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Racconti Erotici EteroTrio

Un grande ritorno

By 14 Ottobre 2014Dicembre 16th, 2019No Comments

Milano Malpensa, le otto di sera. La notte calava rapidamente ormai padrona incontrastata del cielo. Il sole andava ad annunciare il buongiorno ad altri popoli. Per tutti era sinonimo di cessazione d’attività, di riposo.
Non per me.
Io sapevo bene che Katherine sarebbe dovuta arrivare di lì a poco. Ogni singola fibra del mio essere la rivedeva, in ogni situazione in cui ci siamo trovati e ciò innescava tutta una serie di possibili nuove situazioni… Molte delle quali sconsigliate a minori e deboli di cuore.
Mi venne un’erezione abnorme che si sarebbe anche potuta notare se non mi fossi strategicamente posizionato con lo zaino che portavo con me quasi sempre sopra di essa. Ciononostante faceva comunque male, l’attesa.

Mi era mancata molto, ricordavo il suo profilo longilineo, il suo volto magnifico, i seni piccoli ma sodi, la sua bellezza d’ebano senza un grammo di grasso, i suoi gemiti mentre la prendevo, la sua fica aprirsi come un ostrica che cela un prezioso tesoro di madreperla…
“Dio, devo smetterla di pensarci!”, mi imposi.
Per chiarire la cosa con il mio pene ribelle, andai in bagno e mi sparai una sega. Ripulii tutto ma, tempo qualche minuto, circa una ventina ed era come prima. E dire che Katherine era solo un’amante… O no? La domanda mi ribollì dentro come acqua bollente gettata nel vuoto nero dello spazio.

Intanto nel terminal migliaia di persone transitavano su e giù, beatamente ignare del mio turbamento. Beate loro…
Passarono i minuti. Ero arrivato con l’anticipo di ben un’ora, solitamente lo facevo per fare bella figura, in quel caso per prepararmi psicologicamente.
Non che funzionasse.
Presi allora un libro. Mi ero portato uno di quei libri di spionaggio. Non servì: tempo un istante ed ero ancora lì ad attenderla spasmodicamente. Avrò letto sì e no quattro parole…
Presi allora a seguire il mio respiro, cercando di calmarmi. In una decina di minuti ce la feci, raggiungendo una sorta di tranquillità quantomeno fragile. Mi concentrai sui ricordi per un istante, quelli del mio viaggio a Londra. Purtroppo non durò molto: un’immagine di Katherine avvinghiata a me devastò la mia tranquillità. Non fosse stato per la gente in giro mi sarei messo a urlare, cazzo!

D’un tratto eccola che arrivava! Pantaloni lunghi, maglia a maniche lunghe, un sorriso enorme sul volto che s’allargava intanto che si avvicinava a me. La pelle bruna del viso che faceva da perfetto contrasto con la dentatura bianco smagliante.
Prima ancora di parlare ci abbracciammo. Respirai il suo profumo a pieni polmoni. Senza una parola prendemmo a baciarci. Le infilai gioiosamente la lingua in bocca mentre la stringevo a me. Il futuro non aveva importanza. Se anche avesse dovuto andarsene per sempre dalla mia vita non importava: per ora era qui e tanto mi bastava.
Diverse occhiate arrivarono a convergere su di noi. Alcune eccitate, altre contrariate e altre apertamente ostili. Mandai mentalmente tutti a fanculo.
“Che cazzo vogliono ‘sti bigotti del cavolo?”, mi chiesi.
D’altronde, se sì scandalizzavano potevano anche guardare da altre parti. Rivolsi uno sguardo tagliente a una vecchia di settant’anni che mi fissava con disapprovazione. Lei levò gli occhi al cielo. Staccai una mano dalla schiena della bella domenicana per rivolgerle un segno quasi universalmente chiaro.
La vecchia borbottò qualcosa e si girò andando verso un bar. Katherine mi sussurrò all’orecchio, preoccupata.
-Ci vedono tutti!-.
Era vero. Evidentemente l’averle messo le mani sul sedere in bella vista l’aveva allarmata. La rassicurai con un sussurro a mia volta.
-E allora? Non devono rompere, siamo in un paese libero e mi sei mancata.-, per rafforzare le mie motivazioni la strinsi a me.
Lei gemette ad un livello appena udibile. -Mi sei mancato anche tu… Andiamo a casa.-, disse. Ci sciogliemmo dall’abbraccio e ci dirigemmo verso la mia auto, una Fiat punto. Per il bagaglio non c’erano problemi: era solo la sua borsetta. I suoi dovevano averle procurato tutto a Londra.

Mentre guidavo parlammo del più e del meno, le chiesi come fosse stata Londra, lei disse che era una città stupenda e che avrebbe voluto tornarci. Londra ha questo fascino su certa gente: ci vai una volta e non te ne vai più. Infine decisi di chiederle della sua decisione.

Lei esitò, cercando le parole.

Il mio cuore si perse un battito. Ero quasi certo che non l’avrei più rivista. Comunque cercai di essere pronto alla risposta.

Inizialmente, mi indicò un posteggio, poco lontano da un’autogrill che era ormai in procinto di chiusura. Posteggiai.
-Allora?-, chiesi con impazienza malcelata.

Lei mi sorrise, un sorriso veramente felice. Mi baciò, accarezzandomi il membro da sopra i calzoni. La mia erezione si sarebbe potuta vedere dallo spazio…
-Noi non faremo sesso, qui.-, iniziò.
-Perché?-, chiesi io con un sorriso tremulo.
-Perché…-, altro bacio, altra boccata di saliva, altra pugnalata di silenzio ammantata di gioia, -Quella a cui stiamo andando &egrave ufficialmente casa mia e mia soltanto!-, risposi.
Rimasi basito.
-Ho chiarito coi miei che &egrave ora che mi lascino volare con le mie ali.-, disse Katherine.
Faticai sinceramente a non mettermi a piangere dalla gioia e a limitarmi a baciarla con tutto l’affetto, l’amore e la lussuria che provavo per lei.
Il mio pene chiedeva pietà, chiedeva di essere sollevato dal suo fardello.
L’avrebbe avuta presto: facemmo rotta verso casa sua, sorridenti e felici, una sola frase fu detta in tutto il viaggio.
-Ci facciamo un bagno?-, chiesi.
Lei annuì sorridendo.
La vita &egrave meravigliosa. Due bicchieri di vino rosso se ne stavano sul bordo della vasca. La bottiglia, ancora piena, era adagiata sul piano del lavello, raggiungibile. Io e Katherine eravamo a mollo nella vasca piena d’acqua bollente.
Nessuno di noi osava fare la prima mossa.
Avevamo entrambi paura.
Paura di rovinare il momento.
Paura di non essere all’altezza.
Paura di essere stati ingiusti avendo tradito l’altro/a.
Paura di ammettere i nostri errori.
Eravamo fermi in acqua, sospesi nel tempo e nello spazio. Sapevo che quelle mie paure erano anche le sue.

Immerso sino al collo nell’acqua, pensai di iniziare a parlare. Sentivo il peso delle sue gambe sulle mie. Era come alterato, l’acqua distorceva la mia reale percezione delle cose al di sotto del suo livello. O forse era il mezzo bicchiere di rosso che mi ero concesso per brindare con lei. Infine lo ammisi.
-Sono stato con un altra.-.
Katherine non cambiò espressione ma sapevo bene di non essere stato totalmente onesto.
Ora, l’omissione rientra nella mia pratica di vita ma in quel momento desiderai ardentemente dirle tutto.
-Beh, in verità con altre tre.-, precisai.
Gli occhi di Katherine si ingigantirono, divenendo quasi liquidi.
-Tutte assieme?-, chiese con la voce roca.
-No.-, risposi io ridendo.

Presi a raccontare di Laura, senza soffermarmi troppo: il vero argomento era l’epica orgia che avevo fatto con le due sorelle giapponesi. La bella domenicana mi ascoltava, non si perdeva una parola. Quando presi a parlarle del triangolo con Maiko e Yoshiko sentii distintamente il mio pene divenire una sbarra di ferro. Vidi la bella nera portarsi una mano tra le cosce, incitandomi intanto a continuare con l’altra mano.
Era eccitata. E parecchio, a giudicare dal modo in cui respirava.
E la cosa mi piacque.
Molto.

Lei mi raccontò della sua esperienza con due fratelli bisex. Disse che l’avevano presa nel culo e nella fica allo stesso tempo. Mi sentii geloso ed eccitato da come descriveva il modo in cui aveva goduto. Sentivo di essere vicino all’esplodere e cercai di trattenermi, così come forse stava facendo anche lei.

Quel confessionale assurdo mi spinse finalmente all’azione.
L’eccitazione montante di Katherine mi diede un’idea e sussurrai: -Scommetto che non riesci a succhiarmelo sott’acqua.-. -Cosa scommetti?-, chiese lei con un sorriso tutto denti. Era chiaro che ci stava. I prossimi minuti sarebbero stati… notevoli. Mi presi un attimo per pensare a una degna ricompensa. D’un tratto la risposta mi apparve chiara e cristallina come una fonte di montagna in un bel giorno estivo.
-Quello che vuoi.-, dissi.

Gli occhi neri della giovane divennero liquidi.
-Accetto.-, disse dopo qualche istante, -Ti farò sapere se mi mancherà l’aria!-. Prese un respiro, si erse per buona parte della sua altezza da seduta e, semi-seduta sui talloni, si sporse in avanti col torso e infine immerse la testa sotto il livello dell’acqua in quella che nello Yoga sarebbe stata una quasi perfetta posizione del bambino.
Sentii distintamente la sua bocca fagocitarmi il pene. Prese a fare un lento su e giù con la testa, la bocca che si riempiva lentamente d’acqua. Dio che goduria. Sospirai di godimento.
Inconsciamente le misi una mano sulla testa, mi sforzai per infilarle il cazzo in gola. La sentii tentare di deglutire. Stavo venendo e ancora non lo volevo: Le strinsi una spalla. Bolle uscirono dalla sua bocca.

Passò un secondo, due, tre, cinque.

Temetti che fosse morta. D’un tratto lei scattò all’indietro, i capelli bagnati sparsero acqua dovunque mentre riprendeva fiato con un profondo respiro.
-Hai visto?-, chiese.
-Sì. Sei stata fantastica.-, ammisi io.
-Bene… perché voglio che ripetiamo la situazione che c’era la prima volta che abbiamo scopato in vasca.-, disse.
Non era una punizione: era un premio. Non riuscivo ancora a ricordare un momento più… erotico, più travolgente, più… mi mancavano le parole per descriverlo. Annuii, attirandola a me e soffiandole il bocca prima di baciarla. La bella nera sorrise. -&egrave un po’ tardi per le rianimazioni bocca a bocca…-, disse. Si mise sopra di me, come l’ultima volta. Avvinghiati come cobra reali.
Bevve un sorso di rosso e prese a segarmi con l’altra mano.
-Mettimi le dita dentro…-, ordinò, -Tutte quelle che pensi possano entrare…-.

Ero sinceramente combattuto tra mettere dentro tre dita oppure quattro. Mi venne un’idea migliore: Infilai l’indice, il medio e l’anulare nella sua fica nera fuori e rosata dentro ma presi a torturarle il clitoride col pollice. Katherine si mise ad ansimare dal godimento. Le baciai le labbra, scendendo sul collo. -Ti piace, vero?-, chiesi. Domanda retorica: la domenicana era tutt’un fremito. Se non aveva ancora goduto significava che voleva un diverso finale. In breve tempo si impalò sul mio pene.

Stavo godendo, non dovevamo quasi muoverci.
Un grido di spontaneo piacere mi sorse dalla gola.
Inarticolato e animale all’inizio, divenne presto una frase.
-Mi mancava la tua fica!-. Era una frase stupida probabilmente ma al diavolo: il mio cervello era soppresso dalle endorfine, stavo facendo sesso con una bellissima donna in una grandissima vasca. Sarebbe stato stupido sprecare tempo a pensare alle cose da dire…

Tant’&egrave che lei mormorò: -Mi era mancato il tuo cazzo… &egrave grossissimo… I due fratelli non ce l’avevano grosso come il tuo.-.

Sorrisi, sussurrandole all’orecchio: -Ti piace. Vero, lurida troia?-.
-Sì…-, ansimò lei, -Tantissimo…-.
Mi infilò la lingua in un’orecchio. Fu come ricevere una scossa e diedi un morso alla sua spalla destra.
-Mmmmh-, fece lei mentre acceleravamo il ritmo, -Animale!-.
-Sei la mia tigre… io sono qui per farti mia!-, sussurrai.
Continuammo a pompare fino a che non venimmo entrambi con un grido all’unisono che terminò in un’orgasmo epico. Passammo i successivi dieci minuti in vasca da bagno, l’una sull’altro. L’uno ancora dentro l’altra. Serata perfetta.
Per quella sera però era troppo: decidemmo di andare a dormire.
L’indomani avremmo potuto riparlarne. Sdraiato nel letto di Katherine (l’ex letto dei suoi genitori) tentai di riprendere contatto con la realtà che avevo lasciato alle due di mattina. La giovane si stava svegliando proprio in quel momento. -Buongiorno…-, disse con un sorriso. Mi misi improvvisamente a ridere. Una risata enorme, colossale. A cui, pochi secondi dopo, si unì anche lei. -Vorrei svegliarmi così tutte le mattine…-, disse sorridendo, i capelli spettinati, con solo il perizoma addosso. Io avevo solo i boxer.

Frammenti confusi della sera precedente presero a scorrermi in testa: eravamo andati a letto ma, verso la 1 ci eravamo svegliati. La libido montava di nuovo. In pratica, avevamo ripreso la sex session iniziata in bagno. La bella domenicana era alla fine venuta sotto di me, implorando per averne di più.
Cosa impossibile: nonostante tutte le letture erotiche che avevo consultato, non ero comunque instancabile.
L’avevo quindi masturbata a più non posso fino a soddisfarla. Erano le due e due minuti di mattina quando ci addormentammo. Avvinghiati come gli amanti che eravamo.

E qui arrivò il problema: sentii una porta aprirsi. Il mio cervello, realizzando la cosa, scaricò un fiotto di adrenalina nelle mie vene.
Qualcuno sta entrando. Non deve vederti!
Anche Katherine sembrava spaventata: aveva cambiato colore… Comunque riacquistò sufficiente padronanza di s&egrave per prendere i miei vestiti, scagliarli in un armadio e tentare di infilarsi un reggiseno. Era a metà del movimento quando la porta si aprì. La giovane che avevo davanti era simile a Katherine, la pelle appena più scura, i capelli riuniti in una coda, gli occhi neri come l’inchiostro. Indossava dei Jeans e una maglietta.

Inutile dire che per qualche secondo nessuno fece un respiro, poi la giovane prese a parlare con Katherine. In spagnolo. A giudicare dai toni non era un ben dibattito… Mentre cresceva d’intensità ricordai che nel Tao c’era un detto fondamentale per quelle situazioni: non ribellarsi.

Ciononostante non potei fare a meno di pensare che quella era davvero gnocca… quasi più di Katherine. Le due domenicane intanto stavano massacrandosi (verbalmente). D’un tratto l’altra, sbatt&egrave la porta, andandosene con la propria incazzatura.
Mi volsi verso la mia amante con piglio interrogativo. Lei azzardò un sorriso teso e una battuta.
-&egrave meglio se facciamo colazione fuori…-. Beatamente seduti al tavolo di casa mia, io e Katherine addolcimmo il risveglio improvviso precedentemente narrato con una colazione notevole: fette biscottate, burro, marmellata, pasticca di vitamina C concentrata per me. La colazione ideale. D’un tratto, mi decisi a rompere gli indugi.

Inutile negarlo: volevo davvero saperne di più sulla presunta sorella di Kath. E anche sul perch&egrave ci avesse apostrofati in quel modo a dir poco feroce.

_Chi era quella che ce l’aveva tanto con noi?-, chiesi alla fine. Katherine quasi si strozzò col caff&egrave. Tossì, cercando di sbloccarsi.
Dopo qualche minuto finalmente la bellezza nera riuscì a rispondere. -Era mia sorella, sorellastra in verità. Suo padre &egrave, o meglio era, il nuovo marito di mia madre. Non si &egrave mai sentita parte della famiglia ma l’abbiamo accettata. Sua madre &egrave morta quand’era piccola, così come mio padre…-, disse. Storia triste, pensai decidendo di saperne di più. Avevo bisogno di capire se sarebbe stata un’ostacolo, neutrale o un’aggiunta…

-Che tipo &egrave?-, chiesi con aria vaga. Non l’avessi mai fatto: gli occhi di Katherine mi inchiodarono alla sedia. Fu solo un istante ma capii che aveva imparato da me quel genere di tattiche…
-T’interessa?-, chiese lei con lo sguardo di fuoco.

Ahi, ecco la trappola! Se avessi detto “Sì”, sarebbe sicuramente finita male. Se avessi detto “No”, avrei mentito. Dovevo dire la verità. Subito però ricordai che avevo un’arma. Una che la giovane donna davanti a me non sospettava neppure.

Sfilai silenziosamente il piede dalla mia ciabatta e presi a farle il classico piedino. Feci su e giù lungo la sua gamba destra. Implacabilmente.
Anche se avesse voluto continuare a fare la faccia da leonessa mangiauomini era ormai chiaro che la bella caraibica aveva ceduto. I suoi lineamenti divennero più dolci. Un gemito a malapena udibile e incontrollato le uscì dalle labbra socchiuse, gli occhi le brillarono. Era il momento.

-Mi potrebbe interessare. Ma mai quanto te.-, ammisi. Era vero: Katherine era Katherine. Non ce n’erano di uguali. In nessun posto. Sua sorella avrebbe potuto essere solo un passatempo. Nulla di più. Era però chiaro che non scorreva buon sangue tra le due e dopo qualche secondo, la mia scopamica me lo confermò.

-&egrave una stronzetta tutta casa, scuola e chiesa. Come il mio ex. Suo padre l’ha cresciuta così, fin da piccola. Credo sia ancora vergine. Di fatto una sua amica mi ha detto che potrebbe anche essere lesbica. Si crede chissà chi solo perché va al liceo…-, disse. Analizzai la cosa, con calma mentre Katherine si assentava per andare in bagno.
Se realmente era lesbica non s’aveva da fare. Tuttavia il fatto che fosse “bloccata” dall’educazione impostale rappresentava un vantaggio: sbloccarla sarebbe stato come assistere all’esplosione di un dannatissimo vulcano.

Un vulcano sexy…

Katherine tornò. Sapevo già che mi avrebbe presto chiesto quali erano i miei piani. Decisi di giocare d’anticipo. -Come si chiama tua sorella?-, chiesi. Avevo un piano ed era pure mica male.
Avrei preso due, forse più piccioni con una fava.
-Maria.-, disse la bella nera sedendosi, -Perché?-, chiese.
Sorrisi con aria satanica.

-Ho un piano per sbloccarla.-, esordii. -Immagino che includa anche una… fase attiva.-, fece lei senza ricorrere a inutili specificazioni. Era anche per questo che me la scopavo: aveva cervello. Spesso veniva da pensare che ne avesse troppo ma la verità era che dove lavorava era sprecata.
In un negozio di alimentari… Avrebbe dovuto lavorare per la FBI.
Comunque continuai. -Sì, ma include anche una fase attiva con te. Sarà un po’ come fare un numero di alta scuola circense con granate senza sicura ma se funziona la sbloccheremo… e tanto.-.

Katherine esitò. Aveva un dubbio, lo sapevo e lo espresse subito: -Io… non finirà che verremo denunciati, vero?-, chiese. Sorrisi con un sospiro. Domande del genere erano barriere da abbattere. In quel piano avrei avuto bisogno della Katherine mangiauomini che conoscevo. Non c’era spazio per i dubbi.
-Tu non mi hai denunciato dopo che ti ho… circuita al bar quando ci siamo conosciuti.-, notai. -Era diverso-, disse lei, -Lo volevo.-. -E lo vuole anche Maria. Forse vuole anche di più…-, risposi allusivo. Al che la giovane mi guardò con perplessità. -Che vuoi dire?-. Sorrisi con aria satanica un’altra volta.

-Ce lo vedi un triangolo tra te, me e tua sorella?-, chiesi.

Passarono i secondi, i minuti. Contai mentalmente dieci minuti prima che Katherine si sporgesse verso di me e mi sussurrasse:
-Già sconfessare le sue ridicole e patetiche pretese di buoncostume sarebbe sufficiente ma addirittura farmela… Non sono mai stata con un’altra donna… Sarà divertente!-.

Avevo un’erezione enorme, gigantesca. Sarebbe bastato sfiorarlo per farmi venire. Anche la mia bella nera era eccitata. Tuttavia, fissandola con durezza, le imposi di trattenersi sino a domani. Sarebbe stata dura, durissima ma se l’indomani (domenica) il piano fosse andato in porto i nostri sacrifici sarebbero stati ricompensati mille e mille volte tanto! Il piano era immensamente semplice:
Avremmo agito la mattina seguente.
Katherine mi aveva detto che la sorella avrebbe avuto un test per il lunedì seguente e che sarebbe rimasta a casa a studiare. Ciò ci garantiva già di agire in un ambiente noto, familiare e relativamente calmo. Un buon inizio.

La “Fase Uno” era semplice: alzare la musica a palla con lo stereo nella camera dei genitori di Kath. Inevitabilmente, Maria avrebbe dovuto intervenire per spegnere o abbassare il volume.

La “Fase Due”, più complessa e terribilmente rischiosa, consisteva nel riuscire a bloccarla in camera. Non necessariamente impedendole di muoversi, Comunque, se si fosse messa ad urlare sarebbe stata la fine e, come predetto dalla mia amante, saremmo finiti di fronte a un giudice…
Era un’azzardo. E pure grosso.

Ad ogni modo, SE fosse andata bene e SE Maria non avesse urlato fino a sputare i polmoni, saremmo potuti quindi passare alla Fase Tre. Ironicamente era quella più facile:
La discussione e l’eventuale esecuzione.
Che si sarebbe divisa in tre fasi:
a) Osservazione della resistenza della giovane.
b) Metodica eliminazione della suddetta.
c) Scopata epica a tre.

Dopo aver organizzato il piano durante la mattinata di sabato, aver passato il pomeriggio a prepararci guardando un film (Quantum of Solace, 007, non proprio il massimo ma…) e la sera fuori, era tempo di agire. Rincasammo alle 00.21 del giorno X.
Maria era, chiaramente già a letto.
Ovviamente io avrei dovuto dormire da Katherine (non che mi dispiacesse) ma mi ero, prevedibilmente portato la colazione. Avevamo inoltre svuotato in parte l’armadio dei vestiti perché potessi nascondermici dentro.
Non dormimmo molto nell’ex letto dei suoi ma fui comunque in grado di alzarmi la mattina dopo. In boxer, mi nascosi nell’armadio dopo aver consumato un plum cake e un succo d’arancia mini. Erano le 8.59 di mattina. Come previsto, Katherine, col solo reggiseno e tanga addosso, accese lo stereo. La musica di Shakira invase la stanza, annientando la quiete del mattino. Dato che non era insonorizzata, la canzone Follow the Leader si diffuse rapidamente nell’etere. Maria non poteva non averla sentita…

Infatti, pochi istanti dopo sentii la porta aprirsi. Avrei potuto balzare fuori dall’armadio o arrivare sino a Maria furtivamente comunque avrei dovuto farlo in fretta: le due sorelle avevano preso a discutere animatamente.
“Basta con gli indugi.”, pensai. Uscii dall’armadio con un balzo.
Il tempo si cristallizzò mentre registrai le due ragazze che parlavano in spagnolo voltarsi verso di me. Maria indossava una camicia da notte di quelle vecchio stile, un reggiseno e delle mutande da suora…
“Ancora per poco.”, pensai.
Mi mossi rapidissimo verso di lei. La vidi aprire la bocca, gliela tappai con la destra mentre con la sinistra chiusi la porta, girai la chiave e tolsi la suddetta dalla serratura. Poi proiettai la giovane domenicana bigotta sul letto.

Rapida come una pantera sulla preda, Katherine le piombò addosso, inchiodandola al letto. Io le tappai la bocca.
La Fase Uno era finita. Ora cominciava la Due…
Con molta cautela le tolsi la mano dalla bocca. Era piena di saliva. Non la asciugai. Gli occhi neri di Maria erano colmi di paura, sdegno e furore, i lineamenti erano distorti dalla rabbia.
-Lasciatemi! Lasciatemi o grido.-, disse con tono gelido.
-Fai pure.-, risposi io con calma assoluta e anticipando la reazione tesa e leggermente dettata dal panico di Katherine.
La risposta così calma, come previsto, bloccò la favella di Maria.
-Cosa volete? Perch&egrave mi avete fatto questo? Devo studiare, &egrave un’esame importante.-, sparava domande a raffica, condite di sana altezzosità. Sarebbe stata dura, ma fattibile.
Era una vera stronza. Lo si vedeva dal modo in cui ci guardava, dal tono di voce, da migliaia di piccole cose.

-Perché hai bisogno d’aiuto.-, rispose Katherine, gli occhi che erano biglie d’ossidiana, -Ho paura che tu studi troppo e non ti diverta abbastanza. Saggia scelta di parole, davvero.
Infatti, l’espressione di Maria mutò nuovamente. Paura, dubbio, incertezza. Tutte queste sensazioni le invasero il volto.
-Che volete dire? Che diavolo pensate di saperne della mia vita? Non sono affari vostri!-, strepitò lei.

Calmissimo, le infilai una mano sotto la maglia, agguantandole un seno. Strizzai appena e lei emise un gemito sonoro. -Lasciami!-, sibilò.
Per niente impressionato, presi a scansare il reggipetto per iniziare poi a girare il dito sul capezzolo del seno destro. Katherine, con la stessa disinvoltura, infilò una mano nella maglia della sorellastra e prese a giocare con l’altro seno.
-Bastardi… porci bastardi!-, ci stava ingiuriando ma non ero per niente preoccupato. Solo eccitato come un maiale. Così come anche la mia scopamica doveva essere, d’altronde. -Lasciate le mie tette!-, esclamò perdendo per un istante il contegno e la posa da santarellina. Eppure, nella sua voce colsi dell’altro.
Eccitazione, vaga, primitiva, non gestibile.

-Non hai mai fatto sesso, vero?-, chiesi quindi io.
-Non sono affari tuoi! Ora togli la mano e dì a quella… svergognata di mia sorella di fare altrettanto!-, ribatté lei.
La presi come una conferma. -Allora posso assumere che fino ad ora tu ti sia solo toccata… giusto?-, chiesi allora. Lei sussultò come se fosse stata frustata. -No! &egrave peccato!-.
-Davvero?-, chiesi io, -E chi l’ha detto?-. Sapevo già la risposta.
-Dio non vuole che lo facciamo…-, rispose Maria, piccata.
-Se non l’avesse voluto non c’avrebbe dato modo di farlo.-, disse Katherine. Le nostre mani riposavano sullo stomaco della giovane che non sembrava minimamente interessata a ribellarsi. Se avesse voluto avrebbe potuto andarsene, almeno alzarsi. -Sei lesbica?-, chiesi io con tono salottiero. Affondo diretto! La giovane incespicò nelle proprie parole. -No… io… Come ti viene in mente? Non &egrave bene…-.
Moralismo contro perversione, etica contro istinto, menzogna resa fede contro sincerità. -Ah no? Però mi sembra che oggi la gente possa essere lesbica senza rischiare il rogo.-, osservai. -Sono dei deviati, peggio di voi!-, esclamò risoluta Maria. Eravamo al capolinea.

-Dunque, se io ora ti sfidassi a fare qualcosa…-, iniziai.
-Che diavolo stai blaterando?-, chiese lei.
-Semplice.-, dissi, Decisi in un lampo: presi la chiave, scansai il filo del tanga di Katherine e le infilai la chiave nella figa. La bella domenicana gemette di piacere. Era bagnata. Tanto quanto credevo fosse sua sorella. -Sai dov’&egrave la chiave. Ora Katherine si metterà in modo da permetterti di raggiungerla con una mano. Se la prendi puoi andartene.-, spiegai.
L’intero piano era appeso al filo di seta che copriva a malapena il sesso bollente della mia amante.
Katherine si distese a fianco della sorellastra, il suo pube all’altezza del volto di Maria.
Ora si vedeva chi aveva fegato e chi non.
Chi era troia e chi no.
Chi fingeva e chi era sincero.
Cazzo, solo a guardare la scena rischiavo di venire. Ero una sbarra di ferro… Maria, prevedibilmente, fece una faccia schifata. Scosse la testa un paio di volte. -Che schifo! Tirala fuori!-, gemette facendo ancora resistenza. Katherine sorrise con aria beata. Se la godeva un mondo. -Temo siano entrate parecchio in fondo…-, sussurrò. Infilai un dito nella vulva della mia complice. -Mmmh…-, feci saggiando le profondità della giovane nera, -Temo siano davvero entrate molto… Servono dita più sottili.-, ero allusivo da morire con questa frase ma era necessaria: Maria non sarebbe mai crollata a gradi: una come lei era una di quelle che bisognava svegliare di botto, con un singolo, traumatico colpo.

-Non lo farò.-, disse la reticente bigotta con voce alterata.
-Lo facciamo insieme, se vuoi.-, le proposi. Sorridevo come un idiota, pregustando la bellezza del momento. Avevo il pene che era una colonna di granito. -Cosa?!-, mi chiese lei, evidentemente sotto shock. Non smisi di sorridere ma capì che sarebbe stata leggermente più dura di quanto previsto. La sveglia suonò le dieci. Stava già durando troppo a lungo per i miei standard.

-Fatemi andare a studiare, vi prego!-, implorò Maria in un lampo di supplice atteggiamento. Dannazione! Stavamo fallendo. Katherine a questo punto prese letteralmente in mano la situazione.
Prese una mano della sorellastra con quella con cui si era esplorata la fica e, senza esitare, se la piazzò sulla vulva.
Lo stupore impedì a Maria di reagire, cosa che permise a sua sorella di succhiarle un alluce con movimenti del capo simili a quelli di un pompino. Ero eccitato, arrapato oltre ogni dannato limite. Mi sdraiai accanto a Maria, totalmente nudo, chiudendole ogni possibile via di fuga.
D’un tratto, per caso o volontà, il medio della bigotta scivolò nella fica di Katherine. La nera, presa a leccare ora la caviglia della sorella emise un gemito rauco. -Siiiiiiì….-, ansimò, -&egrave così che si fa…-.
Introdussi la destra sotto la camicia da notte di Maria, abbassai a forza le sue mutande monacali e le infilai due dita nella fica. Era pelosa fuori ma praticamente uguale a quella di Katherine dentro.

Ossia: calda e bagnata peggio di un lago in un giorno di pioggia.

-Le senti?-, chiesi girando le dita nella vulva di Maria. Lei di riflesso lanciò un grido strozzato prima di riuscire a rispondere.
-Le sento!-, esclamò ansimando. La bigotta lasciava finalmente il posto alla troia. Bastava solo un’ultima spinta… Katherine intanto aveva preso a toccarsi i capezzoli, eretti come punte di matita. -Quello che tu senti così bello &egrave quello a cui stavi per rinunciare sino al matrimonio, o anche per tutta la vita nel peggiore dei casi. Ora dimmi che vuoi andartene. Dimmelo e ti lasceremo andare. Parola d’onore.-, promisi. -Già potrebbe…-, notò Kath, -Le sue dita hanno raggiunto la chiave e mi sta facendo godere non poco…-. Maria rimase attonita per qualche secondo. Sapevo che da lì non c’era ritorno: avevamo innescato la bomba e il conto alla rovescia era cominciato.

D’un tratto e senza dire nulla, la giovane domenicana si alzò, togliendo le sue dita dalla vulva della sorella e le mie dalla sua. Mi preparai al peggio…

… che non si realizzò quando improvvisamente, Maria prese a baciare la sorella in bocca. Lei, stupita ci mise qualche secondo, ma rispose al bacio, strizzando i capezzoli dell’ex bigotta e togliendole il reggipetto e la camicia da notte. Le mutande, peraltro fradice, non erano un problema. -Fatemi godere…-, implorò Maria. -Cominciavamo a temere che non l’avresti mai detto.-, ammisi io. -Allora sbrigati prima che cambi idea!-, concluse la mia scopamica mentre torturava i seni di Maria. La sorella reagì montando sopra di lei, in una variante lesbo del missionario.

Da far venire un prete…

Le due si accarezzarono frementi mentre io, mettendomi dietro di loro, penetrai con lentezza esasperante Katherine. Ormai nuda come noi e completamente disinibita, Maria mi implorò di prenderla. -E tutta la fissa con la verginità?-, chiese Kat mentre la pompavo. -Stronzate. Voglio godere!-, disse la sorellastra. Con un sorriso, Kath le prese un seno in bocca.

-S’… gioca con le mie tette, sorellona… sei porca di brutto…-, ansimò Maria. Uscii da Kath proprio prima che venisse con uno schizzo di liquido vaginale che inzuppò le coltri. Presi invece a penetrare Maria. Entrai con leggerezza, sentendo l’imene rompersi. Il grido di Maria fu soffocato da una tetta che la mia amante le aveva opportunamente infilato in bocca. -mmmmmmmh-, riuscì comunque a proferire. -Credo che questa maiala stia godendo…-, disse Katherine prima di godere una seconda volta. Era veramente epico. Anche io stavo per venire e mi infilai nuovamente nella fica della sorella maggiore.
-Godi…-, sussurrò Maria, evidentemente mutata dall’esperienza.

Scaricai tutta la sborra nella fica oscenamente aperta e allagata di Katherine, rischiando quasi di svenire dal piacere.

Ci volle qualche secondo ma Maria si alzò e disse: -Siete una coppia di… non ho nemmeno le parole. Mi avete sequestrata, molestata, violentata e trasformata in… questa caricatura di me stessa.-, era difficile capire se facesse sul serio o meno. Sdraiati a fianco a fianco, io e Kath ascoltavamo e basta. -Mi avete fatta diventare una troia.-, concluse con le lacrime agli occhi.
-E ti &egrave piaciuto un sacco.-, dissi con un sorriso.
-Appunto, la mia domanda era… quando lo rifacciamo?-.

Guardai Katherine. Eravamo entrambi sfiniti da quella sessione di sesso a tre a dir poco sfiancante. Aveva anche lei la mia stessa espressione preoccupata. La frase che ci venne da dire fu la stessa e la dicemmo in contemporanea.
-Abbiamo creato un mostro.-.

Ma era un mostro meraviglioso.

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