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Predatori di sogni

By 18 Agosto 2013Dicembre 16th, 2019No Comments

Era quasi mezzanotte quando avevo deciso di abbandonare la festa che si era organizzata a casa di amici.
Non saprei dire quali fossero stati i motivi precisi che mi avevano spinto ad andarmene. Probabilmente mi stavo un po’ annoiando; ma c’era qualcos’altro che mi richiamava, pensavo continuamente al mio appartamento. Avevo quella strana sensazione di non aver fatto qualcosa di importante tipo aver lasciato il gas acceso o aver dimenticato un qualche appuntamento importante.

Uscita da quella casa mi preparai a tornarmene a casa a piedi. Quella sera mi aveva accompagnata una mia amica e non avevo voglia di disturbarla facendole perdere il resto della festa per farmi riaccompagnare a casa in macchina.

Lascio alle mie spalle la casa rumorosa e mi inoltrai nell’oscurità della notte, nella città che si stava apprestando ad addormentarsi. Trovavo affascinate la tranquillità che mi circondava, ma al tempo stesso era anche un po’ inquietante.

Più procedevo per la mia strada più notavo l’assoluta mancanza di rumore che mi circondava. Di solito, anche nella notte più tranquilla, c’è sempre qualche macchina o motore che se ne va in giro, un passante che porta a spasso il cane, oppure rumori che filtrano dalle case.

Quella notte però non c’erano luci alle finestre e le strade erano assolutamente deserte. Persino in lontananza non si sentiva rumore di fondo. Solo il rumore dei miei tacchi mi faceva compagnia. C’era ,tuttavia, quella sensazione di un qualcosa che avessi dimenticato di fare che non mi mollava un secondo. Non riuscivo a godermi bene quella passeggiata al fresco.

Ad un certo punto arrivai ad una biforcazione. Dovevo scegliere se passare dalla lunga strada principale ben illuminata oppure tagliare per un quartiere residenziale piuttosto tranquillo.

Ero ferma che stavo decidendo il da farsi. Il quartiere era un ottima scorciatoia che mi avrebbe fatto risparmiare quasi mezz’ora di marcia e i tacchi incominciavano a darmi seriamente fastidio.
L’idea, però, di avventurarmi per l’area residenziale mi dava qualche brivido. Il quartiere era male illuminato. C’erano sì molti lampioni, ma erano spesso coperti dagli alberi dei viali che crescendo senza controllo li avevano coperti lasciando passare ben poca luce.

Il quartiere illuminato in quel modo mi sembrava quasi spettrale; proprio l’opposto della strada principale che era illuminata quasi a giorno dai pali della luce. Alla fine quella sensazione di dover fare qualcosa di urgente mi spinse a scegliere per la scorciatoia.

Anche se era tardi in quel quartiere avrei dovuto incontrare un po’ di movimento; ma al pari del pezzo di strada che avevo già percorso prima non si muoveva un foglia. Nemmeno un gatto girovago a farmi compagnia.

Percorrevo quei marciapiedi piuttosto velocemente guardando spesso in quei giardini bui che si affacciavano sulla strada. Una strada che era appena un po’ più luminosa della normale luce notturna irradiata dalla luna.

Ad un certo punto, forse l’apprensione, mi fece credere di sentire dei passi che mi seguivano. Ogni volta che mi fermavo quel rumore solitario si interrompeva. E mi sembrava che riprendesse quando ripartivo; ma forse era solo il rumore dei miei tacchi che echeggiava un po’; ma che strana inquietudine.

La sensazione di qualcuno che mi guardasse era forte, tanto più che lasciai il marciapiede ed iniziai a camminare nel mezzo della strada. In questo modo se qualcuno si fosse avvicinato avrei avuto più tempo per accorgermene. Inoltre di macchine in giro non se ne vedeva l’ombra e il rischio di essere investita era zero.

Ora che procedevo in mezzo alla strada mi sentivo più sicura; ma quel suono di passi non la smetteva di accompagnarmi. Guardavo a destra e a sinistra, ma dall’oscurità dei giardini e dei tratti del marciapiede in ombra non vedevo quasi nulla. Sembrava che più mi sforzassi di penetrare con gli occhi quella massa d’oscurità; tutto sembrava diventare sempre più buio.

Si trattava di uno scherzo della mente o era solamente un tizio che portava a spasso il cane? Alla fine ripresi a camminare più spedita possibile; tacchi permettendo.

Ero quasi arrivata alla fine di quel quartiere quando notai una stradina laterale sulla mia destra. Sembrava un vicolo come tanti altri ma era assolutamente buio. Tutte le altre strade, giardini o case per quanto poco illuminati fossero, riuscivo a scorgerne i contorni e riuscivo sempre a capire se stavo osservando macchine parcheggiate, pergolati, finestre, balconi e così via.

Quella stradina però era assolutamente nera. Ne scorgevo l’imboccatura ma poi niente più. Nemmeno la luce della luna che riusciva ad illuminare in modo lieve tutto il quartiere riusciva a farmi scorgere alcunché. Nel frattempo il suono dei passi non si fermava.

Dovevo tornarmene a casa; era quello che dovevo fare fin da quando avevo abbandonato la festa. Ma quella sensazione di dover fare qualcosa, ora mi spingeva in quel vicolo. Non c’era alcuna logica, ma più ci pensavo e più l’idea di tornarmene a casa mi appariva distante e vaga. C’era solo l’impulso di entrare in quel vicolo. Dopo qualche istante neanche mi resi conto che avevo già iniziato a fare qualche passo in quella direzione.

Sapevo che stavo facendo la cosa sbagliata e la pelle d’oca che mi si manifestava sulle braccia ne era la prova evidente. Tuttavia ero arrivata all’entrata del vicolo. Era davvero tutto scuro. Non riuscivo a vedere neppure il più vago dei contorni. Sapevo solo che se avessi proceduto in linea retta me ne sarei rimasta al centro del vicolo senza il rischio di inciampare su marciapiedi od ostacoli vari.

Non so perché stessi facendo una cosa simile. Sarei dovuta essere molto più spaventata, ma a parte un po’ di inquietudine sembravo decisa ad arrivare fino in fondo a quella strada. Probabilmente se qualcuno mi avesse potuto vedere in quell’oscurità avrebbe riso vedendomi procedere a tentoni come fossi mezza accecata. In fondo a quel vicolo avrei trovato il motivo del perché avevo abbandonato la festa; ma quella spiegazione per quanto irrazionale mi sembrava assolutamente sensata sul momento.

All’improvviso notai che da quando ero entrata nel vicolo il rumore dei passi era cessato; ma non la sensazione che qualcuno mi stesse osservando.
Camminavo ed iniziò a soffiare una leggerissima brezza. In cielo la luna era sparita; oscurata da una serie di nuvole. Questo, però, non cambiava assolutamente nulla. Buio era e buio rimaneva.

-Valeria!-
Sentì il mio nome pronunciato sottovoce alle mie spalle. Un tono particolarmente debole e pacato con un timbro di voce che poteva ricordare qualcuno dei miei amici ma nulla di facilmente riconoscibile.
Sentì anche che venivo presa per il polso della mano destra. Mi voltai immediatamente. Speravo ardentemente di vedere almeno un volto amico che potesse spiegarmi cosa stava succedendo.
Nulla. Non c’era nessuno. Allungai le mani di fronte a me nel tentativo di trovare qualcuno; ma afferrai solo l’aria.

-Valeria!-
Sentì di nuovo il mio nome. Stavolta pronunciato ancora più lievemente. Sentì il respiro di qualcuno come se mi alitasse sul collo. Anche questa volta mi voltai velocemente; ma non riuscì a trovare nessuno.

-Chi è?-
Non mi rispose nessuno. Aspettai qualche secondo poi presi ad armeggiare con la borsetta. Tirai fuori il cellulare e tremando un po’ accesi l’app che attiva il flash della macchina fotografica. Nonostante quella torcia improvvisata non vedevo nessuno.
Puntavo la luce ovunque, poi mi accorsi che se anche tentavo di illuminare la strada a pochi passi da me non vedevo ancora nulla.

Avevo già usato il mio cellulare in passato per cercare qualcosa al buio e sapevo che era molto potente. In quell’occasione sembrava invece che non riuscisse nemmeno a rischiarare l’asfalto ai miei piedi.

Qualcosa mi urtò il gomito, mi voltai subito ma niente. Venni urtata altre due o tre volte e mi cadde il cellulare. Mentre cadeva sembrava che si spegnesse anche. Più cadeva verso il basso e più sembrava che la luce si affievolisse. Quando sentì il suono secco dell’urto sulla strada; la luce del flash sembrava lo stoppino di una candela appena spenta. Solo un puntino rosso nell’oscurità.

Mi affrettai a chinarmi per raccogliere l’inutile cellulare, ma la luce si spense del tutto e non fui neppure in grado di ritrovarlo. Era sicuramente ai miei piedi ma non lo trovavo. Nel frattempo stavo incominciando seriamente a spaventarmi. Quella strana sicurezza che mi aveva accompagnata entrando nel vicolo se ne stava andando.

Ora il cuore mi batteva forte. Cercavo disperatamente qualsiasi cosa, ma non vedevo nulla.Neppure l’entrata del vicolo che doveva essere sicuramente illuminata riuscivo a scorgere.
Ovunque l’oscurità mi avvolgeva.

Ero ancora a carponi che cercavo il cellulare quando la voce riprese a fare il mio nome. Sembrava che provenisse sempre dalle mie spalle; e qualcuno mi sfiorava sempre la pelle, ma tutti i miei tentativi di individuare il colpevole erano alquanto futili.

Tentai di rialzarmi ma ricevetti una spinta e ricaddi col sedere malamente per terra. Da dietro qualcuno mi toccò le spalle. Era un tocco leggero, ma sentivo il calore di quelle mani sulle mie spalle. Provai a schiaffeggiare una di quelle mani, ma mi colpì solo la spalla.

Non riuscivo razionalmente a capire nulla. Quell’ultimo tocco era stato così reale che quasi ero contenta finalmente di sapere che non ero più sola (malintenzionato o amico che fosse), ma nulla di quello che mi circondava sembrava reale.

Sentì la stessa mano calda toccarmi la caviglia e poi salire risalendo la gamba. Questa volta avvertì oltre al calore anche la pressione di quel tocco sulla gamba. Ci doveva per forza essere qualcuno che non vedevo.

Aspettai un attimo; avevo qualcosa in mente nonostante il panico che mi attanagliava.
Quella mano continuava a risalire la gamba ed arrivò fino all’orlo del mio abito. Si fermò un attimo ed andò oltre. La sentivo mentre si insinuava sotto il mio vestito. Sfiorava la mia coscia piano. Aspettai fino a quando sentì che arrivò a toccarmi in mezzo tra le gambe. In quel momento sentì anche una brezza che mi sfiorava il volto.

Capì che quello era il momento. Chiunque ci fosse doveva trovarsi proprio sopra di me, tutto chinato. Non avrebbe potuto balzare via agilmente. Colpì forte con entrambe le braccia. Di nuovo però solo l’aria rispondeva ai miei colpì.

Mi rialzai di scatto e provai ancora a tirare colpi a casaccio senza fortuna.
Ero spaventata, ma non riuscivo a capire cosa mi stesse succedendo. Avvertivo una fonte di pericolo attorno a me ma non riuscivo nemmeno a vederla.

Ad un certo punto colpì qualcosa di duro e mi feci male. Provai di nuovo a colpire in quella direzione con più circospezione e constati che ci doveva essere qualcosa di grosso ed immobile.
Dopo qualche istante riconobbi che doveva trattarsi di un albero con un tronco piuttosto imponente. Subito mi ci appoggiai. La sensazione di avere le spalle coperte mi rassicurò un po’.

La situazione però non era migliorata. Continuavo a non vedere assolutamente nulla e sempre più vicino qualcuno sussurrava il mio nome.

All’improvviso qualcosa mi afferrò il polso destro con forza tentandomi di tirarmi via. Con l’altra mano provai a trattenermi all’albero.
Inconsciamente sapevo che se avessi abbandonato quell’unico elemento di certezza che avevo trovato in quella oscurità sarebbe tutto peggiorato.

La presa sul mio polso però non si placava. Qualunque cosa fosse stava tirando con tutte le sue forze. Con l’altra mano libera mi tenevo disperatamente all’albero, ma perdevo terreno. Sentivo che stavo lacerando la corteccia dell’albero tanto mi stavo aggrappando forte e il bruciore alla mano sinistra che teneva l’albero significava solamente che stavo anche graffiandomi a sangue.

Alla fine quella forza che mi teneva il polso vinse e mi tirò via. Incespicai per qualche passo e poi appoggiai male un piede e mi si ruppe un tacco e caddi nuovamente per terra.

Quella cosa continuò a tirarmi via, come se mi volesse trascinare da qualche parte. Io tentavo di divincolarmi, ma ogni volta che scalciavo o mi aggrappavo all’asfalto, quel tocco svaniva e poi ricompariva prendendomi in un posto diverso. Ad un certo punto venni presa per una delle spalline del mio abito, tentai di puntare i piedi, ma si ruppe.
Subito dopo quel tocco mi prese per una caviglia e continuò a tirare con forza. Da sotto la schiena qualcosa si impigliò nel cinturino dell’abito. Finalmente riuscì a fermarmi. Scalciai nuovamente ed il tocco svanì. Ebbi un attimo di respiro, ma sentì un leggero click e mi accorsi che la fibbia del mio cinturino si era aperta da sola e subito dopo venni trascinata nuovamente via. Il cinturino invece me lo lasciai probabilmente indietro.

Dopo diversi metri che venivo trascinata via, non riuscivo più a vedere una via di salvezza. La mano sinistra che aveva graffiato l’albero mi faceva male. Dovevo avere anche altri graffi sul corpo, sentivo un po’ di bruciore in qua e in là. Il mio abito si doveva inoltre essere rotto in più punti.
Pensai tra me di essere perduta quando vidi nuovamente l’imbocco del vicolo. Sembrava una folgore di luce che illuminava il mondo intero. Quando tutto sembrava perso trovai di nuovo l’energia per tornare a lottare.

Mentre quel tocco mi trascinava per una spalla mi sfilai le scarpe, sia quella intera che quella con il tacco rotto. Dovevo essere sicura di poter correre via velocemente.
Liberata dalle scarpette mi divincolai nuovamente con forza ed approfittai della breve pausa dal tocco che stava svanendo per rialzarmi e correre verso la luce.

La paura mi mise letteralmente le ali ai piedi ed arrivai finalmente nella strada principale.
Nonostante fosse tutto poco illuminato. Rispetto alla mia avventura nel vicolo mi sembrava di essere al mare sotto il sole.

Persi un attimo di tempo a capire in che direzione andare per tornarmene a casa. In quell’momento però la mia concentrazione era disturbata. Innanzi tutto avevo ancora il panico a mille che mi faceva battere il cuore e respiravo affannosamente.

Notai che stava arrivando una grossa macchina nera nella mia direzione. Stavo per fare un balzo per evitarla quando avvertii di nuovo la voce pronunciare il mio nome. Quel tocco mi riafferrò il polso ed iniziò a strattonarmi per riportarmi nel vicolo.

Ora che c’era molta più luce potei vedere che c’era qualcosa che corrispondeva a quella forza che mi stava tirando. Alla luce fioca dei lampioni e della luna c’erano i contorni di una figura umana che mi teneva il braccio. Una figura di colore senz’altro scuro ma trasparente; come un paio di occhiali da sole.

Ebbi la forza di provare a guardarla negli occhi, ma nel suo volto (dove dovevano trovarsi gli occhi) gli occhi sembravano due punti neri ancora più scuri della notte stessa.

Mentre lottavo disperatamente, la macchina inchiodò rumorosamente e si fermò proprio a fianco a me. La portiera posteriore si aprì e si protese di fuori qualcuno che allungò la sua mano nella mia direzione.

– Dammi la mano se gli vuoi sfuggire! –
Non ci pensai neanche due volte. Non volevo tornare in quel vicolo. Presi quella mano con la mia mano libera e mi sentì quasi risucchiata dentro la macchina. Quella persona era incommensurabilmente più forte di quell’ombra.
In un instante mi ritrovai al sicuro dentro la macchina che ripartiva a scatto.

Doveva trattarsi di una macchina molto grande, c’era quasi un piccolo salottino lì dentro. Proprio come le macchine dei film americani. Di fronte a me c’era la persona che mi aveva tratta in salvo.
Non sembrava tanto alto, ma aveva un paio di braccia enormi, senz’altro muscolose. Sembrava compiaciuto e soddisfatto. Per un attimo ho pensato ad un gatto che sta facendo le fusa. Sembrava proprio lo stesso tipo di soddisfazione. Per il resto sembrava vestito bene. Portava una camicia ed una giacca, e al posto della cravatta c’erano una paio di cordicelle tenute assieme da un fermaglio piuttosto curioso.

– Ti ringrazio di avermi salvata. –
Il tipo di fronte a me non disse una parola ma sembrò quasi divertito da quella mia frase. All’improvviso mi resi conto che lì sul retro della macchina non eravamo solo noi due.
Una risata forte e limpida mi fece quasi sobbalzare.
Al mio fianco c’era una ragazza. Mi stupì. Non so come avessi fatto a non notarla. Rifulgeva quasi di luce bianca. Calze bianche, una minigonna bianca tenuta ferma con una cintura grigia con una fibbia che sembrava simile al ciondolo che portava l’uomo di fronte a me. Sopra indossava un corpetto ricamato tutto pieno di borchie e lacci. Una massa di capelli ricci e biondissimi le ricopriva le spalle. Aveva un volto pesantemente truccato con colori molto forti e contrastanti che emanava gioia ed allegria da tutti i pori.

Anche lei era divertita, anzi rideva molto di gusto. Quando si ricompose mi si avvicinò di più e mi prese una mano tra le sue. Notai che le sue dita erano molto fredde.

– Amica, avresti fatto molto meglio a tentare la fortuna la fuori. Qui con noi non sei tutt’altro che al sicuro. –
Mi preoccupai sentendo quelle parole. Poi sentì che la mano che mi stringeva perdeva sensibilità. Quando notai che quella strana sensazione si stava diffondendo anche al braccio ed alla spalla mi allarmai sul serio. Ma a quel punto gli occhi mi si chiudevano dal sonno. Provai a liberarmi da quella stretta, ma mi addormentai prima.

Non so quanto dormii. Ma mi risvegliai piano piano. Mi sentivo esausta e stremata, di voglia di muovere un muscolo neanche l’ombra. Mi accorsi anche che venivo trasportata. Mi trovavo tra le braccia del ragazzo che mi aveva salvata.
Oddiomio ora non mi sentivo più tanto al sicuro; ma mi stavo domandano come poteva andare a finire peggio.

Il tipo si accorse che lo guardavo.
– Si è risvegliata, meno male pensavo che l’avresti consumata tutta. –
– Dai, lo sai che non ne faccio mai di errori simili. –
Voltai la testa e vidi che con noi c’era anche la ragazza coi ricci.

Venni portata in un ampia camera da letto. Lo stile era piuttosto datato, c’era un letto a baldacchino al centro della stanza, le finestre erano ricoperte da ampi tendaggi bianchi e il resto dell’arredamento era composto da mobili in legno massiccio con molti soprammobili lucidi e scintillanti.

– Poggiala lì sul letto, me ne occupo io Abel. –
Disse la ragazza riccia. Abel mi fece sdraiare con delicatezza sul letto e poi salutandoci uscì.
– Ci vediamo allora domani sera alla festa Sunny. –
– Non vedo l’ora, lasciaci sole che devo pensare alla nostra invitata. –
– Di che festa stiamo parlando? –
– Per carità, amica mia smetti di far domande, non ne ho proprio la voglia di risponderti. –

Quella ragazza, Sunny, stette qualche istante a guardarmi. Io, invece, non sapevo che dire; era una situazione assurda, chi erano? Dove mi trovavo? Che era successo?
Poi sunny sorrise.
– Direi di toglierti quegli stracci per prima cosa e poi un bagno è quello che ci vuole. –
Sunny venne verso di me ed iniziò a svestirmi.

– Aspetta, posso fare anche da sola. –
Non volevo che qualcun altro mi toccasse e mi portasse via tutti i vestiti. Appena tentai però di alzarmi mi accorsi che non riuscivo quasi a muovermi. Riuscivo appena ad alzarmi sui gomiti, ma solo quel gesto mi prosciugò di tutta la forza che mi restava, poi ricaddi nuovamente sul letto.

– Non serve che ti agiti amica; prima sulla macchina ti ho prosciugata di tutte le forze. –
– Ma che vuol dire? Come hai fatto a fare una cosa simile? –
– Volevo evitare proprio questo –
Sunny mi sorrise.
– Sei proprio un impicciona di prim’ordine. Domani sera alla festa ti spiegheremo tutto. Per stanotte il tuo programma è un bagno e poi a letto. –

Mentre Sunny mi parlava intanto mi toglieva i vestiti e li gettava sul pavimento. Quando fu sul punto ti togliermi l’intimo provai ad obiettare qualcosa, ma mi mise un dito sulla bocca e mi disse di tacere. Non riuscivo a muovere un muscolo e al momento ero alla sua mercee. Sicuramente dovevo essere diventata rossa di vergogna.

Quando fui tutta nuda Sunny iniziò ad osservarmi più da vicino, sentivo le sue dita fredde che mi sfioravano la pelle in più punti. Quando mi fece voltare sul letto inizio a toccarmi ripetutamente il sedere e protestai vivacemente.

– La vuoi smettere di toccarmi? –
Sunny sbuffò seccata.
– Umpf, tu non capisci nemmeno quando qualcuno ti stà curando tutti i tagli che ti sei fatti prima in quel vicolo buio, vero? –
– Che cosa vuoi dire? –
– Ti sto richiudendo i graffi amica; e non ti rimarrà nemmeno un segno. ‘
– Ma non è possibile come fai a fare una cosa del genere? –
– Senti amica non è forse tutta la sera che ti stanno capitando cose strane? Perchè non posso curarti semplicemente toccandoti? E ora stai un po’ zitta. Ho finito e ti porto in bagno. –
Mi guardai la mano sinistra che si era graffiata sull’albero ed in effetti non c’era più alcun segno.

Mi sentì sollevare. Che strano, Sunny sembrava magra ed asciutta come una sottiletta ma era anche forte. Aveva un tocco che ti stordiva e che ti curava anche. Ma dove ero capitata?

Il bagno era molto spazioso e colorato di bianco. Sunny mi poso delicatamente in una vasca di stile classico; quelle con i piedini. Sembrava di essere in un albergo di gran lusso, ma si trattava di uno stile piuttosto antiquato.

Mentre la vasca si riempiva Sunny si era messa a cercare negli armadietti. Dopo un po’ ritorna da me con sali da bagno, spugne e saponette. Mi ritrovai ben presto in un mare di schiuma tutta profumata e Sunny non si risparmiava di certo mentre mi strofinava la schiena.

– Allora, va meglio adesso? Finalmente non puzzi più. –
– Si grazie, ma ascolta non voglio disturbarti più di quanto tu non abbia già fatto, non so se mi puoi rimettere in sesto, ma mi piacerebbe pulirmi da sola, sai com’è’ –
– Sempre dietro a fare domande eh? Amica mia forse non hai ben capito in che situazione ti sei cacciata. –
Sunny si interruppe un attimo guardandomi severamente.
– Noi non ti abbiamo salvata da un mostro come ti ostini ancora a credere per poi lasciarti andare. Sei la nostra legittima preda e io ti stò preparando per la festa in tuo onore di domani sera. –
– Ma quale festa? ‘
– Ancora ti ostini a farmi domande? Ti ho già detto che non ho proprio voglia di risponderti. –

Sunny mi toccò le labbra con il suo ditino freddo e d’improvviso non fui più in grado di parlare. Mi spaventai parecchio agitandomi più che potei come per liberarmi da catene invisibili che mi circondavano.
– Ti ho tolto la voce amica, e se fai la brava forse te la restituisco domattina. E comunque se non hai capito la tua lezione adesso ti do anche un bel ripassino. –

Sunny mi si fece più vicina ed affondò la mano nell’acqua. Sentì la mano che si insinuava tra le mie gambe. Tentai di stringerle il più possibile, ma semplicemente non ne avevo la forza. Lei lentamente infilò un dito nella mia figa ed iniziò a massaggiarmela intimamente. Prese a sfiorarmi le labbra ed il clito, mentre infilata anche l’altra mano in acqua iniziò a penetrarmi.
Per qualche minuto Sunny continuò quella sua operazione tra le mie gambe con molta dedizione. Io mi sentivo umiliata ed impotente poi incominciai ad ansimare, il mio corpo rispondeva alle piccole dita di Sunny tradendomi. Alla fine, il piacere invase tutto il mio corpo.

Sunny mi sussurrò all’orecchio.
– Adesso hai capito che devi fare solo quello che ti dico io? Posso guarirti, posso farti godere, ma se proprio mi fai perdere la pazienza allora ti faccio male. E adesso lasciami finire. –

Sunny continuò lavandomi tutta, strigliandomi per bene. Mi lavò anche i capelli dandoci anche un buon balsamo profumato. Finita tutta quell’operazione si alzò e se ne andò in camera da letto lasciandomi sola in bagno. Tornò dopo qualche minuto con degli asciugamani e dei vestiti.

– Ora se ti permetterò di tornare a muoverti, così ti potrai asciugare. Ti ho preso anche un pigiama che ti metterai a meno che tu non preferisca dormire nuda e poi te ne vai a letto senza fare nient’altro va bene? Non mi farai arrabbiare vero? –

Negai con la testa. Ero ancora contrariata per tutto quello che mi era successo ma la prospettiva di tornare a camminare mi allettava parecchio.

Sunny mi toccò nuovamente e sentii formicolarmi tutto il corpo. Provai ad allungare braccia e piedi e vedendo che riuscivo a muovermi mi rialzai. Non ero ancora sicura di ogni mio movimento, mi sembrava di avere tutto il corpo che si muoveva al rallentatore, quasi scivolai mentre scendevo dalla vasca, ma Sunny mi prese al volo e mi aiutò.
– Devi fare attenzione il tuo corpo è ancora intorpidito, vedrai che tra qualche minuto tornerà tutto alla normalità. –
– Grazie. –
Fui sorpresa di essere tornata anche a parlare. Stavo per dire qualcos’altro quando Sunny mi interruppe.
– Amica quella è l’unica parola che ti voglio sentire dire stanotte, altrimenti te ne ritorni muta; sono stata chiara? –
Annuì con la testa e tornai ad asciugarmi.

Mi imbarazzava starmene lì tutta nuda di fronte a Sunny. Chi era quella ragazza che mi trattava quasi fossi un oggetto? Comunque visto che prima mi aveva masturbato solo per sottolineare il concetto che poteva fare di me quello che voleva che altro avrei potuto fare?

Mi vorticavano per la testa un sacco di domande ma me le tenni chiuse dentro. Almeno per il momento.

Una volta che fui tutta asciutta stetti per chiederle il phon per asciugarmi anche i capelli, ma mi ricordai del suo monito di non dire nient’altro. Così me ne stetti di fronte a lei indicandomi i capelli con un dito. Sunny in un attimo mi fu accanto. Non so cosa mi fece ma i capelli si asciugarono all’istante. Mi allungò anche una spazzola e terminai di mettermi in ordine i capelli.

Alla fine mi vestii con il pigiama e Sunny mi accompagnò in camera da letto. Mi fece salire su quel lettone morbido, mi sprimaccio il cuscino e mi rimboccò le coperte. Che servizio di prima qualità non me lo sarei aspettato proprio.

– Allora ti auguro la buona notte amica mia. –
Sunny si chinò su di me e mi baciò teneramente sulle labbra. Poi prese una sedia che era vicino una delle pareti della stanza e la portò sul lato del letto dove dormivo. Lei si sedette e mi disse:

– Ora dormi. –
Mentre mi diceva queste parole la luce del lampadario si affievolì fino a spegnersi. Il buio iniziò a regnare in quella stanza enorme, anche se filtrava un po’ di luce dalle finestre con le tende.

Provai un attimo di paura nel modo in cui le luci sparirono. Sembrava proprio come era successo poco prima nel vicolo. Il modo come le cose sembravano ripetersi mi fece venire la pelle d’oca.
Sunny, però, era lì vicino a me. Riuscivo ad intravederne la sagoma sulla sedia. Mi stava sorvegliando? Ma se mi stava sorvegliando era un bene o era un male?

Cosa era successo insomma? Ombre, strane magie, persone scherzose un attimo e poi inquietanti il momento successivo’ che fossi stata drogata? Quella era l’unica risposta razionale che potevo accettare. Probabilmente mi sarei svegliata il giorno dopo con un formidabile mal di testa. Avrei preso un aspirina e mi sarei chiesta se si fosse trattato di uno sogno o di un incubo e ci avrei riso anche sopra.

– Si tratta di un incubo amica. E ora dormi che domani ti aspetta la festa. –
Non so come fece Sunny a sapere cosa stavo pensando, ma mi venne all’improvviso sonno; e mi addormentai come un sasso.

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