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Tanto va la gatta al lardo…

By 27 Aprile 2015Dicembre 16th, 2019No Comments

L’irritazione nel vederla entrare nel locale con un altro durò solo un attimo. Giusto il tempo di capire quali fossero le sue intenzioni, consce o meno.
Lui era il tipico damerino da esposizione. Indubbiamente un bel ragazzo, certamente più di me. Dagli abiti che indossava, direi anche impaccato di soldi. Premuroso, gentile, delicato. Troppo delicato per lei. La serata sarebbe stata certamente un fiasco, al massimo conclusa con un pompino in auto mentre Ginevra avrebbe tentato invano di sfogare le sue voglie chinata su uno troppo impacciato e troppo sconvolto dalla sua esuberanza per prendere in mano le redini di quel rendez vous e dettarne il corso degli eventi. Un invito più chiaro di quello non avrebbe potuto indirizzarmelo.
Quando andai a prendere le ordinazioni, finse di non conoscermi. Stetti al gioco mentre lui, con aria da navigato sommelier, scorreva la lista delle bevande della pizzeria neanche fosse una carta dei vini del miglior ristorante di Parigi. Sembrava un pesce fuor d’acqua, come un cammello in un igloo. E anche le sdolcinate carinerie nei confronti della nostra conoscenza comune, più che lusingarla, avrebbero rischiato di farla addormentare sul tavolo ben prima del dessert.
Più volte durante la serata, i nostri sguardi si incrociarono per una frazione di secondo. Da parte sua, un modo di scrutare le mie reazioni nel vederla con lui, l’aria di sfida le si leggeva chiaramente negli occhi. Da parte mia, dopo l’iniziale turbamento, ironia, quasi compassione. Mista alla voglia di sempre.
Dopo antipasto della casa e pizza, mi avvicinai al loro tavolo, mentre lui, cercando la sua mano, le rivolgeva frasi da libro stampato. Di quelle che fanno troppa pena anche solo per esser scritte sul foglietto dei Baci. Nell’ascoltare l’ennesimo paragone tra gli occhi di Ginevra e le stelle del cielo, riuscii a stento a mascherare una risata con un colpo di tosse. Lui non ci fece caso, ma lei sicuramente se ne accorse. Conosce troppo bene il mio umorismo per lasciarsi sfuggire qualcosa di così evidente. Così come diedi per scontato che avesse percepito l’ambiguità nelle mie parole quando, in piedi accanto al loro tavolo, dopo aver dato una rapida occhiata a lui, avevo fissato i miei occhi in quelli di lei, pronunciando un ‘La signorina desidera qualcos’altro?’ che, certamente, non riferì alle pietanze presenti sul menu.
In attesa del dolce, Ginevra andò in bagno. Approfittando del fatto che il locale fosse praticamente vuoto al di fuori di loro due, la seguii a ruota. Quando irruppi nella stanza dei lavabi, si stava guardando allo specchio, riavviandosi i capelli.
‘Che ci fai qui dentro?’, chiese con noncuranza, senza neppure voltarsi a guardarmi.
Non colsi la provocazione. Sa bene quanto io odi sentirmi trattato con sufficienza, ma non c’era tempo di giocare a fare l’offeso quella sera. Mi portai dietro di lei, guardando il suo viso riflesso.
‘E’ passato parecchio tempo dall’ultima volta che sei venuta a farti scopare da me. Ero quasi preoccupato che ti fosse successo qualcosa’, le dissi, facendo aderire il mio corpo al suo e portando le mie mani sulle sue spalle.
‘Non sono venuta a farmi scopare da te. E’ finita tra noi’, rispose, con già la voce spezzata.
‘Certo’ è stata sicuramente un’idea di Paperon de’ Paperoni venire in una pizzeria da menu turistico invece di portarti in un ristorante da cinquanta Euro a piatto per impressionarti’, incalzai, cingendole la vita con un braccio per stringerla a me.
‘Lasciami’ non sono più tua ormai. Fattene una ragione. Lui mi piace davvero’.
Risi, stavolta senza trattenermi. ‘Ma chi, quello degli occhi luminosi come frammenti di stelle? Ma piantala’, ironizzai, facendo risalire la mia mano libera sotto la sua gonna.
Non replicò, ma il suo respiro accelerato e gli occhi persi nel vuoto furono più che eloquenti.
Giunto al bacino, strattonai le mutandine verso il basso, fino a fargliele scivolare alle caviglie. Mi chinai in avanti per avvicinare la bocca alla base del suo collo. Lo morsi, facendola sussultare e lasciandole un segno evidente, poi giunsi al suo orecchio. ‘Allarga le gambe. Voglio scoparti intanto che quel coglione si inventa una metafora pure sui capelli’.
‘Sei un bastardo’, sussurrò ansimante.
‘E tu la mia puttana. Mia. E’ chiaro?’, le dissi, sbottonando i pantaloni per tirar fuori il mio membro teso, appena prima di indirizzare il glande gonfio tra le sue labbra fradice dopo averla forzata a chinarsi in avanti.
‘Tu’ non’ puoi”, provò ad obiettare tra un sospiro e l’altro.
Prima che finisse di parlare, le premetti una mano sulle labbra e la riempii con un solo colpo, profondo e selvaggio. Dell’urlò che lanciò si percepì solo un lamento, soffocato dal mio palmo che la imbavagliava.
‘Tu. Sei. La. Mia. Puttana’, le ripetei, affondando con forza in lei ad ogni parola, e sentendola bagnarsi tanto che i suoi umori invasero anche i miei peli pubici oltre a spandersi tra le sue cosce. Appena terminai di scandire la frase, si accasciò completamente sul lavandino, esponendo ulteriormente il suo sesso alla mia azione.
Senza smettere di coprire la sua bocca, e ponendo l’altra mano tra il lavabo e il suo ventre per attutire i colpi che questo avrebbe ricevuto, aumentai il ritmo della scopata in maniera esponenziale. Entravo e uscivo da lei sempre più rapidamente, penetrandola sempre più a fondo. Ginevra tentava di dimenarsi ma, bloccata com’era dal mio corpo, non poteva far altro che urlarmi nella mano e tentare di mordere le dita che arginavano il suono dei suoi gemiti. Come di consueto, venne poco prima di me. E, come sempre, io non rallentai per darle tregua. Smisi di premerle la mano sulla bocca infilandovi dentro due dita, così che potesse succhiarle e leccarle, mentre paonazza, ansimante e semiriversa su quel lavabo, continuava a subire i miei colpi sempre più veloci. Solo qualche secondo più tardi, la inondai di tutto il mio piacere, intanto che mi stringeva tra i denti l’indice e il medio e inarcava la schiena per farsi riempire il più possibile.
Dopo essere sgusciato fuori da lei, e senza che Ginevra avesse ancora mosso un muscolo, mi abbassai per sfilarle completamente le mutandine. Non prima di averle afferrato una natica per riservare un morso deciso anche ad essa e strapparle un grugnito di dolore e piacere.
‘Queste le tengo io’, dissi, rialzandomi e sventolando il suo sottile indumento intimo prima di infilarmelo in tasca. ‘Fatti portare a casa ora. Fra un’oretta il locale chiude e ti raggiungo. Non ho finito con te. Né con lei’, conclusi, assestandole un forte schiaffo in direzione delle labbra del suo sesso, ancora bagnate del suo piacere e del mio sperma che iniziava a fuoriuscirne.
Gemette nuovamente a quel contatto, sempre restando immobile.
Subito dopo, lasciai la stanza da bagno senza aggiungere altro, mentre Ginevra, ancora sconvolta, iniziò a far forza sulle braccia per rimettersi in piedi, stringendo al contempo le gambe per evitare che il mio seme continuasse a colare lungo di esse fino a zone non coperte dalla sua ampia gonna a frange.

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