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Oggi è stata davvero dura restare concentrati. Accidenti a lei.
L’avevo capito appena era entrata che ne avesse una voglia matta. Quello sguardo, ormai, lo conosco fin troppo bene. I suoi occhi famelici, vogliosi, lussuriosi.
Non che ne abbia mai abbastanza, o che si svegli una mattina senza averne voglia. Ma ci sono giorni, come questo, nei quali il suo corpo è particolarmente ricettivo, fremente, caldo. Più del solito.
E anche l’abbigliamento era eloquente. Quel bottone di troppo, slacciato a lasciar intravedere il suo generoso décolleté. Una gonna probabilmente un po’ troppo corta, considerando le circostanze. E un’andatura, quel suo sculettare in maniera così provocante, tanto eccitante da risvegliare i morti.
Suo marito, accanto a lei, mi guardava con aria d’intesa mentre erano seduti tra il pubblico. Uno sguardo come a dire: ‘Oggi è su di giri, avrai parecchio da fare’.
Guardo lei. Guardo lui. E li ricordo quando, ancora fidanzatini, con l’entusiasmo e il timore di due trentenni in procinto di gettare le basi per una lunga e proficua vita insieme, vennero a parlarmi del loro problema. Mi dissero di non sapere con chi altro potersi confidare. E io fui ben lieto di ascoltarli, con la saggezza che si può avere dopo mezzo secolo di pacata esistenza. Si amavano, erano felici insieme, la loro intesa mentale era solida e feconda. Fisicamente, però, il discorso era ben diverso. Lui non era minimamente in grado di soddisfarla. Né per dimensioni, né per resistenza, né per fantasia. Erano una coppia tanto perfetta fuori dalle lenzuola, quanto inconsistente a letto. Ma volevano fortemente passare la vita insieme.
Ne parlammo a lungo, sia quella volta che in successivi incontri. Ne discutemmo senza mai arrivare ad alcuna soluzione. Poi, un contatto fortuito ci fornì la risposta. Quando aprii loro la porta del mio ufficio per lasciarli uscire. E lei, arretrando d’un passo, posò la sua schiena contro il mio corpo, i suoi fianchi contro il mio bacino, e il suo splendido fondoschiena contro il mio membro. Un membro diventato duro mentre parlavamo, quando, con estrema nonchalance, sbirciavo la sua scollatura. Un sospiro da parte sua, un movimento pressoché impercettibile del suo sedere. Le mie mani che, quasi come avessero una vita propria, la cinsero, risalendo dal suo addome verso il seno. Afferrandolo con forza, sotto lo sguardo attonito del suo ragazzo.
Fu allora che compresi quanto forte fosse la loro intesa. Uno sguardo, non una parola. Probabilmente, un cenno d’intesa che a me sfuggì. Pochi istanti dopo, lei era già inginocchiata davanti a me, a succhiare e leccare con bramosia il mio pene. Lo portò al massimo dell’erezione. Mi guardava sorridendo come una bimba golosa, mentre la sua lingua percorreva la mia lunghezza. ‘E ora, scopami’, mi incitò, rialzandosi e impugnando il mio sesso turgido. Il suo ragazzo se ne stette a guardarci seduto in poltrona, mentre la tenevo a gambe aperte sul bordo della scrivania, affondando in lei con foga, forza, violenza. Venne ben prima di me e, ancora scossa dagli spasmi, pensò bene di tornare ad inginocchiarsi, imboccando il mio membro ricoperto dei suoi umori, e stimolandolo fin quando non le inondai letteralmente la bocca del mio seme. Quella fu la prima di tante altre volte. Un anno dopo si sposarono, ebbero dei figli, vissero la vita insieme che tanto sognavano. E io li aiutai a colmare la loro piccola lacuna, prendendomi cura di quella donna esplosiva ogni volta che il suo corpo reclamava di essere soddisfatto. Il che, per mia fortuna, accadeva con cadenza quasi quotidiana.
Oggi, il suo sguardo e la vista del suo corpo, hanno rischiato di distrarmi più d’una volta mentre parlavo al microfono. Ho avuto in più occasioni la sensazione di perdere il filo del discorso, di non sapere che dire. Nessuno, però, sembrava averlo notato. Nessuno tranne me. E lei, ovviamente. Lei, decisamente divertita dai miei tentennamenti, seduta a pochi metri, a rivolgermi il suo consueto sorrisetto malizioso e insolente. Mi innervosisce e mi eccita al tempo stesso. E lo sa bene. Ci gioca, la stronza. Sa che facendomi inquietare, mettendomi così in imbarazzo in pubblico, l’effetto sarà quello di farmi venir voglia di sbatterla con ancora più intensità del solito. Per punirla, in teoria. In pratica, invece, è solo un alibi per lasciarci andare come piace a entrambi.
Sono passati quindici anni da quella prima volta. Quindici anni di rapporti frequenti, intensi, spesso brutali. E ancora mi eccita come il primo giorno. Il mio corpo, però, da un po’ ha iniziato a non tenere il passo dei miei desideri. Oggi, per fortuna, sono in forma. Ma ricordo quasi con imbarazzo la prima volta che il mio pene proprio non volle saperne di collaborare. Tre volte in un giorno, per un sessantenne, sono davvero troppe. Dovetti dare forfait. Ma lei era troppo carica. Eccessivamente carica. Tanto da non disdegnare di lasciare in pace il parroco e sfogarsi con uno dei due presbiteri. Che, a sua volta, non finse neppure di volersi sottrarre a quel gradevole onere.
Da allora, i presbiteri sono cambiati. Non lo è, invece, l’abitudine di cederla a loro quando proprio non mi sento in grado di soddisfarla a pieno. Del resto, in questo modo risolviamo i problemi di tutti. Lei e suo marito sono liberi di rafforzare la loro intesa spirituale e il loro amore. Io e i miei collaboratori troviamo la pace dei sensi in maniera sicura e gratuita, senza dilapidare in prostitute i soldi delle offerte. Tutte le persone coinvolte, inoltre, hanno interesse a tenere il massimo riserbo. E, ciliegina sulla torta, sono tutte maggiorenni, cosa lodevole di questi tempi. Tutto perfetto, insomma.
Una volta, se lo ricordo ancora ci rido su, lei mi chiese come mi ponessi nei confronti del voto di castità. E’ un po’ l’errore che fanno tutti, quello di fare confusione su questo passo. ‘Non è di castità, ma di celibato’, le dissi sorridendo, appena prima di spingerle in gola il mio membro teso allo spasimo. Come a dire, non ci è precluso il sesso, ma il matrimonio. Quanto al peccato carnale e all’adulterio. Be’, per fortuna c’è la confessione. Come dicevo, tutto perfetto.
Oggi ho troppa voglia per perdermi in convenevoli. O meglio, mi ha fatto venire troppa voglia. Ripongo l’abito cerimoniale nell’armadio. L’aspetterò così, nudo, seduto alla mia scrivania. La farò inginocchiare, glielo farò prendere in bocca, fino a renderlo duro come piace a lei. Dopodiché la scoperò a fondo, per punirla della sua insolenza. Per punirla di avermi distratto durante la messa nel giorno della resurrezione di Nostro Signore. Si, la merita proprio una punizione.
Non devo aspettare a lungo. Sento bussare alla porta. Riconosco il tocco delle sue nocche.
‘Avanti’, dico, in tono fermo.
‘Ciao zio!’, esordisce con voce allegra e squillante, entrando mano nella mano con suo marito.

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