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Strip Lesson

By 7 Marzo 2016Dicembre 16th, 2019No Comments

“Vedete di concentrarvi…” Dissi senza guardare dietro le mie spalle, impegnata sul piano della cucina a prepararmi un caff&egrave. Al tavolo sedevano, scuotendo la testa, Alessandro, Roberto e Andrea. All’epoca dei primi anni di Università mi era capitata l’occasione di guadagnare qualche spicciolo dando ripetizioni di scienze e chimica a qualche liceale. Un po’ di aiuto nei compiti e negli esercizi, un po’ nello studio, in realtà servivo a quei ragazzi solo per non acciaccare figure di merda con errori grossolani alla correzione dei compiti durante le lezioni, a riordinare appunti e concetti. Un aiuto banale ma fondamentale. Ma quel giorno, eravamo davanti ad un ostacolo insormontabile, mandare a memoria fino all’interrogazione della settimana quante più ossa possibili.
“Ma a cosa serve questa roba!!” Sbottò Andrea. Sapevo che in realtà era solo una scusa per fare pausa e sfogare lo stress, c’ero passata anche io. Anzi, con il mio libro di testo universitario sul tavolo assieme ai loro, mi ricordavo fin troppo bene di quante ore avessi passato di recente persa tra nomi, funzioni, dati.
“Devo davvero risponderti?” Sorrisi, facendoli annuire tutti e tre, non so se più interessati ad una risposta o al mio stiracchiarmi sul banco della cucina, guardando la d’ezva e sperando di potermi bere presto un po’ di caff&egrave.
“se nessuno di voi studierà una cosa simile, non a moltissimo nella vita. Ma se non lo studierete non scoprirete mai se vi interessa.” “che risposta del cazzo!” Commentò Alessandro. “ehi, non posso dirvi che non vi servirà a niente, io studio questa roba” ribattei, piccata “Ma chissà mai che un giorno troviate una bella tipa, una figona, come dite voi, ammiccante, arrapata, ma un po’ matta che vi domanderà “ehi, vuoi vedere i miei ‘tubercoli di Montgomery?”… E mentre voi sarete li a fare le facce strane che state facendo adesso, passerò di li, e sapendo cosa sono, le dirò che si, vedrò volentieri i suoi capezzoli, e magari non andrò in bianco!” Risi, vedendo le loro espressioni a metà tra il ‘questa &egrave pazza’ e il ‘e io la pago’.
Roberto mi guardò accigliato “… Cio&egrave, tu andresti con una donna?” Maschi. Adolescenti. Cosa mai m’era saltato in mente… Spensi il fuoco prima di rispondere.
“ti rispondo solo se mi sai ripetere le parti dell’osso sfenoide”.
Risero tutti, ma rimasi seria. “Non stavo scherzando. Possiamo vederla cosi, tipo gioco della bottiglia, verità o sfida. Se risponderete correttamente ad una domanda o farete giusto un esercizio -che dopo la carta muta delle ossa che vuole quella pazza della vostra prof, la dobbiamo fare- io risponderò ad una delle vostre.”
Andrea sorrise “e ci fai un esercizio?” Lo salutai ironicamente con la mano “poi, vuoi anche un pezzo di culo?” Sogghignai.
Ero davvero stufa di dare ripetizioni a quei tre, ma non potevo smettere di punto in bianco, ne sarebbero nate discussioni con i genitori…
Un ultimo giro di interrogazioni passate e non avrei avuto a che farci più, intascandomi senza problemi i soldi delle ripetizioni.
“Allora? Ci state? Se non sapete rispondere, vi tocca studiare. Di nuovo. E ripetere. E dirò ai vostri che conviene farvi tornare ancora a lezione. Ancora pomeriggi chiusi qui con me! Ma se vi impegnate a ricordare tutto quel che abbiamo già studiato mille volte, sono a vostra disposizione.” Sorrisi versandomi il caff&egrave. “Vuoi sapere se davvero vado a letto anche o solo con le donne, Roberto? Allora strizza la testolina e rispondimi…” “… Osso?” Mugolò affranto Roberto.
“sfenoide.” Diedi un sorso al caff&egrave, ancora poggiata sul bancone della cucina. Quanto ho sempre amato il caff&egrave bollente… E amato un po’ meno sbattere la testa con quelle tre capre di ragazzi, convinti probabilmente che venire a lezione da me una volta a settimana bastasse loro.
“ci sono una marea di nomi” bofonchiò Andrea. “sì, lo so, un poco sembra assurdo anche a me entrare in dettaglio cosi” sorrisi nella mia tazza. “ma che fare, questo vi chiede…”
Roberto tentò l’ultima carta. “mi farò dei bigliettini.”
“Va bene. Roberto eliminato per la prima domanda, non lo sa, e… Non voglio sentir parlare di bigliettini.” Sbottai, secca. Alessandro sorrise. “dai che te li farai anche tu!” Sbuffai “non &egrave il punto. Sono qui anche io come voi a spiegarvi e aiutarvi, non potete dirmi che la soluzione &egrave un bigliettino, mi sento un po’ punta sul vivo, come se non stessi ad aiutarvi a ricordare le cose e corressi dietro le farfalle”
Alessandro si illuminò. “Farfalla! Lo sfenoide &egrave quello fatto a farfalla!” Alzai un sopracciglio, stupita “questa era mezza suggerita… Parti dell’osso che vi ha spiegato?” “il corpo dello sfenoide ha due sacche dette seni sfenoidali, un solco in cui sta l’ipofisi, grandi ali e piccole ali.”
Mi morsi un labbro. “dovremmo migliorare l’esposizione, ma insomma, almeno due o tre nomi…Puoi indicarmi lo sfenoide di Roberto?”
Alessandro scosse la testa con sicurezza, ormai galvanizzato. “no, sta dentro” risi “santo cielo Ale, &egrave un osso, tendenzialmente &egrave meglio che stia dentro, sii preciso!” “non posso indicarlo perché dovrei passargli nel naso o dagli occhi!”
Andrea rise “magari poi gli riavvii il cervell… Ahia!!” Il ragazzo si massaggiò il braccio colpito da Roberto, mentre ridevamo.
“oh puttana!” imprecai, accorgendomi di essermi macchiata la t-shirt con del caff&egrave sfuggito dalla tazzina. Provai istintivamente a bagnare la macchia con un poco di acqua, accorgendomi di stare dando uno spettacolo troppo interessante al terzetto. “ehi, miss maglietta bagnata la smette, scusate.” “no no continua, abbiamo risposto alla domanda” ghignò Roberto.
Sorrisi acida. “tecnicamente spetta ad Alessandro riscuotere il premio.” Il biondino si imbarazzò. “io… Beh avevamo detto della domanda a te…”
“vero! Vero!” Poggiai la tazzina vuota con grande rimpianto. “la risposta &egrave… Non solo, ma anche. Frequento ragazzi e ragazze.” La risposta investì i giovani cranietti come un treno ad alta velocità, e colsi tutti i passaggi nei loro occhi. Una vita sessuale, uomini come loro, donne, due donne assieme, la tipa che dava ripetizioni proprio a loro, e…
Potei assolutamente indovinare cosa gli passasse in mente in quell’istante e ridacchiai.
“ragazzi, ulteriori dettagli solo ad ulteriori risposte.” Dissi incrociando le braccia sul petto. L’argomento o l’acqua fredda del lavandino, il pensiero della loro curiosità, mi avevano fatto lievemente erigere i capezzoli sotto la t-shirt, e non era il caso.
“Prossima domanda random: Che osso ha colpito Roberto, prima?” Chiesi.
“spalla!!” Rispose subito Roberto. “spalla non &egrave un osso, santo cielo” mi portai una mano al volto “tu hai delle enormi lacune, ragazzo…”
“non solo quelle” provò a bullarsi. Sogghignai. Ragazzini, mi facevano diventare matta ma erano quasi divertenti. Il gioco sembrava aver funzionato, almeno nel suo intento di far ripescare le nozioni a quei tre, preparandoli quantomeno a rispondere a delle domande.
Appurato con Andrea che ‘spalla’ non fosse un osso, e che il dolore che provava fosse all’altezza dell’omero, battei le mani fintamente soddisfatta.
“non voglio cambiare le regole, ma SO che Andrea ha una domanda particolare in testa e scusate: Una domanda privata al prezzo di ‘omero’ &egrave sottoprezzo.”
Alessandro il biondino ridacchiò “se non sei brava in economia…” “ehi ragazzo, il prossimo che si becca un pugno sei tu, ma attento che io so com’&egrave fatta una spalla, posso farti male!” Risposi con un pugno alzato vicino al volto del ragazzo, ora che ero di nuovo seduta al tavolo con loro.
“o meglio: Come dovrei chiamare la spalla?”
Andrea bofonchiò “cingolo scapolare?” “ottimo lavoro! Proprio così!” Risposi con un sorriso. “devo rispondere alla tua domanda?” il ragazzo riccioluto mi guardò perplesso, mentre mi chinavo verso di lui. “se sono mai andata con un uomo e una donna assieme.”
Il ragazzino avvampò a dieci centimetri dal mio naso, facendomi tornare seduta di colpo. “santo cielo, Viktorie, sono dei ragazzini, non puoi ammiccare cosi con loro, neanche per scherzo!” Mi rimproverai mentalmente. Venni salvata dalla campanella, cio&egrave la madre di Roberto che suonò il campanello, lezione finita.

“cazzo, non abbiamo finito quella carta muta di merda!” Imprecò Alessandro. “non dovrei farlo ma… Ok fuori le penne.” Dissi alzandomi per aprire l’ingresso del palazzo alla signora.
“vado a cambiare la maglietta, partiamo dai piedi, vi dico i nomi, veloci!”
“tu sai i nomi di questa roba?” Chiese allucinato Roberto.
“Sì, amore mio, sarà che sono una secchiona!”aprii il cancello e mi sfilai la maglietta praticamente in sala, elencando nomi di ossa e posizioni scavando nel cassetto dell’armadio alla ricerca di qualcosa che fosse pulito e normale con cui presentarmi alla signora. Trovai una t-shirt a ‘tarso’ e tornai in cucina a mano aperta elencando falangi, sentendo la porta a ‘falangi distali’ mentre mi toccavo la punta delle dita.

La madre di Roberto era un soggetto da analisi psicologica. Sicuramente una donna ancora avvenente, che viveva nella sua gloria passata, e a quanto mi dicevano, anche dedita a una certa libertà fuori dal matrimonio. E ‘a quanto mi dicevano’ intendeva come fonte un’amica che lavorava nello studio del marito di lei, uomo coscientemente cornuto che se ne lamentava di continuo, specialmente come giustificazione per il suo porgere il membro a destra e a manca.
Insomma, due cornuti, con un figlio svogliato. “buonasera!” “oh ciao cara! Come stai?” Cinguettò la signora fastidiosamente baciandomi sulle guance, entusiasta.
“bene, abbiamo finito da un paio di minuti” mentii spudoratamente, sentendomi poco colpevole. La signora sapeva di sesso, un odore sottile e acre, che mi fece pensare di dovermi lavare bene la faccia.
“vuole un caff&egrave o qualcosa?” chiesi sorridendo e pensando “cosi almeno mandi giù qualcosa oltre le schizzate del tuo segretario”, ma la signora era evidentemente già sazia, recuperò figliolo e amichetti, pagò le ultime due lezioni sempre cinguettando con il suo entusiasmo da zoccola ben sbattuta e sparì in ascensore.
Chissà se avrebbe approvato i miei metodi, la signora? Tentare il suo figliolo, risposte corrette e premi allusivi. Pensai ad Andrea, al suo diventare rosso cosi per nulla.
“devo ricordarmi che come ironizzo io e come lo fanno loro non &egrave uguale. Non posso ammiccare a scollatura di fuori ad un ragazzo cosi.” Mi dispiacque per lui, era sempre il più timido, e mi venne un’idea.

“a una risposta corretta, si era detto…” Scrissi in un messaggio al telefonino, allegando uno scatto di me, con un’amica e il suo ragazzo. Non era uno di quelli che avevamo fatto più tardi quella sera, ma funzionava. D’altronde una foto in cui lei e io ci scambiavamo un bacio, e tenevo una mano sul sedere di lui, rendeva l’idea.
Ristetti, scoprendomi sottilmente eccitata da quel gioco di controllo e tentazione che mi capitava tra le mani, cosi innocentemente, con quei tre ragazzi appena appena adulti sulla carta, per niente nei fatti. Sorrisi mentre vedevo la notifica sullo schermo di Andrea che cercava di scrivere una risposta, si interrompeva, ricominciava.
“wow” fu alla fine il suo solo prodotto.
“tienila per te. Hai risposto tu.” Scrissi velocemente, prima di salutarlo, e di scuotere la sottile eccitazione che mi pervadeva… Il gioco aveva funzionato, dal punto di vista didattico: aveva creato gli stimoli giusti ed una sana competizione tra i tre discepoli. La posta in palio per tre adolescenti era altissima, mi dicevo, le parole di una donna in carne ed ossa equivalevano a secoli di fantasie ripetitive e stereotipate. E se le parole avevano funzionato da benzina, mi rendevo conto che scorci del mio corpo avevano innescato fuocherelli che per fortuna ero riuscita a tenere a bada.

Però ormai lo strumento per progredire in questa missione impossibile delle ripetizioni era nelle mie mani e sarebbe stato difficile nasconderlo ai miei occhi, oltre che ai loro. Mentre li aspettavo per le nostre ripetizioni mi proponevo di utilizzarlo con parsimonia, centellinarlo in base alla loro curiosità ed ai riscontri positivi che mi avrebbero offerto.
Da parte mia, esibivo con lo stesso piacere la mia conoscenza guadagnata in anni di studio e la mia fisicità piacevole anche se mai ostentata, almeno non con loro.
Il gioco mi permetteva di non cadere in ripetizioni noiose ed unidirezionali di nozioni, di mettere a frutto il mio sapere e la mia passione e, perché no, di divertirmi un po’ in modo innocente a provocare questi tre lupetti con il mio odore di lupa.

“Eccovi qui, avanti!”, li accolsi con un’allegria energica “pronti a conquistare il sapere?”
Sollevai gli occhi e lo sguardo annoiato di Alessandro e Roberto fece risuonare nella mia testa una nota stonata rispetto all’aria attenta che sfoderava Andrea. Questi prontamente arrossì ed il quadro mi confermò sia che la foto inviata aveva colpito nel segno, sia che aveva tenuto per sé il premio, bravo ragazzo.
“Ragazzi, oggi se non sbaglio ci toccano i muscoli striati scheletrici. Vai Ale, dimmi un po’ di questi muscoli, come sono fatti?”
“Eh…beh, niente…sono striati…”

Trattenni un sospiro di rassegnazione.
Non cominciavamo proprio alla grande, ma decisi di non perdere quell’ondata di ottimismo che stava già uscendo dalla porta di casa di gran carriera.
“Bene, ok: perché si dicono striati?” lo incalzai, incoraggiandolo a continuare.
“Sono striati perché hanno delle striature che…ehm…”
“Dai, su Ale &egrave facile: perché gli elementi contrattili seguono una disposizione regolare”.
Ale roteò gli occhi al cielo come uno che avrebbe voluto essere dall’altra parte del mondo, ma proprio non lì con me a parlare di muscoli.

“Roberto, prosegui tu: in cosa si distinguono questi muscoli dagli altri? Come si contraggono?”
“Quali muscoli? Scusa, ero distratto e…”
“Si, ok quelli striati scheletrici, avanti”
“Allora dovrebbero essere quelli volontari…”
“Bravo, benissimo! E poi, dove sono attaccati?”
“Eh, boh…agli altri muscoli?” –

“No, dai Roberto, non &egrave possibile, ma a cosa stai pensando? Se si chiamano ‘scheletrici’ un motivo ci sarà, che dici? Sono i muscoli attaccati allo scheletro e sono quelli che ci permettono di muoverci!”. Espirai rumorosamente: anche questa sessione era iniziata in salita ed io non avrei avuto la pazienza di svegliarli lentamente dal profondo torpore delle loro menti.

“Andrea, almeno tu, dimmi qualcosa di sensato: parlami del movimento muscolare scheletrico. Che tipo di movimenti ci consente?” – “Ok, vado” si diede coraggio “I movimenti realizzabili sono sette: flessione, estensione, abduzione, adduzione, rotazione, muscoli mimici, muscoli antagonisti” lo disse tutto d’un fiato.
“Ma bene, bene, ottimo inizio Andrea! Ora descrivimeli”.
E mentre lui riprendeva l’esposizione entrando con sicurezza nei dettagli, in me nasceva l’orgoglio dell’insegnante, o forse dovrei dire il compiacimento della strega che ha indovinato la pozione magica. Avevo osato un piccolo gesto, neanche troppo impegnativo, ed ecco qua il risultato: impegno e dedizione, il ragazzo aveva decisamente studiato.

“Ok Andrea, molto bene. Alessandro fammi tu un esempio di movimenti di abduzione ed adduzione, non &egrave difficile”. Alessandro sembrava un pugile suonato, colto impreparato su due fronti, prima dalla sparata di Roberto e poi dalla mia domanda.
Guardò gli altri due, forse sperando in un aiuto, un indizio che non arrivò, da Roberto perché probabilmente ne sapeva quanto lui, da Andrea perché guardava solo me, era concentratissimo.
Dovevo condurlo verso la risposta “Ti aiuto io, sono movimenti che avvicinano ed allontanano gli arti dalla linea mediana del corpo”. Ma Alessandro era in palla, sembrava in difficoltà a capire l’italiano. Avrei potuto indicare senza problemi quei movimenti nei loro corpi, anche solo il movimento nervoso della sua penna sul foglio poteva essere un esempio, ma decisi di dare un piccolo colpo di acceleratore.

Mi alzai in piedi e gli mostrai “Questa &egrave la linea mediana del corpo, ci siamo?” accompagnando le mie parole con il gesto della mano che partiva dal centro della mia fronte, scendeva sul naso, il mento, attraversava il torace tra i seni, sorvolava l’ombelico, sfiorava la zip dei pantaloni e poi proseguiva idealmente fino a terra.
Sollevai lo sguardo, mi avevano seguito, questo &egrave certo: gli sguardi di tutti e tre ripercorrevano la linea ideale tracciata dalla mia mano, dall’alto al basso e viceversa, alcune volte. Lasciai loro qualche secondo, senza capire se stessero ragionando sulla mia domanda o semplicemente se avessi la loro attenzione sul mio abbigliamento, o avessero messo a fuoco alcuni punti del mio corpo.
In ogni caso i due sembrarono resuscitati dal loro torpore “Allora Roberto, la risposta ce l’hai tu?”
“Mmh, veramente no…”
“Ma dai ragazzi, che avete oggi?”

“Questo movimento che vi sembra?” portai le braccia ad angolo retto davanti a me e lentamente le allargai portandole ai lati del corpo, fino alla massima apertura e fermandomi in quella posizione.
I loro occhi erano fissi su di me, avevano seguito il movimento con crescente attenzione e a movimento concluso nessuno di loro parlò, mi fissavano e non mi stavano guardando in viso. Seguì la linea dei loro sguardi, tutti e tre concentrati in un solo punto, il mio seno, che allargando le braccia avevo lentamente offerto ed esposto.
Con i miei occhi constatavo l’effetto del mio gesto, il corpo proteso in avanti rendeva il mio seno il punto più avanzato del mio corpo, il reggiseno aveva aumentato la sua stretta per quanto possibile e mentre mi osservavo notavo che anche i capezzoli erano ben visibili attraverso la sottile canotta.

Tornai a guardare i tre, quasi sentivo il tatto dei loro sguardi intensi e rapiti sul mio corpo, un brivido mi percorse il corpo ma provai a conservare il sangue freddo. “Ed ora il movimento di ritorno”.
Feci partire il movimento inverso, per riavvicinare le braccia, ma non staccarono lo sguardo dal mio corpo nemmeno per un attimo, l’azione delle braccia che si stringono per loro &egrave trasparente e d’altra parte ho detto io loro di guardarmi.
Seguirono con gli occhi il movimento delle braccia che si avvicinavano, all’altezza dell’ombelico le mani si congiunsero chiudendo il semicerchio. Fu un movimento istintivo, quello di chiudere le braccia terminando il movimento più in basso dei seni per non schiacciarli troppo, ma nello stesso tempo l’effetto fu quello di sostenerli ulteriormente, facendoli spiccare ancora di più.

Sollevai lo sguardo e loro erano ancora lì, non avevano perso un secondo, né un centimetro ed ora ancora, insistentemente, sentivo i loro occhi appoggiarsi bollenti sul mio seno, entrando se possibile nel morbido canale che avevo creato avvicinando le braccia.
Pensai “Ok, ti stanno guardando intensamente le tette Vik, mi sembra chiaro e direi che basta così”. Lo pensai ma prima di sciogliere la posizione e quell’atmosfera irreale mi regalai ancora un’occhiata a quei tre giovanotti conquistati dal mio corpo e da un gesto che, con il passare degli attimi, faticavo a definire innocente.

“Abduzione = allargo le braccia, adduzione = stringo le braccia, chiaro ragazzi?” dissi risiedendomi e inscenando una noncuranza di facciata, una freddezza smentita da un certo calore che pervadeva il mio corpo, e pensai che in fondo un po’ di adrenalina non aveva mai fatto male a nessuno.
Mentre loro, muti, si riprendevano dal mio spettacolino improvvisato, io vidi davanti a me solo una conferma: io avevo la chiave per stimolare questi ragazzi nello studio (anche se forse non solo in quello) e non non avrei potuto non usarla a mio favore, ne andava delle mie entrate e, di conseguenza, delle mie spese.
Decisi di tirare dritto e di alzare la posta per provare a recuperare questi due, Alessandro e Roberto.

“Ora chi di voi mi parlerà correttamente della contrazione muscolare, avrà un premio”. Sei occhi davanti a me saettarono, vivi come il fuoco “Che premio? Vogliamo sapere prima il premio” dice Alessandro con una faccia da poker, era chiaro che stesse bluffando o solo cercando di prendere tempo, per lui a quel punto la contrazione muscolare era diventato un ostacolo insormontabile. Decisi di stare al gioco “Una lezione privata. Chi risponde correttamente, la prossima volta verrà qui da solo e approfondiremo un argomento che decideremo insieme”.
Sguardi interdetti quelli di Alessandro e Roberto, subodoravano una trappola, più studio? più domande? più noia tutte concentrate su una persona sola invece che su tre? E se invece ci fosse dell’altro?
Non diedi loro altro tempo di speculare “Allora questa contrazione muscolare, cos’é?”. E Andrea li bruciò sul tempo “Lo so io”, trionfante, ed arrossì appena lo disse.
Sorrisi, in fondo io e lui condividevamo anche un piccolo segreto.
E lo lasciai vincere.

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