, schiacciata dalla sua forza e dalla sua autorità.
‘Dimmi cosa sei.’
‘No, ti prego non farmelo di’ Ugh!’
Questa volta contò fino a trenta.
‘Sono una troia!’ Urlò la Ruggiu appena ebbe ripreso fiato a sufficienza. ‘Una troia, una troia!’
‘Così mi piaci! Niente ipocrisie. Se lo è Patrizia quando cornifica il marito mi sembra ovvio che lo sia anche tu, vero?’
Manuela annuì completamente sconfitta e la sua bocca fu riportata sul suo uccello. Si era umiliata totalmente e ne aveva tratto un sottile piacere mentale, tanto valeva che cercasse anche quello fisico. Si slacciò i pantaloni e vi infilò una mano dentro iniziando a toccarsi.
Quando Flavio se ne accorse non riuscì quasi a crederci.
Vederla in quello stato di totale sottomissione gli stava dando una scarica di piacere che non credeva possibile, ma sapere che ne stava godendo anche lei? La afferrò per i capelli con ancora più decisione e iniziò a muovere il bacino con tanta forza da sbatterle ritmicamente la testa contro la porta a ogni colpo. Non avrebbe resistito ancora per molto. Doveva venire e decise di umiliarla un’ultima volta.
Lo estrasse dalla sua bocca lucido e bagnato osservando il volto della donna che aveva appena invaso. I capelli erano sfatti e il trucco le era colato dagli occhi lungo le guance. Dei rivoli di saliva le scorrevano dalle labbra andandole a bagnare il mento. Con uno strattone la avvicinò alla punta del suo uccello segandosi velocemente. La Ruggiu capì cosa stava per succedere ma non cerco di sottrarvisi. Aveva visto qualche porno col marito cercando di rivitalizzare un po’ la monotonia della vita coniugale ma a lui non l’aveva mai concesso e come a lui a nessun’altro. Tutto questo stava per cambiare.
‘Guardami, e dimmi cosa sei.’ Le ordinò a denti stretti.
Manuela prese un profondo respiro e scandì le parole lentamente, guardando Flavio negli occhi.
‘Sono una troia.’
Il primo schizzo di sborra la centrò in mezzo alla fronte mentre il secondo, densissimo, le chiuse l’occhio sinistro. Altri due meno abbondanti le andarono a posarsi sulle labbra per poi gocciolarle sul seno.
Flavio le strofinò la cappella sulla guancia usando il suo viso come un fazzoletto per pulirsi dalle gocce di sperma che ancora gli sporcavano la punta del cazzo, poi la lasciò andare senza dire nulla mentre la donna singhiozzò mestamente, soffocando un rantolo che presagiva l’arrivo del suo orgasmo. Manuela strinse gli occhi e iniziò a tremare lasciandosi cadere di lato mentre ancora stringeva la mano tra le gambe.

Continua’

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