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Un rappresentante sposato

By 15 Gennaio 2019Dicembre 16th, 2019No Comments

Facendo il rappresentante, si conosce un sacco di gente, di ogni tipo: ci sono quelli ai quali, anziché sorridergli e proporgli gli articoli che vendi, ti vien voglia di dargli subito fuoco e altri invece, con i quali, oltre ad una certa… neutralità emotiva, può scattare un livello di cordialità fin quasi a rapporti amichevoli.
Proprio l’aver conosciuto una persona di questa categoria, ha profondamente cambiato la mia (ma dovrei dire nostra!) vita matrimoniale.
Ho 32 anni e sono sposato da 5 anni con Marica, di 2 anni più giovane ed è una bella ragazza: sul metro e settantadue, snella, capelli neri riccioli, profondi occhi verdi tagliati obliqui, un bel paio di tette della 4a misura ed un culo tondo e tonico, come del resto è tutto il suo fisico, plasmato dalla passione per il nuoto. E’ progettista in una grossa azienda elettronica ed è una persona allegra, deliziosa, sensuale… forse anche troppo, per i miei gusti, riflettevo ripensando alle volte che mi si è offerta in ogni frangente, in ogni punto della nostra casa… in cucina, appoggiati su qualunque superficie disponibile, pavimento compreso; le volte che abbiamo fatto la doccia insieme, uscendo esausti dal cubicolo sono innumerevoli… e poi ancora ovunque: scale, cantina, rimessa per l’auto, solaio compresi.
Sentivo che la sua sensualità, la sua giocosa voglia di fare sesso, di conoscerlo e di esplorarlo a fondo era più ampia della mia e, devo essere onesto, ne ero un po’ spaventato, forse perché avevo paura di perderla. Ero geloso di tutti gli uomini di cui lei attirava lo sguardo: sulle proprie gambe tornite, sul seno sodo, sul tonico culetto, sulle spalle attondate dalla muscolatura da nuotatrice, dal suo contagioso sorriso e dalla sua dolce aria maliziosa.

Sergio è un uomo davvero adorabile. Un marito tenero, premuroso, affettuoso… peccato solo che non pensi mai al sesso; certo, meglio così, piuttosto di quei mariti che son sempre in giro a cercare puttane o semplici amiche compiacenti, ma insomma… devo sempre cominciare io…
E’ raro che a lui venga l’idea di cominciare anche se, poi, fa alla grande la sua parte. Ama la mia bocca, la mia fica, il mio culetto, le mie mani, le mie poppe, la mia pelle tutta, il mio corpo e la mia mente, però… però beh… non capisce, non immagina neanche che io possa aver voglia di ampliare la mia, la nostra conoscenza riguardo al sesso: ogni volta che cerco di affrontare il discorso, mi guarda con gli occhi sgranati, come se mi fossero spuntate le ali o se avessi cominciato a parlare in aramaico antico.

Una domenica eravamo andati al parco, a correre in mezzo al verde; per raggiungerlo avevamo usato lo scooter e alla fine della nostra corsetta, sudati ed un po’ ansanti, stavamo tornando al piazzale dove lo avevo lasciato per prendere da sotto la sella i due asciugamani.
Proprio mentre ero a pochi metri, una Mercedes, facendo manovra in retromarcia, urtava lievemente il mio scooter.
Il «Cosa cazzo fai?» all’indirizzo del conducente mi uscì d’impulso dalle labbra; il tipo fermò l’auto, scese e si accertò degli eventuali danni: nulla, solo una toccatina senza alcun segno.
Mi sorrise e si scusò, affabile, per aver urtato il mio mezzo: era un uomo sulla quarantina, abbronzato, col fisico atletico e le tipiche rughe di chi strizza gli occhi ridendo spesso, sul volto simpatico. Sorrise ancora più ampiamente a Marica che mi era venuta accanto e propose, per farsi perdonare, di offrirci una bibita al chiosco lì accanto.
Declinammo l’invito e lui, dopo aver appena insistito, fece un garbato baciamano a mia moglie, mi salutò simpaticamente e se ne andò al volante della sua Mercedes.
Mentre osservavo l’auto allontanarsi, mormorai, tra me e me: “che tipo…” e sorrisi pensando alla naturale simpatia dell’uomo; Marica commentò a sua volta. “Sì! Davvero un tipo affascinante!”
Non so: questa sua semplice frase fece scorrermi un piccolo brivido lungo la schiena…

Uhhmm… sì, sì… tipo davvero interessante! Atletico, abbronzato, appena oltre la quarantina e… con un bel pacco, sotto i jeans!! Niente male, proprio niente male…

Dopo pochi giorni, mi presentai a proporre i miei articoli ad una ditta, con la quale l’agenzia di zona mi aveva fissato un appuntamento.
Gli uffici, in una discreta palazzina accanto al capannone dove avveniva la produzione, avevano una sobria eleganza, senza lo sfoggio –spesso pacchiano- di cose dall’aria inutilmente costose: quell’arredamento dava un senso di solidità, di certezze, di serena disponibilità finanziaria: quello che ci vuole per chi, come me, ha da vendere qualcosa.
Una giovane impiegata mi accolse e in breve mi pilotò nell’ufficio del principale, il dottor Moretti.
Lo stupore reciproco fu quasi comico: era il tizio del Mercedes!
Mi sorrise a 32 denti, fece una risata divertita, mormorando qualcosa di scontato tipo «com’è piccolo il mondo!» e mi fece accomodare su una poltrona. Mi chiese se gradivo bere qualcosa e chiese (non disse, non ordinò: chiese, come un favore!) alla giovane donna di portarci le nostre bevande.
Coi bicchieri in mano, prima di cominciare le nostre trattative commerciali, brindò «…a tutte le belle donne, come la sua signora!»
Stranamente, anziché irritarmi –come mio solito- l’apprezzamento a Marica mi diede una sensazione molto piacevole.

Dopo circa due ore di confronto, ero pronto a lasciare gli uffici con un sontuoso contratto nella mia valigetta: il dottor Moretti si era dimostrato competente e molto interessato alle nostre attrezzature, al punto da averne ordinato una significativa quantità. Moretti mi accompagnò alla porta e, prima di salutarmi, dopo una brevissima esitazione, propose: «Lei è una persona davvero capace, gradevole e comunicativa. Il tipo di persona che stiamo cercando per la nostra azienda»
Non mi aspettavo certo una proposta da lui ed alzai un sopracciglio, interdetto; lui a quel punto sapeva di essersi assicurato la mia attenzione ed espose quanto aveva da propormi: accennò alla posizione che sarei andato a ricoprire, allo stipendio annuale, a tutti i vantaggi e gli agi che il passare alle sue dipendenze avrebbero comportato.
«…Ma non voglio una risposta adesso. Capisco che cambiare lavoro è una cosa importante e che ne vorrà sicuramente discutere con la sua deliziosa signora…»
Fece una breve pausa, forse per meglio delineare la proposta che mi fece subito dopo:
«Per illustrarle meglio la mia proposta e presentarla anche ai miei soci,anzi, mi farebbe davvero molto piacere se accettaste l’invito a trascorrere il prossimo weekend nella mia villa in Riviera. Cosa ne dice?»

Beh, quella sera a casa ne ho parlato a Marica e lei, innamorata del mare e della Riviera, mi ha supplicato di accettare quantomeno l’invito.
Per convincermi, addirittura, cominciò a strusciamisi addosso, come una gattina in calore e… beh, dopo pochi minuti mi son trovato la bocca piena della labbra della sua fichetta, mentre la sua lingua guizzante mi percorreva attentamente le palle ed il cazzo.

Il sabato, dopo un viaggio di poco meno di due ore, raggiungemmo la villa di Moretti: una bella villa su due piani, con un parco dal lato strada e aggrappata sulla scogliera sotto la quale il mare rombava tra gli scogli.
A Marica gli occhi luccicavano dalla gioia, come una bambina davanti alla vetrina di un negozio di giocattoli.
Moretti ci accolse in abbigliamento sportivo –mocassini, jeans e polo- e fu uno squisito padrone di casa. Ci presentò Angela, sua moglie, la quale fu felice di mostrarci la camera che avremmo occupato: una grande ed elegante stanza con una magnifica balconata sulla scogliera.
Marica era entusiasta del posto, della villa, della vista, del mare, di Moretti, di sua moglie, di me, di tutto!
Passammo il pomeriggio sulla spiaggetta privata della villa. Marica era così entusiasta del posto che, nonostante di solito io non approvi, si era levata il top del bikini.
Verso le sei, il maggiordomo ci venne a ricordare che la cena sarebbe stata servita alle venti, per cui, lì a poco, tornammo nella nostra camera per rinfrescarci e per cambiarci e lì Marica trovò, sul letto, un delizioso abito lungo, nero, di quella semplicità che dà davvero il tocco dell’eleganza.

Dio che bello, tutto!!
Sempre più affascinante ed intrigante il tipo, Stefano Moretti, e con delle occhiate che mi fanno ribollire la fichina…Gradevole anche Angela, con gli occhi da birbante ed un modo di guardarmi che mi fa pensare, forse, di… interessarle! E poi la villa!! Ed il maggiordomo!! E l’abito che sembrava fatto su misura per me: mi calzava perfettamente, tanto che ho deciso, all’insaputa di Sergio, di indossarlo senza nulla sotto. Mi sentivo porcella, un pochino, e sentivo che… beh, che da quel giorno la mia (nostra?) vita sarebbe cambiata parecchio.

Alle otto, scendemmo a cena: io indossavo jeans, mocassini ed una camicia bianca, Marica era deliziosa nel suo nuovo vestito –che le calzava meravigliosamente bene- ed i suoi sandaletti dorati.
Moretti ci presentò i commensali: Angela sua moglie (una bella donna alta quasi un metro e ottanta, coi capelli rossomogano, un alto solido seno e lunghe gambe appena velate da una gonna di tulle bianco), il suo socio Branco, un uomo appena oltre i sessanta, sul metro e sessantacinque e un pochino soprappeso, il classico piccoletto paffuto, calvo e allegro. L’altro socio, Franchi, era invece alto, magro, austero, con folti capelli bianchi e un profilo da senatore romano: probabilmente a ridosso dei settanta. L’ultimo socio -Gus White, uno statunitense- era un nero che dimostrava poco più di trent’anni, alto, con una muscolatura da tuffatore olimpico ed un affascinante sorriso bianchissimo.
Dopo un giro di aperitivi (molto alcolici!) ci sedemmo a cena e, mentre Angela e Marica parlavano e a volte ridevano tra loro, i quattro soci mi illustrarono la loro proposta, mentre le portate si susseguivano, annaffiate da eccellenti vini.
Un’occhiata verso le due donne mi fece cogliere un particolare che, lì per lì, non considerai significativo: Angela proponeva a Marica di bere e, mentre mia moglie vuotava il calice, lei ne beveva meno di metà e, come i bicchieri tornavano sul tavolo, il maggiordomo subito riempiva nuovamente.

L’aria era carica di… non so. Elettricità? Ormoni? Situazioni sul punto di realizzarsi?
Sentivo nitidamente che quella sera, quelle persone così compite, così formali, stavano ardendo dalla voglia di giocare col mio corpo… e, man mano che la cena procedeva, ero sempre meno propensa di essere contraria.
Marco Branco era il classico piccoletto, pancione, pelato… mi dava l’idea di amar baciare la fica; Franco Franchi era il classico tipo autoritario, di quelli che amano dare ordini alle donne… inoltre era piuttosto anziano e… beh, a me gli uomini non più giovani hanno sempre ispirata un sacco…e poi Gus… affascinante, con sorrisone abbagliante e… ed un cavallo dei pantaloni che mi fa pensare che quello che si dica dei neri sia vero… e mi riservai di scoprirlo entro poco tempo!!!
Notai subito il lavoro di squadra teso a metterci a nostro agio, ma anche a farci ubriacare… la mia vita, prima di conoscere Sergio, mi aveva portato d essere in una compagnia di ragazzi dove bevevamo parecchio e quindi, visto quell’allenamento, so che non sarà facile farmi ubriacare… Però, visto che sembrano tenerci, sarò gentile e farò finta di sbronzarmi.

Dopo cena, soddisfatto dalle possibilità ventilate e dei chiarimenti avuti, mi rilassai come del resto fecero anche i nostri ospiti: avevo necessità di tempo per riflettere sulla proposta e poter dare una risposta.
Moretti propose una partita a carte e i suoi soci acconsentirono con entusiasmo: come potevo rifiutarmi?
Musica di sottofondo, il carrello delle bibite accanto al tavolo da gioco, il personale messo in libertà, ci sedemmo e cominciammo a giocare a poker; erano anni che non giocavo, dai tempi dell’università ma, anche se arrugginito, ricordavo ancora come si giocava.
Mi venne data una dotazione di fiches e cominciammo la partita.
Mentre la partita proseguiva, Angela -adducendo ad un fastidioso malditesta- ci aveva lasciati, mentre Marica era restata accanto a noi, felice.
Quando Branco si allungò per versarsi da bere, lei si offrì ad occuparsi dei bicchieri da riempire, offerta che venne da tutti accolta con gioia; mentre ci riforniva, veniva incitata a bere anche lei e mi resi vagamente conto, nella foschia alcolica che stava appannando un poco le mie percezioni, che anche lei sembrava un po’… allegrotta.

Che tenero, mio marito: non ha alcun sospetto, non ha capito le manovre e si sta dolcemente inciuccando… la cosa mi incuriosisce e mi diverte ed il fatto che Angela mi abbia lasciata, dopo avermi fatto domande sulle mie preferenze sessuali, mi fa pensare che qualcosa sta preparandosi, per me e Sergio.

Mi resi conto di aver bevuto oltre il mio solito quando notai che Marica, mentre porgeva un drink a Gus, venne… “ringraziata” dalla mano di lui che le accarezzava il culo; non solo lei non rifiutò il contatto, ma neanch’io trovai nulla da eccepire al gesto.

Che mano! Sentire una mano che mi esplora le natiche è una cosa che ha sempre mandato in libidine… E’ per quello, che amo andare a lavorare in metropolitana.
Ho sentito la fichina che mi inumidiva e quel porco ha annusato rumorosamente, per segnalarmi che aveva percepito la mia eccitazione.

Le mani di gioco ed i bicchieri si susseguivano e notavo che Moretti sciorinava tutto il suo fascino nei confronti di mia moglie: quando lei gli portò un ennesimo scotch, lui la ringraziò, la cinse alla vita con un braccio e si sporse per mormorarle qualcosa in un orecchio; ridacchiarono un istante, poi lei si scostò e venne verso di me; si mise dietro di me e, posandomi le mani sulle spalle, mi cercò la bocca per un bacio sensualissimo.
Continuai a giocare dopo un poco mi trovai gli sguardi di tutti addosso; o meglio: non guardavano me, ma verso di me. Guardavano Marica, che percepivo armeggiare dietro di me, e tutti, come ad un comando, sorrisero contemporaneamente. Non capivo bene, ma girandomi ho visto Marica che sorrideva incantevolmente, mentre mi appoggiava di nuovo le mani sulle spalle.

Stefano mi chiese un whisky e quando mi avvicinai per porgerglielo, mi cinse la vita e mi mormorò nell’orecchio: «Potresti anche sfilarti le mutandine, non trovi?”» Risi: «Guarda che, sotto questo abito, non indosso nulla…» «Non ci credo, fammi vedere!»
Così andai dietro a Sergio, lo baciai con passione e poi, mentre lui si concentrava nuovamente sul gioco, alzai sensualmente il vestito fino a mostrare il piccolo ciuffo che avevo lasciato sul mio pube.

Poi Marica tornò accanto al carrello bar e continuò ad occuparsi dei nostri drink.
Ad un certo punto Franchi, allungando la mano per prendere il pacchetto di sigarette, lo fece invece cadere e fece per scostare la poltroncina e… ma Marica si chinò prontamente sotto il tavolo a raccoglierlo e… doveva essere ruzzolato proprio sotto: non si rialzava più!
No. Eccola! Si rialza e si liscia il vestito sui fianchi, la mia inappuntabile mogliettina.
Le sorrido e lei ricambia con gli occhi stranamente brillanti, come quando fa una delle sue monellerie.

Franchi è davvero un vecchio porco! Ha fatto cadere le sigarette e mi ha chiesto, con uno sguardo, di raccoglierle; mi sono chinata, ma lui le ha deliberatamente spinte col piede sotto il tavolo ed, abbassandomi, ho visto! Il porco l’aveva tirato fuori: non durissimo ma grosso, nodoso… il gioco mi incuriosiva: leccai la sua cappella e poi la imboccai un attimo: sapeva di pulito. Mentre ero inginocchiata sotto il tavolo, sentii la mano di Stefano insinuarsi sotto il vestito e accarezzarmi il solco della fica: delizioso!!!

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La natura mi fece sentire in quel momento il suo richiamo e, scusandomi, mi alzai per andare a dar sollievo alla vescica.
Mentre raggiungevo la stanza da bagno, sentii le voci degli altri che scherzano con mia moglie e lei che diceva «E no, dai, mi vergogno!!»
Raggiunsi il bagno ridacchiando: cosa mai poteva far vergognare quella sensualissima mia mogliettina?
Fatto ciò che mi aveva portato lì (e lavatomi la faccia con l’acqua fredda per dissipare un po’ la foschia alcolica intorno alla mia mente), tornai nel soggiorno e sentii Marica ridere: la vidi ed era in una posizione strana: inginocchiata sul tavolo e rivolta verso di me, mentre accanto a lei Moretti e Gus sembravano molto intenti a fare o guardare qualcosa.
Lei si drizzò, rise e scese ridacchiando dal tavolo, lisciandosi il vestito: era più bella che mai, con gli occhi luccicanti ed il viso rosso di… imbarazzo? Eccitazione?

Sergio si era diretto con passo insicuro verso il bagno e Gus, al quale ero in quel momento vicina, mi aveva cinto le spalle con il braccio e mi aveva baciata; non mi ero opposta e quindi mi riempì la bocca con la sua lingua guizzante. Intrappolata così, qualcuno da dietro mi forzò –non molto: in fondo mi lasciai pilotare- ad appoggiare un ginocchio sul tavolo; poi, cingendomi la vita, mi fece sollevare anche l’altro in modo che mi trovai avvinghiata a baciare Gus mentre gli altri mi sollevavano l’abito fino alla vita e mettevano a nudo la mia fichetta. Sentii molte mani ed una bocca esplorare i miei tesori e, inutile dirlo, la mia eccitazione andò a mille.
Sentimmo tornare mio marito e quindi balzai giù dal tavolo, ricomponendomi.

Ricominciammo a giocare e, man mano che la serata avanzava, che le mani di poker ed i bicchieri di liquore si susseguivano, il mucchietto delle mie fiches si assottigliava in modo impercettibile, ma costante.
Me ne accorsi ‘drammaticamente’ quando mi trovai un poker di Jack servito e cercai di rifarmi; ma i rilanci mi impedivano di giocare.
«Scusate tutti, ho un problemino: vorrei vedere questa mano, ma non ho abbastanza fiches per farlo… Avete un suggerimento od una proposta da farmi?»
Stefano sorrise, sornione: “Beh, io una proposta l’avrei… ma dobbiamo essere tutti d’accordo: puoi partecipare al rilancio se metti tutte le tue fiches nel piatto… ed anche le mutandine di tua moglie Marica!»
Si appoggiò allo schienale e sorrise. Gli altri ridacchiarono, borbottarono divertiti, ma alla fine accettarono la proposta di Moretti.
Guardai brevemente mia moglie, che stava versando da bere a Gus, vergognandomi di quello che le stavo per chiedere, ma lei ridacchiando disse che va bene, che era d’accordo.
«Allora: vedo con tutti questi… e gli slippini di Marica!» Lei mi guardò, con uno sguardo tra lo stupito ed il divertito e, mentre gli altri accettavano la mia puntata (in attesa dell “saldo” intimo), le chiesi di sfilarseli.
Lei fece un timido sorriso, con finta innocenza: «Ma io non li indosso…. Non ho nulla, sotto!»
Allora Branco parlò, con sicurezza: «Questo è solo un trucchetto per non onorare la promessa…» ai cenni di diniego di Marica, rispose «… propongo come… pagamento sostitutivo alla lingerie promessa, che la signora alzi l’abito per mostrarci che la sua affermazione corrisponde a verità; se farà così, io considererei la puntata valida… ed anche voi, direi, a giudicare dai vostri assensi»
Guardai Marica disperato, ma aveva accettato la prova sorridendo e stava già facendosi aiutare a salire in piedi sul tavolo, ponendo i piedi ai lati del piatto.
Stefano si alzò e scelse la musica, della quale mia moglie cominciò a seguire il ritmo mentre, ondeggiando lentamente e ruotando su se stessa, ma stando attenta a non calpestare le fiches al centro del tavolo, mentre lentamente faceva salire -anche se in modo discontinuo- il vestito fino alla vita.
Gli occhi di tutti erano calamitati dalle sue caviglie delicate, i suoi polpacci torniti, le sue ginocchia rotonde, le sue cosce toniche e, alla fine, le sue favolose natiche e l’angolino di peluria tra le sue cosce, a coronamento della labbra piene e sporgenti della sua fica.

Avevo capito la manovra del gruppo: sapevano che ero senza intimo, perciò hanno mandato quasi fuori Sergio, giocando a poker e poi hanno sfruttato l’occasione per vedere se stavo al gioco. Ok, eccomi!! Guardatemi, desideratemi, sbavate sul mio corpo, sulla vista della mia topina, del mio culetto; adesso che avete capito che ci sto, come pensate di procedere, porci?

Vedevo lo sguardo di Marica brillare di malizia, mentre gli uomini la osservavano con ben dissimulata famelicità e devo dire che qualcosa di strano stava succedendo, nella mia mente: non solo non mi disturbava esibire mia moglie, ma anzi la cosa mi gratificava, mi… eccitava, addirittura.
Un pensiero mi attraversò la mente: vederla sotto le loro carezze, sotto i loro baci, sotto i loro strusciamenti… Era un pensiero… beh, eccitante!
Ma no! Dai! Ma cosa vado a pensare!!! E poi, con che faccia potrei lavorare sotto questa gente, che ha fatto sesso con mia moglie? No, non esiste proprio!!! Adesso la faccio ricomporre, dico che ho mal di testa e ce ne andiamo a dormire…
«Hai una moglie davvero deliziosa, Sergio; è sempre utile, per un manager in carriera, avere a fianco una donna bella ed intelligente!»
La voce garbata di Stefano, interruppe le mie riflessioni; lo guardai: mi sorrideva con vera simpatia e… e forse ero io a cogliere un lampo malizioso in fondo ai suoi occhi?
Ero interdetto, combattuto tra l’elevata tensione erotica della situazione e le mie remore… remore che -evidentemente!- non sfioravano neanche Marica.
Il fondo del bicchiere di whisky che avevo bevuto, mi suggerì di ‘lasciar correre il pesce’, di vedere come le cose si fossero evolute: cominciavo ad essere curioso, morbosamente curioso, di vedere quali limiti io e Marica fossimo in grado di raggiungere…
Ricominciammo a giocare ed, a poco a poco, cominciai a trovarmi di nuovo un mucchietto di fiches davanti.
Nel frattempo Marica continuava a servirci da bere e sembrava svolazzare, felice come un uccellino, tra di noi; aveva capito l’interesse che suscitava ed evidentemente ne gioiva.
Poi, accadde l’incidente; una piccola cosa, per carità, ma ripensandoci fu quello il punto che diede una svolta definitiva a tutta la storia: mentre Marica stava porgendo a Franco il suo drink, urtò sbadatamente Marco che le rovesciò sull’abito il suo.
Scuse, solite manfrine sul “sono desolato, non l’ho fatto apposta, scusami” “ma figurati, nulla di grave” ma restò il fatto che Marica aveva l’abito bagnato ed immaginavo quanto fosse sgradevole la cosa.
Annunciò che si sarebbe assentata pochi minuti per cambiarsi ed una piccola, potente, idea vagamente perversa si impadronì della mia mente: la chiamai, prima che andasse, e le diedi un bacio sulla guancia, approfittando dell’attimo per mormorarle la mia idea…
Non disse nulla, né fece alcun cenno di aver udito le mie parole, ma sorridendo lasciò il salone.

Se voleva stupirmi, Sergio c’è davvero riuscito! Mi ha detto una cosa che mai e poi mai mi sarei aspettata di sentire da lui!!!
Comunque l’idea che mi ha dato è molto, molto stuzzicante… in effetti avevo già pensato a qualcosa del genere e… beh, perché no?

Un paio di giri di carte dopo, Marica tornò e tutti restammo senza fiato: si era raccolta i capelli in una coda alta ed indossava solo una mia camicia bianca botton-down, che le stava ovviamente molto ampia: sul davanti le arrivava circa a metà coscia, ma le sgambature laterali mostravano la sommità delle cosce; i primi tre bottoni erano slacciati, consentendo di poterci beare delle contigue rotondità dei suoi seni.
Anche l’ultimo bottone in basso era slacciato, rendendo il suo incedere sulle décolleté col tacco a spillo particolarmente suggestivo; ero imbarazzato ma anche emozionato: la mia splendida mogliettina aveva fatto tesoro del mio suggerimento bisbigliato; decisi di godermi l’evolversi degli eventi, tanto più che, evidentemente, la vista di Marica così succintamente vestita aveva lasciato letteralmente senza parole i miei compagni di gioco.
Con una sottile vena di eccitata riprovazione, notai che le intense occhiate degli altri avevano fatto in modo che i seni di Marica si eccitassero, facendo risaltare i suoi scuri capezzoli eretti sotto il lieve tessuto chiaro della mia camicia estiva.

Allora, banda di maiali, vi vado bene così? Vi eccita vedermi così, meglio che nuda?Mi volete come vostra troia? Volete toccarmi, palparmi, usarmi? Dai, ho deciso: starò al vostro gioco; andiamo avanti: guidatemi sul percorso delle vostre pulsioni e mi concederò come mi volete.
E tu, Sergio, dolcissimo ed ingenuo maritino mio: sai che stanotte diventerai un vero cornuto, vero? Sai che la tua candida mogliettina donerà piacere ai tuoi nuovi datori di lavoro? Sai che, sotto questo tuo sguardo un po’ brillo ed un po’ divertito, io sarò la loro puttana? Li vedi, amore mio? Sono una squadra affiatata ed i loro meccanismi sono collaudati: sei davvero convito che quello di Franco sia solo stato un innocente incidente? Ha fatto in modo che io lo urtassi e, al momento del contatto, mi ha rovesciato deliberatamente addosso la sua bevanda, ruotando il polso; altrimenti, forse, solo poche gocce si sarebbero versate e di queste solo una minima parte sul mio abito…
E adesso… e adesso li vedo: sono come un branco di lupi che mi accerchiano, ciascuno nel proprio preciso ruolo, pronti a impadronirsi del mio corpo, a violare le mie intimit, a trasformarmi, davanti ai tuoi occhi stupiti ed eccitati, nella loro sgualdrina… e io lo voglio, amore mio!!! Voglio sentire le loro mani sul mio corpo, voglio sentire i loro cazzi che mi penetrano, voglio sentire il loro sperma che si mescola con i miei umori… voglio essere la loro bagascia!!!

Marica venne accolta con commenti entusiasti e lei, graziosamente, sorrise; poi, sempre con gli occhi che le sorridevano, tornò ad occuparsi delle nostre bibite; gli altri bevevano un forte liquore, che mi avevano fatto assaggiare, ma che avevo deciso essere troppo alcolico per i miei gusti: preferivo un buon whisky seven-years-old, che Marica mi allungava con abbondante acqua ghiacciata.

Povero stupidotto amor mio! Mentre tu centellini il tuo whisky allungato, loro bevono la seconda (no, ormai la terza!) bottiglia di quella tequila che ti hanno fatto assaggiare: peccato che, finita quella bottiglia con il giro nel quale te l’hanno fatta assaggiare, loro bevono da altre bottiglie, ma riempite di té, a giudicare dall’odore; l’occhiolino che mi ha fatto Stefano, quando ho capito l’inghippo e l’ho guardato con uno sguardo interrogativo, mi ha di fatto arruolata nel complotto ordito contro Sergio, arruolamento accettato da me con un sorriso vagamente complice…

Ormai ero un po’ annebbiato, ma continuavo a giocare: se loro mandavano giù quella specie di benzina avio, beh, sicuramente io potevo stargli dietro col mio whisky…
Però, mentre giocavo, notavo che Marica –sempre più spesso- si soffermava di fianco a loro, dopo averli riforniti e, osservandola attentamente, vidi il suo sguardo da porcella che conoscevo ed apprezzavo cosi tanto che si perdeva rapito, nel vuoto… Cosa le stavano facendo? Mi stupii di ritrovarmi eccitato, immaginando le loro mani sinistre impegnate a percorrerle le cosce ed il bellissimo culetto.
Stavo impazzendo?
Poi, mi entrarono Jack e Donna di fiori –che tenni, in virtù di una strana ispirazione- e cambiai le altre tre carte; scoprendole lentamente, vidi apparire un Dieci di fiori, un Asso di fiori e…. Re di Fiori!!! Era Scala Reale!!!
Rilanciai, rilanciai ancora e alla fine battei il Full agli Assi di Stefano, assicurandomi un piatto davvero sontuoso!
Marica, che era incuneata tra Gus e Franco, fece un salto di gioia e, quasi sdraiandosi sul tavolo davanti a Franco, si allungò verso di me per un bacio: io mi piegai in avanti, verso di lei, e lei mi cinse con stretta entusiastica il collo con le braccia, dandomi un lungo bacio decisamente molto sensuale; dopo una trentina di secondi, per rispetto dei miei compagni di gioco, decisi di interrompere il bacio, ma la lingua di mia moglie continuava ad esplorare la mia bocca, sempre più eccitata.
Del resto mi stavo eccitando anch’io, sotto quell’assalto di sensualità di Marica e non avevo più tanta voglia che quel bacio finisse presto, tanto più che lei era sempre più eccitata…
Con la coda dell’occhio, vidi Stefano in piedi dietro a Marica che ci guardava con una strana espressione, tra la simpatia e l’estasi e, lì per lì, fui orgoglioso dello spettacolo di amore e sensualità che noi due stavamo dando al quartetto.

Mentre servivo da bere, tutti (meno Sergio!) approfittavano della mia vicinanza per accarezzarmi le cosce ed il culetto… Ovviamente apprezzavo queste attenzioni e mi stavo decisamente bagnando; la cosa non sfuggì a Marco, che annusava rumorosamente il profumo della mia fica in ebollizione, strizzandomi l’occhio. Anche gli altri se ne accorsero e, bicchiere dopo bicchiere, le loro mani si fecero sempre più ardite, facendo scorrere i polpastrelli tra le labbrine della mia fichetta e poi sondandomi entrambi i buchini…
Ormai ero eccitatissima: sentivo la fichina ed il culetto aperti, pronti per subire penetrazioni più consistenti e, mentre il dito di Gus stava accarezzandomi il clitoride, vidi Sergio che imbroccava quella Scala e la mia eccitazione sessuale si tramutò in un irrefrenabile impulso a baciarlo, a sentire la sua lingua lottare con la mia, a sentirmi ancora sua, ad abbracciarlo.
Però, come mi piegai attraverso il tavolo per baciarlo, Franco insinuò la mano sotto di me e la introdusse nella camicia, arrivando ad un capezzolo e stringendomelo con deliziosa violenza.
I miei sensi erano in fiamme: mi avvinghiai ancora di più al collo di Giorgio e lo baciai con ancora maggiore passione.
Nel frattempo, sentivo dietro di me le mani degli uomini che mi alzavano il lembo della camicia che indossavo sul culetto e le loro mani che mi allargavano le natiche e mi schiudevano le labbrine della fica, facendomi letteralmente incendiare. Sergio si godeva questo inaspettato, sensualissimo bacio, ma io mi sentivo i sensi in fiamme perché ‘sapevo’ che stava per succedere ’qualcosa’, qualcosa che avrebbe cambiato tutto, per sempre… E dopo un po’ (Attimi? Secondi? Minuti? Ore??), sentii allargare ancora di più la mia natura esposta e sentii scivolare dentro di me un cazzo bollente, mentre diverse mani mi accarezzavano e due dita mi allagavano il buchetto posteriore: mi sentivo fremere e tremare dal piacere che quella umiliante ed eccitante situazione mi scatenava dentro; non m’interessava chi fosse, a violarmi: volevo solo che continuasse e per non rischiare interruzioni, mi strinsi con maggior passione a mio marito mentre il cazzo sconosciuto scorreva dentro di me e poco dopo lo sentii irrigidirsi, e poi pulsare dentro di me mentre, con gli occhi della mente, vedevo i densi schizzi di sperma bollente fuoriuscire da quella grossa cappella che mi allagavano la fica. Venni nel modo più discreto che riuscii, per non far accorgere Sergio degli avvenimenti…

Marica non mi aveva mai baciato in un modo così sensuale, nei tanti anni passati insieme!!! E dire che la mia adorabile mogliettina è un vulcano, sessualmente!!!
Intuivo dei movimenti, dietro di lei, ma il suo bacio non mi permetteva di distrarmi dal ricambiarlo; ero orgogliosissimo di avere una moglie così sensuale, che mi baciava con tale passione davanti ai miei futuri datori di lavoro!
Poi, però, la sentii irrigidirsi, quel tipico irrigidimento che lei raggiungeva quando voleva celare le sue esplosioni orgasmiche (quante volte, in casa sua, con i suoi nell’altra stanza, prima di sposarci!!); riuscii a spostare di pochissimo la testa e vidi… e capii… Stefano era trasfigurato, la tipica espressione di chi è appena venuto, e si stava scostando da dietro a Marica… L’aveva FOTTUTA!!! Mentre lei baciava ME, suo marito!!!
Ero… ero… ero, si insomma… beh… offeso? Scandalizzato? Insultato? Sì, tutto questo, checcazzo… ma anche… (mi sconvolgeva questa nuova conoscenza di me!) eccitatissimo!!!

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Più ripensavo a quello che avevo intuito, capito, sbirciato, più sentivo scendere il mio sdegno e salire la mia eccitazione: gli occhi di Marica brillavano come se fossero due spot alogeni, evidentemente intrigata da tutta la situazione ed io… beh, lo ammetto: ero morbosamente curioso di vedere come sarebbe andata a finire.
Capivo che il quartetto mi stava deliberatamente umiliando, ma… ma la cosa, al di là dall’irritarmi, mi provocava una inaspettata eccitazione.
Decisi di assecondare in pieno il loro gioco, qualunque esso fosse, ma come?
Un attimo di riflessione e poi vidi, chiaramente tracciata nella mia mente, la strada per far procedere la cosa, qualunque essa fosse ed in qualunque direzione dovesse andare.

Studiavo l’espressione di Sergio, col terrore che avesse visto… o capito e che stesse per fare qualche sciocchezza: lo vedevo perplesso e capivo che stava riflettendo furiosamente; lo guardavo con uno sguardo affettuoso e con gli occhi carichi di promesse, ma dentro di me avevo paura di aver lasciato proseguire troppo il gioco, per le sue idee così convenzionali.
Restò a riflettere per una ventina di secondi, poi il suo viso si illuminò ed il suo splendido sorriso balenò, come un colpo di flash che illuminasse l’ambiente.

Riflettei ancora un attimo e poi feci quella che, nel mondo scacchistico, si definirebbe “mossa d’apertura”: «Beh, sento che stasera mi gira proprio bene! Dai, continuiamo a giocare?» dissi, sorridendo a 32 denti.
Anche gli altri sorrisero e ricominciammo il gioco durante il quale, però, cominciai ‘stranamente’ a veder scemare le mie fiches; in realtà avevo deciso di restare ‘pulito’ e quindi giochicchiavo, passando anche una volta che mi trovai un Full servito.
Inoltre, notavo che gli altri giocavano con maggiore… ferocia, maggior determinazione e quindi in poco più di mezz’ora mi trovai a contemplare con sguardo mesto –ma con la soddisfazione interiore di chi aveva realizzato i propri progetti- le poche fiches che mi erano restate.
Notavo che, nel frattempo, Marica restava –apparentemente rapita dal gioco- tra Gus e Stefano, di cui spesso non vedevo sul tavolo che una sola mano: sospettavo che la loro mano fuori vista fosse intenta ad esplorare le grazie di mia moglie… La cosa mi… mi turbava, in uno strano mix di umiliazione, gelosia ed eccitazione.
Decisi, prima di portare irreversibilmente avanti la mia strategia, di fare un’ultima piccola, semplice verifica e chiesi a Marica di portarmi ancora da bere.

Amormio, ti porto un altro whisky, se proprio lo vuoi… mi dispiace perché le mani di Stefano e Gus mi facevano fremere di voglia, accarezzandomi le gambe ed il culetto e sondandomi il buchino; sarebbe stato complicato, per loro, ripulirsi dello sperma che ancora avevo deliziosamente nella fica, se mi avessero toccata anche lì; la situazione mi teneva in sobbollimento, come il latte sul fuoco, sempre vicino a bollire e traboccare, ma tenuto controllato dalla sapiente regolazione della fiamma.
Comunque, amormio, ho deciso di mettere in atto il suggerimento che mi ha bisbigliato Stefano: questo whisky per te sarà l’ultimo, perché lo allungherò con acqua ghiacciata ed una bella porzione di vodka, di cui non sentirai il sapore, ma di cui indubbiamente sentirai l’effetto…

Come Marica mi si avvicinò col bicchiere, posai le carte e le chiesi un bacio; mentre era china a baciarmi, feci risalire la mano lungo l’interno della sua coscia, fino ad arrivare alla fica, sentendola bagnatissima, scivolosissima ed aperta; solo dopo che si fosse allontanata, portando ‘casualmente’ quella mano a grattarmi il naso, avrei sentito l’odore di un altro maschio (Stefano!) dentro di lei, ma già in quella piccola verifica avevo capito che non avevo immaginato chissacché, ma che davvero, mentre mi baciava con così tanta passione, si era lasciata montare da un altro…
Si gioca? Ok, e allora… giochiamo duro!
Mi era entrata una Doppia ai Re –punto discreto, ma ben lontano dall’essere imbattibile!- e decisi di puntare tutte le mie fiches rimanenti; come avevo previsto, Franco rilanciò, Stefano rilanciò anche lui e Gus stette al gioco; io avrei dovuto ritirarmi, non essendo in grado di coprire i rilanci, ma…
«Accidenti: mi avete tolto anche la camicia…»dissi in tono scherzoso e loro risero della battuta.
«Accettate per coprire la puntata una mia camicia?» Chiesi, strizzando l’occhio un po’ da alticcio, come cominciavo davvero a sentirmi, in realtà.
Allora Franco rise: «Sì, ma lontano dalle spiagge, non mi piace giocare con un avversario a torso nudo: se vuoi giocartene una, gioca quella che indossa tua moglie!»
Feci la faccia contrita, normale in una situazione del genere, poi accettai.
«Sì, ma… -disse Stefano- … il piatto piange: completa la tua puntata, sul tavolo!»
Chiesi a Marica di togliersi la camicia e di metterla sul tavolo. Mi guardò con un’espressione strana, tra l’offesa e l’eccitata, ed in pochi istanti l’abbagliante bellezza di mia moglie fu sotto gli occhi di tutti.

Accidenti che legnata che gli ha dato, al mio dolcissimo maritino, la vodka! Tutto mi sarei aspettata, meno che proprio lui mi obbligasse a spogliarmi davanti a questi maiali!!!
Marco è l’unico che non sa darsi un contegno e sta già sbavando come un grosso cane davanti ad un osso…»

Ovviamente, il mio punto soccombette davanti ad un Tris di Franco ed al Full di Stefano e rimasi così senza una fiche; che fare?
Tentai: «Beh, essendo restato pulito, direi che è ora di smettere, per me: me ne andrò a nanna…»
Accidenti!!! Avrei dovuto dire che ci andavo con mia moglie, senno mi mandano via e con un pretesto la fanno fermare!!
«Vieni, amoremio?» la invitai.
Loro, che già sembravano ‘rassegnati’ al fatto che io andassi a dormire e che lasciassi mia moglie là con loro, si precipitarono a dirmi che era ancora presto, che mi avrebbero dato qualche fiche per fare ancora qualche mano… Dopo essermi schermito un pochino, accettai.
Ricominciammo a giocare e per qualche mano riuscii a guadagnare qualche fiche; poca roba, ma abbastanza da non farmi smettere.
Avrei voluto fare di nuovo la prova di rimanere ‘pulito’, stavolta senza la camicia di Marica da perdere, per vedere cosa sarebbe successo, ma mi sentivo la testa dondolare e mi accorsi che mi ero addormentato per pochi istanti… Mi sa che avevo esagerato col whisky!
Appoggiai un attimo il mento sul braccio, appoggiato sul tavolo davanti a me e chiusi un attimo gli occhi, deliberatamente; quando li riaprii –o meglio: quando li socchiusi-, vidi che Marica si stava baciando appassionatamente con Gus, mentre Marco le leccava la schiena.
Decisi di recitare la parte di quello ancora più ubriaco e mi rialzai, li guardai e sorrisi, sbilenco, da sbronzo: «Non è vero che ho una bella moglie, davvero adorabile?»
Loro si dichiararono d’accordo, tutti meno Gus che continuò a baciare mia moglie mentre le accarezzava e le titillava i capezzoli.
Appoggiai i gomiti sul tavolo, intrecciai le mani e ci appoggiai il mento, incollandomi un sorrisetto ebete sulle labbra e preparandomi a gustare lo spettacolo.
I quattro mi gettavano occhiate diffidenti, ma si tranquillizzavano dalla mia postura rilassata, mentre la mia adorabile mogliettina mostrava evidente piacere alle loro attenzioni e mi ignorava bellamente.
Gus, che la baciava ed aveva le braccia di lei intorno al collo, abbassò le mani dai seni alle natiche e la sedette di peso sul tavolo; poi, sempre tenendole una mano sulla schiena, armeggiò con la sua patta dei pantaloni e, a giudicare dal sussulto di Marica, la penetrò di colpo. Poi cominciò a possederla con lenti, lunghi colpi, mentre –piegandosi su di lei che continuava ad abbracciarlo ed a baciarlo con passione- la fece sdraiare sul tavolo.
Come Marica fu in quella posizione, Franco glie lo accostò alle labbra e lei cominciò a spompinarlo con passione.
Vidi Gus che estraeva il cazzo da dentro Marica (accidenti, che sventola!!!) e le alzava le gambe, appoggiandole le caviglie sulle sue spalle; pensai che fosse una mera questione di sua comodità, finché un sussulto ed un gemito, strozzato dal cazzo di Franco, mi fece capire che stava brutalmente inculando mia moglie.
Ero attratto, stregato dallo spettacolo che dava Marica; sapevo che era una vera porcellina, ma non immaginavo che fosse così… famelica, così arrendevole. Ma pensavo anche che, se avessi anche solo sospettato che mia moglie si incontrasse con un uomo –anche solo per discutere di giardinaggio!-, avrei fatto fuoco e fiamme ed invece, a vederla così, a godere ed a donare piacere a quattro uomini insieme, non solo non mi irritava, ma addirittura provavo… beh, eccitazione, sì!

Oddio, non riesco più a fermarmi! Sono eccitatissima e voglio solo godere, godere, godere…
Sergio è completamente partito, dopo la correzione di vodka e si è messo a guardarci con un sorriso scemo ed io… beh, io sto davvero impazzendo: prima Gus mi ha baciata, sotto gli occhi di mio marito!!! ed io, invece di rifiutarmi o quanto meno di fare le cose con discrezione, ci sono proprio stata! E con grande piacere!
Poi Gus mi ha penetrata, col suo grande randello, ed io sono andata in estasi, non capivo più niente: poi mi ha sdraiata sul tavolo e quando mi sono trovata una cappella davanti alla bocca, è stato un fatto ‘normale’, aprirla e cominciare a spompinare; mentre ero intenta a quello, Gus lo ha sfilato, mi ha alzato le gambe e mi ha inculata… Male, eh!, ma anche un sacco di piacere, dopo i primi momenti!
Poi… poi non ricordo la sequenza degli avvenimenti ma, sempre sotto lo sguardo imbambolato di Sergio ed il suo sorriso ebete, mi sono trovata ad essere baciata, leccata ed io ho ospitato i membri dei quattro in ogni orifizio, ad un certo punto ero sul tavolo, accoccolata sul membro di Franco, mentre Marco, Gus e Stefano si alternavano tra la mia bocca ed il mio culetto…
Ho perso il conto di quante volte sono venuta, quella sera, ma alla fine dell’orgia, mi sono avvicinata a Sergio, per andare a dormire, finalmente, e lui ha fatto una cosa che mai e poi mai mi sarei aspettata: mi ha toccata sotto, sondando la mia natura ed il mio culetto, dilatati e scivolosi e poi si è succhiato il dito che aveva inzuppato in me, sorridendo, strizzandomi l’occhio e ridacchiando in modo un po’ scemo.

La mattina dopo mi svegliai, logicamente, con un feroce mal di testa e con una bocca che sembrava ci fosse entrata a morire una bestia dieci giorni prima: erano anni che non mi prendevo una sbronza così.
Nella vaga luce che filtrava dalle persiane accostate, contemplai Marica, che dormiva serena accanto a me, russando leggermente, con i fianchi e le gambe coperte dal lenzuolo: come era bella!
Frammenti di avvenimenti passavano nella mia mente: ricordavo che avevamo cenato, poi chiacchierato e poi che ci eravamo messi a giocare a poker…
Angela, la moglie di Stefano, si era ritirata e Marica era restata con noi, a servirci da bere…
Poi Marica si era cambiata per… sì, perché si era bagnata il vestito e… uhm… aveva messo qualcosa di bianco e di molto corto, mi sembra…
Poi… mi sembra di ricordare che avevo vinto una bella posta e che… mah, non so.
Frammenti strani, fotogrammi incongrui mi passavano per la mente: per un attimo mi parve di ricordare la mia dolcissima ed innamorata mogliettina… con un altro… a fare sesso…
Ma dai!!! Maffiguriamoci!
Eppure, alcuni sconvolgenti ed assurdi fotogrammi di Marica, alle prese con cazzi estranei, mi venivano alla mente, come avanzi di un brutto film porno…
Assurdo! La mia dolcissima compagna, pensare che facesse cose del genere con altri…
Mi grattai il vello pubico e –sorpresa!- trovai i peli incollati da sperma ormai seccato; pazzesco! Erano anni che non avevo più una polluzione notturna!
Eheheh… evidentemente l’inaspettata vacanza mi stava facendo davvero bene…
Guardai teneramente mia moglie, che nel sonno aveva cambiato posizione: ora si era semiraggomitolata sul fianco e continuava a dormire serena, con un’ombra di sorriso sulle labbra: dio, com’era bella!
Sollevai delicatamente il lenzuolo e la contemplai deliziato: il suo collo flessuoso e le sue piccole orecchie fatte apposta per essere baciate, la linea decisa della mascella che così mi aveva intrigato, i suoi lunghi capelli neri molto mossi -ma senza arrivare ad essere ricci- che le arrivavano quasi a metà della schiena, la sua fronte alta, decisa, il suo naso con una piccolissima gobbetta, ma cosy sexy, i suoi occhi col taglio sbieco, da gatta, verdissimi come smeraldi illuminati dal sole, le sue sopracciglia decise, la sua bocca piena e sensuale, la sua gola delicata, i suoi seni prepotenti ma ancora sodi, con grossi capezzoli scuri e piccole aureole, incorniciati da due spalle scolpite da ore di nuoto in piscina, il suo pancino appena arrotondato con un delizioso, profondo ombelico, la sua vita stretta che esplode nel trionfo dei suoi fianchi e del suo meraviglioso culo liscio e tonico a mandolino che cela la sua deliziosa ed elastica rosellina che ama farsi penetrare e poi il triangolo nero che le sormonta quella deliziosa fica, con grosse labbra spesse e carnose, facili ad inumidirsi, che risaltano in modo quasi violento, col loro rosa carico in mezzo ai folti peluzzi che la incorniciano e poi le gambe snelle ed agili e le caviglie sottili.
Sentivo le pulsazioni del cazzo che mi stava venendo duro e già progettavo di svegliarla –novella Bell’addormentata!- con un bacio, anche se in un punto che nessuna favola per l’infanzia avrebbe mai considerato, quando sentii picchiettare delicatamente alla porta.
«Sì?»
«Siete svegli?» «Arrivo!»
Mi misi un paio di short verdemilitare ed andai ad aprire ad Angela, che avevo riconosciuto, dopo aver tirato il lenzuolo addosso a Marica.
«Scusa, ma Marica dorme ancora», bisbigliai; lei annuì ma entrò in camera.
«Sai –sussurrò- sono venuta a vedere se avrete piacere di venire a fare un giro in barca con noi: pensavamo di partire tra un’oretta e rientrare domani sera, anche perché contiamo di fare una puntata in Costa Azzurra; considerando che martedì è festa, potreste prendervi un giorno di ferie e fare il ponte; siete due persone davvero gradevoli e ci fa piacere godere della vostra compagnia» Concluse con un sorriso ammaliante, al quale risposi nello stesso modo, ma poi vidi che il suo si allargava maggiormente, guardando oltre di me; mi girai e vidi che Marica, muovendosi nel letto, aveva scalciato via il lenzuolo che adesso le copriva solo le caviglie.
Con uno strano scintillio negli occhi (concupiscenza?) Angela mormorò, un pochino più forte di prima e con un particolare tono più roco nella voce: «Tua moglie è davvero bellissima… che detto da un’altra donna è tutto dire… -sorrise maliziosa e fece una risatina lieve come una piuma- anche a mio marito ed agli altri è piaciuta molto, come… figura e… beh, sì: anche come modo di fare!»
Dicendo questo, mi dribblò con l’abilità di un attaccante della Nazionale e le si avvicinò, contemplandola estasiata.
«Credo di aver capito che a te il programma vada bene… Non pensi che sarebbe meglio svegliarla per proporlo anche a lei e sentire la sua opinione?»
Annuii meccanicamente e allora lei si abbasso su Marica e le bacio una guancia; mia moglie mugolò qualcosa e si agitò un pochino, cercando di districarsi dalla ragnatela del sonno, si mosse ma restò con gli occhi chiusi.
Allora Angela si abbassò nuovamente e posò le proprie labbra su quelle della mia compagna, che si stiracchiò ma sempre ad occhi chiusi; vidi che il bacio di Angela si prolungava oltre il normale, ma poi notai che Marica apriva la bocca, per ospitare la lingua che quella bella donna le insinuava dentro.
Ero pietrificato dallo spettacolo: mai avrei pensato che una donna, sconosciuta fino a ventiquattr’ore prima, avrebbe potuto svegliare la mia Marica con un bacio così: ero scandalizzato, offeso –forse- ma anche stranamente intrigato, sedotto dalla situazione così inconsueta; restai a guardare come un allocco, senza dire nulla.
Marica aprì gli occhi, mise a fuoco il volto di chi la stava baciando, li spalancò per un attimo, stupita, poi li socchiuse e, muovendosi morbidamente, ricambiò il bacio di gusto…

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Sono risalita lentamente dalle profondità del sonno, forse sognando Sergio che parlava con qualcuno e poi la sensazione di un qualcosa di piacevole… e una lingua che si insinuava tra le mie labbra…
Sprazzi della serata mi sfrecciano nella mente e, avendo ovviamente capito che non era mio marito a baciarmi, ho aperto gli occhi per vedere quale dei quattro uomini mi sta baciando così bene, in modo così sensuale ed eccitante, anche se delicatamente, senza… voracità.
Angela!?!? Apperò! Beh, è una bella donna e ho anche idea che dev’essere una deliziosa porcellina… Perché no?
Giro gli occhi e vedo Sergio che ci guarda, intrigato: ti piace lo spettacolino, amor mio? Ti eccita vedere la mano di questa bella signora che comincia a sfiorare lievemente i miei capezzolini? Ti stimola vedere che la mia mano si insinua sotto la sua polo per renderle la cortesia? Ti stai eccitando, amormio?

Non mi aspettavo di vedere la mia Marica baciarsi con una donna ed ero decisamente interdetto: la mano di Angela che accarezzava il seno di mia moglie mi faceva sentire… violato!
Stava toccando una parte di me, mia moglie, la mia compagna e… e lei però sembrava gradire le attenzioni; anzi, contraccambiava…
Mi schiarii la gola: «Amore, Angela ci è venuta a fare una proposta…»
Loro smisero, scambiandosi un sorriso complice e Marica si mise a sedere appoggiata alla testata del letto, col lenzuolo che la copriva pudicamente fino ai seni.
Ascoltò la proposta, si illuminò in viso, cercò un mio sorriso di assenso ed accettò entusiasticamente, saltando giù dal letto –nuda!!- e andando in bagno a fare le sue abluzioni mentre Angela, dopo averla contemplata con torbido piacere, ci lasciava soli.

Dopo un’oretta, partimmo dalla villa a bordo della Jaguar di Stefano, con Angela, e seguiti dalla grossa BMW di Marco, che portava Franco e Gus.
In meno di mezz’ora, arrivammo in un porticciolo, parcheggiammo le due auto e seguimmo Stefano sulla passerella di una ‘barca’, un motoryatch di una trentina di metri; scambiò qualche parola col marinaio che era a bordo, che fece rientrare la passerella, andò al timone, avviò i motori che cominciarono a ronfare potentemente dopo aver fatto due sbuffi di fumo; poi lasciò la plancia, tirò a bordo le cime man mano che un giovane di colore le affrancava dalle bitte d’ormeggio, prima di balzare a bordo, e poi tornò ai comandi, portò avanti le manette dei motori, che cominciarono sommessamente a rombare ed il “Sea Master” si scostò dalla banchina, puntando verso il mare aperto.
Come la barca prese abbrivio, Stefano ed Angela ci fecero fare una breve esplorazione dello yacht, poi Angela ci mostrò la nostra cabina, dove lasciammo le poche cose che ci eravamo portati.
Dopo pochi minuti risalimmo sul ponte, in calzoncini da bagno e bikini, dopo esserci tolti short e magliette.
Fummo accolti da un sorridente Gus, in slip da nuoto e poco dopo arrivarono gli altri.
Angela disse a Marica che aveva due regalini da farle e di seguirla nella sua cabina; lei si girò, mi sorrise, mi baciò e seguì con passo quasi danzante la sua nuova amica.

Angela mi porta nella ”cabina dell’armatore” la loro cabina: dio che bella, che eleganza, che lusso!!!
Mentre mi guardo in giro, mi porge un piccolo cofanetto, di quelli da gioielleria, e mi dice che è per me; lo apro e dentro ci sono due catenelle d’oro con un ciondolo ciascuno, a forma di piccolo cazzo: la guardo stupita e maliziosamente divertita!
Sorride e mi spiega che è un regalo per me, ma che se lo accetto, automaticamente dovrò fare TUTTO –lo sottolinea!- quello che lei mi dirà… «… Dovrai ubbidire ad ogni mio ordine, anche a quello che ti sembrerà totalmente offensivo od assurdo.
Quando torneremo alla villa, ti chiederò se vuoi ancora proseguire nello stare ai miei ordini e potrai decidere, ma fino a quel momento, non potrai rifiutare nulla di quanto ti chiederò io o persone alle quali io conferirò questo privilegio assoluto.
In cambio di questa tua… sottomissione, ti assicuro un piacere che non hai mai neanche immaginato, oltre ad una… svegliata a tuo marito, che mi sembra molto buono e gentile, ma un po’ ingenuo sul sesso… e nel mercato del lavoro»
Dice quest’ultima frase ambigua sorridendo e la conclude con una strizzata d’occhio.
Ho risposto con una risatina e, per prendere tempo ho contemplato le due catenelle, che sono due oggetti molto belli, anche se non capisco come vadano portati… accetto, con un sorriso!
Allora prende la catenina più lunga e me la cinge in vita: è della misura giusta perché appoggi morbidamente sui fianchi.
Poi mi slaccia il reggiseno e al mio sguardo vagamente interrogativo, risponde: «Tutto quello che dico io, ricordi?»
Annuisco e lascio fare… Dopo avermi tolto la parte sopra del bikini, mi infila il dietro del tanga tra le natiche, il più profondamente possibile.
Mi dice di appoggiare il piede sinistro sulla sedia e l’altra catenina mi viene chiusa intorno alla caviglia.
Uno specchio rimanda la mia immagine: quasi nuda, leggermente abbronzata e con quelle due catenine discrete ma eleganti, anche se con quei bizzarri ciondoli…
Mi si avvicina, mi bacia sulla bocca, mi accarezza la micetta e mi dice: «Rammenta: tu da adesso sei mia!»
Sono incuriosita ed eccitata: annuisco sorridendo.

Mentre le due donne sparivano sottocoperta, Stefano mi parlò di quel suo ventottometri, che aveva la cabina dell’armatore, quattro cabine per gli ospiti e due per i membri dell’equipaggio; la strumentazione era la più completa sul mercato e le dotazioni di bordo permettevano il massimo confort ai passeggeri; i due motori diesel permettevano di raggiungere i trentacinque nodi, cioè i sessantacinque chilometri orari; una bella velocità per un’imbarcazione, mi assicurò.
Inoltre Francois, il giovane di colore, era un ottimo cuoco, oltre che un valido marinaio e Sasha un abile navigatore.
La mano esperta di Sasha faceva prendere velocità all’imbarcazione, ormai uscita dal porticciolo, mentre Stefano, da perfetto padrone di casa, mi versava un drink, analcolico per mia esplicita richiesta, e mentre Gus e Marco mi chiedevano le mie prime impressioni sul “Sea Master”.
Dopo aver bevuto il drink, però, mi sentii strano, come se avessi bevuto un whisky; evidentemente non ero fatto per la vita sul mare, pensai.
Il mare appena mosso e lo yacht dondolava lievemente, fendendo le basse onde con decisa arroganza, mentre il sole stava girando da dietro di noi al nostro fianco sinistro.

Apre la porta e mi dice “Vieni!”, ma in modo molto più deciso di quanto mi avesse parlato finora; torniamo sul ponte…

Sentii qualche garbata esclamazione e mi voltai, vedendo arrivare la splendida Angela, coperta solo dei suoi gioielli e da un minitanga giallo vivo, seguita da Marica.
Rimasi leggermente shoccato a vedere arrivare mia moglie praticamente nuda, ad eccezione del ridottissimo tanga, con indosso quelle due catenine, che non le avevo mai visto; gli altri invece apprezzarono rumorosamente esclamando cose tipo «bene!», «brava!», «adesso sì!» e facendo sorrisi sconfinati.
Rivolsi uno sguardo interrogativo a mia moglie, che mi rispose con uno smagliante sorriso… Ero interdetto: lo sdegno e la gelosia lottavano, dentro di me, con una sottile vena di eccitazione e di curiosità: cosa aveva detto Angela alla mia compagna, per convincerla a fare quell’apparizione sicuramente ad effetto?
Quei seri ed abili uomini maturi, sembravano scolaretti davanti ai regali di Natale.
Decisi di aver bisogno di bere qualcosa, ma un qualcosa leggermente più robusto di un cocktail analcolico e Angela mi preparò una Pinhacolada. (Anche se, dopo un quarto d’ora, capii che me l’aveva preparata bella carica…)
Ero incuriosito e perplesso dal comportamento di Marica: sapeva di essere una bella donna e amava godere degli sguardi di ammirazione degli uomini, ma sempre con ragionevole… modestia; invece, da quando avevamo conosciuto queste persone, sembrava cambiata: come se volesse dimostrare qualcosa, o avesse deciso di superare una certa soglia.
Ero interdetto e, non lo nego, avevo anche paura che il suo comportamento fosse gradito solo apparentemente a queste persone, ma che in realtà stesse affossando le mie probabilità di sfruttare quella ottima possibilità di lavoro… O forse mi stavo sbagliando: in realtà era lei –forse- che si stava guadagnando la mia assunzione?
Mentre osservavo le due donne che si stendevano su una zona imbottita, progettata per i bagni di sole sulla coperta di prua dell’imbarcazione, sentii una mano appoggiarsi sulla mia spalla e dare un’amichevole stretta, mentre la voce pacata di Stefano commentava, in tono svagato:
«Tua moglie è davvero una bella donna, Sergio, e molto affabile; una donna così è sempre molto utile ad un uomo in carriera…»
Prima ancora che potessi pensare ad una risposta, mi lasciò con la sua andatura rilassata e si diresse in plancia, affiancandosi a Sasha che era al timone; lo vidi prendere il microfono della radio, trasmettere quattro o cinque messaggi e riporlo.
Il mio sguardo era perso nella sua direzione, ma in realtà non stavo guardando niente e nessuno; solo, stavo ripassando nella mente la frase che mi aveva detto, mandandola avanti e indietro, a diverse velocità, come un’azione di gioco esaminata alla moviola.
Qual’era il significato, di quelle parole? E inoltre: il comportamento così… sfacciato di Marica era dovuto ad un qualcosa che lei sapeva ed io ignoravo?
Già, Marica… Perché non mi irritavo o ingelosivo, per il suo comportamento?
Anzi: perché provavo un sottile senso di eccitazione, ad averla vista fare la gatta ieri sera?
La gatta? No, un momento… cosa era successo?
Uhmmm… Allora… stavamo giocando a poker… lei serviva da bere… poi… uhm… si è cambiata, sì… poi… ah, sì! Mi è entrata quella Scalareale e lei mi ha baciato con trasporto e… aspetta… mentre la baciavo lei… uhmm, come se, sì insomma, come se godesse… e c’era qualcuno dietro di lei… Occavolo!!! Ecco cosa stava succedendo!!! Lei godeva perché la STAVANO SCOPANDO!!!
Così, di brutto, davanti a ME!
E lei, da gran troia, godeva di farsi scopare mentre mi baciava… che zoccola!!! E poi… sì, poi… oddio, poi l’hanno scopata tutti!!! Adesso ricordo!!! E io? Bah, ero troppo ciucco per capire: guardavo e basta… e… e mi piaceva, ecco! Mi piaceva vedere la mia tenere mogliettina fottuta dal gruppo.
Mi rendevo conto, però, che questi ragionamenti sconvolgenti, anziché irritarmi ed offendermi, mi provocavano un inaspettato senso di eccitazione, denunciato anche dal mio costume da bagno… Ma cosa mi stava succedendo? E poi, la frase di Stefano, vuol proprio dire che a loro va bene che Marica superi i suoi limiti (e magari portarmi a scoprire anche i miei)… ma fin dove vuole arrivare, anche lei?

Povero amormio, che sorpresa è stata per te la mia apparizione quasi nuda, sul ponte!
Mi vergognavo un pochino, nonostante tutto: un conto è fare certe cose (di cui conservo un delizioso ricordo dentro di me!) la sera, quando fuori è buio e dopo che si è bevuto un pochino più del solito, altro è apparire nuda, in pieno sole, osservata e valutata da tutti i presenti.
Ma poi, dopo l’espressione sgomenta, hai fatto una faccia perplessa: chissà che pensieri ti turbinano in testa… Non hai fatto una cagnara: segno che ti stai abituando al trend che questa gente sta dando alla mia ed alla tua vita?
A proposito: ricordi qualcosa di quello che è successo alla tua tenera mogliettina, dopo la tua vincita al poker, che guardavi con quel sorrisino da ubriaco? O stai ancora cercando di capire se è stato sogno (o incubo, dal tuo punto di vista!) o realtà?
Poi però, dopo che io e Angela ci siamo sdraiate a prua, sei andato a poppa con i ‘signori’, probabilmente a parlare di calcio e donne, senza che mi chiedessi neanche: «Come mai?»… o forse più probabilmente a parlare di me, a commentarmi, a dire come sono fatta…mi vergogno molto, ma ormai sono in ballo…ma mi sento un po’ puttana… la loro puttana… cosa mi faranno adesso?

Stavamo navigando a poche centinaia di metri al largo e conversavo amabilmente con i quattro uomini, sui divani del ponte di poppa; dopo un po’ di tempo, notai che saremmo passati tra la falesia della costa a strapiombo sul mare ed un piccolo cabinato con un gruppo di giovanotti; calcolando che le nostre rotte erano parallele ma invertite e che saremmo passati a meno di una ventina di metri dalla leggera imbarcazione, apprezzai il sentir diminuire il rombo dei motori ad un ronfare tranquillo, per evitare di sballottare il natante all’incrocio e da poppa vidi avvicinare il battello che, però, anche lui stava rallentando -a giudicare dai baffi bianchi della prua che stavano rimpicciolendo- ed i cinque o sei giovani a bordo guardavano tutti verso la prua del Sea Master. Sentivo che dicevano qualcosa urlando e ridendo, ma il rumore, pur sommesso, di motori mi impediva di capire il senso di quello che dicevano; incuriosito, feci per alzarmi dal divano, ma in quella Marco cominciò parlare delle mie eventuali mansioni del gruppo e, ovviamente, non mi sembrò il caso di distogliere la mia attenzione da lui e da Franco, che a volte commentava, precisava o sottolineava.
Marco, nell’esporre la questione, si era spostato nel divanetto accanto a me e perciò lo trovavo fastidiosamente controluce, verso poppa, ma cosa ci potevo fare? Con un angolo della mente, registrai che lo yacht stava viaggiando a bassissima andatura e che il cabinato non era ancora apparso verso poppa, ma questioni più importanti impegnavano la mia mente.

Dopo un po’ che stavamo sdraiate sul ponte, testa verso prua, Angela mi ha fatto mettere a pancia sotto e mi ha ingiunto di tenere bene allargate le gambe… poi mi ha fatto togliere il tanga… mi ha fatto restare nuda… a culo nudo!!!
«Ma così Sasha vedrà… tutto!”» «Appunto! Ormai hai accettato di eseguire ogni mio ordine e non puoi più rifiutarti… salvo che tu voglia restare moglie di un semplice rappresentante…»
Ah! Quindi il gioco è questo: non sono vincolata solo dalla parola data, ma anche dal nostro futuro… Quello di Giorgio e mio.
Non sono più sicura che questo gioco mi diverta, ma… mi trattano da zoccola… anche se forse mi piace… beh, vediamo dove vogliono arrivare!!

Mentre faccio queste riflessioni, sento il rombo dei motori ridursi ad una specie di borbottio e sento delle voci: alzo un po’ la testa e vedo un piccolo cabinato a qualche decina di metri da noi sulla sinistra, con dei giovani sui venti-venticinque anni, mezza dozzina, a bordo; in quella Angela mi dice di cambiare posizione, mettendomi con il sedere verso di loro, ma in posizione inginocchiata «…Alla pecorina, insomma!»
Inutile dirlo, ma l’imbarcazione, al mio show, accosta verso di noi e partono commenti decisamente salaci; allora Angela si siede sullo strapuntino, mi ordina di divaricare al massimo le ginocchia e poi mi separa al massimo con le mani le chiappine, scatenando un uragano di commenti decisamente grevi dei ragazzi.
Sono in una situazione che è assolutamente imbarazzante: totalmente esposta ed ingiuriata pesantemente da quegli assatanati, obbedendo agli ordini di una severa… Padrona, ecco cos’è lei, per me!
Però, la situazione mi umilia, sì, ma in fondo mi eccita anche…
Difatti Angela, cambiando la presa, mi sfiora la micetta e lo sente: «Sei già bagnata, piccola troia?» Mi chiede, con un tono irridente.
La barca aveva invertito la sua rotta e navigava a meno di tre metri da noi, con i giovani in piedi a cercare di vedere i miei… particolari e istigano Angela con frasi del tipo: “Dai bella, apri bene la fica della troia, per far vedere quanti cazzi ha preso!” e lei che mi afferra le labbrine e le tira, allargandole… Che vergogna!… E che eccitazione!!!

La conversazione ‘seria’ ormai languiva e così Stefano buttò lì una frase fuoritema, sorridendo: “Sai Sergio cosa mi piace di tua moglie?» Non aspettò che rispondesssi «Che è una deliziosa esibizionista!»
Credo di essere arrossito, sia per l’imbarazzo che per l’irritazione e sbottai: «Guarda che non è assolutamente vero!» «No? Vieni con me!»
Lo seguii lungo il lato destro dello yacht e vidi… vidi, arrossendo ancora più violentemente, Marica messa alla pecorina, mentre Angela le teneva spalancate le chiappe e i giovani del cabinato la coprivano di oscenità, che lei ascoltava beata a occhi chiusi…
Mi sentii come afflosciare, allo scoprire questo lato inaspettato di mia moglie, ma la mano di Stefano sulla spalla mi fece tornare verso poppa, mentre la sua voce, amichevolmente, mi cercava di confortare: «Non prendertela! Tutte le donne sono così e spesso non lo sanno neanche, finché non trovano un’occasione per scoprire quanto sono puttane…
Adesso hai capito che anche la tua è una troia da strada… -fece una pausa, mentre sembrava intento a riflettere- …e credo che questa scoperta, in fondo, ti ecciti…
E comunque, personalmente, preferisco lavorare con persone che hanno ben capito le potenzialità ed i limiti delle proprie compagne… quindi, non prendertela e sfrutta la situazione e la sua disponibilità» concluse sorridendo.
Annuii, ma intanto l’immagine di Marica oscenamente offerta a quella marmaglia, mentre lei stava –beata!- a godersi il sole ed a sentire i pesantissimi apprezzamenti, non mi usciva dalla mente…
Ed il messaggio di Stefano, come dovevo interpretarlo? Mi stava forse dicendo che la possibilità di cambiare la mia, la nostra!, vita era imperniata sulla zoccolaggine di mia moglie? Che in pratica, per avere quel lavoro allettante, dovevo stare buono e fare il bravo cornuto?
Registrai inconsciamente l’impennarsi del Sea Master, mentre il brontolio dei motori si tramutava in un rombo sordo e riprendevamo velocità, lasciando presto a poppa la barchetta e ripresi a chiacchierare con una finta amabilità, visto l’uragano che avevo in testa!, con i miei nuovi (speriamo! Avevo finalmente intuito che questa gita era una sorta di test!) datori di lavoro.

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Poco più tardi, François venne ad avvisarci che lì a dieci minuti avrebbe servito il pranzo, nel salone sottocoperta; Angela, che era appena arrivata da prua per sussurrare qualcosa al marito, fece una piccola esclamazione di disappunto e poi chiese: «Ma non vi piacerebbe, invece, mangiare qui? In fondo anche questo tavolo &egrave adatto per pranzare…»
Stefano le fece pazientemente notare che sarebbe stato complicato per François servire il pranzo lì, avendo già apparecchiato ed essendo la cambusa a prua, ma Lei –ormai innamorata della sua idea- assicurò che avrebbero, lei e Marica, dato volentierissimo una mano al cuoco.
Così, andò a chiamare Marica e poi scesero sottocoperta, sbucando dopo poco con tovaglia e stoviglie; apparecchiarono e poi tornarono sottocoperta per portare un sontuoso piatto di portata di linguine con l’astice, da cui ci servimmo tutti, mentre il cuoco portava un Vermentino freschissimo ed una caraffa d’acqua ghiacciata.
Mangiammo, scherzammo, dovetti subire sorridendo i commenti garbatamente salaci su Marica, che restava trionfalmente nuda e, mi sembrava, con un poco d’imbarazzo (aveva capito che l’avevo vista, quando faceva la troia per quei giovanotti?).
Poi, dopo un branzino buonissimo ed una megamacedonia, le signore ci lasciarono per aiutare François a rigovernare, mentre Stefano proponeva un pokerino.

Mi sento una puttana…sono nuda…in mezzo a 5 uomini… umiliata… esibita… mio marito che fa l’indifferente comportandosi da perfetto cornuto…dove mi porterà… ci porterà tutto questo?
Comunque, abbiamo aiutato François, francese ma di evidenti origini nordafricane, a sgomberare ed ora che siamo tutti e tre in cambusa, come si chiama la cucina delle imbarcazioni, lui carica la lavastoviglie, preme il tasto di avvio… ma non succede nulla; cristando nella sua lingua, riprova ad avviare la macchina, ma questa non da segno di vita.
«E adesso come faccio, per i piatti ed i tegami sporchi? Dovrò andare a sentire Sasha per vedere se riesce ad aggiustarla…» «Non disturbare Sasha, sta pilotando» Lo interrompe Angela «Sono sicura che Marica sarà felicissima di aiutarti a lavare tutto…»
Trasalgo: «Ma… così??”?» allagando le braccia e facendo notare la mia totale nudità.
«Beh, no… sono sicura che François avrà senz’altro un grembiulino da imprestarti…» aggiunge Angela, in tono soave.
Lui annuisce, sorridendo a trentadue denti e… ed &egrave solo una mia impressione il cenno d’intesa che i due si sono scambiati?
Angela, uscendo dalla cambusa, precisa: «Ah, François; nessuna formalità per la nostra amica: trattala pure come una di casa…» «Una di casa… certamente, signora!» Ride il cuoco.
Allora lei, prima di uscire, precisa meglio: “François, abbiamo fatto un patto, io e lei, per cui lei ORA farà TUTTO quello che le dirai di fare…”Ma tutto, eh?» fa un sorriso, che trovo vagamente inquietante e torna sul ponte.
Cosa sta succedendo? La curiosità mi dice di far finta di nulla e seguire il gioco –se c’&egrave un gioco- ma ho paura, imbarazzo e vergogna per quello che mi stanno facendo e che -capisco!- mi porteranno a fare più avanti, qualunque cosa sia.
Vorrei dire “Basta!”, ma poi mi vengono in mente le allusioni al nuovo lavoro di Sergio…
Decido, fin che riesco!, di assecondare questa gente.
François mi porge un grembiulino, di quelli bianchi d cameriera di casa facoltosa, io lo guardo interrogativamente e lui mi da uno schiaffo! Non forte, ma comunque doloroso perché inaspettato!
Lo guardo stupefatta e lui ride: «Dai, ‘Signora’ –quanto sarcasmo in quel termine… quasi cattiveria, anzi!- mettiti questo e comincia a lavorare!»
Annichilita, obbedisco e comincio a lavare quanto &egrave ammucchiato nel piccolo lavatoio d’acciaio.
Dopo pochissimi minuti, arriva Sasha e il cuoco, senza dire parola, gli scalda il cibo al micro-onde e glie lo serve; parlottano in un qualche dialetto che non capisco e Sasha mi guarda e ride.
Il cuoco mi ordina di continuare a lavorare e il marinaio, mentre mastica, mi palpa il sedere, mi stringe le natiche, sonda il mio culetto con un dito… Come faccio per protestare, il cuoco abbaia: “Continua!!!” e quindi, piangendo in silenzio, subisco anche questo oltraggio: un conto &egrave essere costretta ad esibirgli le mie grazie, altro &egrave essere così oscenamente esplorata e sondata!
Come finisce di mangiare, mi afferra per i capelli e mi piega davanti al cazzo che aveva tirato fuori, spingendomi la grossa cappella contro le labbra: non vorrei aprirle, ma con una mano mi tappa il naso e con l’altra mi tira dolorosamente i capelli. Appena schiudo la bocca, mi spinge tutto il suo –grosso!- arnese in gola e, impugnandomi per i capelli, mi scopa in bocca, come fossi un oggetto.
Dopo un paio di minuti, sento il suo cazzo sussultarmi in gola e capisco che sta per venire; mi avverte, in effetti, e mi diffida dal perderne anche solo una goccia: devo ingoiare tutto.
I suoi schizzi sono potenti e, pur piangendo per l’umiliazione, eseguo i suoi ordini nonostante i suoi schizzi sembravano non finire mai…
Poi mi scosta con un gesto brusco e cado a terra; mentre lui si ricompone, trovando il modo di oltraggiarmi ancora («Sempre al suo servizio, signora!» e ridendo dell’implicito insulto), François mi da una pedata nelle costole: «Dai ‘signora’: piantala di perder tempo, ché i piatti mica sono ancora finiti!»
Meccanicamente, ormai soggiogata, torno al lavabo e ricomincio a lavare.

Il poker proseguiva, quietamente, tanto per giocare; chiacchieravamo e Stefano, dopo un po’, disse che aveva contattato loro amici con altre ‘barche’ via radio e che li avremmo incontrati in una caletta dell’alta e rocciosa costa ligure.
Poi, con tono sarcastico, aggiunse: «Vediamo, Sergio, se Marica risulterà simpatica anche ai nostri amici… Sono persone del nostro ambiente lavorativo, sai? Sono conoscenze che potranno aiutarti molto, SE (rimarcò con la voce il “se”!) lavorerai con noi…»
Gli altri ridacchiarono e continuammo a giocare, mentre un turbine di idee e di immagini di Marica -immagini innocenti frammiste a quelle scandalose della sera prima, o di oggi, sulla prua del Sea Master- mi vorticava in testa.

Mentre lavo i tegami, sento la grossa mano di François che mi esplora il sedere, mi fruga la micetta, mi stringe i seni; mi fermo, affranta, in attesa di sviluppi, ma mi ingiunge di continuare a lavare.
Piango, umiliata, mentre estraggo un tegame dalla vaschetta del lavabo, piena di acqua sporca e lui continua a palparmi come per valutare un animale; con la coda dell’occhio, vedo che ha una potente erezione e, a giudicare da quanto i calzoncini lasciano immaginare, deve avere un attrezzo di dimensioni assolutamente fuori dall’ordinario.
Sto posando il tegame sul piano, quando la sua manona mi afferra la nuca e mi piega con la testa nell’acqua lurida: mi sento annegare, mentre lui, brutalmente, mi penetra nel culetto, a secco, dolorosamente!
Apro la bocca per urlare e mi si riempie di acqua unta di sporcizia; quando comincio ad avere il terrore di morire annegata in quella bacinella, lui mi alza la testa dalla vaschetta e continua a sodomizzarmi, incurante di tutto…
Il mio martirio dura pochi minuti, ma mi sento umiliata, ferita, usata.
La sua mano mi strizza il clitoride e questo provoca, inaspettatamente vista la situazione, un’ondata di piacere. Ma cosa mi sta succedendo??? Ma cosa sto diventando? Lo capisco mentre un incredibile orgasmo mi sconvolge: una troiaaaaaaahhhhhhhhh…

Durante la partita, avevamo continuato a bere: per darmi il coraggio di sopportare quello che sarebbe successo, da lì in avanti, io viaggiavo a whisky on-the-rocks: un ottimo anestetico per la coscienza…
Loro invece viaggiavano a succhi di frutta, ma non me ne fregava nulla: l’ubriacatura la vedevo come un porto sicuro, come il mio lettino –protettivo!- di quando ero bambino e sentivo i miei litigare di là.
Stefano ci aveva lasciati qualche minuto, per parlare alla radio e poi per dare indicazioni a Sasha su una nuova rotta da seguire.
Feci per alzarmi e cercare Marica, ormai non la vedevo da più di un’ora, ma Franco mi pregò, pur in tono deciso!, di aspettare ché Stefano sarebbe arrivato subito ed avremmo ripreso subito a giocare.
So capire quando un ordine mi viene dato, anche se camuffato da cortese richiesta, e restai…

Dopo lo… stupro (ecco!), François mi ha fatto finire di lavare tegami e stoviglie, ridendo delle mie lacrime di vergogna, rabbia ed anche dolore –viste le notevoli dimensioni dell’arnese del magrebino-, poi scompare per pochi istanti, mentre pulisco con lo spazzolone ed uno straccio il pavimento, e torna con Angela, che mi guarda disgustata: «Fai schifo! Hai i capelli bagnati e pieni di avanzi: sembri una puttana al seguito di una campagna militare dell’ottocento!
Vieni con me!» mi ingiunge e mi porta nella sua cabina; apre al massimo l’acqua calda della doccia e mi butta sotto: «Avanti, renditi presentabile, ché devi far bella figura con dei nostri conoscenti!»
Mi insapono ripetutamente i capelli -almeno tre volte!- per cercare di dimenticare l’odore e l’untume di quell’acqua dove ho rischiato di essere affogata.
Alla fine, sono uscita da quell’abbraccio rassicurante della doccia, mi sono asciugata e poi Angela mi ha truccata (anche se io, a parte un filo di rossetto, non uso farlo).
Quando ha finito, mi ha fatto vedere il risultato: labbra molto rosse, ombretto azzurro, fard -decisamente vistosa!- Mi aveva conciato proprio come una puttana.
Mi facevo schifo, ma… ma perché mi sentivo anche vagamente eccitata ed ansiosa di conoscere i loro conoscenti?
Poi mi da un miniabito e mi dice di indossarlo: bianco, minigonna a corolla e corpetto rigido, senza spalline, adatto ad una donna che avesse meno seno di me: il mio &egrave sempre a rischio di esplodere fuori
Per completare il mio abbigliamento, mi ha dato un paio di zoccoletti di legno, col tacco a spillo alto dieci centimetri e la fascia dorata, ma più piccole di un paio di numeri, rispetto al mio abituale 41.
Glie l’ho fatto notare, ma lei mi ha detto di passeggiare per la cabina con quelle: tra l’impaccio del bordo degli zoccoletti che mi premevano sull’interno del tallone e i tacchi così alti, ai quali non sono per nulla abituata, mi trovo ad ondeggiare, insicura, ed sculettare oscenamente.
Angela, però si dichiara soddisfatta; poi si siede sul bordo del letto e mi dice di inginocchiarmi davanti a lei.
La accontento, ma lei mi dice di avvicinarmi di più: quando sono praticamente a sfiorare le sue ginocchia, le divarica, si scosta il tanga e mi afferra per i capelli, facendomi stampare la bocca sul suo sesso pieno e mi dice: «Dai troietta, fammi godere! Leccami!»
Cos’altro posso fare?
Così eseguo, aiutandomi con i polpastrelli, a sfiorarle le labbrine e poi schiudendogliele, percorrendone il solco con la punta della lingua fino alle piegoline che celano il bottoncino del piacere, che scappuccio e poi lambisco con la mia linguetta guizzante.
Lei si contorce dal piacere, mentre con una mano le accarezzo la pelle tenera dell’interno delle cose. mi impugna dolorosamente i capelli, pressandomi la testa ancora di più contro di sé.
Le mie labbra si impadroniscono del suo clitoride eretto e lo aspiro, lo succhio, leccandone la punta: lei viene quasi subito, riempiendomi la bocca dei suoi afrodisiaci umori; non ho altra alternativa che berli.
Angela si prende trenta secondi per regolarizzare il battito cardiaco, poi con un mezzo sorriso, commenta: «Sei davvero una brava troietta, abile ed ubbidiente: vedrai che ci divertiremo un sacco, insieme! Adesso vieni, che ti devo aggiustare il rossetto che ti sei sbavata dappertutto…»

Ormai il whisky mi aveva anestetizzato l’anima a sufficienza. Stefano dichiarò terminata la partita e “suggerì” che tutti andassimo nelle nostre cabine per darci una sistemata, visto che lì a tre quarti d’ora, saremmo stati ospiti sullo yacht di un loro amico.
Protestai, dicendo che avevo solo un paio di pantaloni estivi, un paio di polo e un pullover, ma lui rise di gusto e mi spiegò che si erano presi la libertà di procurarmi abiti adatti, che avrei trovato nella mia cabina; quasi distrattamente, aggiunse che la mia “stupenda signora” era a farsi bella con Angela e che l’avrei rivista a bordo dell’altro yacht…
L’alcol faceva egregiamente il suo dovere: non me ne fregava nulla di dove cavolo fosse e cosa diavolo stesse facendo la mia “stupenda signora”!!!
Andai in cabina, mi feci una sontuosa doccia, la barba, mi lustrai a festa, insomma; poi indossai i capi di abbigliamento che erano sul letto: una camicia bianca da smoking, un paio di pantaloni neri con striscia di raso sulle cuciture, un papillon ed una giacca bianco-panna.
Su un paio di calze nere, indossai scarpe nere lucidissime, che mi calzavano a pennello, come tutto il resto, d’altronde. Riflettei che avevano investito tempo e denaro, su di me… avevo paura di deluderli…

Lo yacht sta rallentando e ci avviciniamo alla porta della cabina: Stefano mi valuta con lo sguardo, annuisce sorridendo ed esce; faccio per seguirlo ma Angela mi afferra per un braccio e mi ferma: «Ricordati: a bordo dell’altra barca dovrai accettare qualunque cosa senza esitazione alcuna… e non chiedere soccorso a tuo marito; dovrai fare tutto quello che ti verrà chiesto, da chiunque, di buon grado e col sorriso sulle labbra!
Adesso andiamo!»
Annuisco, ma dentro di me mi chiedo quali altri umiliazioni ed abusi mi aspettano; vogliono che sia una vera puttana? Va bene! Li stupirò, accidenti a loro!!!
Sentendo il Sea Master rallentare, salii sul ponte e vidi che stavamo entrando in una caletta profonda un paio di centinaia di metri, che si apriva in un alto promontorio coperto di vegetazione selvaggia. In fondo alla caletta, dondolavano pigramente all’ancora un cabinato lungo una quindicina di metri e un qualcosa che era quasi una piccola nave: almeno una sessantina di metri!
Come calammo l’ancora, un motoscafo si staccò dal megayacht e venne verso di noi; come fu a ridosso della nostra poppa, Sasha aprì un portello nella poppa dal quale potemmo facilmente passare sul tender; noi uomini eravamo tutti in smoking, mentre Angela aveva un elegantissimo abito da sera, nero e scollato abbondantemente davanti e dietro: i gioielli, la pettinatura e la sua naturale eleganza un po’ altera la circondavano di un’aura di puro fascino.
Marica, invece, portava un vestitino bianco, con la minigonna che sembrava la corolla aperta di un fiore, il corpetto che stava su per qualche strana alchimia, non avendo spalline di sorta (ed il suo bel seno faticava ad essere contenuto in quell’abito!) e indossava zoccoletti di legno col tacco altissimo, che la facevano sculettare quando camminava; contrariamente al solito, si era truccata, ma in modo decisamente pesante: sembrava la versione appena più elegante di una battona…
Pochi minuti e fummo a bordo del ‘Canaris’ -che batteva la bandiera di un qualche staterello del Commonwealth britannico- dove venimmo accolti dal padrone, un uomo oltre la sessantina, grasso, pelato, abbastanza volgare nei tratti, nonostante l’abito inappuntabile ed un grosso sigaro che sembrava avvitato nell’angolo della bocca dalle labbra carnose: la versione volgare di Telly Savalas, per intenderci.
Ci fu molta cordialità tra lui e gli altri, poi Stefano ci presentò a Monsieur Kaperovic che ci soppesò con lo sguardo, mi strinse la mano in modo decisamente troppo energico e poi osservò meglio Marica, le dette un ambiguo sorriso di benvenuto, baciandole la mano, poi si girò verso Stefano e chiese solo: «E’ lei?» Lui annuì lentamente, ma con fare definitivo e Kaperovic fece una sorta di grugnito di approvazione.
Ci fece segno di salire, passando da uno stretto portello e ci seguì, ma infrapponendosi tra me e Marica.

ォMonsieur Kaperovic mi scruta, mi soppesa; vedo nei suoi occhi un brillio inquietante, come un bimbo annoiato al quale viene dato un giocattolo nuovo da smontare e da distruggere a martellate.
Ho un brivido nell’anima, di paura… ma anche nella topina: stranamente l’idea di essere usata e… trasformata da lui (ho questa intuizione!) mi provoca un senso di eccitazione.
Vorrei oppormi, tornare al comando del gioco, essere io a decidere se, cosa, quando e come fare… ma mi sento come su un ottovolante, dove col cuore in gola sto per scendere nell’abisso, con paura, palpitazione, attesa, ma anche piacere e divertimento; intuisco che, quando riuscirò a raggiungere la stazione di questo ottovolante, sarò orgogliosa di aver sfidato la sorte e felice di essere ancora viva… E allora dai, spregevole grassone! Fammi vedere cosa vuoi che faccia!!!
Lui suggerisce agli altri di salire nei saloni superiori e loro cominciano a filtrare attraverso un portello tipicamente navale; si frappone tra Sergio e me e intuisco che il fatto non sia casuale; difatti, come mio marito si gira nel suo stupore alcolico (sul Sea Master lo hanno tenuto ben ‘lubrificato’, tanto che ora sembra indifferente a quello che mi fanno fare) per superare il portello, Monsieur Kaperovic mi estrae i seni dal corpetto e mi spinge due delle sue grosse e tozze dita nella micetta e nel buchino… Lo stato di leggera eccitazione ed il recente trattamento avuto da François evitano che l’esperienza sia dolorosa, restando solo nell’ambito della sgradevolezza.
Poi mi fa passare davanti a lui e, mentre sto superando il portello, mi molla una potente manata sul sedere, rischiando quasi di farmi cadere.
Al di là del portello mi aspetta Angela che, col pretesto di aiutarmi a superarlo, mi mormora: «Lascia che tutti possano farti quello che vogliono!»

Accedemmo ad un salone della nave (quelle dimensioni mi impedivano di associarla al concetto di yacht!) e trovammo altre persone: cinque uomini tra i quaranta ed i sessant’anni e quattro donne: due a malapena maggiorenni, una sulla trentina con lo sguardo altero ed una oltre i quarantacinque, con gli occhi di un animale in trappola.
Venimmo presentati io, Marica e le due ragazzine (Sabrina e Leila); tutti gli altri si conoscevano già e non sembrò loro il caso di presentarsi a noi. Ma che gente &egrave, questa? Bah…
Un cameriere in giacca bianca serviva flûtes di champagne, mentre musica di sottofondo accompagnava le loro conversazioni. Uno dei sette uomini –poco oltre i cinquanta, sguardo deciso, pesante accento romanesco, aria volgare sottolineata dal vello brizzolato che spuntava dalla camicia sbottonata e dal pacchiano catenone d’oro al collo- e che si presentò come Gianfranco, venne a parlare con me; prima parlò di cose generali, dove tenne a farmi sapere che aveva tre Porsche e due Ferrari, oltre ad un aereo privato, e poi mi lasciò senza fiato: «Aho, &egrave bbona la tu’ mojie: &egrave pporca come sembra? -sembrò riflettere un attimo, poi proseguì- Ma tanto nun serve de chiedittelo; mo’ l’annamo a verifica’!» E fece una fragorosa risata.
Ero interdetto: Gianfranco (anzi: «Ma cchiamame Gianfra’!») sembrava sicuro di fottersi MIA MOGLIE, come se Marica fosse stata una bagascia affittata per un’orgia!
Per cercare conforto, la cercai con lo sguardo, ma la vidi attorniata da tutti gli altri uomini e, nella sorta di muro umano che la circondava, mi sembrava perfino di vedere che si lasciava toccare da diversi.
Interdetto, decisi che avevo bisogno di bere qualcosa.
Li a poco, ci accomodammo al tavolo da pranzo di spesso cristallo, apparecchiato senza tovaglia ma con piatti, bicchieri e posate dall’aria incredibilmente costosa. Il risultato era abbastanza sguaiato.
Monsieur Kaperovic si sedette a capotavola e volle Marica e Paola, la quarantacinquenne dagli occhi tristi, a lato di sé; io stavo per sedermi accanto a mia moglie, ma Stefano con un sorriso mi fece sedere tra lui e Angela, all’altra estremità del tavolo; notai che ‘Gianfra’’’era seduto accanto a Marica, mentre le due ragazzine dallo sguardo annoiato erano sedute di fronte a me, intervallando tre uomini.
Il cameriere in giacca bianca ci serviva, professionale ed altero, ma francamente non ricordo cosa mangiammo perché Stefano e Franco mi tenevano impegnato in conversazioni inerenti al mio nuovo lavoro e, quando loro avevano bisogno di una pausa, interloquiva Angela chiedendomi di com’era la vita insieme mia e di Marica; inoltre, non facevo in tempo a vuotare il calice di cristallo che subito qualcuno me lo riempiva prontamente e… beh, cominciavo a sentirmi non tanto lucido.

Come ci siamo seduti a tavola, il romano accanto a me (“Cchiamame Gianfra’!”) mi mette la mano tra le cosce, alzandomi la gonnellina e forzandomi a stare con le gambe molto aperte: «Ccosì devi sta’, finché stamo a magna’, mignotta»
Lo guardo interrogativamente, ma lui mi apostrofa brutalmente: «Cazzo c’hai da guarda’, zoccola? Devi statte co’i occhi bassi, nun devi arzalli dal piatto, ha’ capito? E nun parla’ pe’ gnente, si nun te fanno domande, ha’ capito?»
Con la coda dell’occhio, vedo Monsieur Kaperovic che ghigna, maligno, guardandomi il pube da attraverso il cristallo del tavolo. Mi arrendo alla loro volontà e annuisco.
Poi, durante la cena, subisco palpeggiamenti da entrambi gli uomini: mi toccano le gambe, mi frugano nel pube, mi sondano il buchino, mi estraggono i seni dall’abito: mi vergogno, mi sento umiliata, usata, vorrei chiamare Sergio in mio soccorso, ma lo vedo, sbirciando di nascosto, impegnato in una fitta conversazione con Stefano e Franco e sempre più ubriaco.
Paola, la mia dirimpettaia, teneva anche lei gli occhi bassi ed era continuamente sollecitata a bere molta acqua da Monsieur Kaperovic.
A metà della seconda portata, Gianfranco prende il mio tovagliolo (che dovevo tenere piegato, sul tavolo) e lo fa deliberatamente cadere in terra; poi lo scalcia sotto il tavolo e mi ordina di andarlo a raccogliere.
Mi abbasso per raccoglierlo e mi afferra dolorosamente per i capelli, pilotandomi ad abbassargli zip dei pantaloni usando solo i denti, poi a tiraglielo fuori solo con la bocca («Nun sta a usa’ ee mani, mignotta, ha’ capito?») e poi ad imboccarlo per succhiarglielo («Gira er culo verso Monsieur, migno’, cche t’o-o deve tocca’!»).
Mi giro e sento le rudi dita di Monsieur che mi frugano senza rispetto; poi una fitta di dolore mi avverte di quando forza il mio buchino con anche un secondo dito, provocandomi un graffio con un’unghiata.
Ad un certo punto Gianfra’ mi scaccia e mi ordina di dedicarmi “Ar nostro squisito ospite”; così anche a lui estraggo il membro usando solo la bocca, mentre le mani indelicate di Gianfra’ si impadroniscono delle mie intimità.
Piango silenziosamente, umiliata, usata, abbandonata da quel coglione di mio marito Sergio, che non si rende conto di nulla, né di cosa mi stanno facendo, né di in cosa mi stavano trasformando…
Lui parla e beve e non si rende conto che mi stanno piegando alle loro schifose volontà, che mi oltraggiano, umiliano, offendono, usano… e mi fanno eccitare anche, devo dire…

In una pausa della conversazione, gettai un’occhiata a Marica e la vidi chinarsi, forse per raccogliere il tovagliolo caduto. Poi Franco mi fece una domanda e mi voltai verso di lui, concentrandomi per dargli la risposta…

Mentre ho la gola forzata dalla grossa cappella di Monsieur, sento che si rivolge a Paola, della quale aveva toccato e stuzzicato il sesso completamente rasato per –almeno- tutto il tempo che ero stata sotto al tavolo e le chiede un qualcosa che non capisco; lei risponde: «Sì! Non ce la faccio più; la prego…»
Allora Kaperovic mi scosta dal suo pube e mi ringhia: «Lurida fogna, la signora ha necessità di pisciare, ma riconoscerai anche tu che &egrave scortese alzarsi durante una cena così formale –fa una risatina roca- e così adesso tu incollerai la bocca sulla sua fica e lei potrà alleggerirsi… ovviamente, visto che il tappeto &egrave molto pregiato, se dovesse essere bagnato anche da una sola goccia di piscio la mia ira sarà terribile…
Avanti, preparati a bere!!»
Così stampo la bocca sul sesso di Paola, che Kaperovic teneva aperta con due dita e la donna, con un sospiro di sollievo, comincia a scaricarsi; io piango per la suprema umiliazione, ma eseguo attentamente l’imposizione, bevendo tutto, fino all’ultima goccia salmastra del frutto dei reni di Paola…
Finito, vengo autorizzata a risedermi e quindi, emergendo da sotto il tavolo, mi asciugo le labbra col tovagliolo e mi accomodo, piangente, sotto gli sguardi eccitati o divertiti di chi aveva contemplato le mie umilianti prestazioni.

Dopo un po’, guardai di nuovo verso Marica e la vidi rialzarsi da terra ed asciugarsi le labbra col tovagliolo.
Per un attimo lo trovai normale, ma poi mi sembrò che era passato più di qualche istante da quando l’avevo vista chinarsi… Uhmmm…
Che l3e sia caduto un’altra volta???? Forse ho bevuto un po’ troppo.
Bah, beviamoci su, vah!

Kaperovic mi guarda con gli occhi porcini, fa una specie di smorfia divertita e poi schiocca le dita: subito il cameriere gli porta un piatto da portata metallico, col suo coperchio termico e glie lo posa davanti prima di ritirarsi.
Monsieur alza il coperchio ed estrae un oggetto ed una scatoletta nera grande un pacchetto di sigarette: &egrave un oggetto fatto come una sorta di fungo con una specie di base, una specie di cono con la punta e la base arrotondate e con un ‘gambo’ di circa tre dita di diametro, prima della base stretta su un asse e che si allarga lungo l’altro. Sbircio perplessa, ma Gianfranco commenta, con tl tono di chi conosce da sempre l’oggetto: «Ah! Er buttplugghe!»
Kaperovic fa un lieve cenno di assenso e me lo porge: «Adesso, baldracca, ti alzi, lo metti sulla sedia e poi te lo fai entrare nel culo, SUBITO!» mi sibila con sguardo feroce.
Intimorita dai suoi occhi minacciosi e dagli sguardi che mi sento pesare addosso, eseguo, meccanicamente.
Sento l’oggetto che mi allarga, mi dilata lo sfintere, fino a sentire dolore: mi fermo, con gli occhi grondanti di lacrime; allora Gianfranco mi da un forte pugno sulla coscia e mi ordina di lasciarmi cadere.
Una fitta atroce di dolore mi fa mordere il labbro inferiore, ma l’intrusore anale mi penetra nel retto: la parte conica &egrave entrata tutta e le mie martoriate carni accolgono quasi con sollievo il diametro relativamente inferiore del ‘gambo’. Mi fanno sistemare la base oblunga nel solco delle natiche e posso, così invasa, sedermi quasi normalmente.
Poi Kaperovic comincia a giocare con la scatoletta -capisco terrorizzata che si tratta di un telecomando- e subito sento l’oggetto vibrare dentro me; la pressione di un altro tasto mi fece provare la sensazione che si gonfiasse dentro di me e che la base, avvolta strettamente dal mio sfintere, si ingrandisse.
La sensazione dell’oggetto che sentivo vibrare dentro di me e l’umiliazione che gli sguardi degli altri mi facevano provare, mi stava provocando ondate sempre più forti di piacere… Cosa mi stava succedendo????
La cena finì e lasciammo la sala da pranzo per raggiungere un ponte coperto a poppa dell’ampia imbarcazione dove, seduti su comodi divani, cominciammo a conversare sotto a luci attenuate.
Continuavo a chiacchierare e discutere con Stefano, Franco e Marco e l’irreprensibile cameriere mi aveva messo in mano un whisky senza neanche che glie lo chiedessi.
Intontito dall’alcol, ci misi un pochino a realizzare che Marica doveva essere seduta su un altro divano e non accanto a me, ma decisi che la cosa non era poi così importante.
Un’occhiata circolare al salone, mi fece scoprire mia moglie seduta tra Gianfra’ e al russo, con un’espressione strana sul viso: come rapita, estatica…
Di fianco a loro era seduta la trentacinquenne con lo sguardo altero, accanto a Monsieur, e la donna più anziana accanto al romano. Non feci caso al fatto che dei due uomini si vedesse solo la mano di Kaperovic dal lato della tipa altera.
Su un altro divano c’erano le due giovani che… Urca! Che si stavano baciando in bocca ed accarezzando, attentamente osservate da Gus e gli altri tizi, che parlavano una qualche lingua dal suono slavo tra loro!
Avrei dovuto smettere di bere: l’ambiente a luci attenuate, la musica di delicato sottofondo, la conversazione condotta in tono garbato, attraverso la cortina del whisky avevano un effetto ipnotico, sedativo… Mi rendevo conto che alle domande dei tre, rispondevo a volte in modo sconnesso, inciampando nelle parole, con lunghi silenzi, ma loro, cortesemente, non sembravano irritarsi.
Ad un certo punto, percepii un po’ di trambusto e diedi un’occhiata in giro: le due ragazze si erano rialzate i vestiti e, continuando le loro effusioni, ora avevano anche il cazzo sguainato di uno degli slavi da baciare a turno, mentre Marica si era alzata in piedi, con un’aria strana, e stava al centro dei divani, con i piedi scostati di una spanna, come fosse in attesa di qualcosa.

Mi hanno fatta sedere tra di loro e le loro mani hanno esplorato ogni angolo del mio corpo; Monsieur ha tirato fuori un piccolissimo auricolare, dalla tasca e me lo ha introdotto nell’orecchio, spiegandomi, con un sorriso malevolo, che quello era il telecomando per ME e che avrei dovuto fare e dire, senza esitazioni, tutto quello che mi avrebbe detto di fare e dire.
Sono sconvolta: non riesco più a disporre della mia libertà di fare o non fare; sto diventando un giocattolo nelle loro mani e, cosa più grave, non sono neanche più sicura di voler contrastare questa… deprivazione della mia volontà , questo abuso.
Vedo che Monsieur avvicina alla bocca e mormora al grosso anello che porta al dito e sento la sua voce tuonarmi nell’orecchio: «Tu sei una troia, &egrave vero? Annuisci se sei d’accordo con questa affermazione!»
Annuisco, mentre sento il buttplug aumentare dimensioni e vibrazioni ed un’ondata di piacere pervadermi.
«Sei eccitata, troia?» Non posso far altro che annuire.
«Allora adesso alzati in piedi e vai al centro del salone…» mentre eseguo l’ordine e vado verso il centro, lui continua: «… stai dritta, in piedi, braccia abbandonate lungo i fianchi.
Adesso allarga i piedi… di più, ancora!! Ecco, così, brava troia!!! Sei contenta che ti chiamo troia? Se sei contenta, sorridi da baldracca, ogni volta che te lo dico!» Sorrido.
Sento il plug vibrare fortissimo dentro di me.
«Adesso alzati la gonna, arrotolandola sotto la cintura e piroetta lentamente su di te, in modo che tutti possano vedere bene le tue gambe, la tua fica ed il tuo culo pieno da puttana»
Travolta dalle sensazioni dell’aggeggio pulsante dentro di me, eseguo fedelmente.
«Adesso abbassa un pochino il corpetto e mostra le tette da vacca che hai; poi spingiti un dito nella fica, fino in fondo e comincia a masturbarti!»
Avvampo di vergogna ed eccitazione, ma eseguo; noto che tutti, comprese le due ragazze, mi guardano con sguardi famelici o divertiti, secondo il proprio temperamento, a parte Sergio che mi guarda con un sorrisetto incredulo da ubriaco.
Dopo qualche minuto, quando ormai sono vicina a quell’esplosione di piacere a cui mi sono sempre più avvicinata nel corso della serata, con la testa buttata all’indietro, la bocca aperta e le ginocchia molli come fossero di flanella, mi arriva un nuovo ordine, come una fucilata: “Smetti immediatamente, cagna!
Adesso vai nell’angolo, lì alla tua destra, e porta quell’oggetto coperto, con tutto il basamento!, fin dove sei adesso; sbrigati, baldracca!»
L’oggetto &egrave una sorta di cubo di legno largo circa quaranta centimetri, con due maniglie fissate ai lati per il trasporto, che sostiene un qualcosa più sottile alto grossomodo altrettanto, coperto da un panno.
Come lo poso nel punto indicato, mi arriva l’ordine di levare il panno e vedo: sulla base di legno, alta una trentina di centimetri, &egrave fissato un gigantesco fallo di lattice, fedelmente scolpito, alto una quarantina di centimetri e del diametro di almeno dieci centimetri; lo guardo interdetta e spaventata ma anche eccitata: ho intuito cosa dovrò fare.
«Adesso metti un piede sulla base di legno, puttana, puntati la cappella sulla fica e poi infilatela dentro; quando hai fatto, posa di nuovo il piede in terra e comincia a fotterti, facendotelo entrare tutto!, Esegui, cagna!!»
Obbedisco, ma il dolore &egrave atroce: mi sento spaccare e indubbiamente l’intrusore dietro mi &egrave di notevole impaccio. «Forza puttana, fai quello che ti ho detto!», mi sento tuonare nella testa.
Mi mordo il labbro, sento che lacrime che mi rotolano sulle guance, ma alla fine la mostruosa cappella &egrave dentro di me; con cautela poso il piede in terra e comincio lentamente a far scorrere il mostruoso totem nella mia natura.
Inaspettatamente, la situazione mi eccita molto e i miei umori lubrificano l’oggetto e mi permettono di obbedire all’ordine, impalandomi fin quasi in fondo.
Il dolore a poco a poco si trasforma in un’onda di piacere, che continua ad incresparsi dentro di me, ma senza mai frangersi in quell’orgasmo potentissimo che &egrave in agguato, latente.
«Ora, lurida bagascia, mettitelo fino in fondo e resta così; quando arriverà Raffaella, muoviti come dice lei»
Non posso fare altro che obbedire; raggiungo la posizione e aspetto.
La donna dallo sguardo deciso finalmente arriva: prima mi blocca i polsi dietro la schiena con un paio di fredde manette e subito dopo mi blocca una caviglia ad una sorta di manetta, poi regola l’asta rigida collegata a questa fino a potermi cingere l’altra caviglia con una manetta uguale; infine prende un collare da cane, me lo mette al collo, poi attacca al moschettone che il collare porta ad una catena fissata all’asta, costringendomi a stare, così impalata, a stare con le ginocchia un pochino piegate e la testa abbassata: una posizione molto faticosa, oltre che umiliante.
Poi, passa dietro di me, afferra l’intrusore – che Kaperovic aveva spento e sgonfiato- e me lo sfila di colpo, mostrandomelo con un sorriso maligno: noto che &egrave un po’ sporco, visto dove lo avevo tenuto fino a pochi istanti prima, ma lei mi afferra per i capelli, mi costringe ad aprire la bocca e me lo forza dentro; &egrave amaro, pastoso, da far allappare i denti.
Mi ordina di succhiarlo e pulirlo alla perfezione ed io, vincendo il disgusto, mi impongo di soddisfare questa disgustosa richiesta.
Sono lì, al centro dei divani, con gli occhi di tutti addosso, umiliata ed annichilita e piangente, impalata su un mega dildo, tenuta in una scomoda posizione piegata da un sistema di catenelle, con un buttplug sporco di merda in bocca e… e sento che qualcuno, dietro di me, mi penetra di colpo con relativa facilità nell’unico mio buchino disponibile.
Intorno a me l’orgia riprende e noto le ragazze intente a leccarsi reciprocamente, mentre due uomini le prendono da dietro.
Nel frattempo, Angela e Raffaella si fanno penetrare dagli altri uomini, oppure pilotano i loro cazzi nei buchini di Paola che subisce passivamente gli eventi.

Mi sembrava di vivere in un brutto sogno: non ero sicuro che quello che vedevo fosse vero ed avevo una disperata necessità di svegliarmi e dimenticare tutto: in questo sogno da ubriaco, vedevo mia moglie, oscenamente esposta ed impalata in mezzo al locale, con un cazzofinto in bocca e inculata da Gus prima e poi, via via, anche da altri, mentre intorno a me si scatena una colossale orgia.
Angela mi si strofina addosso, mi slaccia e mi leva i vestiti ed alla fine resto lì, nudo, col cazzo mezzo duro succhiato da Paola in modo abbastanza abile. Decido che, se &egrave un sogno, non &egrave poi così malvagio e mi lascio andare…

Gianfra’ mi si avvicina, mi leva l’intrusore dalla bocca e, tirandomi la catena che arriva al collare, mi fa piegare fino a prenderglielo in bocca.
Mentre guida i miei movimenti impugnando la catenella, con l’altra mano mi pizzica dolorosamente i capezzoli e mi copre di contumelie ed insulti, ingiungendomi anche «… de daje dentro, co’ qua-a bocca da bocchinara pe’ famme sborra’»
Mi impegno nell’accarezzargli la cappella con la lingua, tenendo il suo arnese piantato in bocca e sento irrigidirsi il membro che mi sta violando dietro, sul punto di allagarmi di schizzi caldi.
La cosa mi eccita, nonostante la mia volontà e provoco l’identica reazione nel l’arrogante romano che, sul più bello, sfila il suo organo dalla mia bocca e, puntandomelo sul viso, me lo ricopre con lunghi e densi schizzi.
Dopo lui, a turno, tutti gli uomini si sono avvicinati per far esplodere la loro eccitazione sulle mie labbra e sugli occhi e la fronte ed il naso e le guance ed i capelli…
Alla fine, tra le dense colature di sperma che mi ricoprono gli occhi facendomeli anche bruciare, vedo che pilotano anche Sergio accanto a me, malfermo sulle gambe (Amormio, lo sai che non devi bere così tanto!) e finalmente mi trovo l’unico, legittimo cazzo in bocca, che accolgo come un vecchio amico perso di vista ed al quale mi dedico al meglio.

Paola riuscì a farmelo indurire, ma indubbiamente Marica &egrave molto più brava di lei; come intuendolo, mi fecero alzare e mi portarono verso mia moglie che mi accolse nella sua bocca con gioia. E’ uno sprazzo di felicità e mi misi a sorridere.
Qualcuno, credo Stefano, mi disse: “Dai, Sergio: fai un bel sorriso!” ed io automaticamente obbedii, girandomi verso di lui.
Ci fu un lampo e, in rapida successione, diversi altri.

Sempre in quella scomoda costrizione, mi sto dedicando con passione all’amato cazzo di Sergio, quando qualcuno dice qualcosa e subito dopo il flash di una macchina fotografica lampeggia più volte…
Mi hanno fotografata! Così! Legata, impalata e col viso coperto di sperma! E mentre sto spompinando mio marito, tutto contento!
Ma perché solo adesso, le foto? Che senso ha?

Alla fine, grazie all’esperto pompino di mia moglie, le sborrai in bocca e lei, golosa, ingoiò tutto come sempre.
Poi i miei ricordi sono solo di un rientro a bordo del Sea Master, nella nostra cabina, a dormire finalmente insieme, dopo che per tutta la giornata si erano frapposte altre persone fra noi.
Prima di addormentarci cullati delle pigre oscillazioni dello yacht all’ancora (ed io credo di essermi addormentato mentre ancora Marica mi parlava) lei volle parlare, sfogarsi, spiegarsi, raccontare, immaginare…
Uno sforzo decisamente troppo grande, per me, starle dietro a quell’ora.

Arrivata in cabina, mi sono fatta una lunga doccia calda, per levarmi di dosso anche la sensazione di sporcizia che avevo.
Dopo la fine dei giochi, mentre finalmente esplodevo in un definitivo orgasmo apocalittico, mi hanno vietato di ripulirmi e, dopo poco, lo sperma mi ha formato una crosta, seccandosi, sul viso e sui capelli.
Ora, sotto la doccia, mi sono raschiata via quella grottesca maschera del piacere altrui ed ho toccato con estrema delicatezza la mia fichina ed il mio culetto, sforzati tremendamente nel corso della serata e che mi bruciano da morire.
Qualcuno di bordo, però, mi ha fatto trovare il tubetto di una pomata emolliente e leggermente anestetica sul comodino –sospetto che la delicatezza sia di Angela, unica altra donna a bordo- con la quale ho cercato di rimediare agli aspetti più sgradevoli della serata.
Poi, sdraiata sul letto accanto a mio marito, mulinandomi nella testa come fotogrammi impazziti alcune scene della serata, mi accorgo che il sonno non vuole arrivare, nonostante la stanchezza, e allora sento il bisogno di parlargli, di spiegare.
Gli dico che… «…quella gente, in poco più di ventiquattr’ore, mi ha fatto diventare la loro puttana, il loro trastullo sessuale… che la cosa mi fa vergognare molto, mi umilia nel profondo per la poca dignità che ho dimostrato (Poca? Non ne ho dimostrato per niente!)… ma la cosa più atroce &egrave che mi sento costretta a proseguire su questa strada, nonostante capisca che nulla potrà più tornare come prima, come fossi un vitello che procede trotterellando tra i due steccati che collegano due recinti, pungolato dai mandriani.
Mi sento obbligata a proseguire… non solo perché no so come fare per fermarmi o per tornare indietro… ma anche perché ho scoperto, con sgomento terrore, che questa torbida, viscida, imbarazzante, schifosa, umiliante situazione… beh… sì, faccio fatica ad ammetterlo ma… mi intriga… anzi… mi PIACE!!!
Alla fine della serata, ho provato certe sensazioni che non pensavo potessero esistere… un piacere sconfinato e sterminato che mi ha travolto come… come un’ondata di piena e mi ha sballottato a lungo, facendomi rotolare da un orgasmo all’altro, come la pallina di un flipper in questo osceno biliardino… (Oddio, mi sto eccitando anche adesso, al solo ricordare!!!)
Adesso sono, siamo!, in balia di questa gente… ed ho idea che queste cose, quelle fatte oggi, siano una sorta di… iniziazione; che ben altro mi aspetterà in questi altri due giorni di navigazione e… e se da una parte vorrei smettere, dall’altra so quanto tu ci tenga a questo nuovo lavoro ed al nuovo, ottimo stipendio che ne deriverà…
Ti ricordi, amore, di tutti i sogni che abbiamo desiderato realizzare, ma che avevamo dovuto accantonare a causa dei soldi?
Adesso siamo ad un passo dal poterli trasformare in realtà, ma io dovrò essere docile, docilissima e farmi plasmare e rimodellare dalle loro mani per diventare quello che loro vogliono… me lo hanno fatto capire in modo garbato, ma abbastanza chiaro.
Amore, mi vergogno di fare queste cose… mi vergogno di farle davanti a te, che amo più di me stessa… mi vergogno dell’umiliazione alla quale sottopongono te e me… mi vergogno dello smisurato piacere che questa torbida situazione mi scatena…
Amore mio, cosa devo fare? Devo continuare o devo dire “Basta!”? Dimmi tu quello &egrave giusto che io faccia e lo farò…”
Come risposta, Sergio ha cominciato a russare…

La mattina dopo, mi svegliai con un ferocissimo cerchio alla testa e mi girai verso Marica, che dormiva abbandonata ed indifesa accanto a me, come una bambina, russando leggermente.
“Povero amore mio! Cosa ti sei lasciata fare, ierisera! Sei stata usata, impalata, legata, umiliata davanti a tutti…
Ho capito quanto mi ami, perché accetti tutte queste cose: hai intuito –o te l’hanno detto, chiaro e tondo, forse?- che il mio nuovo lavoro &egrave legato alla tua arrendevolezza in questa crociera e quindi tu li lasci fare, subisci stoicamente, mostrando anche quel piacere che loro pretendono che tu provi ma, ne sono sicuro!, in realtà soffrendo molto…
Abbiamo tanti progetti da realizzare e… e Stefano me lo ha fatto capire chiaramente: per avere quel posto, devo accettare di fare il cornuto, di concederti alle loro voglie…
E’ umiliante, ma capisco, da come sei in grado di sacrificarti di lasciarti umiliare, piegare, sfruttare, che anche tu vuoi che io raggiunga quella posizione…
Bene, amore mio: sopporterò tutto questo per la nostra felicità”

Decisi di lasciarla ancora dormire, povera piccina, perciò mi alzai, mi feci una doccia, mi rasai, mi misi qualcosa addosso ed andai in cambusa per avere un po’ di colazione.
Dopo un ottimo caff&egrave ed una brioche, serviti dal silenzioso ed impeccabile François, presi un’aspirina per combattere il malditesta e salii sul ponte: la giornata era stupenda e stavamo tagliando il golfo ligure, andando verso Sanremo, Ventimiglia e la Francia; dietro a destra, velate dalla distanza, vedevo le due alte ciminiere vicino a Savona e, andando sul ponte di prua, trovai Angela, completamente nuda, a prendere il sole.
MI fermai a contemplarla: era veramente una bellissima donna!
Un paio di minuti dopo, sentii la mano di Stefano posarsi sulla spalla e stringermela, nel tipico suo modo…
«Sergio, Sergio, cosa fai? Il guardone?» Disse, in un tono tra il canzonatorio e l’irritato.
«Buongiorno, Stefano! Beh, indubbiamente tua moglie &egrave uno stupendo spettacolo…»
sorrisi.
«E’ vero, ma &egrave anche la moglie del tuo principale! Non &egrave bello che tu ci sbavi sopra!
Quindi, piantala di guardare mia moglie nuda!»
Ero interdetto.
«Ma io… cio&egrave… beh, sì, insomma… ieri sera, tu ed i tuoi amici non vi siete limitati a guardare la mia, di moglie, nuda…» Protestai.
«Ma cosa c’entra? Quella era una festa ed anche Angela era nuda e tu hai potuto osservarla a tuo agio.
Tua moglie, invece, &egrave nostra… ospite e quindi io, Angela e gli altri, ne possiamo disporre come meglio crediamo. Se non hai ancora afferrato il messaggio, te lo ripeto, nel modo più chiaro: noi vogliamo godere di Marica e l’unica cosa che puoi fare tu &egrave comportati da bravo cornuto, ubbidiente. Sono stato chiaro?» Mi disse in tono freddo e duro come il marmo.
«Sì, sì, scusami… Non volevo irritarti…»
«Ecco: allora lascia Angela ai suoi bagni di sole e vattene a poppa!»
Come un bambino colto in fallo, obbedii docilmente.

Dopo quasi un’ora, venni raggiunto da Marica, con l’aria un po’ strapazzata, ma con gli occhi che brillavano di amore per me.
Indossava un paio di minishort, ricavati tagliando via praticamente tutte le gambe di un vecchio paio di jeans e sfrangiando l’orlo, oltre ad un ridottissimo top di bikini.
Si sedette accanto a me, mi abbracciò e mi baciò con passione. Io le posai la mano sulla coscia, ma poi le mie dita risalirono fin oltre l’orlo degli short, cominciando a giocare con i suoi peluzzi e accarezzando la labbrine piene e sporgenti della sua fichina.
La sua mano stava accarezzando il mio cazzo, già duro sotto il costume, mentre rispondeva con trasporto al mio bacio, quando fummo bruscamente interrotti da Angela, era arrivata accanto a noi, avvolta solo in un impalpabile pareo.
«Marica, vieni qui!» Lei, obbediente, si alzò subito e le andò vicina.
«Prima di tutto, da adesso tu qui a bordo dovrai stare sempre completamente nuda, oltre che pronta a fare tutto quello che ti verrà detto da tutti noi, equipaggio compreso…
Quindi, spogliati subito!»
Lei guardò me, come in cerca di protezione, ma Angela bloccò subito ogni nostra reazione: «Inutile che chiedi protezione al tuo Giorgio: ha avuto un’illuminante conversazione con mio marito… Sbaglio, ragazzo?»
Essere chiamato “ragazzo” da una persona di circa la mia età, era un modo per fissare una gerarchia tra noi, con me -chiaramente- soccombente… Per quanto riguarda la domanda fattami, comunque, risposi annuendo senza allegria.
Mentre lei obbediva, calandosi gli short e levandosi il reggiseno del costume, Angela continuò:
«Ovviamente, quando intendo ‘tutti’, escludo il tuo maritino!» Disse con un sorriso cattivo e scalciando in mare i due indumenti.
«Siediti sul tavolo e apri le gambe: fammela vedere»
Marica, soggiogata, obbedì e la donna fece un’espressione schifata: “Non mi piacciono tutti quei peli, li sotto: fanno disordinato, fanno sporco; tra un’oretta attraccheremo e ti accompagnerò in un centro estetico in modo da diventare presentabile!
Ora, vai a prendere ogni tuo capo di vestiario e calzature che tu abbia in cabina, ogni tuo oggetto! Sbrigati!”
Marica si avviò quasi di corsa e dopo meno di due minuti arrivò col fiatone, portando il nostro borsone dove erano stati ficcati i suoi indumenti.
Angela le ordinò di rovesciarla sul tavolo e poi analizzò brevemente il contenuto: slippini, reggiseni, due costumi, un paio di calzoni bianchi alla pescatora, una canotta, una polo, zoccoletti di legno col tacco, un paio di sandali e un marsupio con dentro il suo portafogli, un rossetto, e tutte le disparate cose che le donne ficcano in ogni borsa o borsetta che abbiano la ventura di avere.
Angela tolse il portafogli e me lo porse, con un sorriso ambiguo; poi fece un’unica brancata di tutto ciò che Marica aveva estratto dalla borsa e la buttò fuoribordo.
Vidi Marica che seguiva con lo sguardo triste i suoi poveri abiti, mentre galleggiavano nella scia dello yacht che si allontanava rapidamente. Nel primo pomeriggio, il Sea Master entrò nel porto turistico di Nizza, in Francia.
Mentre entravamo, Angela impose a Marica di stare in piedi, nuda, allìestrema prua, quasi fosse una sorta di polena, lasciando che tutti potessero osservarla a proprio agio.
Lei avvampava dalla vergogna, soprattutto quando, incrociando altre imbarcazioni che uscivano dal porticciolo, i fischi ed in commenti in diverse lingue le si frangevano addosso come onde di una mareggiata.
Poco prima di attraccare, Angela giudicò soddisfacente l’umiliante esposizione di mia moglie e le concesse di potersi ritirare sotto coperta.
Come lo yacht fu attraccato, tre uomini di evidente origine africana salirono a bordo, accolti festosamente da Sasha e François; vedendo il mio sguardo curioso, Marco mi spiegò che erano gli altri membri dell’equipaggio del Sea Master, che avevano avuto degli impegni a terra e che avremmo reimbarcato per il resto della crociera.
Dopo pochi minuti, un taxi si accostò alla passerella e vidi scendere François con uno dei nuovi arrivati (Victor, poi mi hanno detto) con informali short e canottiere, seguiti da Angela con un elegante vestitino a fiori e Marica che indossava solo un trench bianco, slacciato ma con la cintura strettamente annodata in vita, ed un paio di scarpe alte fino alla caviglia con almeno otto centimetri di tacco a spillo.
Salirono a bordo del taxi e lasciarono noi uomini a bordo.

Angela, mentre ci avviciniamo al porticciolo di Nizza, mi dice di andare con lei, mi porta sull’estrema prua e mi fa restare con una mano ad afferrare un’asta all’estrema prua e i piedi allargati, per essere stabile nonostante le oscillazioni dello yacht.
Resto lì, nuda, esposta ai famelici sguardi degli occupanti dei battelli che incrociamo; mi urlano in varie lingue oscenità, immagino, o semplicemente «Salope!» ed io piango, umiliata.
Alla fine, siamo ormai all’interno della bocca di porto, mi dice di seguirla ed io, con sollievo, mi tolgo dalla pubblica vergogna.
Andiamo nella sua cabina e lei mi ordina di indossare un paio di polacchine nere chiuse da un cinturino, con un altissimo tacco a spillo, almeno dieci centimetri.
Come indosso la prima e carico il mio peso su quel piede per indossare l’altra, sento una sensazione dolorosa sotto il lato esterno del tallone; guardo Angela, interrogativamente, ma lei sorridendo maligna, mi spiega che è una piccola modifica che ha fatto con due sassolini e due pezzetti di cerotto… “così camminerai sculettando per bene, come una troia quale sei!»
Per coprimi, mi porge un trench bianco panna e mi ordina di non allacciarlo, ma di tenere semplicemente chiusi i lembi annodando la cintura. Eseguo, ma ricordandomi quanto sia facile che i lembi si aprano scivolando sotto la cintura, l’annodo strettamente.
Come tocco finale, mi da un paio di grossi occhiali da sole ma, come me li provo, scopro che sono quasi completamente opacizzati e posso vedere sotto attraverso due piccolissime zone scure ma trasparenti al centro.
Poi mi prende a braccetto e sbarchiamo, salendo su un taxi che ci aspettava sul molo, insieme a François ed ad un altro marinaio, di quelli che si erano appena uniti a noi.
Seduti a bordo del minivan taxi,dopo aver dato l’indirizzo all’autista, Angela si gira verso di me e mi sussurra: «Dimenticavo: da questo momento tu starai assolutamente zitta, senza dire una sola parola, come se fossi una povera muta, capito?”» «Sì»
Lo schiaffo mi colpisce la guancia, forte. «I muti annuiscono, non parlano, capito?»
Stavolta annuisco.

§§§§§§§§§§
Sono Sabrina, una bella trentaduenne mora, occhi neri, alta poco più di uno e sessanta, ho una terza di seno ancora saldo, un sederino che attira spesso occhiate ammirate per strada e con tutte le cosine al posto giusto, carattere dolce, anche se forse non sufficientemente energico, in certi frangenti e, come tanti altri napoletani, ho lasciato la mia città cercando la mia strada nella vita trasferendomi altrove; dopo aver vissuto diversi anni a Roma e poi al nord, una serie di combinazioni mi ha portata qui, a Nizza, finalmente con un centro estetico tutto mio.
In un vicoletto non troppo distante da Place Massena, avevo il mio centro: piccolo, discreto; l’avevo voluto con l’entrata ed il corridoio rivestiti in ciliegio, mentre per le tre cabine avevo scelto il noce perché lo trovo più riposante.
Le pareti delle cabine le avevo volute attrezzate con scansie a scomparsa di diverse misure in cui mettere qualsiasi cosa, dai flaconi dell’olio ai rotoli di carta, dagli asciugamani al cestino dei rifiuti.
Spot ad intensità variabile illuminavano i camerini con una luce perfettamente diffusa.
All’entrata un elegante tocco classico veniva dato da una piccola scrivania dell’800 sulla quale non stonava un piccolo ma efficientissimo computer. L’ambiente era completato, in stile con la scrivania, da due poltroncine ed un tavolino.
Ero molto orgogliosa del mio centro ed avevo la fortuna di essermi riuscita a creare una clientela di buon livello, per cui ricevevo unicamente su appuntamento e avevo potuto scegliere di indicare l’attività con solo una discreta targa di ottone accanto alla porta.
Quel giorno, mentre finivo il massaggio rassodante a Madame Brancout, diedi un’occhiata all’orologio e, dentro di me, sorrisi: accompagnata Madame alla porta, avrei avuto giusto il tempo di riordinare un pochino in attesa della prossima visita: una signora italiana di passaggio per Nizza, che mi aveva contattato grazie ad un’altra mia cliente.
Dopo lei, qualunque servizio avesse voluto, avrei finito la mia giornata e sarei andata a fare un giro ed un pochino di shopping, prima di andare a casa, prepararmi, cambiarmi ed incontrare un mio ammiratore, il quale mi aveva invitata a cena il un ristorante molto elegante.
Uscita che fu, mi misi a rigovernare e poi andai un attimo in bagno: stavo per sedermi per fare due gocce di pipi quando notai che qualche mia cliente che aveva usato la toilette aveva gettato un tovagliolino sporco di rossetto nella tazza; in quella squillò il telefono e automaticamente, azionai lo sciacquone prima di andare a rispondere.
Il tempo di fissare un appuntamento per la prossima settimana e finalmente potei sedermi sulla tazza per dare sollievo ai miei reni; non feci caso al rumore dello sciacquone che si ricaricava, ma mentre ero vestita venni letteralmente lavata dall’acqua che continuava ad affluire nella cassetta senza che l’apposito galleggiante entrasse in funzione.
Quel bastardo di idraulico!!! Salii in piedi sulla tazza, sbloccai il meccanismo difettoso e poi considerai le mie condizioni: stando china in avanti, l’acqua aveva inzuppato la schiena della mia cappetta da lavoro e il tanga che rappresentava l’unico altro mio capo di abbigliamento…
Indossai una cappetta asciutta (accidenti! L’ultima rimasta pulita: proprio quella che non indosso mai perché é più corta e stretta delle altre!) e pensai all’effetto sgradevole del perizoma bagnato sulla pelle: tanto il successivo appuntamento sarebbe stato per una signora, riflettei, e quindi potevo anche decidere di stare senza intimo… se mi fossi accidentalmente scoperta, forse avrebbe addirittura fatto un sorriso complice, come a volte capitava e così lo tolsi senza pormi problemi.
Con pochi minuti di ritardo, suonarono alla porta; azionai il comando di apertura ed entrò, sorridendo una bella ed elegante signora sulla quarantina, con un sorriso cordiale ed accompagnata da una ragazza della mia età, con indosso un incongruo trench stretto in vita e grossi occhiali da sole: mi faceva pensare ad una via di mezzo tra un agente segreto ed una star in incognito, se non fosse stato per l’andatura molto ancheggiante su orribili polacchine con un tacco assurdo; dietro loro, un algerino sui venticinque anni ed un senegalese alto, quasi a ridosso dei quaranta, con due spalle ampie e muscolose, vestiti con short, espadrillas e canottiere colorate.
La signora mi spiegò che la sua amica «… una povera muta, pensi!», aveva bisogno di essere completamente depilata, «…a parte ovviamente i capelli, eheheh!» e di assottigliare le sopracciglia «troppo folte, non trova?»
Assentii: in effetti, affinarle un pochino non guasta mai, da quanto potevo notare nonostante gli occhialoni da sole.
«Ah, che sciocca! A momenti dimenticavo: mi hanno detto che lei è anche in grado di… »
Mi dichiarai disponibile ad effettuare le cose richieste e quando la signora seppe quanto avrebbe speso, mi pagò anticipatamente, aggiungendo una buona mancia che me la rese ancora più gradevole.
«Sa, io adesso devo andare a fare degli acquisti, ma lascerò la signorina con questi due marinai della mia barca: ma tra al massimo un paio d’ore sarò di ritorno… e se sarò soddisfatta, come penso, le lascerò un altro piccolo pour-boire per il fastidio…»
Detto ciò, uscì ed io invitai la giovane donna -sculettante in modo grottesco- a seguirmi in una delle cabine.
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Durante la corsa in taxi, i due uomini mi toccano, mi frugano: Victor. Il senegalese, vorrebbe anche piegarmi con la bocca sul suo inguine, ma Angela gli fa segno che c’è l’autista e lui desiste, bofonchiando.
Dopo una ventina di minuti, arriviamo in una stradina ed Angela suona ad una porta accanto ad una vetrina a specchio; una piccola targa dichiara che si tratta di un centro estetico.
Entriamo e veniamo accolti cordialmente da una bella donna, una classica bellezza mediterranea, di altezza media e con un bel fisico, a giudicare da quanto si intuiva da sotto la cappetta da lavoro giallo vivo; colore che esaltava i capelli corvini e l’incarnato olivastro, con una bella bocca ed viso illuminato da due grandi occhioni neri.
Angela le spiega che vuole che io sia completamente depilata e… oddio, no! Non vorrà davvero farmi anche quello!
Ma lei continua, ignorando totalmente della mia contrarietà alla seconda parte del progetto, e spiega che sarebbe andata a fare shopping e che sarebbe tornata lì a un paio d’ore; avrebbe però lasciato i due marinai in mia compagnia… sospetto che abbia organizzato così per fargli godere la mia umiliazione per la totale esposizione e la manipolazione fatta dall’estetista.
Ho voglia di piangere e mettermi ad urlare, ma uno strano languore mi sta coinvolgendo, mio malgrado.

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Come entrammo nel corridoio, i due marinai ci vennero dietro senza che lei protestasse, nonostante avesse sicuramente capito che avrebbe dovuto restare nuda per la depilazione totale; se non era un problema per lei, figuriamoci per me che dovevo solo lavorare… e pagata anche bene, per giunta!
Entrati (tutti, un po’ strettini!), nella cabina, invitai la giovane donna ad appendere l’impermeabile all’attaccapanni e non fui in fondo molto stupita di scoprire che sotto non indossava nulla; una sorta di premonizione mi aveva come avvertita dell’eventualità.
Gettai un’occhiata ai due marinai, ma guardavano la donna con annoiata indifferenza, come se fossero lì per un noioso incarico.
Per cui la feci sdraiare supina sul lettino e cominciai il mio lavoro, eliminando i radi e fini peli dalle sue gambe; verificai poi che le cosce fossero perfettamente lisce e poi affrontai i suoi peli pubici, di cui restava solo un triangolino ben rifilato; comunque, essendo l’incarico di depilarla completamente, mi occupai anche della parte intorno al suo sesso, dalle labbra piene e sporgenti.
Per fare un lavoro accurato, ovviamente mi piegai sul suo pube, ma solo allora ricordai che non indossavo intimo, con quella cappetta stretta e corta e che dietro di me avevo i due marinai, che sussurrarono tra loro ridacchiando, segno evidente che avevano colto ed apprezzato lo spettacolino involontario.
Mi sentii le guance avvampare, ma decisi che era poco professionale dar loro modo di capire il mio imbarazzo e proseguii il mio lavoro, come nulla fosse.
Pregai la mia cliente di aprire meglio le gambe e, per non dare nuovamente spettacolo ai due, mi spostai un po’ sbieca, abbassandomi a farle accuratamente il mio lavoro all’attaccatura delle cosce.
Però mi ero abbassata forse troppo e strofinare il mio capezzolino sul suo braccio inerte lo aveva fatto inturgidire: la cappa troppo stretta, che mi stringeva il seno, faceva risaltare nitidamente il capezzolo e rendermene conto mi fece inturgidire anche l’altro.
Mi sentivo strana, torbidamente coinvolta in quella situazione, con due muscolosi marinai dietro di me che, li avevo sbirciati!, ora stavano con la testa reclinata ed un sorrisino stampato sulla faccia, in attesa del mio prossimo… errore di movimento.
Pensando a queste cose, mi distrassi un attimo e casualmente sfiorai le turgide labbrine del sesso della giovane: erano umide!
Oddio! Mi sentii inumidire anch’io. Ma cosa mi stava succedendo?
Allungai la mano per afferrare il flacone di olio emolliente, ma lo urtai maldestramente e quello cadde dal carrellino di servizio, rotolando sotto il lettino.
Dovevo raccoglierlo. Oppure prenderne un altro, ma era nello scomparto in alto e, allungandomi fino a raggiungerlo, avrei indubbiamente dato spettacolo: meglio accucciarsi, mostrando il fianco ai due e raccoglierlo, tanto erano pigramente appoggiati agli stipiti della porta della cabina, con le possenti braccia incrociate.
Mi abbassai e tentai di raggiungere il flacone, ma lo toccai solamente, facendolo rotolare ancora più sotto al lettino; concentrata com’ero a non dare spettacolo ai due ed a raggiungere quell’accidente di barattolo, persi l’equilibrio e caddi sulle ginocchia.
Subito, il marinaio più anziano si avvicinò e mi porse la mano per rialzarmi; con un sorriso accettai e mi tirò in piedi così rapidamente che persi l’equilibrio di nuovo, rischiando di franargli addosso: lui mi afferrò per i fianchi e fece una piroetta come se stessimo ballando, girandomi verso il lettino dove la giovane guardava i miei goffi movimenti senza dire parola.
Solo un secondo più tardi realizzai che il marinaio, tenendomi innocentemente per i fianchi, aveva fatto risalire di un paio di strategici centimetri l’orlo dell’indumento e difatti percepii la presenza del giovane alle mie spalle, prima ancora di sentire la sua larga mano che mi accarezzava il sedere.
Mi scostai, irritata. Loro mi sorrisero come… non so, come leoni intorno ad una gazzella in trappola: vagamente inquietanti, ecco!
Mi sentivo… turbata dalla loro presenza: ormai sapevano per certo che ero senza slip e sicuramente si erano prefigurati una loro situazione. Ed io… beh, io da una parte li temevo, ma forse, poi, in fondo….
Mi concentrai sul lavoro, ma mi sentivo le guance e la passerina calde…
Finii di depilare la giovane sul davanti, dopo averle anche sistemato le sopracciglia (ma senza assottigliarle troppo: danno espressività al viso e rimandano agli occhi, le sopracciglia!), poi le chiesi di voltarsi e cominciai dai polpacci.
§§§§§§§§§§ Sento le mani dell’estetista su di me, coi suoi strumenti e la cosa, per la prima volta in vita mia, mi dà una sensazione di profonda vergogna, come non provavo più da quando ero bambina… ma anche una torbida, indefinita eccitazione per la situazione di essere professionalmente manipolata, aperta, richiusa, girata, involontariamente esibita in tutta la mia interezza ai due marinai; do per certo che François avesse raccontato a Victor come ero stata trattata in cambusa e… e la cosa mi provoca un breve spasmo di piacere alla topina.
Sento le mani dell’estetista che mi risalgono le gambe, che mi percorrono professionalmente le chiappine che mi invitano –senza neanche una parola- ad allargare le cosce per permettere di poter fare il suo lavoro anche nel solco ed intorno al buchino: per aiutarla in quel punto così celato, spingo indietro ed in su i fianchi e sento le sue dita sfiorare il mio buchino; mi viene spontaneo contrarlo…

§§§§§§§§§§
Avevo deciso di escludere dalla mia mente la presenza dei due: se gli capitava di bearsi gli occhi, lo facessero pure! Io stavo lavorando e non potevo ammattire per farlo, stando anche attenta a non dargli spettacolini. Presi però un appunto mentale di tenere lì al centro sempre un paio di slippini e controllare sempre di avere almeno tre cappe pulite, di scorta… ed anche di strangolare quello stronzo di idraulico, quel deficiente!
Mi ha fatto esporre come… come… come una zoccola, ecco! Come questa qui, oh!
Fui stupita del pensiero spontaneo, ma lo esaminai meglio; io avevo tra le mie clienti alcune che sapevo (perché me lo avevano serenamente confidato o per voci o per pura sensazione ed occhio clinico!) come si guadagnassero il pane… ed il companatico… ed anche un sacco di altre cosine belle!
Ma erano tutte persone che avevano deciso di seguire quella strada e che, anzi, avevano un qual certo orgoglio e dignità, nonostante tutto.
Questa, invece, era passiva, si faceva fare tutto, secondo gli ordini della signora e scortata da questi due scimmioni neri: era arrivata nuda, sotto il trench, con scarpe assurde ed occhiali neri che, impressione avuta avendoli visti un attimo sulla sedia, erano opachi, quasi da cieca, non… normali, ecco.
Una bella giovane donna, che si faceva depilare completamente, nonostante le piene labbrine sporgenti del suo sesso stessero meglio incorniciate da un pochino di peli… e solo per il capriccio della signora… era umiliante, lei era diventata… ecco: una cosa!
I marinai la guardavano come si guarda la propria auto tra gli spazzoloni dell’autolavaggio: sapevano che era cosa loro!
Cominciavo a capire… Disgustoso!
Avrei scommesso che non era neanche muta! Feci una prova: la urtai e mormorai prontamente «Scusi!» e lei, istintivamente «Fa nulla!», ma pianissimo, da dubitare se lo avesse detto davvero.
Ah! Ecco! Allora parlava… Ma allora era obbligata a tacere… e quindi… lei era sottoposta alla volontà della Signora… perché penso a lei con la esse maiuscola?
Ma non si vergogna, questa qui, di farsi degradare così?
Le sfiorai involontariamente il buchino posteriore e quello reagì con la stessa prontezza di certe piante carnivore, contraendosi: Cette salope il-est réveillée! Uff anche al francese… questa zoccola era eccitata, dal tocco delle mie mani…
La cosa mi aveva offesa, turbata e… perché sentivo uno strano languore? Perché continuavo a fissare quelle grinze a raggiera che dimostravano una buona capacità di dilatazione?
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L’estetista sta facendo il suo lavoro su di me con efficienza, ma vedo che mi osserva; capisco che sta cercando di capire in quale situazione strana –ai suoi occhi!- io sia.
Intuisco che stia meditando su di me e su tutto e man mano che riflette, la sua bocca assume un’espressione sdegnata. Mi disprezza, era chiaro e la cosa mi umilia ed offende; avrei voglia di parlare, di spiegarle, di raccontarle che la mia vita –fino a due giorni prima; appena due giorni! Sembra passato un secolo!- era stata la normale vita di una giovane donna sposata ed innamorata del marito ed ora, invece…
Ora era diventata un’altra cosa, una situazione dove venigo umiliata, offesa, usata, disprezzata dalle persone normali come lei; se solo mi guardasse con un sorriso, forse potri uscire da quel vortice che sta trascinando me e Sergio in una spirale sempre peggiore di degradazione in un luogo immaginario dove conta solo il piacere, il mio piacere… e se ho scoperto che questo piacere passa dall’umiliazione, dal disprezzo, dall’uso e dall’abuso, visto che neanche tu, amica mia, mi vuoi aiutare… e allora, che sia quel che sia!
Mi sono tradita, quando ti sei scusata per avermi urtata casualmente, rispondendoti! Fortuna che i due giannizzeri non mi hanno sentita! Ma se tu ci rifletterai, capirai che non sono la poooovera muta, come mi ha presentato Angela.
Oddio! Mi ha sfiorato il buchino in modo lievissimo… come vorrei che me lo avesse appoggiato contro, magari spinto dentro pochi millimetri. Hai già finito, sconosciuta amica mia? Era un contatto accidentale? Peccato…

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Finii la depilazione e la feci voltare: non ero sicura che lei davvero volesse quello che le stavo per fare, a questo punto, ma visto che può parlare, e non lo fa, è segno che la cosa non le dispiace; che si arrangi!
Mi alzai dallo sgabellino a ruote, aprii lo scomparto giusto e presi l’occorrente; poi tornai alla giovane donna e procedetti, come da richiesta della Signora (Uff, sempre questa maiuscola…): sterilizzai ed anestetizzai con uno spray il capezzolo destro, poi lo forai ed inserii la barretta di acciaio chirurgico alla base, a sfiorare l’aureola.
Lei fece un piccolo sussulto; non disse nulla, ma vedevo che aveva gli occhi pieni di lacrime.
Cominciava a dispiacermi un po’, per lei, ma se non diceva nulla, non reagiva, non si ribellava….
Ripetei l’operazione con l’altro capezzolo, poi passai alle sue piccole labbra, inserendo due barrette in ognuna, secondo lo schema che mi aveva precisato attentamente la Signora.
Voilà! Finito.. e con una ventina di minuti d’anticipo! Sorrisi.
Guardai il viso della donna: le lacrime le erano colate dagli occhi e le avevano perfino un pochino bagnato i capelli. Poverina! E che stronza io, a giudicarla così male!
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Me lo hanno fatto!!! Dio, chemmale! Per fortuna è durato poco, ma adesso sono pronta per portare quegli anelli di cui Angela ha parlato, quando i fori si saranno cicatrizzati.
La donna è stata abile, credo molto brava, ma il male, soprattutto ai capezzolini, l’ho sentito, eccome! Altro che il foro ai lobi! Io che non amo -che non amavo, cioè- il piercing!
Mi guarda gli occhi pieni di lacrime e, che dolce!, mi tampona teneramente occhi e tempie dove le lacrime hanno lasciato la loro piccola traccia umida e salmastra.
E una donna più dolce di quanto immaginassi… ed ha una bellissima bocca…

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Mi alzai a prendere una salviettina di carta e mi chinai su di lei per asciugarle occhi e tempie: mi abbassai per tamponarla delicatamente con la salvietta e… e mi sentii una mano che mi stringeva collo e nuca, piegandomi in basso, potentemente!
Provai a divincolarmi, ma altre mano mi avevano alzato il camice da lavoro fino ai fianchi e la mano del giovane mi frugava i buchini.
L’anziano aveva lasciato i fianchi, ma adesso mi aveva preso i polsi e me li teneva, uniti nella sua manona; non li stringeva forte, ma nella solidità della presa sentivo la decisione di non volermeli liberare.
Ma cosa stava succedendo, nel mio centro estetico?
Ero infuriata, ma il dito del giovane in quella strana, assurda, inconcepibile situazione, si fece strada tra la sommità delle mie cosce e mi fece provare una fitta di languore che, inaspettatamente, mi inumidì subito la topina.
Lui, forse avvertendolo, piegò un dito e me lo introdusse, forzando le cosce col resto della mano ad allargarsi.
Nel frattempo, la pressione sulla mia nuca aveva portato le mie labbra ad appoggiarsi a quelle della giovane; inorridii quando sentii la sua linguetta accarezzarmele e poi affacciarcisi in mezzo…
Con una sorta di imprevisto automatismo, la accolsi disserrando la mascella e contraccambiai.
Il marinaio più anziano mi carezzò il viso, il collo, le spalle e, arrivato allo scollo quadrato della cappa da lavoro, la strappò da cima a fondo.
Spaventata, mi staccai da lei e gettai un’occhiata in giro, come cercando soccorso e… e vidi che la ragazza appoggiando una mano sul proprio sesso… si stava ACCAREZZANDO!!!
La situazione mi stupì al punto che devo aver sgranato gli occhi; il senegalese se ne accorse e voltandosi vide anche lui la ragazza che si stava toccando; allora mi afferrò per la nuca e mi pilotò sorridendo fino a quel fiore di carne aperto dall’eccitazione.
Appoggiai le labbra e poi, beh, poi leccai quelle intime labbra che si schiusero, liberando un profumo che mi inebriò: decisi di infischiarmene dei due uomini e cominciai a far danzare la mia lingua sulle labbrine ed in mezzo a loro, poi percorrendole dal morbido angolino in basso fino alle piegoline che celavano il suo bottoncino del piacere; sentii la sua morbida mano accarezzarmi un seno e poi scendere al fianco e poi al pube e poi insinuarsi tra le mie cosce per restituirmi il piacere.
Mi sentii sollevare di peso e mi trovai inginocchiata ai lati della testa della ragazza, ma sempre con le sue labbrine da leccare e succhiare: abbassai il bacino e la sua lingua dolcissima cominciò a percorrere il mio sesso pulsante, provocandomi sensazioni sublimi.
Ma cosa mi stava succedendo? Non riuscivo più a reagire, a rifiutarmi, a decidere: seguivo passivamente –ma con inaspettato e grande piacere!- il corso di eventi decisi da altri…
Sentivo montare dentro di me l’ondata spumeggiante del piacere, che stava per travolgermi in quella situazione per me inconcepibile, fino ad anche solo mezz’ora prima.
Avvertii solo velatamente che i due uomini avevano spostato il lettino mettendolo al centro della cabina e vidi il marinaio anziano venire verso di me, dopo essersi abbassato gli short e gli slip, facendo ondeggiare un grossissimo membro nero, nodoso e pulsante.
Afferrò le caviglie della donna e se le appoggiò sulle spalle, poi le divaricò le natiche con i pollici, le inumidì il buchino con l’indice ed il medio insalivati e la penetrò con una unica, potente spinta.
Lei sussultò e la sua bocca premette sulle mie labbra più intime: l’onda del piacere in quell’istante mi raggiunse e mi risucchiò nel suo gorgo.
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Si è piegata su di me per asciugarmi gli occhi, ma poi sento le sue labbra premere sulle mie: senza pensare, rispondo al bacio, leccandole le labbra: dopo una breve esitazione, socchiude le labbra e poi si abbandona anche lei nel baciarmi.
L’inaspettata complicità della donna mi manda in visibilio e la mia manina, da sola, raggiunge la mia topina.
Vedo che François le è dietro e da come lei fa ondeggiare i fianchi, capisco che la sta toccando…
Sento la stoffa della sua tunica lacerarsi: Victor glie l’ha strappata di dosso!
Poi l’afferra di peso e la mette sul lettino, con le ginocchia ai lati della mia testa ed il suo capo forzato a scendere sulla mia topina: prova a resistere, poi cede e finalmente me la bacia teneramente, abbassando i fianchi fino a portare la sua fichetta a portata della mia bocca e della mia linguetta, che comincia subito a vorticarle sopra e dentro. Sento i suoi umori, è eccitata, intrigata anche lei dalla torbida situazione; le cingo la vita e mi impadronisco della sua topina.
Poi sento che Victor mi alza le gambe, mi alza il sedere in modo che anche la donna possa cingermi la vita.
Una rapida toccata dietro, umida e scivolosa, e due pollici che mi allargano il buchino; poi una stilettata di dolore, per la violenta sodomizzazione: sobbalzo, trafitta dal dolore e la donna mi allaga la bocca coi suoi umori…
Vedo l’attributo di François avvicinarsi e capisco che anche lei è destinata ad essere presa da dietro. Faccio arrivare la mia lingua fin sulla sua rosellina e cerco di lubrificarla, introducendocela, mentre con i pollici provo ad allargargliela.
Ma subito François la viola, affondando dentro di lei in tre lunghi colpi, mentre sento le sue gambe tremare per la fitta di dolore.
Mi fa un certo effetto vederla sodomizzata a due dita dai miei occhi, con l’imponente sacchetta di François che mi preme ritmicamente sul viso.
Dopo pochi istanti, la sento rilassarsi e cominciare ad apprezzare il trattamento, pur brutale; benvenuta nel particolare mondo del piacere che viene dall’abuso, amica mia!

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La donna aveva intuito che anch’io stavo per provare la sua stessa fitta atroce e, da buona complice, aveva provato a prepararmi; anch’io avevo cercato, avendo una certa pratica di queste penetrazioni, di rilassare al massimo il mio sfintere, ma la sciabolata di dolore mi trafisse ugualmente, facendomi trasalire.
Cercai di rilassarmi al massimo, accompagnando i movimenti dell’uomo con quelli dei miei fianchi ed a poco a poco il dolore lasciò il posto al piacere.
Mi sentii sciogliere di nuovo ed un orgasmo mi sconvolse il cervello: non mi interessava più nulla: volevo godere!!!!!
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Dopo un po’, i due uomini si staccarono da noi ed io, con la bocca impiastricciata degli umori della ragazza, venni fatta alzare.
François mi venne davanti, mi baciò ed abbracciò, mi sollevò come una bambola di pezza e poi mi fece calare sul suo membro teso, impalandomici.
Non capivo piò nulla, ma gli cinsi d’istinto il collo con le braccia e i fianchi con le gambe, mentre lui mi sosteneva con le mani sotto le natiche e mi scopava così, d’impiedi.
Sentii il fiato caldo di Victor sulle spalle e il giovane allora si fermò; stavo chiedendomi per quale ragione, quando sentii la cappella del senegalese appoggiarsi al mio buchino e poi occupare anche quel mio anfratto. Uhhhmmm… sentivo un altro orgasmo montare prepotentemente dentro di me, presa ‘in doppia’ così, all’impiedi, e sostenuta da quei due meravigliosi perni di carne infissi profondamente dentro di me.
Venni ancora, così tanto che non mi accorsi del cicalino discreto della porta; il giovane marinaio, invece, lo sentì e si sfilò dal mio sesso, lasciandomi sostenuta da Victor, che mi aveva messo le mani sotto alle ginocchia e che spostandosi offrì il mio sesso aperto e dilatato alla bocca della giovane.
Non avevo mai provato delle sensazioni così piacevoli e forti, con un uomo che mi penetrava dietro e la lingua, la bocca e le dita di una donna che danzavano sulla mia natura, resa sensibilissima dal mio stato d’estasi! Non capivo più nulla: tutta la mia attenzione era concentrata in quell’angolino tra le mie cosce frementi! Venni e, per una sorta di reazione a catena, sentii subito irrigidirsi e pulsare il membro che mi occupava il retto, mentre il suo seme copioso sgorgava e mi allagava quell’anfratto.
«Ma bene!» La voce inaspettata mi gelò, facendomi tornare sulla superficie di questo pianeta: girai la testa e vidi la signora che contemplava la scena, con una luce –forse- divertita negli occhi, ma sicuramente smentita dalla piega sdegnata delle labbra e dall’espressione altera e severa. Capii che era davvero la Signora, con la maiuscola, e mi sentii avvampare dalla vergogna e dall’umiliazione di esser stata sorpresa da lei in quell’imbarazzante, per quanto piacevole, frangente.
«Allora: cosa succede, qui?»
François, che aveva infilato gli short per andarle ad aprire, le mormorò qualcosa.
«Ah, davvero?» il nordafricano annuì.
«Davvero lo ha fatto? Male!» il marinaio mormorò qualche precisazione e la Signora girò il suo sguardo sdegnato su di me: mi sentii colpevole ed umiliata: capivo che stavo per essere coinvolta in un qualcosa che forse non avrei trovato molto piacevole… forse!
«Allora, signora: vediamo prima di tutto il lavoro che le avevo dato da fare»
Annuii e le sorrisi, anche se il mio sorriso rimbalzò sulla sua espressione sdegnata e mi si gelò sulle labbra; feci per prendere un asciugatoio per coprire la mia nudità, ma… «No, signora -quanto sarcasmo, nei suo “signora”!- resti pure così: non mi sembra il caso che lei debba vergognarsi di essere vista nuda da un’altra donna… sbaglio?»
Concluse dicendo “Sbaglio?” con un tono così gelido che non potei altro che scuotere la testa, in silenzio.
«Appunto!»
Verificò l’accuratezza della depilazione e la correttezza delle forature per i piercing ed annuì, con una sorta di sorrisetto.
«Bene: sono molto contenta dei lavori che ha fatto per me; come da promessa, questo è per il disturbo che le ha dato il dovermi attendere» Mi porse un certo numero di banconote da venti euro che presi senza neanche guardarle: erano una notevole mancia. La ringraziai con un sorriso ed un cenno del capo e le posai su un ripiano, ma la sua voce richiamò la mia attenzione.
«Però… però sono state commesse alcune irregolarità…» Ero stupefatta: irregolarità? E quali? Aprii la bocca per protestare, ma il suo sguardo severo mi raggelò e tacqui.
«… Oltre ad aver sedotto i miei marinai…» Sedotto loro, io??? «… ha anche indotto la mia amica ad infrangere un patto che avevamo tra noi e, inoltre, l’ha spinta a prendere iniziative che non le competevano»
Ero restata a bocca aperta, non riuscivo a scegliere uno dei mille argomenti che mi mulinavano in testa per controbattere a quelle accuse.
Lei proseguì, imperterrita.«La mia amica, per queste due infrazioni, verrà punita… ma mi sembra giusto che anche lei l’accompagni in questa punizione… -la sua voce divenne fredda come il ghiaccio e dura come il diamante- … non trova??»
Nuda, davanti a quella signora elegantemente vestita, accusata, sorpresa durante un’orgia con la sua amica e coi suoi marinai, non riuscii assolutamente a controbattere: annuii automaticamente.
«Bene! Allora si rivesta: verrà con noi» Mi disse con un tono che non permetteva obiezioni di sorta.
Così, andai verso la toilette, ma… «No, non stia a perder tempo a pulirsi, signora Sabrina: venga pure così; potrà farlo più tardi…” Le parole erano quelle di una cortese sollecitazione, ma il tono era indubbiamente quello di un ordine insindacabile.
Annuii umiliata e indossai la canotta gialla e la minigonna di jeans che indossavo quella mattina, anche se con la fastidiosa sensazione di umido che mi davano le poche gocce di seme del giovane, che erano colate tra le mie natiche, mettendomi particolarmente a disagio.
Come fui pronta, anche i due marinai erano rivestiti e Marica –ne avevo sentito il nome dalla Signora- di nuovo fasciata il quel trench e pronti ad uscire.
Chiamammo due taxi, chiusi la porta del mio atelier ed attendemmo pochi minuti: il primo, caricò François che, presumibilmente, tornava a bordo con gli acquisti della Signora e noi quattro salimmo sul secondo.
§§§§§§§§§§

Oddio: una punizione! Cosa mai mi farà fare, Angela, per punirmi? François le aveva detto che avevo infranto il voto del silenzio con Sabrina –ma senza volere!!!- e che poi mi ero toccata.
Salendo sulla monovolume che faceva da taxi, sento addosso gli occhi dell’autista.
Mi siedo e accanto a me siede Angela. Rifletto: ormai sono stata risucchiata da questa situazione e mi trovo a non poter più esercitare una volontà mia: accetto tutto, subisco tutto, voglio solo esplorare fino in fondo l’abisso nel quale sono stata precipitata.
Anche lo sguardo severo e pieno di riprovazione di Sabrina, prima che anche lei si facesse risucchiare dal gorgo della sottomissione ad Angela, mi aveva umiliata, sì, ma anche dato una sorta di torbido piacere.
E adesso siamo qui, diretti non si sa dove: l’indirizzo detto da Victor all’autista non mi dice assolutamente nulla: aspetto gli eventi, con paura, ma anche una vaga eccitazione.
Sento l’autista, con i delicati lineamenti indocinesi, interrogare Victor.
«La Mademoiselle avec le impermèable est-elle rendue malade?»
«Non, elle est une chienne!»
«Vraiment? C’est le vrai?» «Regardez vous!» E dicendo così mi scioglie la cintura e mi apre il trench, mostrando la mia totale nudità, resa ancora più evidente dalla fresca depilazione; Victor per rendere meglio il concetto mi forza ad aprire le cosce e mostrare la mia topina.
L’autista sposta lo specchietto interno per osservare meglio il mio sesso esposto. Il suo sguardo indagatore sulla mia oscena esposizione mi fa sentire una vera puttana, mi umilia profondamente, ma sento la mia micetta fremere di un inaspettato piacere e le mie labbrine contrarsi, eccitate.
Lui probabilmente lo nota: «Mais elle est juste baisé comme une chienne!»
«Ahahahah : Il est vrai!»
Victor sfiora il mio sesso e lo scopre umido. “Sei davvero una puttana, tu!”

La corsa di una ventina di minuti ci porta al cancello di un cantiere edile; un’ampia zona, recintata da una rete metallica, che delimitava un’area dove sono in costruzione tre grossi edifici, quello più lontano quasi terminato, uno ancora con le pareti non intonacate ed il più vicino con lo scheletro di cemento armato ancora a vista nei piani più alti.
Angela ci fa scendere e Victor entra nel cantiere, incontra un uomo, che lo accoglie con un sorriso e grandi pacche sulle spalle, e poi ci fa segno di raggiungerlo.
Entriamo nel cantiere, cercando di schivare le pozze di fango nel terreno e seguiamo i due verso l’edificio più vicino.
Pur camminando con cautela, un tacco a spillo affonda nel terreno instabile e perdo l’equilibrio, proprio accanto in una pozza di fango, rimestata ed approfondita dal passaggio di numerosi pesanti camion, profonda una trentina di centimetri. Cadendo col tacco intrappolato dalla mota, non posso riequilibrarmi e quindi cado lunga nella pozza; poi provo a girarmi per trovare un punto solido per rialzarmi, ma devo fare diversi tentativi.
In un caso del genere, per liberarmi da quella trappola di fango, mi sarei liberata delle scarpe e dei suoi assurdi tacchi, ma avendole allacciate fino alla caviglia l’operazione è più complicata di quanto sia disposta ad affrontare.
Chiedo aiuto ai quattro, ma Angela mi guarda con irritato sdegno, i due uomini ridacchiano e parlottano tra di loro e Sabrina è l’unica che, in equilibrio sull’orlo della pozza, allunga una mano per aiutarmi.
Il trambusto attira altri muratori -una quindicina- che, appena terminata la giornata di lavoro, si stavano dando una sciacquata in una delle baracche prefabbricate del cantiere, a giudicare dai torsi nudi o dagli asciugamani attorno ai fianchi e dalla pelle bagnata.
Allungo la mano fino ad afferrarmi al polso di Sabrina, faccio forza sui piedi e sull’altra mano per divincolarmi da quella trappola vischiosa e spingo per rialzarmi, mentre Sabrina, che ha incrociato la presa afferrandomi il polso, tira.
Vedo, con la coda dell’occhio, Victor che parlotta brevemente con Angela, poi che si avvicina dietro a Sabrina, sbilanciata e tesa per aiutarmi, le appoggia il piede sul sedere e la fa cadere, anche lei, nella pozza, tra grandi risate dei muratori.
Ci ritroviamo fradice, infangate, tristemente sedute, una accanto all’altra, nella pozza; ci guardiamo con sguardi affranti.

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Ero sbilanciata per aiutare Marica a rialzarsi quando una spinta sul culetto mi fa volare della pozza: riesco ad evitare di caderle addosso di misura, ma mi trovo anch’io come lei, nel fango molle (non tanto freddo, per fortuna) e schizzata dalla testa ai piedi.
Capisco che è stato Victor a spingermi dal suo sguardo trionfante, come se avesse fatto chissà quale prodezza e gli dico di aiutarmi, di fare qualcosa.
Riesce a lasciarmi stupefatta: ridendo, si sbottona la patta, tira fuori il coso -mollo-, me lo punta addosso e… comincia a pisciare!
Gli altri uomini ridono a loro volta e, quasi tutti, lo imitano, bersagliandoci coi loro caldi getti, nonostante cercassimo di evitarli e li implorassi di smettere.
Il disgusto era fortissimo, avevo quasi voglia di vomitare, ma mi trattenni solo perché, se lo avessi fatto, avrei sicuramente peggiorato la nostra situazione.
Alla fine della minzione collettiva, Angela fa un cenno e Victor aiuta prima me e poi Marica ad uscire da quella lurida pozza.
La guardo: è coperta di fango dalla testa ai piedi, coi capelli in un’unica massa informe di mota e solo il viso è stato sommariamente pulito con la mano e coi disgustosi getti; so che la mia immagine è ingloriosamente speculare alla sua.
Angela dice a Victor di farci dare una pulita «…con la manichetta: sono troppo sporche, queste due scrofe!
E in un posto dove poi non si debba ripulire da tutta la lordura che hanno addosso… e magari dove non veda nessuno di passaggio»
Così, parlottando tra loro, ci condussero all’interno del primo edificio, quello più indietro nella costruzione, e ci portarono in un vano al pian terreno, ancora col pavimento grezzo di calcestruzzo e solo le pareti esterne; una doppia parete divisoria era in costruzione e due file di mattoni, larghe tutto l’ambiente, arrivavano fino a circa settanta centimetri da terra, staccate di una trentina di centimetri una dall’altra.
Ci fecero mettere contro una parete e ci fecero togliere le scarpe ed i nostri pochi capi di vestiario, infangatissimi!, mentre tutti gli operai assistevano divertiti; poi il capomastro che ci aveva accolti prese un tubo di gomma, arrotolato sotto un rubinetto collegato ad un tubo chiaramente provvisorio, lo collegò al rubinetto con la ghiera filettata, puntò verso di noi l’ugello all’altra estremità ed aprì di colpo il comando a leva.
Dopo il breve intervallo in cui l’acqua percorse la serpentina del tubo, fummo investite dal getto violento e subito gridammo proteste.
Lui allora chiuse il rubinetto e parlottò un paio di minuti in uno strano idioma che non conoscevo con gli altri muratori e con Victor che, presumibilmente, traduceva ad Angela e da lei riceveva istruzioni.
Alla fine, probabilmente, raggiunsero un accordo, perché si scambiarono grandi sorrisi e potenti pacche sulle spalle ed anche Angela sorrideva come un gatto che avesse ingoiato un canarino.
Cinque o sei vennero verso di noi e ci presero, anzi, ci afferrarono per le braccia, portandoci ai due bassi muretti.
Attendemmo un momento che uno dei muratori tornasse da dov’era andato, piegasse due coperte due volte per il lungo, le appoggiasse una in terra, accostata al muro e l’altra sul primo muretto; Poi chi ci teneva ci costrinse ad inginocchiarci sulla coperta, appoggiandoci con le pance sul muretto, le cui asperità erano mitigate dalla seconda coperta, e con i polsi appoggiati sull’altro muretto.
Non capivo cosa esattamente volessero da noi, in quella posizione, ma ogni ipotesi che riuscivo a formulare mi sembrava terribile; davanti a noi vedemmo arrivare un muratore con un secchio di cemento giallino, impastandolo con una cazzuola.
Mentre altri ci tenevano i polsi bloccati sul muretto, fasciati da strisce di tessuto, depose un po’ di cemento sul muretto, ai lati di ciascun nostro polso e poi ci murò dei mezzi mattoni e sopra altri pezzi di mattone tagliati con maestria a colpi di cazzuola.
Cercai di divincolarmi, ma per qualche minuto, le ferree strette mi tenevano bloccata; quando mi lasciarono, scoprii che avevo i polsi bloccati in quella sorta di manette di muratura. Provai a scalzare i mattoni superiori, ma evidentemente avevano usato cemento a presa rapida: come Marica ero immobilizzata, col culetto esposto e le mani bloccate!
Quasi subito, sentii lo schiaffo freddo del potente getto d’acqua percorrermi il corpo, spingendomi di qua e di là, mentre venivo lavata dal fango nello stesso modo che si usa per gli animali…
§§§§§§§§§§

Il violento getto d’acqua mi percorre la schiena, le gambe, le spalle, le braccia, mi frusta i seni pendenti, mi schiaffeggia il viso, mi aggroviglia i capelli, mi acceca e mi soffoca, mi fruga violentemente le intimità e me le viola brutalmente.
Quando l’acqua viene chiusa, sono inzuppata, intontita e, sopratutto, bloccata in quella posizione come l’offerta umana di un rito crudele.
Sento mani che mi percorrono la pelle delle cosce e del sedere, che palpano, stringono, pizzicano, divaricano; poi un dito comincia a sondare il mio sesso, che aspettava un simile ruvido contatto schiusa come un fiore al mattino, ed il buchetto posteriore.
Pochi istanti, poi sento un membro che forza la mia micetta ed in soli due colpi, me la sento colmata.
Il gemito di Sabrina, mi fa intuire che anche lei è sottoposta al mio identico trattamento, ma poi una mano afferra i miei capelli, mi alza la testa ed una cappella turgida mi viene premuta sulle labbra: faccio uscire la lingua e la esploro brevemente, ma mi viene forzata in bocca, perciò comincio a spompinarlo.
Con la coda dell’occhio, vedo che anche Sabrina è impegnata nelle mie stesse attività, mentre sento che l’uomo si sfila dalla mia topina e cambia… bersaglio, bruscamente, provocandomi una fitta di dolore.
Nel frattempo, il cazzo che stavo succhiando è stato sostituito da un altro e poi… e poi gli uomini si avvicendano in tutti i miei anfratti, spesso scambiandosi anche tra me e Sabrina e la violenza di gruppo si dilata nel tempo.

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Mi bruciava la fichina, il culetto, violati infinite volte: la gola la sentivo gonfia ed era irritata dai cazzi che mi avevano spinto fino in fondo e gli occhi mi bruciavano per lo sperma che, schizzatomi in faccia, li aveva raggiunti.
Mi sentivo a pezzi, esausta, dolorante, insudiciata, ma dovevo ammettere di aver provato piaceri inimmaginabili, almeno all’inizio; poi, quando i violentatori si succedevano ormai indistinti, il dolore ovunque e successivamente una sorta di intontimento, di anestesia, una nuvola di vaga sofferenza, con la voglia che la cosa finisse al più presto.
Stavamo tutti rifiatando ed io non vedevo l’ora di essere liberata da quella umiliante e scomoda posizione.
Sentivo lo sperma, che avevano depositato nei miei buchini, colare fuori dagli orifizi sforzati e doloranti e che mi colava lentamente lungo le cosce.
In un altro momento mi avrebbe disturbato moltissimo, una situazione del genere, ma l’intontimento seguito dal lungo stupro di gruppo, mi faceva registrare l’evento in modo solo marginale.
Attendevo con annoiata impazienza di essere liberata e guardavo fiduciosa lo stesso muratore di prima avvicinarsi con una piccozzetta in mano, quando Angela lo fermò usando il suo discreto francese: «Aspettate: le due cagne adesso sono tutte sporche di voi; direi che prima di farle alzare, sarebbe buona norma igienica dargli una pulita, non credete?»
I muratori ridacchiarono e si dichiararono d’accordo, predisponendosi ad assistere alla ennesima… diavoleria della Signora.
Lei andò al rubinetto, regolò il getto ad una moderata pressione e poi ci lavò i visi e poi le cosce ed i sessi, schiudendoceli col due dita ed introducendo sgradevolmente il getto all’interno.
Poi tornò al rubinetto e lo regolò ancora fino a far uscire un debole getto, che si incurvava quasi subito verso il suolo invece che cadere qualche metro più in là.
Poi, mentre si avvicinava, spiegò: «Siete ancora sporche, ma per pulirvi a fondo ho un’ottima soluzione: vi farò un bel clistere»
Mi sentii agghiacciare, ricordando quelli che avevo subito da bambina.
«…Ma per fare effetto, dovrete tenerlo almeno cinque minuti: per… incentivarvi a tenerlo – fece una risatina cattiva- diciamo che se lo lasciate andare prima di cinque minuti, riceverete dieci cinghiate…» fece dondolare una larga cintura di spesso cuoio, probabilmente imprestata da uno degli uomini «…trascorso questo tempo, la prima che si scaricherà, riceverà due cinghiate»
Detto ciò, introdusse l’estremità del tubo nell’ano di Marica; la Signora fece un cenno quasi casuale, annoiato ed il caposquadra aumentò di colpo la mandata: vidi la giovane, dopo pochi istanti, congestionarsi in volto e stravolgere la sua espressione.
Quando Angela reputò di aver finito con Marica, introdusse il tubo nel mio martoriato culetto e dopo un pochino, cominciai a sentire una tensione ed una fitta crescente all’addome; sentii la pancia che si gonfiava e mi sentii cambiare la pressione del muro sulle cosce ed i fianchi; mi stavo gonfiando come un pallone e cominciai a sentire davvero male; gemetti, chiesi di smettere, di lasciarmi, mi divincolai, inutilmente, finché la Signora non giudicò completata la prima parte del mio supplizio.
Ad un suo cenno, il muratore ci liberò, alla fine e noi due, congestionate in volto per lo sforzo di tenere l’atroce liquido, ci alzammo, facendo una grottesca danza nel tentativo di resistere, con grande sollazzo di tutti.
§§§§§§§§§§ Oddio, che mal di pancia! Me la sento scoppiare! Mi tocco il pancino e me lo sento gonfio, duro… non ce la farò mai a resistere: è troppo!!!
E tutta questa gente intorno, a guardare e sghignazzare… e poi, qui quando mi libererò, dove diavolo lo faccio??
Oddio!!! Come vorrei che Sergio adesso fosse qui, accanto a me, a darmi conforto… No, meglio di no: sai che umiliazione, per lui vedermi in questo stato? E poi, se fosse stato qui… beh, avrebbe visto cosa mi hanno, ci hanno, fatto… Sarebbe stato troppo, per lui, povero amormio: vedermi usata come una sgualdrina, bloccata come una bestia da macellare, con tutti quei cazzi che mi entravano nella fica, nel culo, in bocca… e io che, come la troia che ho scoperto di essere… godo… sì, godo!!! Perché mi piace!!! Mi piace essere usata, mi piace essere riempita di cazzi, mi piace avere maschi non cercati, non voluti, che godono dentro di me… mi piace sottostare agli ordini di Angela ed essere a disposizione, tutta me -le mani, la bocca, il corpo, la fica, il culo, l’anima, perfino!!!- dei suoi capricci, delle sue voglie…E se mi chiederà di fare altro, altre volte, come farò a rifiutarmi? E poi, chi mai vorrebbe rifiutarsi?
Che poi, in fondo, lui avrebbe dovuto esserci, qui!!! Sto facendo tutto questo anche per i nostri sogni, per la sua carriera, per il futuro di entrambi…
Lui diventerà uno stimato manager, con a fianco la sua deliziosa e giovane moglie, bella e… troia! Sì, perché sono troia e… oddio, non resisto… mi frega nulla delle cinghiate, io adesso mollo… ma dove?
Non mi frega un cazzo, la mollo qui!!!
Oddio, mi è scappata un piccolo rivolo… non resisto, che sia quel che siaaahhhhhhhhhh… che sollievo!
E guarda quei maiali come ridono… Bastardi, vi è piaciuto fottermi nel culo, eh? Vi è piaciuto sculacciarmi fino a farmelo arrossare e gonfiare, mentre mi inculavate? Vi è piaciuto trasformarmelo in un buco allargato, infiammato, irritato e doloroso? Vi è piaciuto farlo diventare una pozza della vostra sborra? Cosa pensavate? Che me la sarei portata a casa? No! Ve la lascio qui, su questo lurido pavimento!
E vedo che anche Sabrina, sentendo che mi scaricavo, lo ha fatto anche lei…
Che schifo! Abbiamo fatto un laghetto e ci siamo coi piedi dentro…
Ma almeno Angela non ci ha dato cinghiate: ha restituito la cinghia all’uomo e ora ci porge i nostri abiti ancora umidi, per rivestirci… Bleahh, che sensazione sgradevole, rimetterseli… ma almeno… sì, andiamo via!
I muratori ci salutano e sorridono, molti mi palpano il sedere, alcuni i seni… ahia! Qualcuno stringe anche troppo, ma almeno andiamo…

§§§§§§§§§§
Quando dio volle, finì… Mi stava scoppiando la pancia, ma ero terrorizzata da quella larga cintura con la quale la Signora continuava a giocherellare in modo vagamente minaccioso, facendola anche schioccare come un frusta, a volte.
Non ce la facevo più, ma ero terrorizzata… poi sentii Marica che si liberava e non resistetti oltre: le cinghiate -tanto!- sarebbero state per lei!!!
Bleahh, che schifo! Eravamo in una pozza di acqua frammista a cose assolutamente disgustose: una volta tornata a casa, come priorità, avrei avuto una bella, lunga doccia bollente!
Mi sentii completamente esplorata dagli sguardi avidi ed umilianti di questa marmaglia, dentro e fuori…
La Signora mi guardò con occhi quasi gentili (aveva placato il demone malvagio dentro di lei?) e mi porse i miei due indumenti e le scarpe, ancora sgradevolmente bagnati…
Poi, ancora palpeggiate e salutate dal gruppo di muratori, ce ne andammo, a bordo di un furgone, di quelli a cinque posti, guidato dal capomastro.
Venni accompagnata vicino verso casa, dove avrei potuto dedicarmi ai miei buchetti martoriati per cercare di lenire il dolore…
Tanto, appena arrivata a casa, avrei telefonato al mio spasimante ed avrei annullato l’appuntamento: stavo troppo male… e poi… beh, diciamocelo: nonostante poi mi facesse male tutto, non pensavo che si potesse provare un piacere così grande…
A bordo del furgone Angela, amabilmente, mi offrì un’aranciata, pescando la bottiglietta da un frigo portatile… che gentile! Avevo proprio sete!
§§§§§§§§§§

Avevo passato tutto il pomeriggio, chiedendomi dove fossero finite Marica ed Angela, che erano andate via con François e Victor, l’altro marinaio.
Ero restato a bordo con gli altri per un’oretta, poi Stefano mi aveva invitato a fare ‘un giro’.
Pensavo che fosse una passeggiata, ma dopo un centinaio di metri Stefano entrò in un ufficio dell’AVIS e dopo un quarto d’ora partimmo a bordo di una loro Megane.
Imboccò la ripida strada per raggiungere la Haute Corniche, con scarsissimo traffico ed un’invidiabile panorama sulla costa, in direzione di Montecarlo e dell’Italia.
Quando finimmo di salire per la strada ricca di curve, si mise in una postura più rilassata al volante, adottò un’andatura tranquilla e cominciammo a chiacchierare.
«Allora, Sergio: come ti trovi con noi?» «Mah, bene…»
«Bene, sono contento: come vedi siamo una sorta di grande famiglia… e siamo anche molto amici, tra noi: pronti a dividere tutto»
Avrei dovuto mordermi la lingua, ma la frase mi scaturì dal cuore ed arrivò alla bocca, ma senza passare dal cervello: «Tutto-tutto? Anche le mogli?» Dissi, con un sorriso scemo.
La sua voce divenne più fredda di una ventina di gradi, di colpo: «No, ci dividiamo solo la tua, in quest’ambito. Tu, ormai noi abbiamo deciso, lavorerai con noi: quando torneremo in sede, ti assumeremo con tutti i crismi, se vorrai, con decorrenza immediata ed un ‘premio di assunzione’ che ti permetterà comodamente di pagare le eventuali penali che tu dovessi alla tua azienda, per esserti licenziato senza preavviso.
Avrai una ottima posizione, un trattamento economico che mi sembra interessante e la possibilità di fare una buona e rapida carriera.
Però… però nel “giochetto” entra anche Marica, tua moglie.
L’intuito di Angela ha stanato la zoccolaggine di tua moglie, che evidentemente adora essere sottomessa, umiliata e usata; allora, Marica sarà la nostra troietta, il nostro giocattolo… 
Sta a te decidere: o ti tieni la tua deliziosa mogliettina e continui a fare il rappresentante per quella patetica ditta, sperando che non chiuda, magari assorbita da un’azienda come la mia…» Si interruppe per il delicato sorpasso di uno sbuffante autocarro, poi riprese: «Dicevo… ah sì: che poi non è detto che Marica, ora che ha scoperto il piacere che sa darle il mondo dell’abuso e della sottomissione, sia disposta a restare con un rappresentante di una ditta fallimentare, a fare la brava mogliettina fedele…
Potresti trovarti da solo, con lei che scappa con chi possa farle credere di darle quello che ha scoperto di apprezzare, senza il lavoro presso di noi…» Mi guardò con uno sguardo molto significativo «…oppure trovarti con un buon lavoro, che ti arricchisce e con una moglie contenta del fatto, anche, che tu fai il bravo cornuto, che lasci che noi (io, Gus, Franco, Marco ed Angela) possiamo divertirci con lei e farla divertire.
Tra l’altro (non volevo parlartene per adesso, ma mi hai forzato la mano), pensavamo di valutare il tuo lavoro e, se saremo soddisfatti, in un mese o due proporti di diventare nostro socio: parlando con te, abbiamo capito che sei la persona che stavamo cercando da tempo e preferiamo coinvolgerti anche nella proprietà, vendendoti una quota, perché almeno, essendo non più un “semplice” dipendente ma uno dei titolari, sarai ancora più motivato a fare bene.
Ovviamente, non abbiamo nessuna intenzione di fare o far fare a tua moglie cose che lei non voglia davvero e quindi, come vedi, il fatto che poi lei si lasci usare o meno per i nostri giochini, sta unicamente a lei!
Avrai notato che non è stata forzata fisicamente a fare cose, ma solo indotta da situazioni nelle quali, in qualunque momento, avrebbe potuto decidere di fermarsi… ma non lo ha fatto! Quindi, come vedi, siamo tutti contenti, ma la cosa che ti si chiede, se lei deciderà di partecipare, tu non devi rompere le palle… Ok?»
Cosa potevo dire? «Sì, va bene, scusa: non volevo farti arrabbiare!»
Mi sorrise, tornato improvvisamente affabile: «Ok, va bene… Dai, raccontami qualcosa di voi…»
«Cosa vuoi sapere?» «Mah, non so… quanto tempo è che vi siete sposati, per esempio?
E poi: se ho ben capito, lei è brava nella progettazione con computer…»
«Siamo sposato da cinque anni, dopo esser stati fidanzati per due; entrambi avremmo preferito convivere ma sai, suo padre è anziano e sposarci era la condizione per poter vivere insieme senza farci fracassare i cosiddetti…»
Gli sorrisi e lui contraccambiò, con un’espressione comprensiva.
«Per il lavoro, sì: Marica è molto brava e stimata, nel suo lavoro si occupa di… » e glie lo spiegai; come sempre, Stefano mi fece le domande “giuste” segno che aveva ben chiaro di cosa stessimo parlando ed alla fine aveva ben chiaro il lavoro e le potenzialità di mia moglie.
Sorrise: «Senti… e cosa ne diresti, se assumessimo anche lei, nel nostro gruppo? Ti piacerebbe lavorare anche con lei? Potremmo metterla nel nostro Ufficio Progettazione e magari, dopo un mese o due, farla diventare capo-progetto; ovviamente entrando da noi il suo stipendio aumenterebbe di… uhmm… beh, direi il venticinque per cento, all’inizio, ma poi, come capo-progetto…» Mi strizzò l’occhio e mi diede una stretta complice sul ginocchio.
Beh, in effetti l’idea era stuzzicante… Credo che, al pensiero dei nostri futuri introiti, mi fossero venute le pupille a forma di dollaro, come zio Paperone…
Restammo qualche minuto in compagnia dei nostri pensieri; non so cosa pensasse lui, ma io riflettevo su me, sui cambiamenti che questa imprevista vacanza aveva fatto irrompere nella nostra vita, sulle possibilità che ci si schiudevano davanti e anche… beh, sì, sulla Marica che pensavo di conoscere meglio di me stesso e che invece si è completamente rivelata solo in queste ultime quarantott’ore…
“Bella troia, che avevo sposato… che poi, io ne sono ancora innamorato… però adesso, in fondo, se riesco a tacitare il mio orgoglio di maschio, anche lei può contribuire a far notevolmente migliorare la nostra situazione…
E poi, se lei si… diverte così, allora non potrà certo rinfacciarmi se anch’io mi prendessi qualche… distrazione, ecco!”
Riflettei ancora qualche minuto, poi mi schiarii la gola e parlai: «Beh, Stefano… sai, ci ho riflettuto su…» «Ah, bene: dimmi…»
«Beh, sai, pensavo di accettare la vostra proposta… Ovviamente -mi precipitai a precisare, ma in realtà solo per allontanare il mio consenso di un attimo- tutto è subordinato al fatto che anche Marica sia d’accordo…»
«Beh, è ovvio che tutto dipende da lei: se lei non accetta la parte delle condizioni che la riguardano, l’accordo salta e tu NON lavorerai con noi…» mi disse in tono soave.
Io sorrisi annuendo, ma poi il sorriso mi si gelò sulle labbra, quando compresi il messaggio: la chiave di volta era quindi mia moglie…
Eccazzo, la convincerò, accidenti! Tanto, poi, non mi sembrava così dispiaciuta, mentre faceva certe cose!
«Tranquillo, Stefano: Marica sarà felicissima di accettare… e venire a lavorare nel vostro Ufficio Progettazioni!»

Angela, sul furgone, è diventata decisamente amabile: ci ha perfino chiesto se avevamo sete e quando abbiamo entrambe annuito, ha frugato dentro un minifrigo e prese una bottiglietta di aranciata ed una di cocacola. «So che tu bevi solo Coca, vero Marica?» La voce, felpata da un tono garbato e colloquiale, ha una sottile vena di ordine. Ho garantito che io odio l’aranciata.
Allora stappa le due bottigliette e ce le porge.
Io e Sabrina ringraziamo e beviamo d’un sorso la bibita.
Mi sento subito piacevolmente ristorata, anche se il problema per cui non amo la cocacola, il fatto che mi viene da fare dei ruttini, mi mette un pochino a disagio.
Dopo qualche minuto, vedo che Sabrina fa ciondolare la testa ed ha lo sguardo un po’ imbambolato; mentre la osservo, la testa le cade sul mento e comincia a russare lievemente.
Penso che, poverina, si è stancata molto… ma poi il parlottare di Angela col caposquadra in una qualche lingua slava, mi fa intuire che la giornata di Sabrina non è ancora finita…

Stefano accostò l’auto e si fermò davanti all’osteria di un paesino arroccato lungo l’Haute Corniche.
«Bene! Direi che allora dobbiamo bagnare la tua scelta. Vieni!»
Entrammo nell’osteria e Stefano chiese due Calvados, al banco. Poi brindammo alla mia decisione.
«Senti, Sergio: vuoi mica firmarlo stasera stessa, dopo che avrai parlato con tua moglie, il contratto d’assunzione?»
«Stasera stessa?» Ero un po’ sorpreso dalla velocità in cui le cose stavano cominciando a succedere.
«Certo! Franco è il nostro legale, oltre che un amico e sono convinto che sul suo laptop avrà sicuramente un contratto standard d’assunzione al quale, senza dubbio, potrà facilmente apportare le modifiche che dovranno contemplare i nostri accordi.”
Annuii, senza trovare motivi per contrastare questa inaspettata accelerazione.
Finito il Calvados, ripartimmo e dopo alcuni altri chilometri, raggiungemmo Montecarlo.
Arrivati che fummo, fece una rapida chiamata col cellulare e poi mi disse che doveva incontrare una persona e mi diede appuntamento lì a due ore, tempo che trascorsi guardando le vetrine dei negozi, che esponevano cose stupende, ma a prezzi assolutamente folli.
Quando ci rivedemmo, mi fece salire in auto e riprendemmo la strada per Nizza, ma stavolta passando sulla litoranea, ad una velocità meno rilassata e con un dialogo praticamente assente.

Sabrina continua a dormire, mentre il furgone entra nel porto di Nizza; sono perplessa ed incuriosita, ma ricordo l’ordine che ho avuto di parlare soltanto se interrogata e nessuno si degna di darmi un’informazione, quale che sia.
Il veicolo, anziché svoltare verso il porto turistico, entra in quello commerciale ed alla fine si ferma accanto alla rugginosa fiancata di una piccola nave da carico, dalla quale stavano scaricando dei container.
Restiamo a bordo del mezzo e dopo pochi minuti veniamo raggiunti da un marinaio asiatico con in testa un lurido berretto da ufficiale, sceso dal cargo, che ci saluta cordialmente, con un sorriso ricco di denti ingialliti, e poi si apparta con Victor, che è sceso, parlando per un paio di minuti.
Poi tornano al pulmino, il marinaio guarda Sabrina, sorride soddisfatto e fa un cenno ad altri due marinai, di origine africana, che scendono portando facilmente una lunga cassa; Victor apre i portelloni posteriori ed i due marinai salgono portando la cassa.
Su indicazione dell’ufficiale, prendono Sabrina ancora addormentata (finalmente capisco la manfrina per dare l’aranciata a lei e non a me!), la posano delicatamente sulla lurida coperta che ricopre il fondo della cassa; poi appoggiano il coperchio e, afferrandola per i manici di corda, la portano a bordo.
L’ufficiale riceve da Victor una voluminosa busta, poi saluta e sale lo scalandrone.
Oltre che incuriosita, sono anche un pochino preoccupata per l’estetista: perché l’hanno portata, svenuta e drogata, a bordo di quel lurida carretta?
Mentre il furgone riparte, Angela mi guarda e sorride, maligna: «La vivace Sabrina è stata così brava, che le ho fatto una piccola sorpresa: una piccola crociera fino a Barcelona…» Fa una risatina sgradevole, poi prosegue: «Certo, non è una nave da crociera, con discoteca e piscina, ma non sono riuscita a trovarle altro…
Comunque, riuscirà senza dubbio a fare amicizia, a bordo: quella nave viene dalla Nigeria ed un guasto alle macchine le ha fatto perdere diversi giorni durante la traversata, già lunga di suo.
Così la nave è molto in ritardo ed ha dovuto sbarcare il carico molto velocemente, annullando la franchigia per l’equipaggio e ripartirà tra meno di un’ora per la Spagna, dove la attende un altro carico.
Ho casualmente saputo da un amico che stavano giusto cercando una donna disposta ad… essere carina l’equipaggio, durante questa traversata fino a Barcelona ed io avevo pensato a te; ti avrebbe fatto piacere essere al posto suo?
Pensa: diciotto uomini di equipaggio, africani e filippini, che sono in mare da venti giorni e che non vedevano l’ora di avere una franchigia qui a Nizza per andare a donne…»
Un brivido attraversa la mia fichina… di eccitazione!
«…invece il guasto ha mandato all’aria i loro osceni programmi e stavo per ordinarti di salire a bordo, a loro totale disposizione; sai, son brava gente, anche se allupati e magari non stanno troppo a pulirsi, specie i motoristi, prima di usarti a bordo: ma non sarà certo il farti palpare da un uomo sporco d’olio di macchina a sconvolgerti, vero?» Assentii, con un senso di orrore e di eccitazione frammiste insieme.
«Ma poi ho pensato che stasera Sergio, tuo marito, avrebbe voluto passare qualche minuto con te e magari anche parlare un po’ della proposta di mio marito ed avevo quindi un problema… problema che Sabrina mi ha aiutato a risolvere felicemente.
Dopodomani mattina sbarcherà in Catalogna, ma avrà comunque un biglietto ferroviario per tornare a Nizza.. ed un piccolo mio “cadeau” per il disturbo.
Sì, magari scenderà un po’ stanca… e dilatata in tutti i suoi buchini, chissà?, ma sai: guadagnare soldi vuol dire faticare, no?» Fa un’altra sgradevole risatina e mi guarda, sapendo che non replicherò, proprio mentre il caposquadra arresta il veicolo e ci lascia giusto davanti al Sea Master.
Torniamo a bordo e veniamo accolti da Marco e Franco: ci dicono che Stefano è andato via con mio marito e che Gus è partito in aereo per andare negli States.

Angela sorride ed invita i due nella sua cabina, per la mia… «…Vestizione!», dice proprio così.

Raggiungiamo la cabina dell’armatore e lei mi ordina di fare una doccia: «Lavati per bene, dappertutto; tempo massimo, dieci minuti, non un secondo di più!»

Appena in tempo, coi capelli ancora umidi, mi presento nel saloncino; loro sono seduti in poltrona e chiacchieravano, aspettandomi.

Angela mi ordina di stare in piedi, accanto al tavolino e comincia ad aprire i pacchetti dei suoi acquisti.

Man mano che mi passa, li devo indossare e, nel caso, aiutata da lei.

Mi porge un collare da cane, largo tre dita e con borchie appuntite, che mi allaccia al collo, bloccandolo poi con un minuscolo lucchetto.

Poi dalle borse estrae un paio di stivaletti stringati neri, che mi arrivavano a metà gamba, con una zeppa spessa dieci centimetri e con un tacco così alto che, in pratica, tutto il mio peso grava sulle dita dei piedi.

Dopo mi dà un abitino di latex nero, che è possibile stringere con un sistema di stringhe sulla parte posteriore e delle cerniere lampo che permettono di aprirlo lasciando in libera fruizione la mia fichina, o il culetto o le tette.

Ultimi tre articoli, un paio di larghe polsiere imbottite, di pelle nera e con un robusto anello ciascuna ed infine un cappuccio di pelle con le feritoie per gli occhi, che potevano essere chiuse con un lembo bloccato dal velcro ed una sorta di… sportellino che, invece, veniva bloccato da tre robusti bottoni automatici.

Dopo avermi fatto indossare questo strano articolo, estrae l’ultimo oggetto, una palla di gomma e me la mette in bocca, bloccandola poi con la chiusura del cappuccio.

Poi, passa dietro di me e tira le stringhe dell’abito, stringendolo fino a mozzarmi il respiro.

Alla fine, contemplano il risultato e sembrano soddisfatti.

Mi ordinano di servigli da bere e poi di mettermi a quattro zampe e mi usano come poggiapiedi…

Ormai ubbidire è già un riflesso automatico, per me, ma mi chiedo: cosa sono diventata, in questi due tre giorni?

Tornammo a bordo e trovai Angela, Marco e Franco con i piedi di appoggiati su spalle, schiena e culo di qualcuno in ginocchio a quattro zampe, e con un cappuccio di pelle, gambaletti con zeppe e tacco a spillo altissimo ed un abitino di latex strettissimo, il tutto nero e feci obiettivamente un po’ fatica a capire che si trattava di mia moglie Marica, così bardata.

Ero stupefatto, ma Stefano, quasi con indulgenza, la guardò e sorrise, poi parlottò con la moglie che infine concesse a Marica di venire nella nostra cabina anche a cambiarsi, visto che io e lei dovevamo anche parlare.

In cabina si tolse quella grottesca mise e nessuno dei due pensò fosse il caso di commentare; poi indossò ciò che trovò sul letto insieme ad un paio di scarpe décolleté, col tacco a spillo: un abito nero che le arrivava appena sopra al ginocchio e che lasciava la schiena scoperta in quanto la parte superiore, dopo averle coperto i seni, andava annodata dietro al collo.

Mentre si cambiava, seguendo le istruzioni di un foglietto dove le si proibiva di indossare intimo, gli esposi la proposta di Stefano, approfondendo su tutti i dettagli: le prospettive di carriera per entrambi, i due sontuosi trattamenti economici, la possibilità di diventare socio, l’importanza che anche lei accettasse perché tutto questo diventasse realtà.

Stranamente, la parte che credevo fosse meno ostica per lei, sembrava che la convincesse di meno; in fondo il suo lasciarsi usare io lo davo già per acquisito,visto cosa aveva fatto, davanti ai miei occhi, in questi giorni; e non credo poi che quel giorno, in giro con Angela, siano andate solo a fare acquisti…

Faceva un sacco di storie: parlava di dignità, di umiliazione, di uso, di vergogna.

Sembrava non capire che il nostro futuro era appeso ad un suo sì, un sì che, visto il suo comportamento in questi giorni, non pensavo che le costasse poi così tanto dare!

Sergio mi ha fatto solo una domanda, ma senza vera curiosità e tanto per farla, su cosa avessi fatto a terra:gli ho risposto, ma in modo molto vago, che Angela mi ha portato da un’estetista e poi mi ha fatto conoscere delle persone e lui ha accettato questa risposta con un lieve cenno della testa, ma senza farmi altre domande; domande alle quali sarebbe stato imbarazzante rispondere in modo totalmente sincero, anche e soprattutto se fatte da mio marito!

Ma lo vedo, che freme dalla voglia di illustrarmi le varie voci della proposta di Stefano e gli brillano gli occhi, per cui la domanda sulla mia puntata a terra -lo capivo amaramente- è solo un atto di cortesia, ma privo di reale interesse: si sgola a spiegarmi che in effetti cambiare lavoro, guadagnare più soldi, avere la prospettiva di poter diventare soci dell’azienda di Stefano era interessante, ma… ma lui dà per scontato che io accetti la parte di accordo che mi riguarda!

Lo vedo con occhi diversi: è pronto a vendermi, a passare sull’amore che mi ha giurato fino a due giorni fa, a calpestare la mia dignità di persona e di donna, a lasciarmi usare nei modi più umilianti ed abbietti, a farmi usare liberamente da chiunque ne abbia il desiderio e tutto solo per la SUA carriera ed il SUO benessere economico!

Io, usata in modo indegno, come oggi, con tutti quegli uomini che hanno abusato oscenamente del mio corpo, infilandomi i loro cazzi ovunque e riempiendomi del loro sperma…

Se solo ci penso… uhmm.. oddio… se ci penso… sì, mi sento la fichina palpitare, eccitarsi… oddio!!! Ma non è ancora sazia, dopo oggi?

Sergio mi guarda, alterato; lo guardo: «Allora?» mi chiede, con una vena d’ira e d’impazienza nella voce.

Lo guardo, con una sensazione di stretta alla gola: «Allora… Sì, va bene: accetto!…» dico, con un piccolo cenno della testa, rassegnata.

Fa uno sfolgorante sorriso, mi bacia e mi dice di tornare di là, tutto contento.

Seguendo le istruzioni di Angela, mi rimetto la palla in bocca e lo seguo.

Tornammo nel salone, proprio mentre il Sea Master si staccava dalla banchina per riguadagnare il mare aperto, trovammo i quattro che conversavano tranquillamente e mi sedetti su un divano, mentre Marica restava in piedi.

Prima di uscire dalla cabina, si era rimessa in bocca quella buffa palla di gomma ed aveva chiuso gli automatici del cappuccio che glie la bloccavano.

Mi coinvolsero subito in una conversazione sul cibo e mi invitarono ad esprimere un parere sui crostacei.

Parlando, mi accorsi che Angela mi guardava in un modo strano, come se, pur seguendo le mie parole con apparente educazione, volesse in realtà sentire altre cose, da me; capii che voleva conoscere, lei come gli altri, l’esito della chiacchierata con mia moglie e perciò, alla prima pausa della conversazione, buttai lì un: «Ah, io e mia moglie Marica abbiamo un po’ ragionato sulla vostra proposta…»

In tono falsamente distratto, ma puntandomi gli occhi da rapace addosso, Franco disse: «Ah, davvero? E… siete arrivati ad una decisione?»

«Mah, saremmo orientati ad accettare la vostra proposta»

«Orientati?» disse Stefano con un tono ironico nella voce.

Mi imbarazzò un attimo, il suo sguardo: quella gente voleva assumermi (assumerci!) ed io andavo a fare il dirigente: una figura che si assume responsabilità e prende decisioni! Non avrebbero sicuramente gradito » Tutti sorrisero.

Angela disse a Marica di sfilarsi il cappuccio, levarsi la gagball dalla bocca e sedersi accanto a me.

Poi la guardò, con un sorriso apparentemente dolce e le chiese: «Allora, Marica: accettate? Dimmi pure»

«Sì… abbiamo deciso di accettare la vostra proposta… in ogni sua parte” disse mia moglie, anche se con qualche piccola esitazione… ma forse era solo una mia impressione!

I sorrisi si ampliarono.

La prima a parlare, dopo pochi secondi, fu Angela: «Quindi, Marica, hai anche deciso di proseguire a eseguire ogni comando che io, o persone da me autorizzate a farlo, ti daremo fino a quando io, in totale autonomia, non deciderò di liberati da questo patto?»

Ho gli sguardi di tutti puntati addosso: quello autoritario di Angela, quello festoso di Marco, quello divertito di Stefano, quello glaciale di Franco, quello ancora ansioso di mio marito.

“Sì… sì, accetto… accetto ad eseguire ogni tuo comando…»

«Bene. Allora, da adesso in poi, visto che potrò disporre liberamente di te e che sono, inoltre, la moglie del tuo principale, ti rivolgerai a me, le rare volte che sarai autorizzata a farlo!, dandomi del Lei e chiamandomi Signora.

Hai capito??”

“Sì… sì, Signora”

L’ombra di irritazione che stava per velare il suo sguardo, svanisce quando, prontamente, mi correggo chiamandola Signora.

Capisco che, da quel momento in avanti, non potrò più disporre liberamente del mio corpo, ma la cosa, oltre a turbarmi e riempirmi di vergogna…comincia ad eccitare la mia fichina…

Ero felice che Marica avesse accettato: ora la strada era spianata. Sorrisi.

Stefano si scusò con noi e si appartò nel suo studio con Franco, per elaborare il contratto di assunzione di entrambi, «… con tutte le clausole del nostro accordo».

Dopo una ventina di minuti, tornarono, con diversi fogli che ci diedero da leggere; in pratica, ufficializzavano la proposta di Stefano, con indicati i ruoli, le mansioni, il (sontuoso!) trattamento economico per entrambi, oltre alla possibilità, per me, di diventare socio dell’azienda «…dopo un breve periodo di valutazione delle capacità professionali».

Un contratto a parte, sanciva la totale sottomissione di Marica alla Signora Angela Moretti, per cui lei avrebbe eseguito qualunque disposizione che la Signora le avrebbe impartito, pena la cessazione immediata di ogni rapporto lavorativo ed economico tra l’Azienda e noi.

Io lessi, annuii e firmai; vidi che Marica leggeva e rileggeva, ma alla fine anche lei firmò i fogli.

Sorrisi e pacche sulle spalle: eravamo entrati nel Gruppo, come disse Stefano.

«E adesso, una breve puntata a Bastia, in Corsica…» spiegò Stefano «… e poi si torna a casa!»

Dopo poco, François ci venne ad avvertire che la cena era pronta e scoprii che il tavolo da pranzo era apparecchiato con solo cinque coperti.

Guardai interrogativamente Stefano, che mi sorrise e spiegò: «Marica ci ha fatto sapere che lei preferisce mangiare in cambusa, con l’equipaggio…» Poi guardò Marica, con una luce severa nello sguardo e lei, dopo un attimo di esitazione, annuì.

Per cui ci accomodammo e i tre uomini mi coinvolsero in una conversazione sulle mie nuove, future responsabilità, mentre mia moglie, affidata al cuoco, spariva verso la cambusa.

Non so dire se, vedendo la tavola apparecchiata senza un posto per me, ci sono rimasta male o no; forse non tanto perché, in fondo all’anima, sapevo che mi aspettava qualcosa del genere.

Comunque sia, François mi porta in cambusa, mi getta addosso il grembiulino dell’altra volta e mi abbaia: «Cambiati!»

Oramai so cosa intende: sciolgo il nodo dell’abito, che mi ricade attorno ai fianchi e poi, infilando i pollici tra tessuto e pelle, spingo verso il basso, facendomelo ricadere come una corolla intorno ai piedi.

Comincio ad apparecchiare il tavolo della saletta equipaggio che comincia ad arrivare: prima Victor con Ahmed, un somalo con gli occhi cattivi, e poi Antoine, un possente congolese.

Evidentemente, Sasha è rimasto al timone e, suppongo, avrà mangiato qualcosa prima o, forse, verrà quando uno dei marinai salirà in plancia a dargli il cambio.

Si siedono e gli servo la cena e ogni volta che mi avvicino mi danno sculaccioni –tanto forti da farmi perdere l’equilibrio!- mi strizzano dolorosamente i seni ed il culetto, mi inseriscono le loro dita, anche due insieme!, nella fica e nel culo, il tutto ridendo ed insultandomi in una mezza dozzina di lingue o idiomi.

Comincio ad essere pentita di aver accettato: la nostra sicurezza economica, la nostra posizione, vale tutti questi oltraggi, questa vergogna, questi abusi?

Credo sia inutile dirlo: appena finita la cena, con ancora il tavolo apparecchiato, mi ci hanno buttata sopra, a pancia sotto, e poi ho dovuto subire altri insulti ed esplorazioni, prima di sentire il cazzo possente di Antoine che mi affondava dolorosamente nel retto. Nel frattempo, gli altri tre hanno fatto capannello davanti al mio viso, percuotendomelo coi cazzi duri e spingendomeli in bocca.

Ho sentito Antoine sfilarsi da dentro di me e mentre qualcun altro occupava il mio culetto, mi trovai, spinto profondamente in bocca, il suo membro, dal sapore amaro per essermi stato nel retto; non cerco neanche di vedere se è sporco o pulito, tanto so che devo succhiarlo, indipendentemente da come sia…

Si sfila dalla mia bocca, mentre lo sento pulsare per l’imminente eiaculazione e mi sento arrivare sul viso possenti getti del suo sperma, che comincia a colarmi dalla fronte, le guance, il mento.

Anche gli altri tre, dopo avermi squassato il culo a turno, mi vengono in faccia e mi trovo con una grottesca maschera di sperma.

Mi gettano sul pavimento e mi circondano; io non capisco, finché il primo, acre getto di orina tiepida non mi colpisce: vengo indegnamente innaffiata dal loro piscio e sembrano divertirsi particolarmente a dirigermi i getti sul viso…

Mi sento umiliata per esser trattata così dai quattro, che hanno goduto del mio corpo e poi svuotato su di me le vesciche, ma mi sento travolta dal treno del piacere, senza neanche toccarmi la fica, che ribolle di voglie oscene, nonostante la situazione umiliante… o forse, proprio per questa Un gesto automatico, mi porta a toccarmi il culetto… Ossantoddio!!! E’ aperto! Anzi, spalancato!!! Mi entrano dentro tre dita senza il minimo sforzo! Provo a mettere il mignolo… poi il pollice: adesso le sento, ma quanto mi hanno aperta?

Penso che prima di tutto ciò –sembrano mesi, ma sono solo due o tre giorni!!- Sergio doveva usare delicatezza per non farmi troppo male, per mettermelo lì e adesso… adesso ci entrerebbe di tutto!!!

Mi sento pulsare furiosamente la passerina e… è umida: cola…

Sfiorandola, la sento liscia e mi ricordo dell’accurato lavoro di Sabrina; mi chino per osservarmela -non avevo avuto un attimo solo di tempo per farlo!- e mi vengono le lacrime agli occhi: i miei bei peluzzi, che incorniciavano deliziosamente le mie labbrine piene… spariti!

Sono… oscena! Non è più una fichina deliziosa, sexy: ora è solo una fica da troia, gonfia e dilatata…

La cena era stata piacevole: mi dispiaceva un po’ che Marica avesse deciso di cenare in cambusa, mi sembrava scortese nei confronti dei nostri ospiti, ma loro non sembravano minimamente formalizzarsi.

Comunque la serata fu piacevole; dopo la cena, passammo nel salone a chiacchierare ancora amabilmente, ascoltare musica e bere.

Un pokerino ci permise di passare la serata, finché non decisi di andare in cabina.

Vedevo Angela che si strofinava, come una gattina, contro il marito e capivo che avevano programmi copulatori; in effetti, anch’io avevo voglia di stare con Marica, sia per chiederle conto del suo pomeriggio a terra, sia per farmi una sana, bella scopata con la mia deliziosa moglie porcella.

Franco e Marco augurarono la buonanotte e si diressero verso le loro cabine ed anch’io mi alzai per andare, ma Stefano, con uno dei suoi sorrisi ammalianti, mi fermò: “Adesso che sei dei nostri, è giusto che tu abbia anche un po’ di piacere da Angela: fermati, dai e vedrai che non rimpiangerai la cosa…”

Forse confuso dal whisky bevuto, feci un sorriso e mi avvicinai alla donna, con le ‘migliori’ intenzioni, ma… «Cazzo fai? Pensi, per aver firmato un contratto di assunzione, di potermi toccare??? Avrai il tuo piacere, ma potrai solo osservare quello che io e Stefano facciamo; se proprio non resisti, potrai tirarti fuori il cazzetto e spararti un seghino, ma nulla di più!»

Mi sentii come schiaffeggiato, da queste sgradevoli parole di Angela e decisi che me ne sarei andato in cabina.

«No, Sergio, non hai capito!» Stefano mi fissava con uno strano luccichio negli occhi «Tu adesso resti qui e ci guardi… è un… una cortesia che ti prego di farmi!!!” Il tono, però, era più adatto ad un severo ordine, piuttosto che ad una cortesia.

Mi risedetti, rassegnato, su un divano.

Stefano parlottò nell’orecchio della moglie per pochi istanti e poi lei, alzandosi il lungo vestito fino intorno alla vita, si inginocchiò su un tavolino, mostrandomi il suo splendido culo e il taglio della sua fica: era decisamente un gran bello spettacolo…

Stefano le si avvicinò, la baciò, l’accarezzò e cominciò ad accarezzale il culo e le cosce; poi le sue dita sfiorarono la sua fica che palpitava ed il suo buco del culo; immerse prima un dito, poi un altro nel sesso della moglie, a cui sfuggì un gemito e poi, con le dita lubrificate dal ciprigno di lei, le accarezzò, sondò e penetrò il buchetto posteriore.

Angela era in estasi e Stefano si staccò da lei; andò al frigobar e prese due bottiglie di Veuve Cliquot, le liberò dalle retine ed infine levò il tappo alle due bottiglie di champagne.

Al posto suo, tutto avrei pensato di fare, meno che mettermi a bere!!!

Lui, invece, tornò accanto alla moglie e le baciò il sesso palpitante ed il buchino.

Angela era decisamente eccitata e Stefano prese una bottiglia, piena e stappata, e le spinse il collo nel sesso: ero decisamente incuriosito!

Poi, cominciò a masturbarla col collo della bottiglia, con lenti e lunghi colpi e lo champagne, a causa dello sballottamento, cominciò a fuoriuscire dalla bottiglia, ad allagarle la vagina e poi a cominciare a schizzar fuori.

Angela gemeva, si inarcava, in preda ad un vero parossismo sessuale.

Stefano prese anche l’altra bottiglia e ne inserì il collo nello sfintere palpitante della moglie; poi cominciò a muovere anche quella bottiglia ed anche lì lo champagne cominciò ad andare in pressione ed a fuoriuscire dalla bottiglia.

Angela venne subito travolta da un orgasmo, urlando, gemendo, piangendo, divincolandosi, torcendosi, guizzando come un’anguilla, chiamando il marito, chiedendogli di smettere e di continuare, di fotterla, di trattarla come una troia, di piantarla con quel tormento…

Mi trovai il cazzo -durissimo!- in mano e mi masturbai, davanti allo splendore di quella donna che inanellava un orgasmo dietro l’altro, in una nuvola di champagne spruzzato dappertutto e in una scena dall’erotismo inimmaginabile.

Non resistetti molto e schizzai lunghi e potenti getti di sborra, sentendomi quasi mancare dal piacere.

Stefano, dopo poco, estrasse le due bottiglie, ormai vuote ed i movimenti convulsi dei muscoli vaginali ed anali di Angela, che ormai stava orgasmando ininterrottamente da un pezzo, provocavano lunghi getti dello spumeggiante vino, lasciandola infine esausta e tremante, ma al settimo cielo.

Stefano mi guardò, con sguardo sarcastico e mi disse che «se volevo» (ma avevo capito che era un ordine, non una concessione!), potevo andarmene in cabina: «Ah… prima che me lo dimentichi: ti “pregherei” (un altro ordine?) di astenerti dal fare sesso con Marica. Ci terrei proprio che mi usassi questa cortesia…» Lo guardai stupito e stavo per controbattere, ma… «… in cambio di tutto quello che vi abbiamo offerto, mi sembra un piccolo sacrificio, non credi?»

Mi trovai ad annuire e dopo aver augurato la buona notte, andai in cabina.

Trovai Marica, che dormiva, profondamente addormentata. La guardai, beandomi del suo bel corpo, e vidi che era stata completamente depilata: ascelle, fica, solco tra le chiappine… tutto sparito! Aveva un’aria… nuda, offerta, quasi oscena; notai due barrette che le trapassavano i capezzoli e, dopo che lei cambiò posizione nel sonno, ne vidi altre quattro, due su ogni labbro della fica, in alto e in basso.

Ero stupito della sua decisione: aveva sempre ironizzato nei confronti dei ‘borchiuti’, come lei chiamava chi portava piercing. Come si cambia, nella vita… e come non si finisce mai di conoscere anche la propria moglie!

Comunque, era piacevole guardarla, ma avevo le… batterie scariche e perciò non mi dispiacque poi troppo seguire il ‘consiglio’ di Stefano.

Mi svegliò lo scricchiolio attutito dello scafo contro il parabordo; eravamo attraccati, a Bastia in Corsica, visto che quella era la nostra destinazione.

Mi stiracchiai, pigro, nel letto ed allungai la mano per trovare Marica, ma trovai solo il lenzuolo stropicciato ed il cuscino con ancora il segno della sua testa.

Mi alzai e mi resi rapidamente conto che non era in cabina, né nel bagno.

Mi feci una doccia, un po’ irritato, poi mi sbarbai, mi vestii ed andai in cucina per una tazzina di caffè e per mangiare una brioche.

Chiesi a François se sapeva nulla di Marica e mi disse che era andata a terra da circa mezz’ora, con Angela (ci avrei giurato!) e che sarebbero tornate a bordo per il pranzo.

Mi sembrò che mi guardasse con un lampo di sarcasmo negli occhi e che la sua voce avesse una venatura di disprezzo ed arroganza… ma evidentemente mi sbagliavo: ormai ero un dirigente dell’azienda del suo padrone!

Angela mi aveva svegliato, picchiettando sulla porta della cabina e mi aveva detto: “Dai, datti una lavata ed indossa questo, sbrigati! Tra dieci minuti ti voglio sul ponte, ché dobbiamo andare in un posto!”

Quindi, nel tempo assegnato, arrivo sul ponte, vestita con un cortissimo abitino rosso fuoco, con davanti una scollatura a freccia che arriva fino all’ombelico e dietro uno scollo che arriva a mostrare il solco tra le natiche; la lunghezza è appena sufficiente a velarmi il pube, a condizione che stia dritta come un fuso. La mise è completata da un paio di scarpe rosse con altissimi tacchi a spillo e dal collare da cane.

Mi vergogno da morire: sono vestita (se ‘vestita’ è il termine giusto!) come una puttana ed Angela gode, evidentemente, della mia umiliazione, tanto che decide, anziché di chiamare un taxi, di andare nel posto dove siamo diretti, qualunque esso sia, a piedi ed in autobus…

Non è più una sorta di sporco, torbido, complicato gioco; è la vera umiliazione che provo leggendo gli sguardi vogliosi e le risatine eccitate dei ragazzotti, o le espressioni sdegnate delle vecchine con le borse della spesa, o l’aria falsamente indifferente dei businessmen che occhieggiano cercando di non dare nell’occhio e sudando copiosamente, mentre si allentano le cravatte e slacciano il colletto.

Alla fine di quell’orribile viaggio, siamo entrate in un piccolo negozio di tatuaggi.. No!!! Tatuata no!!!

Angela ride, sprezzante, del mio rifiuto, poi mi ignora e si gira a discutere col tatuatore, esponendogli i suoi desideri.

Il tatuatore mi dice di levarmi il vestito e di sdraiarmi sul lettino, poi prende i suoi attrezzi e comincia a fare il suo lavoro…

François ci avvertì che il pranzo sarebbe stato servito lì a trenta minuti, mentre sorseggiavamo, noi uomini, un aperitivo nel salone.

Ero sceso a fare un giro a terra ed avevo trovato Bastià –come la chiamano loro- una cittadina gradevole, dominata dall’antica fortezza genovese, mentre i tre si erano immersi in un’interminabile partita a carte.

Ero vagamente irritato dal fatto che mia moglie fosse sparita di soppiatto e quindi mi preparai mentalmente al pranzo di umore non sereno.

Stefano mi aveva chiesto perché fossi ingrugnito ed io mi confidai con lui, scatenando però risate e battute a mio danno tra di loro.

Poi, tornato più serio, ma sempre ridacchiando: «So che doveva andare in un posto con Angela.

Dai, vedrai che tra meno di mezz’ora saranno a bordo e, dopo mangiato, torneremo “a casa”, alla villa.

Io penso che sia meglio, per voi, ritornare a casa il prima possibile, in modo da potervi organizzare per cominciare il nuovo lavoro da noi… Che poi, considerando che abitate ad una quarantina di chilometri dall’azienda… pensavo… sarebbe quasi meglio che vi trasferiste lì vicino… E’ uno strapazzo, ogni giorno, fare tutti quei chilometri -magari con pioggia, neve o nebbia!- per venire a lavorare e tornare a casa… e poi un dirigente non ha, per definizione, orario: potresti finire anche a mezzanotte per dover ricominciare poi prestissimo, la mattina dopo…»

Sorrisi, con aria sicura: «Ti ringrazio del pensiero, Stefano, ma lì abbiamo comprato la casa che è il nostro… nido d’amore…» sorrisi a trentadue denti «…e ce la siamo quasi pagata tutta, col mutuo… Poi, lì in paese, stiamo benissimo: siamo poco più di cinquemila abitanti e ci conosciamo tutti e abbiamo un sacco di amici»

«Ma avete anche parenti, lì?» Si informò, il mio nuovo principale.

«Solo mio fratello, sposato… e un mio cugino, scapolone impenitente; Marcello è impiegato della provincia, mentre Virgilio, mio cugino, si occupa di rifornire negozi alimentari lì nel circondario»

«Ah, capito.. i vostri genitori sono altrove, allora…

Ehehehe… sai, essendo così bella, immagino che Marica abbia molti ammiratori lì; sbaglio?»

Feci un sorrisetto pieno di orgoglio: «Beh, in effetti ci sono molti che se la mangiano con gli occhi, specialmente quando nella bella stagione va a fare compere in bicicletta…” non so come, ma mi venne di fargli l’occhiolino, con un sorrisetto complice e lui sorrise di rimando «… pensa che il macellaio, piccolo, grassoccio, pelato, le sbava dietro: la riempie di complimenti, le fa sempre un abbondante buon peso e ho idea che la desideri molto…» continuai a parlare, vantandomi un po’ «… e anche il fornaio, ehehehe, pensa che le guarda sempre le gambe ed il sedere, quando è in mini o in pantaloncini… Sì, Marica è molto ammirata, in paese!»

Stefano aveva sorriso al mio discorso, ma poi vidi il suo sguardo perdersi oltre di me; incuriosito mi girai e vidi, laggiù in fondo, sul molo, avvicinarsi due donne: una aveva un sobrio vestitino estivo a fiori e un ampio cappello bianco, ma l’altra indossava uno sgargiante vestito rosso vivo estremamente corto, a quanto potevo vedere da così distante, e che ancheggiava vistosamente.

Mi voltai verso Stefano e, ringalluzzito dalle vanterie, feci una risatina: «Eheheheh; Stefano, hai visto che troione, quella in rosso?» «Uhm… sì… eheheh… ahahahahahhaah”

Non capivo, lì per lì, perché lo divertisse così tanto, il mio commento… ma poi, guardando di nuovo le due donne, capii… ed arrossii: erano Angela e… mia moglie!!!

Accompagnate da bordate di fischi e da battute che immaginavo scurrili da parte dei molti uomini che le guardavano passare, arrivarono finalmente a bordo.

Ero imbarazzatissimo ed incazzato a vedere come mia moglie si fosse conciata -con quel collare da cane, poi!- e per la figura da perfetto stupido che avevo appena fatto con Stefano, ma anche, forse, un pochettino orgoglioso che la mia Marica fosse così desiderata; era un turbine di sensazioni strane…

Marica mi passò accanto e mi salutò, rigida, con solo un cenno della testa; poi scomparve sotto coperta con la moglie di Stefano, mentre io rimasi a guardarle con la bocca aperta…

Sergio mi guarda con uno sguardo strano, mentre salgo a bordo: mi ha visto arrivare da in fondo al molo, mentre molti uomini mi guardavano, ridendo, fischiando, rivolgendomi battute e gesti volgari.

Ormai sto facendo quasi l’abitudine a queste imbarazzanti esibizioni orchestrate da Angela, ma l’imbarazzo e la vergogna erano comunque tante.

Angela mi conduce nel salone, dove vedo Franco e Marco, subito raggiunti anche da Stefano e mio marito.

Quando si sono tutti seduti, Angela mi ordina di piroettare lentamente su di me, dopo avermi tirato bene giù l’abitino, in modo da mostrare al meglio il mio pancino e la sommità del culetto, grazie alle due profonde scollature.

Quando sono girata di spalle, gli uomini vedono il primo tatuaggio, che il tatuatore mi ha mostrato, con uno specchio: un paio di manette sulla natica destra, in alto.

Stefano mi dice di avvicinarmi, poi me lo osserva e mi tocca la pelle, ancora dolorante ed un pochino gonfia. “Uhmm, bel lavoro! Brava Angela: proprio l’idea che avevamo in testa!”

Poi Angela mi dice di voltarmi e di alzarmi il vestito fino alla vita: eseguo, vergognandomi del tatuaggio che devo mostrare: un rettangolo orizzontale, con la scritta FREECOME, che nella parte inferiore diventa una freccia larga e corta, indelebilmente a marcare l’area appena sopra all’osso pubico; in pratica, segnala l’entrata libera al mio sesso; il rettangolo è in una posizione e di una dimensione tali per cui nessun intimo, salvo un paio di culottes, poteva completamente coprirla.

Se non riuscirò ad abituarmi a vederlo sbucare dalle sgambature e dal di sopra di qualunque costume da bagno, dovrò rinunciare ad andare al mare…

E comunque, il tatuaggio in alto sulla natica mostra il mio stato di schiava, come mi ha spiegato Angela gongolando; mi ha spiegato che normalmente nei due ‘occhi’ delle manette vanno tatuate le iniziali del padrone della schiava, ma quelle le avrebbero aggiunte in un secondo tempo, dopo aver deciso cosa fare di me.

«In pratica…» mi ha spiegato con un tono di perfida allegria «…sei come un’auto nuova, non ancora targata!»

Dopo aver esaminato il lavoro del tatuatore, Stefano mi fa indossare i bracciali imbottiti, poi me ne fa indossare un altro a ciascuna caviglia; come ho finito, controlla che le cinghiette siano ben chiuse, poi mi dice di levarmi il vestito e di seguirlo.

Lo seguo fino al vano motori, dove fa collegare da Victor gli anelli metallici delle polsiere ad un moschettone da montagna, attaccato ad un catena; le cavigliere, invece, sono unite a due catene che raggiungono due pulegge saldate alla base di due paratie parallele.

Così incatenata, mi viene messo il cappuccio di cuoio con la palla in bocca, restando muta e in un buio totale, e poi sento dietro di me il tipico tintinnio di un ‘alza-e-tira’, un congegno che permette, tirando una catena, di farne arrotolare una più grossa su un tamburo, con un sistema di moltipliche meccaniche.

In pochi istanti, mi trovo appesa per le braccia, in precario equilibrio sulla punta dei piedi; sento che le cavigliere, tirate dalle due catene, mi allargano implacabilmente le gambe fino a trovarmi appesa come un salame.

Sento una mano brutale che mi allarga le labbra della topina e poi mi sento invasa da un qualcosa di grosso diametro: con gli occhi della mente, ‘vedo’ che deve trattarsi di una sorta di cono affusolato per cui, più vengo calata dal marchingegno, più il cono mi invade e dilata il sesso; capisco che quello strumento di tortura viene fissato al pavimento e poi le catene delle caviglie vengono messe in trazione, fino ad allargarmi al massimo le gambe.

«Bene, adesso prova il meccanismo» sento dire a Stefano ed una serie di tintinnii e cigolii mi fa capire che la prova è in corso: è tremendo!!! Il meccanismo permette, tenendomi sempre le gambe divaricare al massimo, di farmi salire e scendere sulla sommità del cono: mi sento sforzare, dilatare al massimo, fa maleeee!

Sento la voce di Angela, soddisfatta: «Bene: l’avete sistemata!

Allora, piccola troia, mi ascolti?» Annuisco, ricordandomi l’obbligo di tacere che mi ha imposto.

«Bene; stiamo per salpare e ho idea che, se troveremo un po’ di mare mosso, la tua traversata sarà… movimentata.

Non è una cattiveria gratuita questa, mi credi?» Annuisco, cos’altro posso fare?

«E’ che la tua fica non è abbastanza larga, a nostro avviso, e questo è solo un modo semplice e pratico per risolverti il problema.

Ah, parlando di modifiche… Marica è un bel nome… un nome da persona interessante… ma tu da adesso non sei più una persona: sei solo una troia, una merda, un qualcosa che serve solo per dare piacere agli altri, per svuotare coglioni; per questo, essendo tu una nullità, d’ora innanzi, fuori dal lavoro, sarai chiamata “Null”. Ti piace, Null?»

Sto inzuppando di lacrime il cappuccio di cuoio, per l’umiliazione e per il dolore che le onde contro i masconi dello yacht mi provocano con l’atroce dilatazione, ma annuisco.

Lei si dichiara soddisfatta e va a pranzo, mentre sento intorno a me il parlottio, le risatine e i pizzicotti dolorosi degli uomini dell’equipaggio, mentre il Sea Master accentua le oscillazioni.

Non so quanto è durato il mio tormento: bendata ed immobilizzata così, il tempo passa ad una lentezza impressionante; so solo che dopo un tempo piuttosto lungo sono stata sfilata da sopra quell’orrendo cono dalla punta arrotondata e, quando già pensavo di aver finito di patire, mi hanno messa in un’altra posizione (stavolta con le gambe piegate) e quel tormento me lo hanno messo ad allargarmi dietro.

Quando, dopo un po’ –ma meno della ‘sessione’ nella fichina (ma ha ancora senso usare il diminutivo, dopo un trattamento del genere?)- i colpi del mare contro lo scafo erano sempre più violenti e le mie lacrime, ormai, avevano inzuppato il cappuccio di pelle, che cominciava a stringere sul mio viso; comunque mi hanno tolta da quella posizione e mi hanno sfilato il cono dal mio martoriato culo e mi hanno fatta sedere su una sorta di dondolo: al contatto, avrei detto che era una striscia di cuoio larga una trentina di centimetri; poi, usando le polsiere e le cavigliere, mi hanno fissata alle due catene di sospensione del marchingegno, lasciandomi con la testa penzoloni e le gambe aperte.

Subito sento in cazzo di qualcuno che si fa strada nella fica martoriata, strappandomi un gemito di dolore ed ho fatto capire che non volevo scuotendo ripetutamente la testa.

Allora mi tolgono il cappuccio e la gagball e vedo il viso di Angela a pochi centimetri dal mio.

«Non vuoi, povera piccina?» mi dice con tono mieloso.

«No, vi prego: mi bruciano da morire…» rispondo, piangendo.

«Ti brucia… cosa, piccina?» «La… patatina ed il culetto…»

«I… COSA??? Tu non sei una signora della buona società, Null: tu sei solo un giocattolo per persone che vogliono godere: uno svuotatoio di cazzi ed una leccatrice di fiche; quindi, d’ora innanzi, SEMPRE!, dovrai usare termini chiari ed espliciti, capito?» Annuisco.

«Allora: che problemi hai?» «Mi bruciano da morire la… ehm… la fica ed il culo: me li avete sforzati troppo…»

«Tanto per chiarire, una volta per tutte: voi avete firmato un contratto, in virtù del quale tu sei a mia totale disposizione… se mentre ti montano ti fa male, puoi fare solo una cosa: stringere i denti e sopportare stoicamente… Anzi, già che siamo in argomento: da ora in poi, chiunque avrà il sacro diritto di usarti come meglio crede e, quando avrà finito, tu lo ringrazierai e sorriderai, felice.

Questo è un ORDINE! Chiaro?»

Annuisco, anche se con gli occhi pieni di lacrime.

Anche lei annuisce e, altera, si rivolge a Sasha: «Ha capito quello che le era sfuggito; adesso è vostra, finché non arriviamo: fatene quello che volete, ma non lasciatele segni…»

Così Sasha mi infila il membro…pardon: il cazzo, nella… fica e comincia a… fottermi.

Pur avendo un bell’arnese… un grosso cazzo, si lamenta che non sente niente e così mi mette anche due o tre dita dentro. Victor, invece, mi viene dalla parte della testa, mi afferra per i capelli e comincia a chiavarmi in bocca, finché non gode, incitandomi poi ad ingoiare tutto.

Quando anche Sasha, dopo avermi… inculata, gode, è la volta degli altri…

Il mare era sempre più grosso ed io non vedevo mia moglie; dopo circa un’oretta non resistetti e mi alzai per andarla a cercare.

Franco, vedendo la mia aria preoccupata, forse un po’ da segugio, mi chiese se c’era qualcosa che non andasse e spiegai che andavo a cercare Marica.

Allora Stefano, che aveva ascoltato la mia risposta, rise brevemente: «No, lasciala tranquilla… sta tenendo un po’ di compagnia all’equipaggio e… li sta salutando…»

«Ma come…» protestai.

Mi guardò con uno sguardo di ghiaccio: «Non dimenticarti che da oggi tua moglie è nostra!!! Quindi farà solo ed unicamente ciò che NOI le diremo di fare… e di conseguenza, anche tu, nei suoi confronti, Chiaro, “socio”?»

Quanta perfidia, in quel “socio”… Annuii e mi risedetti, ormai domato.

Dopo alcune ore di sobbalzi, raggiungemmo alla fine il nostro porticciolo di partenza e, mentre ero in cabina per raccogliere le nostre cose, fui raggiunto da mia moglie, accompagnata da Angela (anzi: condotta! La donna teneva in mano un guinzaglio, collegato con un moschettone al collare da cane di Marica e la strattonava!)

Le disse di sedersi sul letto e lei obbedì docilmente; allora le tolse il collare borchiuto di rude cuoio e lo sostituì con un collarino nero.

Angela estrae da una scatolina un collarino di velluto nero, con la chiusura d’argento a forma di… mah, mi sembra una sorta di ‘otto’, ma poi, quando me lo getta ai piedi dicendomi di raccoglierlo, osservo il fermaglio e vedo che ha, in realtà, la forma di un minuscolo paio di manette.

«Quando sarai lontana da noi, o sul lavoro, dovrai SEMPRE indossare questo collarino che comunicherà, a chi sa capire questo segnale, che tu sei una schiava disponibile; perciò d’ora innanzi, chiunque ti chieda una prestazione sessuale, dovrà essere soddisfatto da te, con gioia.

Inoltre, da oggi non indosserai mai più intimo; anche in “quei giorni” sarai a fica e culo nudo: userai il Tampax.

Ovviamente, non dovrai MAI indossare altro che gonne e tacco a spillo e MAI stare con le cosce serrate e se qualcuno darà l’idea di volerti sbirciare sotto la gonna, tu lo asseconderai e gli sorriderai in modo incoraggiante»

Sergio la interrompe: «Scusa Angela, ma noi abbiamo l’abitudine di andare a fare footing al parco: con la gonna ed i tacchi a spillo, come si fa?»

Lei riflette brevemente: “Beh, allora potrà indossare, ma solo in quel caso!, le scarpe adatte… ma DEVE indossare una minigonna strech! Se qualcuno la sorprendesse con calzoni di qualunque foggia, la pena sarebbe la fine dei vostri rapporti con la nostra azienda… Non solo: ovviamente non avreste commenti positivi, sulle vostre capacità professionali…» conclude, con un sorriso corrosivo.

Sergio prova a controbattere, a tentare di difendermi: «Ma d’inverno fa freddo, con le gambe nude…» «Sì, è vero…» ammette perfidamente Angela «…ma del resto, correndo ci si scalda, no?»

Alla fine, sbarcammo. A Marica avevano fatto indossare zoccoletti con un altissimo tacco a spillo ed un miniabito bianco elasticizzato, con due profonde scollature davanti e dietro: in pratica, una specie di microgonna con larghe bretelle che dietro mostrava buona parte dell’inizio nel solco tra le chiappe e le manette tatuate, mentre davanti copriva a malapena le aureole dei seni, ma mostrando la parte superiore del tatuaggio ‘freecome’

L’equipaggio era schierato accanto allo scalandrone in modo formale, indossando tutti bermuda e maglietta uguali, una sorta di divisa e in una posizione che ricordava l’attenti dei militari –mi venivano in mente scene di film sulle varie marinerie- e sfilandogli davanti per sbarcare, Stefano sorrise, ringraziò e strinse la mano ad ogni marinaio; dietro a lui sua moglie scese allo stesso modo e così poi anche Marco e Franco.

La piccola cerimonia aveva il suo fascino, difatti molti sul molo e sulle altre barche assistettero vagamente interessati.

Quando fu il mio turno, mi uniformai al comportamento degli altri, ma stavolta François, Victor e via via gli altri, mentre mi fermavo davanti a loro, persero il loro aplomb marzialeggiante e ricambiarono il mio saluto con sorrisi beffardi o aperti sghignazzi; quando arrivai da Sasha, l’ultimo della fila, trattenne la mia mano nella stretta, mi sorrise arrogantemente e.. «Grazie a te, cornuto, che hai portato a bordo quella gran troia di moglie»

Lo guardai interdetto, stentando a credere a ciò che le mie orecchie avevano pur ascoltato e credo che rimasi con la bocca aperta.

Prima che potessi formulare una risposta, un qualsiasi commento, con la coda dell’occhio mi accorsi che dietro a me c’era movimento: mi girai e vidi!

Vidi che i marinai stavano ‘salutando’ mia moglie, palpandole il sedere, la fica e i seni e baciandola in bocca ma, cosa ben più grave!, facendole risalire l’abitino praticamente ai fianchi, con grande entusiasmo di chi stava assistendo al nostro sbarco.

Mi sentii avvampare il volto dalla vergogna, aumentata dal fatto che Marica, per quelle turpi attenzioni, li ringraziava pure, anche se con un sorriso fasullo incollato sul viso!

Quando dio volle, risalimmo sulle auto, sotto gli sguardi eccitati e divertiti dei presenti, e tornammo alla villa, il punto di partenza per questo viaggio verso l’abisso…

Tornati alla villa, Angela mi chiama e mi accompagna in nella camera di Marco, che ci aspettava; mi ordina di spogliarmi e stendermi sul letto e l’uomo mi sfila le barrette dai fori del piercing, sostituendoli con degli anelli dorati di un paio di centimetri di diametro.

Poi prende un saldatore elettrico e, in sei rapide ma brucianti toccate, salda gli anelli, rendendoli inamovibili.

Sentirmi strinare i capezzoli e le labbrine mi ha riempito gli occhi di lacrime, ma grazie a dio questo tormento è durato solo pochi istanti.

Per finire, salda anche la chiusura del collarino di velluto, fondendo la trama di nylon.

Ora i segni della mia schiavitù, della mia degradazione, sono inamovibili, come i due tatuaggi…

Piango quietamente per la vergogna.

Era quasi buio, ormai, quando io e Marica potemmo salutare i nostri ospiti e salire sulla nostra auto per tornare a casa.

Salutai i nostri nuovi datori di lavoro, misi in moto e uscii sulla strada, accodandomi ad un furgone da gelati che procedeva veloce.

Stavo per aprir bocca e parlare a mia moglie, ad un paio di centinaia di metri dalla villa, quando vidi gli stop del furgone accendersi, il suo retro alzarsi per una brusca frenata e.. e lo tamponai, violentemente.

Le cinture di sicurezza avevano fatto egregiamente il loro dovere, incollandoci ai sedili e perciò gli airbag ci avevano solo spaventato, ma lasciato incolumi.

Scesi e scoprii che non si poteva dire lo stesso della mia povera Astra: il laghetto sotto al muso mi fece capire che, al di là dei fari distrutti, della calandra rotta e del cofano ammaccato, il radiatore era fracassato…

A farla breve, mentre compilavo il CID, avvertii telefonicamente Stefano, che venne a prenderci dopo aver telefonato ad un’officina col carro attrezzi.

Dopo oltre un’ora, ritornammo alla villa dopo aver visto la mia Astra sul pianale del mezzo di soccorso e portata via per essere riparata.

Sollevai il problema di dover rientrare velocemente, visto che domattina dovevamo assolutamente andare a lavorare per licenziarci, ma nessuno di loro era disponibile a raggiungere il nostro paese per lasciarci davanti a casa nostra; tuttavia Stefano telefonò ad un tassista e dopo dieci minuti una Mercedes con la targhetta N.C.C. si fermò davanti alla villa.

Stefano mi assicurò che si era accordato telefonicamente con l’autista per il prezzo della corsa e mi diede, nonostante le mie blande proteste, duecento euro per pagarla; ovviamente apprezzai, intimamente: la gita ci aveva lasciato con appena circa un centinaio di euro e, se quello era il prezzo concordato, tanto meglio!

Stiamo per salire sull’auto a noleggio, dopo aver salutato tutti –io solo con un cenno della testa, una sorta di riverenza-, quando Angela mi blocca: «Ovviamente, arriverai fino a casa con questo abito indosso; ci sei sbarcata e mi sembra adeguato per arrivarci a casa.

L’autista è un nostro conoscente e quindi sapremo se ti sei cambiata… o se, contravvenendo ai miei ordini, avrai tenuto le ginocchia accostate. Ricordati che devi facilitare e soddisfare qualunque persona che abbia mire su di te!

Vai e… ci vediamo dopodomani, Null!»

Così ci accomodiamo sul divanetto posteriore e partiamo.

Mi sento ormai un oggetto e sento Sergio non più come un marito, ma come fosse una sorta di ‘dogsitter’, che mi porta in giro ubbidendo alla volontà di altri…

Dogsitter… sì, in fondo questo sono diventata: una cagna. Ho anche un nuovo nome, un nome secco e breve, Null, adatto ad un cane.

Una parte di me vorrebbe rifiutarsi, ribellarsi, mandare tutti al diavolo, marito compreso!, comprare una dozzina di galline ed andare ad allevarle spersa nella campagna, lontana da tutti e tutto…

Dall’altra, sono attratta, come ipnotizzata, da questa degradante situazione… e dal perverso piacere che sa scatenare in me.

Mentre faccio queste meste riflessioni, Sergio è anche lui intento a riflettere, probabilmente sulla sua ‘poooovera!’ macchina del cazzo che ha sfasciato da imbecille, l’autista mi interpella:

“Hai il collare da cagna… lo sei?” Presa in contropiede, annuisco.

Lui fa una roca risata volgare e lo guardo: oltre i cinquanta, con la pancia, aria volgare, manone da muratore, spalle e braccia decisamente muscolose.

Accende con una mano, senza neanche guardare, una luce sul montante tra le portiere e mi trovo illuminata.

Finisce di ridere e… “allora apri bene quelle belin di gambe.. e mettiti nel mezzo, così ti posso vedere bene la mussa!” 

Ormai sono condizionata ad obbedire… E’ Sergio che mi stupisce e mi rattrista perché non reagisce in alcun modo agli ordini che l’uomo dà a sua moglie!

Siamo ormai in autostrada e sfrecciamo verso casa, quando l’autista mi dice di tirar fuori le tette.

Eseguo e rifletto: lungo le autostrade ci sono autogrill e piazzali dove parcheggiano i camion; fremo, cercando di immaginare quali altre umiliazioni mi toccheranno prima di arrivare a casa: mi farà frugare nei corridoi tra gli scaffali degli autogrill, mi farà usare nei bagni delle aree di sosta o nelle cabine dei TIR o sui cofani delle auto da schiere di sconosciuti, mi farà… attendo gli eventi, con trepidazione… ma anche con una leggera eccitazione, lo ammetto! Il viaggio fu accettabilmente veloce; l’autista era bravo, anche se a volte si distraeva guardando nel retrovisore -appositamente orientato- le indifese labbra piene della fica di Marica od i suoi capezzoli ed arrivammo pochi minuti dopo le undici di sera, senza fare alcuna sosta, davanti alla nostra amata villetta bifamiliare.

Tirai fuori i duecento euro datimi da Stefano e li porsi all’autista, insieme a dieci euro come mancia.

Pensavo il tizio sarebbe stato grato e invece… «E gli altri?»

«Quali altri?»chiesi stupito ed allarmato…

«Ero d’accordo col signor Moretti per trecentoventi euro…» Sgranai gli occhi, in panico «… però, visto che c’è tua moglie, potremmo trovare un accordo…»

Mi trovai, mio malgrado, a fare un sospiro di sollievo… ma checcazzo! Ma cosa stavo facendo? Ero impazzito?

«Ecco, vedo che hai capito! Dai…» disse riaccendendo il motore «…ho sete e lì vedo un bar… scendiamo io e tua moglie e beviamo qualcosina” disse ridacchiando.

Mi sentii morire! «No, la prego, non qui!!! Ovunque. Ma non proprio davanti a casa!!!»

Una risata roca, da fumatore «Ti vergogni di essere becco e sposato ad una baldracca? Eheheh… va beh, infondo sono un buono…»

Ripartì guardandosi intorno e dopo un paio di chilometri trovò un bar, lungo la statale che lo soddisfaceva.

Fermò l’auto abbastanza vicino, sfilò la chiave ed abbaiò a Marica di scendere; anch’io aprii la portiera, ma lui mi bloccò «No, stronzetto! Tu resti qui, che non mi facciano danni alla macchina: dentro ci andiamo io e la tua troia…»

Mi sentii avvampare, ma obbedii.

Li vidi entrare nel bar, lui che teneva la mano sul culo di mia moglie, come fosse roba sua (ma, in effetti, aveva poi torto a pensarlo?) e lei con l’abitino di microfibra che saliva impercettibilmente ad ogni passo.

Impallidii, ma non resistevo: come entrarono nel bar, scesi e mi misi accanto alla vetrina, a guardare dentro.

C’erano una dozzina di persone e non mi sembrava di conoscerne nessuna; loro andarono al banco, mentre le conversazioni si interrompevano e tutti guardarono mia moglie, e si sedettero su due sgabelli; notai, con panico ed orrore, che sedendosi l’abitino era risalito, in modo tale che ora l’orlo lasciava vedere un centimetro delle chiappine nude di mia moglie seduta sullo sgabello: in pratica, sedeva nuda sull’imbottitura di similpelle.

L’autista ordinò una birra per sé ed una coca per Marica e poi vidi che abbassava la sinistra, mentre beveva e glie la metteva tra le gambe.

Inutile dire che lo spettacolo imprevisto aveva come ipnotizzato gli avventori e per quasi un minuto restarono come pietrificati a guardare; poi, un ragazzotto ridacchiante, si alzò dal tavolo degli amici e si diresse al banco, dirigendosi verso il punto proprio accanto alla mia donna.

Passando, quasi casualmente, alzò la mano e infilò l’indice sotto l’orlo dell’abitino, proprio all’altezza del solco delle natiche!, e lo fece risalire di dieci centimetri buoni, girandosi poi verso gli amici per strizzare l’occhio, sguaiatamente.

Marica non ebbe alcuna reazione e continuò imperterrita a sorseggiare la sua coca, mentre l’autista continuava a frugarle tra le cosce, sorseggiando la sua birra.

Un amico del ragazzotto si alzò dal tavolo ed andò dal suo amico ma, stranamente!, si mise dietro, tra l’amico e mia moglie: vidi la sua mano accarezzare il culetto di lei, alzandole ancora l’abito fino alla vita e lasciando in piena vista il tatuaggio, e poi accarezzarle il solco, facendoci scorrere dentro il medio.

Vedendo che mia moglie non reagiva assolutamente, si fece più ardito e, dai movimenti della sua mano, capii che gli aveva spinto il dito tozzo nel culo, cominciando poi a masturbarla.

Gli altri due amici ed un altro, da un altro tavolo, allora si alzarono e fecero capannello dietro a Marica, mentre l’autista le mormorava qualcosa, ostruendomi completamente la visibilità.

Mi sento nuda, esposta, offerta: l’autista giocherella con la mia… fica e si diverte a giocherellare con gli anellini tirandoli, unendoli, facendoli sfregare tra loro, mentre il tipo dietro di me mi ha piantato senza alcuna delicatezza un dito nel… culo.

Sento altre sedie che si smuovono e percepisco che altri stanno per arrivare: l’autista mi sussurra in un orecchio di tenere il culo sollevato dallo sgabello: puntando i tacchi sul poggiapiedi e facendo forza sulle cosce, obbedisco, ma la fintapelle aveva aderito alla pelle delle mie cosce e mi da una sensazione non piacevole.

Quasi subito, sento una mano che mi cerca la fica, un dito che mi entra dentro, un altro che sembra contare gli anellini e poi una mano che, dall’ampio decolleté, mi passa dalla schiena allo stomaco e risale ad un seno, esitando un attimo a trovare l’anellino nel capezzolo; poi se ne impadronisce e comincia a tirarmelo in tutte le direzioni.

Un’altra, nuova, mano mi abbassa le spalline dell’abito, che mi si raccoglie intorno alla vita.

Il padrone, esce dal banco prende l’apposito ferro e poi abbassa la serranda; penso che non uscirò da quel bar appena finita la mia cocacola…

Il padrone, sguardo deciso, baffoni e grembiule sui fianchi venne verso la porta e mi ritrassi di qualche passo. Lui mi diede un’occhiata bieca ed abbassò la serranda fino a mezzo metro dalla soglia: mi aveva precluso la visione dell’interno!

Dopo pochi istanti, l’insegna si spense ed io tornai mestamente alla Mercedes, ad aspettare.

Come il padrone abbassa la saracinesca, la gente del bar ride e si lancia: vengo palpata, frugata, pizzicata.

Si divertono ad afferrare gli anelli ed a tirarmi i capezzoli, a spalancarmi le labbrine della fica; poi uno trova un pezzo di spago e lo fa passare per gli anellini dei seni, portandomi poi in giro come al guinzaglio.

Sembrano bambini impazziti, mi fanno paura.

Uno mi fa chinare e mi spinge la cappella congestionata contro le labbra: le apro e lo spompino; mentre sono piegata così, un altro mi passa dietro e me lo appoggia, ma l’autista si fa sentire:

“No, niente fica e niente culo! Fatevi spompinare da questa baldracca e poi levatevi dai coglioni, ché dovreste essere più che contenti!”

Qualcuno mugugna ma il tipo è irremovibile.

Sento il cazzo che ho in bocca pulsare, prossimo a venire e mi aspetto di dover ingoiare i densi schizzi, ma lui lo sfila, me lo appoggia sulla fronte menandoselo e mi sborra in faccia.

Subito la tribù fa versi di giubilo e, in una mezz’ora, mi sono trovata a spompinarli tutti, facendomi coprire il viso e schizzare i capelli dal loro sperma, che poi mi cola lungo il collo e sui seni.

Dopo ogni sborrata, ricordando gli ordini della Signora, ringraziavo con un sorriso l’autore, provocando una tempesta di frasi oscene e di insulti molto umilianti… ma che mi eccitavano spasmodicamente.

Inutile precisare che durante il festival del pompino, chi non è impegnato con la mia bocca guarda, si masturba e si diverte a frugarmi nei buchini con le dita o tirando gli anellini o, ancora, si diverte a sculacciarmi ed a morsicarmi le tette…

Finita la kermesse, l’autista mi sfila l’abitino e me lo porge, ordinandomi di usarlo per darmi una ripulita e poi di rivestirmi.

Domino lo schifo ed eseguo, anche se il contatto tra la mia pelle ed il tessuto impiastricciato è particolarmente disgustoso.

L’autista mi sta portando verso la porta del bar, per uscire, quando uno degli avventori mi afferra per i capelli e mi gira il viso in piena luce:

«Ma io so chi sei!!!» Poi mi accosta la bocca all’orecchio e mi sibila: «Sei quella stronza, che fa tanto la santarellina, che abita in via Vecchia, in quella villetta bifamiliare…»

Legge il panico nel mio sguardo e prosegue: «Sei solo una baldracca… domani sera verrò con qualche amico per farti divertire…» Ride il tipo, pregustandosi la serata.

Sono terrorizzata, sputtanata, umiliata: in breve tempo tutto il paese saprà di me… vorrei seppellirmi, morire… anche se la fica mi pulsa, grondando miei umori…

Provo a evitare l’inevitabile: «Ma ci sarà mio marito…»

Il tipo ride sguaiatamente: «Tranquilla: se gli piace il cazzo, ce ne sarà anche per lui… se invece protesta, potresti dover andare a fare la troia anche all’ospedale, andandolo a trovare…» aggiunge, minaccioso.

Quando dio volle, uscirono.

Il vestitino di Marica mostrava ampie macchie umide, che lo rendevano praticamente trasparente e vedevo che aveva una sorta di crosta biancastra in alcuni punti del viso e del collo; alcune ciocche dei capelli, poi, erano incollate e rigide come spaghetti crudi.

Non mi costò fatica immaginare cosa fosse successo, oltre la serranda calata e, imprevedibilmente, sentii il mio cazzo irrigidirsi nei pantaloni!

Ma cosa mi stava succedendo? Mi eccitavo pensando alla mia adorata mogliettina alle prese con torme di uccelli arrapati, che la obbligavano a succhiare i loro cazzi turgidi, prima di schiantarglieli in fica ed in culo e poi…

Smisi malvolentieri queste riflessioni: la mia eccitazione era ormai al culmine…

L’autista si sedette sul sedile posteriore e fece sedere mia moglie accanto a lui.

Poi mi guardò con aria sospettosa: «Sai guidare?» «Sì, certo!» «Ecco: allora, mentre mi chiavo questa gran succhiacazzi della tua mogliettina, tu portaci a casa vostra175

Ero terrorizzato dall’idea che ci vedesse passare qualcuno! «Ma non sarebbe più comodo farlo in casa, nel letto?»

«No!…» fece un sorriso da squalo «…io sono un autista, vivo in macchina e trombo in macchina!»

Cedetti: «E va bene… Ma almeno andiamo più avanti, che c’è una stradina che…»

«No! Lo faccio da qui! Subito!»

Mi arresi e misi in moto: mi sembrava assolutamente superfluo, a questi punti, dire a mia moglie di accontentarlo.

Lei si era già tolta lo straccetto che indossava –non me ne ero accorto!- e con movimenti lenti, come fosse in trance, obbedì all’autista, che la fece inginocchiare sul sedile, facendole premere le natiche contro il finestrino.

Mentre guidavo, incrociavamo altre auto ed io avevo il terrore che guardassero il finestrino, contro il quale era stampato il culo di mia moglie, ma era un terrore frammisto ad una sorta di torbida… speranza.

Comunque, fatto neanche un chilometro, si fece venire Marica sopra, ad impalarsi sul suo (grosso!) cazzo duro, ma illuminata dalla luce interna e girata in avanti, in modo che ci incrociava potesse vederle i seni nudi.

Lo sentii grugnire e poi muggire, mentre allagava la fica di mia moglie a diverse centinaia di metri da casa nostra; la fece sfilare dal suo uccello, usò distrattamente il povero vestitino di lei per pulirsi e poi abbassò il finestrino e lo gettò fuori, con fare distratto.

Vidi volare via dallo specchietto l’abitino, ma lui mi intimò di proseguire.

Arrivato davanti a casa, accostai e spensi il motore.

«Beh, allora come facciamo coi soldi?» chiese rapacemente l’autista.

«Aveva detto che avremmo trovato un accordo…» mi guardò con aria feroce «…ma comunque fino a trecentoventi dovrei arrivarci…» cercai di blandirlo.

«Trecentoventi???»

«Beh, lei aveva detto…» «Sì, lo avevo detto, ma per colpa vostra ho perso un sacco di tempo e sono ancora qui, a quest’ora, invece di essere quasi a casa! Adesso o mi date trecentocinquanta euro o andiamo a discuterne dai carabinieri!!!»

Trasecolai: dovevo pagargli anche il tempo che aveva impiegato per chiavarsi mia moglie!!!

Frugando nel mio portafogli, in quello di Marica e dandogli fino all’ultima monetina che avevamo, riuscii a mettere insieme trecentoquarantasette euro e settantacinque, che accolse sbuffando.

Ci guardò con uno sguardo tra l’irritato ed il disprezzante, attese che scaricassi le nostre borse dal bagaglio senza aiutarmi, che Marica scendesse nuda dalla sua auto e partì, sgommando, senza neanche un cenno di saluto.

Riuscimmo ad aprire il portoncino proprio mentre un’auto di passaggio ci illuminava coi fari.

La mattina dopo, ci svegliammo stravolti di stanchezza, ma ci facemmo forza ed una doccia calda prima di due tazze di caffè e due brioches cotte al micro-onde, ci misero in grado di partire coi nostri scooter per raggiungere i nostri posti di lavoro, per l’ultima volta.

La notte prima, tornati finalmente a casa nostra, tenevamo gli occhi bassi, ognuno di noi ripensando a cosa aveva accettato e fatto in questi pochi giorni; Marica si fece una lunga doccia bollente, mentre io mettevo via le cose che ci eravamo portati per quella “banale” gita.

Poi, senza quasi una parola, ci eravamo messi a letto ed io avevo sentito quasi subito il respiro regolare di Marica, sprofondata quasi all’istante in un sonno profondo.

Andai ad incontrare il responsabile della ditta dove lavoravo, dissi che mi volevo licenziare con decorrenza immediata e che, se ci fosse stata qualche penale da pagare, non avrei avuto problemi a pagarla.

Il mio capo (ex capo, ormai) si alzò dalla scrivania, mi venne ad abbracciare in modo paterno, mi disse che andava bene così, mi chiese -con sincero interesse- cosa avevo trovato e, avuta una sbrigativa (e forse vagamente reticente) risposta, mi augurò ogni bene, con affetto.

Il mio burbero ex principale, riuscì a darmi un addio quasi commovente.

Avevo scelto una gonna più lunga del mio solito, per il passo d’addio all’azienda dove lavoravo: ero terrorizzata dall’idea che, essendo senza intimo, qualcuno dei miei colleghi potesse riformulare il suo concetto su di me. Per non rivelare il piercing ai capezzoli, invece, avevo scelto una ampia camicia unisex di taglio militare, con spalline e tasche sul petto.

Sono andata dal mio dirigente e gli ho spiegato che devo licenziarmi con decorrenza immediata e lui si è dimostrato sinceramente dispiaciuto; poi mi hanno fatta girare per diversi uffici e alla fine mi hanno comunicato l’importo della penale che avrei dovuto pagare.

Alla fine dei giri, vado nel mio ufficio, portando un grosso vassoio di paste ed una sporta con dentro bottiglie di spumante, di aranciata per gli astemi ed un pacco di bicchieri di carta.

I miei colleghi mi festeggiano affettuosamente, felici anche dell’imprevista mezz’ora di relax; quando, dopo aver bevuto e mangiato un paio di bignè con loro, sgombro delle mie cose la scrivania, svuoto dei miei files il computer con la chiavetta USB, guardo con un velo di rimpianto, per l’ultima volta, la mia postazione di lavoro e poi saluto i colleghi; chi con solo un sorriso ed una stretta di mano, chi con un abbraccio, chi con anche uno scambio di baci sulle guance.

L’ultima è Concetta, una donna austera, sempre vestita di scuro e coi capelli, ovviamente neri, tagliati a caschetto; le sorrido e le tendo la mano, visto il suo formalismo, ma lei inaspettatamente mi abbraccia e mi bacia sulle guance; stupita, contraccambio con calore e simpatia, ma lei mi sussurra, rapidamente ma con tono molto deciso: «Ho notato il tuo collarino: ti aspetto nei bagni prima che tu vada via!»

Il sorriso mi si gela sulle labbra, ma annuisco e fingendo una gaiezza che ormai non provo, la assecondo.

La trovo davanti ai lavabi, nel servizi femminili: mi squadra rapidamente e, indicando un cubicolo col pollice mi dice solo: «Dentro!»

Entro nel cubicolo e lei mi segue, chiudendo la porta.

«Slaccia la camicia ed alzati la gonna!»

Obbedisco, soggiogata dal tono glaciale e duro come l’acciaio.

Lei tocca i piercing nei capezzoli, guarda il tatuaggio sul pube, mi ordina di girarmi e sento le sue dita sfiorare lievemente il tatuaggio sulla natica.

Poi, dopo avermi fatto ancora girare, mi mette una mano tra le gambe e, come trova i quattro anellini anche lì, le sue labbra sono increspate da un’ombra di sorriso feroce. Poi mi fissa:

«Spiegami, pezzo di troia: perché non hai le iniziali del tuo padrone tatuate sul culo?»

«Perché mi stanno addestrando… –esito un attimo e rifletto, ma poi capisco cosa vuole sentirsi dire- …Signora, e non hanno ancora deciso a chi consegnarmi definitivamente…»

«Uhm… la tua educazione è già a buon punto: ti ho vista cambiata, oggi, rispetto a com’eri venerdì: o sei molto ricettiva od hai dei maestri estremamente abili..

Bene; adesso non ho tempo, ma dammi il tuo cellulare e mi farò viva per farti mettere a mia totale disposizione.

Ora rivestiti, baldracca, e levati dei coglioni!»

«Sì, Signora, grazie!»

Esco dal cubicolo dopo di lei, raggiungo il parcheggio, salgo sullo scooter e riparto, diretta a casa, ma riflettendo sulla reciproca scoperta con Concetta Fatti i pochi chilometri per arrivare a casa, rifletto sul fatto che per la prima volta, da quando ci conoscevamo, io e Sergio eravamo liberi da un qualsiasi lavoro; sì, d’accordo: avevamo il posto nuovo che ci aspettava, ma quello lo avremmo affrontato da lunedì! Adesso potevamo goderci la serata di questo giovedì poi domani ed il canonico weekend, serenamente!

Sorridendo serena, progetto una cenetta sfiziosa e, coi soldi che ho ritirato al bancomat stamattina (il viaggio della sera prima ci aveva lasciati senza un centesimo… tra le altre cose: sento la topina… ehm… la fica inumidirsi al ricordo!) decido di comprare un po’ di pane fresco, qualche pesca, una lattuga, pomodori, sedano e cetrioli per una bella insalata e delle cipolle e poi un po’ di fegato, tagliato fino fino, per farlo alla veneziana, come piace a Sergio, e col mio piccolo tocco segreto: una spruzzata di aceto…

Avendo –finalmente!- tempo,invece che andare al supermercato mi fermo dal panettiere che mi guarda con aria vogliosa, mi da le tre biove richieste e mi saluta tetro, poi dal verduraio e, con ritmi tranquilli, rilassati, scelgo i miei acquisti, piacevolmente avvolta dalla gentilezza della fruttivendola.

Poi prendo il mio scooter e procedo per un centinaio di metri, fino alla macelleria che ha una eccellente carne, anche se il padrone è un tipo un po’ bavoso, con le donne.

Sono quasi arrivata ed incrocio un’auto appena ripartita dal marciapiedi…che buffo! L’uomo alla guida mi sembrava Sasha, il capitano del Sea Master…

Evidentemente, quell’esperienza mi è rimasta davvero impressa, per aver l’impressione di vederlo qui, a centinaia di chilometri da dove sia logico incontrarlo.

Non devo pensare a certe cose!!! Mi sento tutta la fica umida… ed anche un po’ le cosce, camminando…

Sorrido: dai, facciamo le bambine per bene!!

Entro nel negozio e attendo pazientemente il mio turno: ho un ragazzino, un anziano, una donnetta ed una straniera, davanti a me, ma noto il padrone che mi accoglie con un grande sorriso ed un “Signoraaa!” di evidente gioia; rispondo con un “Buongiorno!” allegro e con un sorriso, anche se è la prima volta che mi riserva un’accoglienza così cordiale.

Lui e la sua commessa servono le persone davanti a me, ma quando la donna sta per servirmi, lui le dice di occuparsi del cliente dopo di me, ché vuole servirmi al meglio, personalmente.

Aspetto che la sudamericana sia servita e me lo trovo davanti; gli chiedo del fegato da fare con le cipolle e lui, invece di prendere quello che ha nel banco refrigerato, mi dice che ne ha di migliore nella cella frigorifera.

Apprezzo la cortesia e gli dico di prendere quello, allora, ma lui sorridendo goloso: «Sì, ma venga anche lei a vedere che bei pezzi di carne che ho, nel retro…»

Mi sto scocciando: ci prova! Sto cercando le parole per pretendere il fegato sul banco, ma aggiunge, allusivo: “Una signora così fotogenica, deve assaggiare la mia carne migliore… venga con me, che è meglio! Devo anche parlarle…»

Sono impietrita! Che fotogenia? Di cosa mi deve parlare? Guardo quel piccolo, pelato uomo con la pancia che mi fissa deciso, con sguardo sicuro e…e lo seguo.

Andiamo nel retro e gli sparo la domanda che mi urge sulle labbra: «In che senso, fotogenica?»

Lui ignora il mio quesito, apre la cella frigorifera e mi invita a seguirlo all’interno, ma con fare meno cerimonioso.

Andiamo fino in fondo, passando in mezzo a quarti di bue appesi, fino ad un bancone.

«Ecco, bella fica! Questo è il fegato che ci vuole per te!» Bella fica?? Ma come si permette?

Sto per protestare quando alza il grembiule e mi mostra il cazzo «Ma devi assaggiare per bene anche questo taglio pregiato!»

Esplodo: «Ma come si permette??? Ma per chi mi ha preso?»

Lui, serafico, mi guarda, sempre tenendo la base del suo uccello tra due dita e facendolo oscillare commenta, sornione: «Lo sai che ci sei restata molto bene, in quelle foto?»

«Foto??? Che foto???» Sento montare dentro di me un’ondata di panico e la mia mente sembra riempita di ovatta: non riesco più a pensare, a riflettere…

«Quelle che aveva il tizio che mi ha chiesto se ti conoscevo… “Altroché -gli ho detto- è una signora che ogni tanto viene a fare acquisti qui e che abita in via Vecchia…”

La prima era una foto carina: tu sdraiata a pancia sotto su una barca, nuda: hai davvero un bel culo, fichettamia…

Comunque, dicevo: come dico “signora”, quello si mette a ridere ed io gli chiedo cosa c’è.

“Niente niente -fa lui- ma ho altre foto dove si capisce che questa NON è una signora”e giù a ridere…

Lo guardo curioso, vagamente intrigato e ingolosito, ma anche divertito: ho sempre sognato fotterti, troietta, o almeno vederti nuda e porca…

Lui capisce il mio sguardo e mi mostra un’altra foto: ci sei rimasta bene, cazzo!!! Davvero fotogenica coi tuoi occhi belli, il tuo nasino carino e le tue belle labbra strette intorno al cazzone di un negro!!!

Gli dev’essere piaciuto, perché in quella dopo si vede bene che ti sta sborrando in faccia… e non mi sembri tanto dispiaciuta, zoccola!!!

Poi altre, dove si vede quanto godi ad essere chiavata ed inculata da diversi maschi… ed una con quel cornuto di tuo marito, con la faccia ancora più da coglione del solito, che se lo fa succhiare da te, con intorno altri uomini…»

Mi guarda con aria trionfante e mi fa, insinuante: «E scommetto che per non perdere tempo a prender cazzi, non porti neanche mutande… Tirati su la gonna!!!»

Obbedisco e, alla vista della mia fica nuda, sorride felice, come se tutto quello che avesse visto in foto fosse stato solo una cosa incredibile, un complicato scherzo che gli avevano fatto.

«Mi sembra che, rispetto alle foto, hai cambiato… pettinatura, lì sotto…» ride sguaiatamente «…mi piace la tua fica rasata: è ancora più… nuda, più offerta!!!

E che belli, quegli anellini! Anche quelli una novità, mi sembra… Sbaglio?»

Annuisco «Dai troia: levati quella cazzo di camicia e fammi vedere le tettone da vacca che hai…»

Faccio come dice e sorride, vedendo che anche nei capezzoli ho due anellini. Ridacchia, lo vedo riflettere e poi si gira, apre un cassetto e tira fuori una matassa di spaghetto, di quello per fare salcicce e salami; poi passa l’estremità dello spaghetto nell’anello di un seno, raggiunge i due anteriori delle labbrine della fica e li unisce, poi va all’altro capezzolo e torna ad impegnare i due sotto, liberi; da lì impegna gli altri due, poi tornala primo capezzolo, tira il cordino obbligandomi a piegarmi dalla dolorosa tensione e blocca il nodo con un piombino.

Contempla soddisfatto la sua opera, mi tasta e mi palpa come fa con gli animali da acquistare e poi…

«Adesso, da brava, inginocchiati e…»

Arrivai a casa e, come pensavo, Marica non era ancora arrivata.

Nella grande azienda dove lavorava, sarà dovuta andare per uffici, poi sapevo che aveva intenzione di portare da bere e delle paste per salutare i colleghi e poi prendere tutta la sua roba, salutarli tutti… magari uno per uno… magari qualcuno più e meglio degli altri… e magari non limitandosi a stringergli la mano, ad abbracciarli, a scambiare baci sulle guance… magari qualcuno, in quell’ultima occasione di incontro, le avrebbe appoggiato una mano sulle chiappe e, se avesse già fatto quel tipo di approccio, quella volta si sarebbe stupito della remissività di mia moglie, della libertà che lei avrebbe accordato alle sue manovre, del sorriso consenziente che avrebbe fatto e allora, reso più ardito da questa nuova disponibilità, magari –se Marica aveva portato del vino- avrebbe fatto sembrare la cosa come una sorta di goliardata un po’ spinta e magari gli altri avrebbero riso e si sarebbero uniti nel gioco delle mani sul corpo di mia moglie…

E se qualcuno poi, accarezzandola da sopra gli abiti, avesse scoperto od intuito che la loro collega, la loro quasi-ex-collega, era priva di intimo, beh…

Uscii dal turbine di questi torbidi pensieri e riflettei su quanto io fossi, in una settimana, cambiato profondamente: venerdì scorso avrei fatto sfracelli, a sentire un complimento appena pepato su Marica, mentre adesso, invece… non solo avrei accettato e incoraggiato, ridendo, quei commenti, ma addirittura mi trovavo come sdoppiato, ad osservarmi –dal di fuori, come se fossi una terza persona!- mentre guardavo mia moglie usata ed abusata da altri e, anziché provare rabbia o disgusto o comunque ribellione… accettavo pacatamente, quasi con gioia il fatto che altri, indistintamente, attraverso le loro più torbide fantasie, potessero trarre piacere dal suo corpo e dalla sua totale, fattiva, disponibilità.

Compresi di essere diventato un cornuto, consenziente, disponibilissimo e capii che, in realtà, il mio non voler vedere e sapere, nascondeva ai miei stessi occhi questa pulsione che, evidentemente, era in me da tempo.

Provai vergogna, ma anche uno strano senso di orgoglio, di liberazione, a fare questi ragionamenti e riflettei che l’ultimo passo che ancora mi mancava per arrivare in fondo alla mia degradazione di marito era istigare altri a possedere mia moglie…

Sì, vero, ma offrirla… a chi? Lì in paese c’erano diversi che –lo sapevo bene: Marica me lo aveva confidato più volte, ridendo- avrebbero voluto… “prendersi delle libertà” con lei, ma… no, meglio di no: lì in paese ci vivevamo, eravamo stimati, rispettati, integrati e se si fosse risaputa una cosa del genere, brrrrr…

Se Marica fosse andata, anche solo una volta!, con uno del paese, in tempo ventiquattrore sarebbe stata sulla bocca di tutti… e nei sogni di moltissimi!

No; se volevo fare quest’ultimo passo, magari anche assistendo alla monta di mia moglie da parte di un altro (UN altro? E se fossero più di uno??? Sentii il morso dell’eccitazione stringermi i coglioni, al pensiero!), allora dovevo trovare qualcuno di fuori, qualcuno che non spiattellasse la troiaggine di mia moglie in paese.

Avevo saputo, da confidenze tra colleghi, che in certi luoghi, certi piazzali, certi parcheggi avvenivano… delle cose e, per un attimo, accarezzai l’idea di andarci con Marica, in macchina, e vedere cosa succedeva… Ah, già! La mia povera auto era in Liguria, sfasciata…

Pensai di parlarne con lei, ma poi ricordai che, visto che lei ormai era diventata una schiava sessuale, la sua opinione era assolutamente irrilevante. Sorrisi, carognamente: vaffanculo alla macchina: ci saremmo andati con lo scooter!

Il macellaio ha voluto che gli facessi un pompino, prima leccandogli il cazzo e la cappella e poi imboccandolo tutto; mi ha afferrata per i capelli e me lo ha spinto fino in gola, provocandomi un conato di vomito, fin oltre l’ugola.

Poi, così bloccata da quello spago che mi obbliga da una posizione semiranicchiata, impugna i miei capelli e, in pratica, mi scopa in bocca.

Dopo un po’, mi fa cadere sul gelido pavimento, mi volta senza alcun riguardo -non che me ne aspettassi comunque!- e sempre in quella scomoda posizione, mi incula, appoggiandomi la cappella congestionata alla rosellina del culo e poi spingendo con una spinta potente, insultandomi pesantemente e dicendomi che racconterà a tutti, al bar, di quanto io sia troia.

Mi sento avvampare di vergogna, di umiliazione ma anche di una sottile, sordida eccitazione: sto per diventare la troia, la cagna ufficiale del paese! Vidi arrivare Marica, col suo scooter; mi sorrise, ma vedevo che aveva un’aria turbata, non serena e solare come al solito.

Ero incuriosito, ma avevo anche una mia ipotesi; per cui le misi la mano sotto la gonna e le toccai la fica ed il culo.

Entrambi gli orifizi erano gonfi, socchiusi ed il culo era particolarmente dilatato e scivoloso, tanto che, senza praticamente difficoltà, le introdussi le quattro dita unite, piatte.

Sentivo le pareti interne del suo sfintere lisce e scivolose e, annusandomi le dita, sentii l’odore di sborra altrui.

Anche penetrandola con tre dita nella fica, la sentivo scivolosa di sperma e pensai che quella troia di mia moglie, in quel giorno così importante, si era fatta fottere da altri!!

Volevo vedere! Le diedi una spinta e la feci cadere sul pavimento; poi mi inginocchia le alzai la gonna e vidi il suo sesso, gonfio, allargato, tumefatto, arrossato, ancora luccicante di secrezioni sue e di altri.

La mia momentanea furia cedette il posto ad un altro, inaspettato, inconfessabile sentimento: mi gettai sulla sua fica, nuda ed offerta e cominciai a leccarla ed a mordicchiarla, eccitatissimo, lappando ed apprezzando lo sperma che ancora vi era contenuto.

Dopo una decina di minuti, Marica era venuta ed io avevo tutto il viso impiastricciato ed appiccicaticcio della sborra che lei aveva in fica ed in culo.

Scoprii con stupito panico che… beh, mi ero sborrato nei boxer… Leccare la fica ed il culo di mia moglie sborrata da altri, mi aveva eccitato!

Volevo farmi e farle delle domande, molte domande, ma mi resi conto che stavo scivolando nel sonno e non cercai neanche di impedire questo mio assopirmi.

Appena entrata in casa, ho sorriso a Sergio, anche se sono un po’ stanca: il macellaio aveva dimostrato energie insospettate ed era venuto due volte, sia scopandomi in fica che inculandomi.

Lui, però, mi butta in terra e, con mosse rabbiose, mi alza la gonna, scucendomi anche il piccolo spacco sulla coscia sinistra!, e poi si mette a contemplarmi la fica, toccandomela con mani meno delicate del solito e poi… ci affonda la faccia!

Sento la sua lingua che vortica sulle mie labbrine gonfie, poi che si insinua nello spacco e nel buchino, mentre con prima tre e poi quattro dita mi verifica la capienza del culo, prima di leccarmi anche quello.

Sono piacevolissimamente sorpresa! Si deve essere assolutamente accorto che i miei buchini sono scivolosi di sborra, che ha continuato a colare fuori imbrattandomi la gonna mentre tornavo a casa con lo scooter, ma nonostante questo… condimento, lui lappa via tutto, avidamente.

Nonostante la stanchezza, sento il piacere che monta, inesorabilmente, dentro di me e godo nella bocca famelica di mio marito.

Lo vedo, sento sempre più frenetico, sempre più parossistico e mentre l’onda del piacere monta dentro di me fino a travolgermi, mi rendo conto che sui suoi pantaloni chiari, tesi dalla pressione potente del suo cazzo, si sta allargando la macchia umida del suo piacere: per la prima volta, da quando lo conosco, è venuto senza neanche tirarselo fuori, travolto dalle sensazioni che la mia intimità appena usata (e da altri!!!) gli ha donato; anche lui, in questa settimana, è cambiato, ma mentre io ho solo dato sfogo alle pulsioni che –me ne rendo conto solo adesso!- sono sempre state annidate nella parte più profonda della mia anima, lui è diventato, da persona quasi indifferente al sesso, molto più interessato all’ambito sessuale e, forse, sono germogliati queii semi -che non immaginava neanche di avere!- da cui trae l’inconfessabile piacere nel vedere me -sua moglie!- a disposizione di chiunque voglia usare il mio corpo per il suo piacere.

Appena le ondate del piacere di entrambi rifluiscono, lo vedo assopirsi, scompostamente, sul pavimento piastrellato e lo guardo, con amore, affetto, riconoscenza e tenerezza.

Mi svegliai dopo un certo tempo, dolorante per essermi addormentato sul pavimento, e vidi Marica che stava preparando la cena. Si accorse del mio risveglio e mi sorrise, affettuosamente, accennando al fatto che sarebbe stato pronto lì ad una mezz’ora.

Perciò le posai teneramente un bacio sul collo e me ne andai sul divano, a guardare qualche cavolata in televisione.

Durante la cena guardammo, come nostra abitudine, i telegiornali di quella fascia oraria, commentando le notizie del giorno; poi, mentre mia moglie rigovernava, tornai a stravaccarmi sul nostro comodissimo divano, zappingando tra un canale e l’altro.

L’offerta, vista la stagione estiva, era scadentissima e decisi, perciò, di andare nel box a cambiare l’olio allo scooter ed a fare altri lavoretti, rimandati da sempre. Avvertii Marica, rimasi in boxer, poi presi la mia vecchia tuta da meccanico che uso per questi lavori, rabbrividendo per il piacere che il tessuto ruvido, ma fresco di –ennesimo!- bucato mi dava al contatto con la mia pelle e raggiunsi la piccola costruzione, passando dalla porticina interna.

Sto finendo di levare i piatti dalla lavastoviglie, quando sento suonare alla porta; strano! E’ raro che qualcuno venga a trovarci, senza averci avvertito…

Leggermente incuriosita, vado ad aprire, con indosso solo l’abitino senza maniche di cotone ed il grembiule annodato in vita, e mi trovo davanti il tipo che mi ha riconosciuta ieri sera, al bar dove mi ha portata l’autista. Insieme a lui, muta festosa di tre amici, di cui uno, orrore!, è il mio panettiere.

Rimango interdetta per pochi secondi, sufficienti a loro per varcare la porta di casa e chiudersela dietro.

«Baldracca! Ti avevo detto che sarei venuto con qualche amico, no?» ride il tipo del bar «E tra l’altro, ti porto Salvatore, un tuo ammiratore da anni ed anni…» accenna con la testa al panettiere, che ghigna e sembra sbavare come un grosso cane davanti ad un osso. «…poi un altro paio di amici, ai quali ho raccontato quanto sei puttana e aperta!

Dimmi, troia: quel cornuto di tuo marito dov’è?»

Rispondo meccanicamente, disorientata dalla domanda: «E’ giù, nel garage, che sta facendo lavori alla moto…»

«C’è una porta di comunicazione?» Annuisco e lui mi chiede di mostrargliela; arriviamo ad un portoncino metallico, che da dentro casa si può bloccare, contro i ladri, con un grosso catenaccio ed un ferro ed un’asta con un perno in fondo, che va impegnare un grosso anello saldato al centro.

Lui fa scorrere il catenaccio e mette l’asta; poi si gira e, ridendo, dice: «Finalmente soli!»

Mi afferra per un braccio e mi trascina in salotto, dove i tre si sono stravaccati, dopo essersi levati i calzoni.

Con una stretta ed una spinta, mi fa cadere in ginocchio davanti a loro e uno dei tizi mi afferra per i capelli, pilotandomi ad imboccare il suo cazzo fino in fondo; poi, sempre impugnandomi i capelli, comincia a… masturbarsi usando la mia bocca.

Gli altri due tizi, sconosciuti, guardano masturbandosi, mentre il fornaio mi pizzica le chiappe, mi sculaccia, mi stringe le cosce e si diverte a tirarmi gli anellini delle labbrine e dei seni.

Poi prende un grosso accendino che è sul tavolino e me lo spinge nella fica, incurante dei miei tentativi di svincolarmi e di protestare, nonostante l’uccello che mi avevano profondamente spinto in gola; sento le asperità dell’oggetto graffiarmi le delicate mucose del mio martoriato sesso e poi la sensazione fredda di uno sputo sulla mia rosellina posteriore.

Dentro di me apprezzo la delicatezza usatami: essere sodomizzata a secco, per quanto una possa essere dilatata, non è mai un’esperienza piacevole…

Mentre il fornaio mi incula, insultandomi in ogni modo (quanto livore ha, dentro di sé: capisco, dalla violenza delle espressioni che usa nei miei confronti, quanto fortemente e frustrantemente mi desiderasse…) gli altri si avvicinano e mi pizzicano i seni e le cosce, convincendo il tipo del bar a concedergli, a turno, la mia bocca per farsi spompinare anche loro.

Il fornaio dura poco e si svuota nel mio retto: è il segnale per gli altri, che cominciano a mettermelo nella fica e nel culo…

Se ne vanno dopo oltre un’ora ed io sono distrutta: mi fanno male i capelli, sono piena di lividi per i feroci pizzicotti ed i morsi su cosce e seni, mi bruciano le chiappine per gli sculaccioni ricevuti e, ovviamente il dolore che sento ai miei buchini, abusati, martoriati e graffiati dalla noncuranza del quartetto, mi fa sognare un bagno nell’anestetico ed una lunga notte di sonno.

La cosa più umiliante (ma forse proprio per questo terribilmente eccitante!) è stato il fatto che, seguendo le norme di educato comportamento che mi sono state imposte, alla fine, pur sentendomi come se mi avessero macellata, ho ringraziato sorridendo i quattro che avevano abusato di me.

Prima di potermi lavare di tutta la sporcizia che mi sento addosso, però, vado a liberare Sergio dalla sua prigione: il comando per aprire il portellone del box dall’interno è guasto e lui ha sempre rimandato di chiamare il tecnico…

Lo libero e gli accenno agli accadimenti… Lui, invece di disinteressarsi come al solito, mi tempesta di domande, chiedendomi di ripetergli ogni parola, ogni dettaglio, ogni gesto, ogni momento, ogni mia sensazione: il suo interesse è febbrile, spasmodico e, mentre faccio scorrere il film della serata nella mia mente e gli narro tutto, noto che si sta di nuovo eccitando! Che cambiamento, in appena una settimana!!!

Alla fine, vuole fare l’amore con me, infoiato dal racconto, pur contravvenendo ad un chiaro divieto, ma il mio corpo martirizzato, la mia mascella indolenzita, le mie labbra, la mia fichina ed il mio culetto arrossati, brucianti e doloranti hanno urlato un “No!”, forte e chiaro!

La mattina successiva, Marica si alzò, si fece una doccia e, prima di preparare la colazione per entrambi, indossò un vestitino estivo, color tabacco, di quelli con le spalline a stringa piatta e tenuti chiusi da grossi bottoni dal petto alle cosce.

Come da precise istruzioni, datele da Angela, non indossava né slip o perizoma né reggiseno.

Finito di rigovernare dopo la colazione, indossò un paio di sandaletti senza tacco ed andò, col suo scooter, nel centro del paese per fare un po’ di spesa.

Era partita verso le dieci e mi aspettavo di rivederla dopo un’oretta, ma la mattinata trascorse e, quando mi resi conto che mezzogiorno era passato da un pezzo, lei non era ancora rientrata.

Provai a chiamarla col cellulare, ma “L’utente potrebbe essere spento o irraggiungibile”, come diceva la voce registrata e così attesi, con un velo di preoccupazione.

Era quasi l’una, quando vidi il suo scooter spuntare dalla curva là in fondo: mentre si avvicinava, vidi che nella parte bassa del parabrezza aveva una scritta, spuntata in quelle poche ore: come fu arrivata, potei leggere, scritto con una bomboletta spray rossa, “MOTOSCHIAVA”.

La stessa scritta era anche sulle due scocche laterali: ormai lo stato di sottomissione di mia moglie era noto anche ai più distratti compaesani.

Quando scese, con aria stravolta, notai che sul vestitino diverse macchie, ancora umide, scurivano il tessuto e lo facevano aderire alla pelle.

Anche alcune ciocche di capelli sembravano incollate tra loro e, avvicinandosi, sentii chiaramente l’odore di sperma che emanava.

Con una curiosità vagamente morbosa, per me nuova, le chiesi -un po’ bruscamente, lo ammetto!- dove cazzo fosse finita: avevo la paura e la voglia di scoprire se le mie illazioni fatte negli ultimi istanti fossero vere.

Lei, arrossendo ma anche con lampi di sfida nello sguardo, mi raccontò che era andata a fare la spesa.

Entrata nel supermercato, si era accorta che la gente, al suo passaggio, parlottava guardandola di sottecchi e ridacchiava o le mandava occhiate gravide di riprovazione.

Mentre era nel corridoio della pasta e dei sughipronti, una giovane donna le si era avvicinata e le aveva detto: «Ma è vero che ti sei fatta tatuare in posti un po’… riservati?»

Marica aveva confermato, annuendo con sguardo umile e la tipa, esclamando un «Ah!», se n’era andata spingendo il carrello.

Più avanti, nel corridoio bibite & liquori, un tipo sulla quarantina si era avvicinato e, con piglio deciso, le aveva detto: «Il fornaio dice che hai un tatuaggio sul culo. Mostramelo!»

Per Marica l’uomo era un Padrone, perciò, ad occhi bassi, si voltò ed alzò l’abito fino a scoprirsi la natica tatuata; il tizio esaminò a suo piacere il disegno, mentre una signora anziana che stava arrivando, vista la scena, fece rapidamente dietrofront in una nuvola di «OHH!» di pura indignazione.

Finita l’umiliante esibizione Marica, come da addestramento subito, ringraziò con un -forzato- sorriso l’uomo per l’interessamento dimostratole.

Il tipo fece un sorrisino stupido e, inalberandolo con orgoglio come fosse una medaglia al valore, se ne andò tutto tronfio.

Arrivata alla cassa, dovette sopportare il sorrisetto del cassiere, che controbatté con ferme occhiate negli occhi, ma sentì sussurrare la donna in coda dietro a lei: «Bello il tuo collarino… con una targhetta con scritto “Salope” o “Bitch” sarebbe perfetto…

Quando hai fatto su la tua spesa, aspettami: devi portare la mia fino a casa»

Mia moglie si girò e vide il carrello della donna – una donna robusta e soprappeso, non bella, sulla cinquantina e con l’aria severa- che era stracarico di roba, tra cui due confezioni da 6 bottiglie di minerale.

Pagata ed imbustati i suoi acquisti, aiutò la donna a riempire due grossi sacchetti e poi, infilando i manici sui polsi, afferrò le due confezioni d’acqua e si avviò, seguendo la donna che aveva preso il suo sacchetto con pochi articoli dentro.

Sudando, con gli avambracci indolenziti ed i polsi segati dal peso dei sacchetti, la seguì per quasi trecento metri e, ogni volta che accennava a posare il pesante carico, la donna la pungolava dicendole: «Dai, cagna: siamo quasi arrivate!»

Alla fine, la donna aprì un portoncino e le fece segno di seguirla; poi su per quattro rampe di scale ed, alla fine, aprì una porta e si fece seguire in cucina, dove le disse di posare «delicatamente e senza farla toccare in terra!» la spesa sul tavolo.

Marica strinse i denti e, mentre sentiva il sudore ruscellarle tra i seni, sul collo e sulle spalle, con i muscoli delle braccia che sembravano strapparsi, obbedì.

«Uff… come sono accaldata…» disse la donna «… sono tutta sudata. Guarda!»

Alzò le braccia e mostrò le ascelle, i cui peli erano luccicanti di sudore, mentre l’abito aveva ampie chiazze di sudore intorno allo sbraccio.

Marica alzò a sua volta una mano per asciugarsi il viso dal sudore, ma la donna glie lo vietò e poi… «Dai, troietta: asciugami le ascelle… lecca!»

Marica si asciugò la mano sudata sul vestito, ma la donna cominciò a inveire, insultandola, prese dello spago da un cassetto e le legò le mani dietro la schiena.

«Avanti, puttana, lecca!»

Marica si avvicinò e cominciò, vincendo il normale disgusto, a leccare le ascelle pelose.

Quando la donna si dichiarò soddisfatta, la donna si alzò la gonna ed abbassò gli slip di cotone bianco a costine.

«Visto che mi sento anche il solco del sedere sudato, sono sicura che tu sarai felicissima di asciugarmelo come hai fatto con le ascelle, sbaglio?»

Mia moglie assentì e si abbassò per soddisfare anche questa richiesta della donna, ma la zaffata di acri odori, tipici di una persona non troppo amante della propria pulizia personale, la fece esitare.

«Vedo che non sei troppo ubbidiente: hai bisogno di essere pilotata. Hai bisogno… eheheh, di manico!»

Con gli slip abbassati ma metà delle cosce deformate dalla cellulite e la gonna impigliata sulle grosse natiche nude, la donna aprì un ripostiglio e prese una scopa.

«Girati, puttana, e chinati!»

Come mia moglie fece quanto detto, la donna le infilò per una buona spanna il manico nel culo, fino a farla sussultare per l’urto nell’intestino, poi, usandolo come un timone, la obbligò a piegarsi ed a leccarla, allargandosi con l’altra mano le chiappe ed incitandola a leccarle il culo non eccessivamente pulito. Così, mia moglie Marica dovette leccar via tutto il sudore dal corpo della donna, corpo col tipico afrore della persona poco pulita e poco curata, con lunghi peli che le coprivano le chiappone sfatte ed il pube fin quasi all’ombelico e le leccò anche l’interno delle cosce ed i fianchi cascanti di cellulite e tutte le pieghe del suo corpaccione e poi la piega sotto gli afflosciati seni sfatti ed alla fine, dovette anche tenerle le labbra della fica aperte mentre lei, tenendola saldamente per i capelli, le faceva strofinare il viso nel suo sesso poco pulito, bagnandoglielo con le sue secrezioni.

Soddisfatta che fu, la donna la cacciò da casa sua, scaraventandola quasi fuori, senza darle neanche modo di ripulirsi od asciugarsi in qualche modo e Marica poté solo, col viso impiastricciato e l’abito appiccicoso di sudore, mentre la porta stava bruscamente richiudendosi alle sue spalle, ringraziarla, come le avevano così bene insegnato a fare.

Scese in strada e si incamminò verso il supermarket, col suo sacchetto della spesa in mano, quando un uomo, uscito da un’officina, le si parò davanti.

«Ciao, puttana» la salutò con torva cordialità «Mi hanno detto che ubbidisci a qualunque ordine… E’ vero?»

«Sì, signore» «Bene; allora seguimi!»

Così Marica lo seguì nell’officina, dove quattro uomini smisero di lavorare e la guardarono, con famelico interesse.

L’uomo la accompagnò ad una scala metallica a pioli che permetteva, dal pavimento dell’officina, di raggiungere un varco nel muro, all’altezza di tre-quattro metri. Mentre tutti si radunavano sotto la scala, con un brusco gesto il tizio le ordinò di salire «Ma… lentamente… come fosse una sfilata…»

Così mia moglie si avventurò sulla scala ripida, mentre gli uomini, sotto di lei, si beavano della vista della sua fica rasata e dl suo culetto nudo, da sotto la gonna.

Lei guardò, interdetta, verso il basso, proprio quando il lampo di un flash balenava, accecandola: qualcuno, da sotto, l’aveva appena fotografata col cellulare.

Entrata nel vano, capì che l’avevano fatta passare da una sorta di finestra; difatti gli uomini entrarono dalla porta, dopo aver fatto una comoda rampa di scale, e le dissero di inginocchiarsi.

Lei si mise in quella posizione ed il primo tra loro si avvicinò, col cazzo fuori dalla tuta, e glie lo diede da succhiare.

Marica si impegnò molto a soddisfare l’uomo, leccandogli l’asta, sfiorandogli con la punta della lingua il frenulo, accarezzandogli la pesante sacchetta dei coglioni, leccando e succhiando quel cazzo quando l’uomo glie lo spingeva in bocca.

Mani frenetiche le strapparono il secondo bottone in cima all’abito, mentre slacciavano impacciatamene il primo e si impadronivano dei suoi seni, strizzandoli e tirandoli e giocherellando con i piercing.

Nel frattempo mia moglie sentì come gonfiarsi l’uccello che aveva in bocca e, con un roco gemito, l’uomo venne, sfilandosi, e imbrattandole viso, capelli, abito e petto dei suoi numerosi schizzi.

Contrariamente a quanto normalmente accade, il gruppo attese pazientemente che Marica finisse di spompinare un cazzo prima di proporre quello successivo, ma questo ovviamente non impediva al gruppetto di masturbarsi e di insultarla.

Mentre era impegnata a succhiare, sentì sollevarsi bruscamente il vestito da dietro e il brusco sforzo ebbe la meglio anche sul bottone più in basso dell’abitino.

Un potente sculaccione le si stampò su una natica e grezze risate riecheggiarono: da quello che dicevano gli uomini, lei capì che, chi l’aveva colpita, aveva la mano sporca di grasso e perciò le aveva lasciato una vistosa manata nera.

Anche gli altri vollero ‘ornare’ la pelle di Marica con sudice manate e, anzi, uno di loro andò a prendere una bacinella di olio esausto, appena sostituito da un’auto, dove si bagnarono le mani per poterla poi… decorare.

E tutti vollero approfittare della sua bocca abile ed ospitale, trascurando le altre… possibilità che il suo corpo potesse offrire e venirle in viso e addosso; come uno terminava e le schizzava il suo sperma liberamente, sulla fronte, il naso, le guance, i capelli, il collo e l’abito, lasciandole poi colare la densa crema sulla pelle e lei, ormai diventata mentalmente succube degli insegnamenti di Angela, li ringraziava e gli sorrideva…

Prima di tornare in strada, le diedero uno straccio, non eccessivamente pulito, per levare la più grossa dal viso ed i capelli e quando lasciò l’officina, sia la sua pelle che anche un po’ l’abito mostravano evidenti manate nerastre, segno di quante fosse stata palpeggiata e frugata dai meccanici.

Alla fine recuperò lo scooter e, in quelle condizioni, tornò a casa.

Come entrò in casa, voleva subito andare a farsi un lungo bagno caldo, ma glie lo impedii e la feci, invece, sedere sul divano e pretesi che mi raccontasse subito tutti gli avvenimenti; lei protestò, ma io fui inflessibile: ormai mi scoprivo vittima di queste morbose curiosità e volevo dissetare fino in fondo, fino all’ultima goccia, questo nuovo, inaspettato, morboso desiderio di sapere mia moglie usata ed oltraggiata da altri. Addirittura, mentre l’aspettavo, mi ero trovato a fantasticare di portarla io stesso in un luogo, come un bar malfamato o un piazzale autostradale, perché sconosciuti potessero godere del suo corpo e della sua totale docilità e, mentre queste fantasie mi sfrecciavano ingloriosamente per la testa, mi scoprii con un’eccezionale erezione.

Così, mentre lei raccontava –prima con voce bassa timorosa, vergognosa, ma poi prendendo via via sempre più slancio, fino ad avere quasi il tono compiaciuto di uno scolaro che ha fatto un bel tema-, volli anche che si levasse il vestito e piroettasse lentamente davanti a me, per mostrarmi il segno nero delle smanacciate e per potermi rendere conto fino in fondo, anche sfiorandola con le dita, della crosta di sperma secco che le ricopriva volto, collo e capelli; mentre raccontava, la interrompevo spesso con domande per meglio capire le dinamiche, le situazioni, le persone, i posti…

Alla fine della narrazione, la baciai con passione e poi, mentre andava a fare il bagno così tanto desiderato, scoprii con imbarazzata sorpresa che, senza neanche sfiorarmi, ero venuto, inzuppandomi i boxer ed arrivando a macchiare anche i pantaloni… Andai a ripulirmi ed a cambiarmi, vergognoso come un liceale sorpreso a masturbarsi…

Sergio mi ha stupito, con la sua morbosa curiosità, con quel lampo eccitato che vedevo in fondo ai suoi occhi, con le domande, sempre più dettagliate, sempre più concitate, che mi ha fatto sugli avvenimenti.

Perplessa, ma anche forse un po’ eccitata, da questa sua trasformazione, mi son fatta un lungo e rilassante bagno e ne sono appena uscita quando mi squilla il cellulare: guardo il display dove appare un numero che mi è sconosciuto.

Rispondo: è Concetta, la mia collega: «Marica? Preparati!…» dritta al sodo, neanche un ciao «… tra mezz’ora vengo a prenderti per portarti in un posto. E’ gente perbene, quindi vestiti con un vestito lungo e scarpe col tacco. Truccati, ma niente di vistoso: non voglio che sembri una troia da bordello… anche se lo diventerai!»

Riappende, senza che io possa dire neanche una parola.

Resto un po’ avvilita, ma comunque, ho avuto un ordine ed eseguo.

Spiego brevemente a Sergio che devo prepararmi velocemente e che mi vengono a prendere: lui annuisce e non fa domande.

Quando sono pronta, lo bacio rapidamente ed esco, proprio mentre un grosso SUV nero coi vetri oscurati si ferma davanti a casa; si apre una portiera posteriore e salgo: c’è Concetta, sul sedile del passeggero ed un uomo dall’aria signorile, magro e con capelli brizzolati, al volante, che riparte subito.

Concetta mi guarda e mi getta in grembo un oggetto; lo guardo e vedo che è un grosso collare da cane che, sotto il suo sguardo severo, mi affretto ad indossare.

Come l’ho allacciato, Concetta con un cenno mi fa segno di avvicinarmi; obbedisco e lei infila un dito tra il mio collo ed il collare, poi, sempre senza una parola, mi molla un forte ceffone.

Mi guarda con aria severa e allora lo stringo di un buco; altro controllo ed altro ceffone: stringo ancora e faccio fatica a ingoiare, adesso, ma lei è finalmente soddisfatta di non riuscire ad infilare il dito, nonostante tenti fino a graffiarmi la gola con l’unghia.

Dopo un’oretta, arriviamo in una villa; scendiamo, Concetta mi attacca un guinzaglio al collare e mi tira dentro.

Ci accoglie un signore anziano, molto distinto, in abito formale e coi capelli bianchi molto curati, che saluta cordialmente la mia nuova padrona, poi mi valuta e si rivolge di nuovo a lei: «E’ lei?»

Concetta fa un breve ma deciso cenno di assenso: «E’ lei»

Lui, con un’imperscrutabile espressione, le dice: «“Portala di Arturo, che la prepari»

Lei annuisce e mi porta in una stanza, dove un uomo vestito come un infermiere ed indossando guanti di lattice mi… prende in consegna.

Concetta esce e lui dice solo: «Spogliati!»

Mi levo l’abito lungo, nero e le scarpe decolleté col tacco a spillo.

Mi fa salire su una barella ampia, di quelle da corridoio di Pronto Soccorso, per capirci, e mi fa mettere alla pecorina, con le ginocchia ed i gomiti praticamente sui bordi.

Si allontana di qualche passo, mi contempla come uno scultore può guardare la sua opera e poi si dichiara soddisfatto.

Prende dei rotoli di ovatta e comincia ad avvolgermi dal polpaccio fino alla sommità della coscia, facendomi alzare il ginocchio, prima una gamba, poi l’altra.

Dalla seconda gamba, comincia ad avvolgermi i fianchi, la pancia e la schiena, realizzandomi, praticamente come una tuta che lasci scoperta solo la zona intorno al sesso ed al culetto.

Mi lascia scoperti i seni, ma poi benda anche le spalle e le braccia, prima una e poi l’altra, fino ai polsi.

L’ovatta mi provoca una sensazione di caldo e comincio a sentirmi sudata, ma lui continua col collo e la testa, lasciandomi, alla fine, scoperti solo i piedi, le man, il viso ed un’ampia zona intorno al pube.

Ho un senso di perplessità ed una vaga paura: non capisco a cosa serve quella torrida preparazione ed ho la sensazione che sia solo la preparazione a qualcos’altro di molto più complesso, di misterioso, di impensabile…

Poi l’uomo avvicina un carrello e come si accorge che sbircio mi abbaia: «Resta immobile!!!»

Così torno nella posizione nella quale mi aveva messo, mentre lo sento armeggiare dietro di me, sul carrello; sento rumori… umidi, come un qualcosa immerso nell’acqua.

Poi sgocciolio, qualche secondo di silenzio e un rumore come di fango smosso e poi mi sento come accarezzare una coscia, con una specie di massaggio circolare, a spirale. Qualche secondo di pausa, altri sciaguattii e lo strano massaggio prosegue, fino all’orlo della copertura di ovatta: sento una sensazione calda e umida…

Anche l’altra coscia subisce le stesse attenzioni e poi anche le due gambe; quando mi fa sollevare –alternativamente- le due ginocchia, capisco che lo strano odore che sento è di gesso, gesso umido.

E capisco: mi sta ingessando!!!

Finite le gambe, l’uomo comincia ad ingessarmi il bacino e me le blocca in quella posizione: aperte.

Mi ordina di inarcare la schiena, tenendo il culo in alto e, a poco a poco, sento che anche la mia schiena viene bloccata nel guscio di bende gessate.

Arrivato alle spalle, comincia ad ingessarmi anche le braccia, fino ai polsi.

Poi è la volta del collo; mi ordina di tenere la testa alzata, in una posizione faticosissima e mi ingessa, alla fine, la testa, lasciandomi fuori solo il viso ed il mento.

Poi, con un sorriso soddisfatto, lo sento girarmi intorno per contemplare la sua opera; lo sento borbottare e lo percepisco accanto a me, probabilmente per fare qualche ritocco, per perfezionare la sua opera.

Alla fine si toglie i guanti ed il camice, poi si avvicina, mi bussa con le nocche sull’ingessatura in vari punti, probabilmente per verificare il grado di essiccazione.

Quando è soddisfatto, mi butta un qualcosa addosso, un lenzuolo che mi cade addosso, nascondendomi completamente, sblocca le ruote della lettiga e mi spinge in un altro ambiente.

Sento musica di fondo, qualche brusio di conversazione, il tintinnio di un bicchiere, fruscii di abiti: capisco di essere in un salone, dove sono diverse persone.

Qualcuno dice: «Allora, Arturo; finita la tua opera?»

Sento il mio ingessatore ridacchiare, soddisfatto: «Sì, ho finito… Volete vedere e, se vi va, usufruirne?»

Ovviamente gli altri –sento voci maschili, ma anche alcune femminili- gli dicono di sì.

Lui afferra l’angolo che mi copre la mano sinistra e poi, con uno strappo deciso, scopre l’ingessatura che mi copre quasi completamente.

Le (garbate) esclamazioni ed i commenti si accavallano per qualche istante.

Poi una mano ruvida mi accarezza brevemente la fica esposta, appena prima di pizzicarmi e di tirare, uno per uno, i piercing.

La mia schiena è inarcata, le gambe e le braccia sono divaricare, la testa intrappolata e piegata verso l’alto: i muscoli ed i tendini mi tirano, nonostante cerchi di tenerli rilassati, sono bloccata!

Sento delle dita che mi tirano le labbrine della fica, allargandole… poi dita che mi violano il culo, con fredda brutalità.

Sento unghie che mi pizzicano le labbrine, che mi fanno male, che me le incidono, che me le graffiano.

Poi, riconosco la ormai nota forma di una cappella, che si appoggia sulla mia fica e poi l’abituale spinta che fa tendere i tessuti delle mie mucose, che allarga il canale della vagina, che la forza e me la colma rapidamente: è davvero grosso! Mi tende i tessuti, mi riempie del tutto!

Come arriva in fondo, lo sento sostare un istante, poi rinculare fin quasi ad uscire e poi una potente, rapida spinta che mi strappa un piccolo gemito.

L’uomo dentro di me comincia ad affondare in me, con potenza, con furia, quasi con frenesia; sento arrivare l’onda del mio piacere e, girando solo gli occhi, vedo sguardi eccitati su di me, sguardi voraci, sguardi di rapaci che pregustano l’attacco alla preda, l’affondo dei loro rostri nelle tenere, indifese carni.

L’uomo, proprio quando l’onda del piacere sta per rovesciarsi su se stessa ed esplodere dentro di me, si sfila dalla mia vagina e di colpo, lasciandomi senza fiato per l’improvviso dolore, mi penetra nel culo.

Spalanco la bocca per urlare la fiammata di dolore che mi parte dal culo, ma un cazzo me la riempie ed io, ormai condizionata, comincio a leccarlo ed a succhiarlo.

Pochi colpi, poi sento l’uomo che mi possiede così profondamente immobilizzarsi per un attimo, mentre il suo piacere esplode dentro di me ed il suo sperma mi schizza in profondità nell’intestino.

Poi si sfila e subito un altro cazzo mi penetra, davanti.

Poi passa dietro, infine viene ed allora un altro ed un altro ancora e ancora.

I muscoli ed i tendini urlano la loro sofferenza, ma sono intrappolata dentro quel guscio e capisco che non verrò liberata da quella perfida prigione fino a che ogni presente non si riterrà soddisfatto…

Impegno i miei muscoli pelvici ed il mio sfintere, cerco di massaggiare i cazzi che, ormai, si susseguono dentro di me, cerco di usare tutta l’arte della mia bocca per dare loro il massimo e più rapido piacere, per sentirli colmarmi alla svelta della loro sborra, per cercare di accorciare al massimo il mio supplizio, che sta diventando infernale… Sono bloccata, completamente immobilizzata e coperta dalla dura corazza di gesso che mi blocca in una posizione innaturale.

Solo mani, piedi, seni, pube, bocca e parte del viso non sono coperti dall’ingessatura: sono, in pratica, solo una cosa, oscenamente offerta ed utilizzabile da chiunque ne abbia desiderio, con la fica, il buco del culo e la bocca liberi, solo loro, per dare un piacere che a me è precluso.

La lunga sequenza di abuso sessuale è finita ed io attendo, in un misto tra ansia e curiosità, per sapere se la nottata di quel tormento, questa sorta di Toro di Falaride (per fortuna non di bronzo e non arroventato fino a cuocere il malcapitato chiuso dentro!) è finita.

Rilassandomi, sento che i miei tendini ed i miei muscoli si decontraggono e l’atroce sofferenza di prima si tramuta in una specie di sensazione di grosso fastidio.

Sento le persone nel salone che parlano e ridono; spicca qualche acuta risata femminile, ma la benda di ovatta che mi benda testa ed orecchie sotto al gesso, non mi permette di capire il significato dei discorsi che sento solo rumoreggiare.

Le voci salgono di tono e velocità: capisco che stanno discutendo ed ho il sospetto di essere io l’argomento… o meglio: non io, ma l’uso a cui il mio corpo, i miei buchi, verranno sottoposti… io, come mi ha detto Angela, non sono più una persona, ma una cosa… una cosa identificata con la parola “null”…

Avrei voglia di liberarmi, di far uscire tutto lo sperma che è stato depositato nel mio retto e nella mia vagina, ma mi è stato esplicitamente proibito…

Sento un qualcosa freddo, lungo e sottile entrarmi nell’ano; capisco che è una cannula da clistere e ne sono quasi grata: capisco che, tra poco, potrò finalmente liberarmi (spero!), mentre sento la pancia gonfiarsi dolorosamente.

Sento una mano sottile insinuarsi tra l’ovatta e la mia pelle, lungo il bordo del foro che permette di accedere alla mia intimità ed ho una sensazione di… tepore, come se la poca pelle scoperta fosse ricoperta da un panno tiepido. Non capisco…

Poi Concetta mi ringhia di trattenere, mentre sento sfilare la cannula e capisco: stanno chiudendo anche quell’apertura dell’ingessatura!!!

Sento ridere, vedo volti crudelmente sorridenti che mi guardano e parlottano; poi Concetta –sempre lei!- mi appoggia un boccale di birra da un litro davanti al viso, mette un tubetto di plastica a pescare nel boccale, l’altra estremità me la spinge in bocca e poi un solo, secco ordine: “Bevi tutto!”

Io comincio, ubbidiente, senza più ormai una volontà mia.

Finisco il litro; ho nausea, ma Concetta ne mette un altro pieno e mi intima di bere.

Eseguo, ma comincia a girarmi la testa per l’alcol e, soprattutto, sto sudando per reprimere l’impulso di dare sollievo alla vescica ed al pancino gorgogliante.

Poi, non resisto: smetto di bere e allento gli sfinteri: sento i liquidi che, fuoriuscendo dal mio meato urinario, dalla mia vagina e dal mio ano, intridono l’ovatta che mi ricopre totalmente dandomi solo una leggera sensazione di calore, ma con gli occhi della mente ‘vedo’ i luridi liquidi schizzare fuori dal mio corpo, poi raccogliersi in prossimità dei miei orifizi ed infine, intridere l’ovatta e colare lungo le mie cosce, sul mio pancino.

Sento che l’ingessatura si allaga di tutti i liquidi a cui ho dato sfogo, mentre la gente intorno a me, capendo che ho dato sollievo ai miei sfinteri contratti, ride e commenta.

Rimango così, a mollo, un certo tempo e sento la pelle che mi si ammolla, mi si macera per il contatto umido.

Avrei voglia di piangere per l’indolenzimento, per la vergogna, per il disagio e l’umiliazione, ma una vocina in fondo alla mia mente continua a ripetermi che, in fondo, solo io ho voluto arrivare a quel punto, a quelle situazioni degradanti che, se mi fanno bruciare la mente e l’anima come feroci staffilate, purtuttavia mi fanno… sfrigolare la fica di eccitazione, ecco!

Poi mi sento sollevare e dalla mia incomoda posizione intuisco che quattro uomini hanno afferrato me e la mia pesante ‘crosta’ e mi hanno messo su una sorta di carrello basso; poi mi portano sulla terrazza e là, finalmente, sento l’acuto sibilo del disco che mi aprirà l’ingessatura e mi libererà.

L’attrito dei dentini del disco, provoca il surriscaldamento della parte di gesso tagliata e quindi mi sento percorsa da strisce brucianti, ma lentamente vengo liberata: incidono la sommità delle gambe, come se seguissero il pizzo di grottesche calze autoreggenti e poi separano anche il gesso delle braccia da quello delle spalle, dandomi l’impressione di scottarmi la delicata pelle delle ascelle. 

Allo stesso modo, incidono il gesso alla base del collo ed infine cominciano ad aprire la teca gessosa che mi racchiude la testa, tagliando dagli zigomi ai lati del collo col disco e poi tagliando il cotone ed la residua trama gessata con le apposite grosse forbici da ortopedico.

Sento, dal sibilo crepitante, che le forbici non hanno pietà di qualche mia ciocca di capelli, ma per uscire da quella prigione, a questo punto, sarei pronta ad essere rasata completamente!

Poi, finalmente, la parte superiore del gesso della testa viene levata e poi strappata via anche quella inferiore; quasi con stupore, riacquisto pienamente l’udito e comincio cautamente a muovere i muscoli della nuca.

Il disco, adesso, procede lungo le cosce e le gambe ed i piedi, prima all’esterno e poi all’interno e, prima una e poi l’altra, anche le mie gambe vengono liberate, anche se il gesso che fascia il bacino mi obbliga ancora ad una posizione scomoda, a gambe molto divaricare e con le ginocchia piegate.

Sento i sarcastici commenti fintoschifati sulla condizione lurida dell’interno dell’ingessatura delle gambe: i liquidi sono colati fin oltre le ginocchia.

Poi, è la volta delle braccia e delle mani, che comincio subito a flettere per combattere un certo intorpidimento.

Infine, dal collo alla spalla e poi dall’ascella alla coscia, prima un lato e poi l’altro; infine, sento arroventarsi –e puzzare!- il gesso che copre il mio sesso, ma poi –finalmente!- vengo liberata completamente.

Mi obbligano a guardare in che condizioni è il cotone che avvolgeva la pancia, il pube e le cosce: pessime… ed ad annusare bene per sentire «Il mio vero odore», come precisa Concetta, una disgustosa miscela di feci, sperma, sudore e orina.

Mi ordinano di andare in fondo alla terrazza, contro la balaustra e poi Concetta, con una pompa da giardino, mi “lava”.

Il getto d’acqua è violento e gelato, ma lei mi ordina di girarmi, piegarmi, divaricare le gambe, alzare le braccia e raggiunge con distaccata cattiveria ogni angolo del mio corpo.

Alla fine sono stremata, tremante, sconvolta; i miei muscoli e le mie giunture urlano una sinfonia di dolore, ma anche quel tormento gelido arriva alla sua fine.

Senza darmi modo di asciugarmi, mi fanno reindossare l’abito e le scarpe e, coi capelli e la pelle ancora umidi, mi fanno salire in macchina per riportarmi, credo, a casa.

Erano quasi le cinque del mattino, ormai, quando sentii un potente motore rallentare e fermarsi davanti a casa; gettando uno sguardo dalla finestra, vidi Marica scendere, scarmigliata, ringraziare con umiltà della serata e di come era stata trattata e poi arrivare alla porta, mentre il SUV ripartiva bruscamente.

Entrò in casa, con un’espressione esausta e, nell’attimo che mi salutava con un bacio, vidi che i suoi capelli erano… irregolari, come se qualche ciocca fosse stata tagliata da una persona inesperta e notai anche che era scossa da brividi.

Le feci capire che ero ansioso di sapere della sua serata, ma mi fece un sorriso dolente e mi disse che aveva bisogno, prima di tutto, di un bel bagno caldo.

Così, l’accompagnai in bagno, l’aiutai a riempire la vasca di fumante acqua calda e poi, mentre si rilassava nel bagno con sali profumati, lentamente, quasi con timidezza e vergogna, mi raccontò della serata.

Ricordo che la riempii di domande, per sapere, capire, conoscere, farle precisare.

Mi raccontò tutto: il luogo, la gente, le situazioni, i gesti, le sensazioni sue…

Con gli occhi della mente, vedevo ciò che aveva visto lei ed immaginavo ciò che aveva visto, intuito, percepito, provato.

La sua voce era stremata, provata, ma… aveva un fondo di vaga fierezza, come se fosse orgogliosa di aver affrontato anche quella umiliante prova ed averla superata, scivolando però sempre più in basso nello sdrucciolevole piano inclinato della depravazione.

E io… ed io anche, con lei, provavo quella sorta di orgoglio, quell’orrore del quale ormai ero prigioniero, come la droga per un tossicodipendente, con la voglia di scoprire quanto in basso si potesse scendere ancora, giù, sempre più giù, come in un ascensore che –con flemma squisitamente meccanica- sprofonda nell’inferno della mente.

Dopo il bagno, la aiutai ad asciugarsi e poi l’accompagnai a letto, dove si addormentò di colpo.

Rimasi in piedi, insonne, a contemplare la sua meravigliosa figura, a ripensare al film che avevo “visto”, grazie alla sua precisa narrazione degli eventi e… e mi scoprii, con sgomento, nell’atto di masturbarmi…

Quel sabato non ha storia: lo passammo insieme, vicini, a coccolarci, a bere con lo sguardo l’amore che fluiva dagli occhi e dai gesti dell’altro, a ridere, a scherzare, come due naufraghi alla fine recuperati e riportati in salvo.

Però, col trascorrere delle ore, un diavoletto si faceva strada nella mia mente; cercai di scacciarlo con mille pretesti, ma lui continuava sadicamente a punzecchiarmi, a stuzzicarmi, a provocarmi.

Col procedere del pomeriggio, la sua voce diventava sempre più insinuante e forte e collideva con la mia volontà, spingendomi sempre più decisamente nella direzione che voleva.

Marica mi osservava, con un perplesso sguardo vagamente divertito; capiva che ero combattuto tra il chiederle ed il tacere qualcosa: un abbozzo di idea, di progetto, che mi si stava concretizzando nella mente…

Ormai non resistevo e, dopo cena –parecchio dopo cena, ad onor del vero!- , quasi casualmente, buttai lì un «Mah, sai, stavo pensando…»

«A cosa?» Mi chiese con uno sguardo furbetto, molto felino.

«Ma sì, non so… ecco, sì… Senti: hai davvero voglia di stare in casa, stasera?» Domandai speranzoso ed allusivo.

«Uhmmm… -sorrise, complice- Hai qualcosa in mente?»

In quell’istante, mi resi conto che avevo sì qualcosa in mente, ma solo a livello di affastellamento di concetti, concetti che dovevo –rapidamente!- riordinare ed organizzare in frasi.

«Mah, sì… non so… cosa ne dici… per esempio… se andassimo a fare un giro?»

«Un giro?» Mi chiese con gli occhi sgranati, ma con un’ombra di sorriso nello sguardo.

«Ma sì, non so… ecco, prediamo lo scooterone e andiamo… non so, a zonzo…»

Il suo sguardo mi si era appuntato addosso e mi sentii in dovere di proseguire «Magari arriviamo fino a… sì, dove c’è il casello dell’autostrada, entriamo, andiamo a curiosare su quello che c’è all’autogrill… sai che a volte ci sono cose carine, no? Come quel film in divudì che volevi tanto trovare!… e poi ce ne torniamo indietro… Cosa ne pensi?»

Avevo lanciato la palla, che adesso era vicina a lei… come l’avrebbe giocata? L’avrebbe bucata? Calciata lontano? Rimandata verso di me? Attesi.

«Tutto quello che ti fa piacere, amore mio! Quando vuoi andare?»

Gettai un’occhiata quasi di nascosto all’orologio: mancava poco alla mezzanotte.

«Mah… se ci preparassimo ed andassimo…»

Si alzò, mi baciò ed andò col suo passo danzante a vestirsi.

Decisi che i miei pantaloni sportivi coi tasconi e la mia camicia a quadrettini potevano andare più che bene, vista la tiepida serata e la attesi un quarto d’ora.

Arrivò con una minigonna a portafoglio e plissettata, una camicetta annodata appena sotto i seni e zoccoletti con tacco a spillo. Si era anche truccata, in modo leggermente vistoso, ma non poi troppo volgare: le sorrisi.

Piroettò su di sé per farsi ammirare da me e la gonnellina fece ruota intorno ai suoi fianchi, lasciando intravvedere il suo pube accuratamente depilato e le sue chiappine nude.

La baciai teneramente e la precedetti fuori, dove, dopo aver allacciato i caschi, partimmo con lo scooterone.

Prendendocela comoda, godendoci il fresco della sera, arrivammo all’autogrill in poco meno di un’ora e, dopo aver ordinato due caffè, cominciammo ad aggirarci lungo gli scaffali del piccolo labirinto commerciale.

Notai tre giovanotti, tra i venti ed i venticinque anni, che ci seguivano alla nostra stessa velocità, fingendo di interessarsi a qualcosa di esposto ogni volta che noi ci fermavamo per valutare la merce in vendita.

Un rapido gioco di occhiate, ci aveva permesso di comunicare tra me e lei e un lento annuire di mia moglie mi aveva fatto capire che avrebbe giocato, per il mio piacere…

La superai di un passo e lei si piegò per osservare un qualcosa nel piano più basso dello scaffale e mostrando sempre… le spalle, gesto che, a giudicare dai risultati sul terzetto, donò loro una visione particolarmente suggestiva…

Vedevo, con la coda dell’occhio, che il terzetto avrebbe voluto, in una qualche maniera, agganciare Marica ma, evidentemente, mi consideravano un intralcio di una certa consistenza; perciò, trovandomi davanti alla porta che conduceva ai servizi, feci un gesto banale a mia moglie e sparii dalla vista di loro quattro.

Ero combattuto tra la voglia di tornare subito tra gli scaffali, vicino a lei a vedere, a sentire ed il lasciar trascorrere la “giusta” quantità di tempo per una minzione…

Decisi per il “giusto” tempo e, quando tornai nell’area espositiva, il terzetto era molto vicino a Marica –per non dire addosso!- e le loro mani stavano cautamente esplorandone il corpo. Lei, apparentemente molto assorta nello studio della copertina di una rivista, lasciava fare e vedevo le dita di uno dei giovani affannarsi per sciogliere, o quanto meno allentare, il nodo della camicetta.

La mano di un altro, invece, le accarezzava il culetto e la parte alta delle cosce, probabilmente preparandosi a passare sotto il tessuto della gonnellina ed il terzo sembrava impegnato col lato anteriore della minigonna, anche se da dove mi trovavo mi era difficile giudicare.

Uno suo squillante «Eccoti, amore!» fece sobbalzare e disperdere il terzetto -come uno stormo di piccioni intenti a becchettare briciole in un parco-, che mi guardarono con sguardi torvi, fino a che mia moglie non mormorò qualcosa che provocò il guizzo di un sorriso sulle labbra di uno di loro.

Io sorrisi a Marica, col massimo della più serena ingenuità, pur dispiacendomi che lei li avesse dispersi, col suo saluto, ma lei mosse lievemente la testa, come per farmi capire di non disperare.

Arrivammo alla cassa, pagammo la merce ed uscimmo dall’autogrill, sempre tenuti d’occhio dal terzetto.

«Non devi fare benzina?» lei mi chiese a voce piuttosto alta e con fare allusivo, ancheggiando.

Beh, in effetti, sette-otto litri ci stavano…

Salimmo sullo scooter senza allacciare i caschi e ci spostammo della cinquantina di metri per arrivare fino alle colonnine del distributore.

Lei mi lasciò il suo casco, mi posò un bacio sulle labbra e si diresse sculettando verso la porta dei servizi del distributore; con la coda dell’occhio, vidi che anche l’utilitaria dei tre si era allontanata dal parcheggio dell’autogrill ed era venuta a fermarsi dietro la stazione di servizio, nel piazzale affollato di autocarri.

Mentre armeggiavo con la pompa del carburante, la mia mente fremeva, immaginando cosa stesse succedendo, lì dietro, nei bagni… Mi sto divertendo, devo ammetterlo: mi piace e mi stuzzica fare la sgualdrinella e solo adesso, dopo le ultime, epocali esperienze, non solo ho il coraggio di osare, ma posso contare anche sull’attiva complicità di mio marito Sergio; se penso a che cagnara avrebbe piantato, se gli avessi proposto IO un’uscita come quella di stasera, anche solo quindici giorni fa… Ed invece, incredibilmente, la proposta è partita da LUI!

Mi stuzzicavano i goffi, volgarotti commenti e progetti che si scambiavano i tre, nell’autogrill, alla vista del mio culetto nudo… Quando mi sono chinata, poi, i loro ormoni devono essere andati alle stelle e quando Sergio è sparito in bagno, si sono avvicinati, con una sorta di tremebonda aggressività che mi ha fatto venire in mente tre sciacalli che si avvicinano ad un animale pericoloso ma morente, per dargli il colpo di grazia e procurarsi così il loro pasto, scena che mi è rimasta impressa da un documentario televisivo.

I tre sciacalli si sono accostati, guardinghi, più pronti a fuggire a gambe levate -se solo avessi dato un colpo di tosse- piuttosto che ad avvicinarsi a me e poi… e poi il capobranco mi ha sfiorato una chiappina da sopra alla gonna, osservando tremebondo la mia reazione, reazione che non c’è stata, perché fingevo di essere assorta a studiare la copertina di un libro.

Allora un altro mi ha appena passato i polpastrelli sulla pelle nuda del fianco, nell’ampia zona tra la gonnellina e la camicetta abbottonata sotto i seni, facendomi rabbrividire di torbido piacere, pur riuscendo a mantenere -sia pur a fatica- una glaciale impassibilità.

Il terzo allora, incoraggiato dall’assenza di mie reazioni, mi appoggia una mano sul davanti della coscia, mi palpa brevemente e, vedendo che non cercavo di sottrarmi al contatto, la sua mano comincia a risalire, supera l’orlo della gonna, arriva alla piegolina tra la coscia ed il pancino, e scivola sulla tenera pelle depilata del pube, raggiungendo le labbrine della mia fichetta; lì, un dito gli si insinua in mezzo, le divarica e lo sento scivolarmi dentro, facilitato dall’eccitazione che sto provando.

La mano posteriore è passata sotto la gonna ed un dito si è insinuato nel solco tra le chiappine, trovando rapidamente il buchetto e verificandone la non comune elasticità.

«Raga, questa troia deve aver preso chilometri di cazzo, nel culo!!!» esclama il primo tipo, come stupito dal responso del suo esame ed il terzetto ghigna, arrapato.

«E dovresti sentire anche com’è bagnata, questa bagasciona!»

Il secondo allora prende coraggio, afferra con le due mani il nodo che tiene i lembi della camicetta e comincia a scioglierlo, ma vedo -con la coda dell’occhio- aprirsi la porta dei bagni, quindi faccio un piccolo cenno con il capo, pronuncio uno squillante: «Eccoti, amore!» e mi scosto di mezzo passo, mormorando come in una congiura: «Bagni, fuori»

Il capobranco sogghigna e si scosta di mezzo passo, così come i suoi sodali.

Prendo un libro che mi incuriosisce, una confezione di chewing-gum, andiamo alla cassa e Sergio, da adorabile maritino, paga.

Poi usciamo e gli chiedo se non dovremmo fare benzina: come mi guarda, faccio un piccolo cenno con la testa, lascio balenare il sospetto di un sorrisino e lui capisce; così andiamo fino alle colonnine di rifornimento, dove lo lascio alle prese con il carburante, mentre veleggio ancheggiante sul lato della piccola costruzione, dove so essere l’ingresso dei bagni.

Il terzetto, avendo ben compreso il messaggio, arriva con la loro vecchia utilitaria, la parcheggia dietro, nel piazzale occupato dagli autotreni e mi precede di pochi secondi all’interno.

Varco la porta dell’ingresso comune e mi dirigo –forza dell’abitudine?- verso la porta contrassegnata con la donnina stilizzata, quando dall’altra porta il capobranco, sogghignando, si allunga a prendermi per un polso e mi attira nella parte dei maschietti.

Come entro, mi circondano, ma stavolta i loro gesti tradiscono l’arroganza data dalla sicurezza della mia disponibilità.

Sono eccitata, ma anche emozionata: in fondo, dalla famosa partita a carte nella villa, questa è la prima volta che posso decidere io, che posso dire chi e cosa può fare… Sembra passato un secolo, ma è successo solo una manciata di giorni fa.

In un batter d’occhio, mi trovo con la gonnellina arrotolata in vita e il nodo della camicetta sciolto e le loro mani, per confermare a loro stessi la mia reale disponibilità, sono ovunque, senza che io provi a sottrarmi.

Le sento sui seni, sulle cosce che salgono, che mi pizzicano il culetto, che mi esplorano e sondano la fica e poi sul pancino, sulla schiena, sul collo, che forzano la mia testa ubbidiente a girarmi verso le loro bocche per baciarli ed essere baciata e poi sulle spalle per farmi inginocchiare e sui capelli, che afferrano mentre le loro cappelle congestionate vengono spinte ed offerte alle mie labbra, alla mia lingua, alla mia bocca…

Ed io, oscenamente frugata, eseguo, con gioia ed eccitazione.

Gli sciacalli ridono, mi toccano, esplorano i miei buchini, mi mettono dentro i cazzi e mi danno qualche colpo, in fica ed in culo, fanno commenti pesanti e volgari mentre io, inginocchiata sul pavimento coperto da un velo di lurida poltiglia, esegui i loro contrastanti ordini.

Percepisco, con la coda dell’occhio, la porta che si socchiude…

Snervante! Prima la benzina che trabocca dal bocchettone, schizzando ovunque, poi la pistola che cade dalla colonnina, poi cercare l’addetto, rintanato dentro il casotto a rintronarsi con un programma scemo su un microtelevisore, per pagare e alla fine, a parcheggiare lo scooter di fianco all’entrata dei bagni.

Entrai, con una certa ansia e, come schiusi appena la porta di pochi millimetri, potei sentire il terzetto che stava oltraggiando ed insultando mia moglie con espressioni del tipo:

«Dai troietta, succhia le nostre nerchie dure» «Allora, pompinara, ti piacciono i tre cazzoni giovani che ti sei trovata?» «Questi sì che sono cazzi, vero puttanona? Non come il cazzetto buffo di quello sminchiato che è con te!»

Mi sentii fremere di orgoglio calpestato, ma anche di eccitazione: avevo una incredibile erezione e accarezzandomi da sopra i jeans, guadagnai qualche altro millimetro di luce per poter guardare dentro.

Marica era inginocchiata sul pavimento non troppo pulito ed era celata al mio sguardo dai fianchi dei tre, ma dal movimento della testa, capivo che li stava spompinando a turno.

Gettò un rapidissimo sguardo nella mia direzione ed, avendomi evidentemente riconosciuto, mi fece l’occhiolino.

Uno dei tre l’afferrò bruscamente per un braccio, la fece alzare e –quasi- la buttò pancia sotto di traverso sul primo lavabo: «E adesso, troia, ti faccio sentire un vero cazzo!»

Le andò dietro e, di colpo, la inforcò con un cazzo di discrete dimensioni, afferrandola per i fianchi e montandola con vigore.

Un altro andò dalla parte della sua testa e le spinse il cazzo in bocca, che mia moglie si affrettò a spompinare doverosamente.

Mi sorpresi con la zip abbassata ed il cazzo in mano, mentre mi masturbavo guardando la mia Marica usata, come una troia, dai tre giovani; non ricordo di averlo fatto, ma evidentemente era accaduto…

Il tipo che aveva messo il cazzo in bocca a mia moglie mi vide: «Eccolo il cornuto!»

Gli altri si girarono verso di me, pronti alla lotta od alla fuga, ma dopo una rapida occhiata, si rassicurarono immediatamente. «Guarda come si sega, a vedere la sua troia alle prese con cazzi veri!» concluse chi mi aveva scoperto ad assistere.

Uno degli altri rise: «Già: tutto questo ben di dio di gnocca, quel coglione non sa neanche cosa farsene!»

Quello che stava montando Marica, un tipo grande e grosso, con un fisico da rugbista, venne con un prolungato gemito e si afflosciò sulla schiena di mia moglie, mentre le dava gli ultimi colpi per svuotarsi completamente dentro di lei: «Cazzo, che troia, questa qui: mi ha masticato l’uccello con la fica!» esclamò estasiato, mentre si scostava da lei.

La fica di mia moglie venne prontamente occupata dal cazzo di un altro, un arnese lungo e più sottile di quello dell’amico, che sprofondò dentro mia moglie e cominciò a cavalcarla con un discreto ritmo; dopo qualche colpo, però, borbottò la sua disapprovazione: «Cazzo, Sergio: è così larga e sborrata che non la sento quasi…»

L’amico, che si era sciacquato ad un lavabo, rise: «E tu inculala!»

Il tipo non se lo fece ripetere; quasi con indifferenza, sfilò l’arnese dalla vagina di mia moglie e, armeggiando brevemente, glie lo spinse con un unico colpo nel culo: «Uff!!! Anche qui, ne ha presi per così, questa!»

Però ricominciò a pomparla e non sembrava poi troppo dispiaciuto anche se, quasi ad ogni estrazione, dava un potente sculaccione a Marica, che sussultava ad ogni colpo, ma senza che le sue labbra perdessero la presa sul cazzo che stava succhiando.

Io assistevo, come ipnotizzato, all’abuso di mia moglie, sordo ai loro motteggi ed insulti diretti ad entrambi.

Anche il secondo, dopo un po’, si accasciò sulla schiena di Marica, con un roco ruggito, segno che anche lui aveva raggiunto il proprio piacere e si era svuotato dentro mia moglie.

Il terzo si sfilò dalla bocca e, quasi con indifferenza le andò dietro e, senza una parola, la penetrò.

Marica, finalmente libera, si inarcò all’indietro, ma provocò le proteste del tipo: «“Ma cosa cazzo fa, questa troia? Cazzo, fatemela stare ferma!!!»

Il rugbista, si prese la mano nel mento, rifletté brevemente e poi rise: «Sì, si può fare…»

Si avvicinò a Marica e le tolse senza alcun riguardo la camicetta; sentii il lieve crepitio del tessuto che si strappava in alcuni punti.

La prese e la lacerò in tre strisce, poi ne annodò due insieme e le ritorse per ottenere una specie di fune; con questa legò i polsi di mia moglie e li assicurò, con l’altra estremità, allo scarico del lavabo accanto. Accucciandosi sotto il primo lavabo, poi, legò il ginocchio che Marica aveva verso il muro allo scarico di quello stesso lavabo, in modo che restasse in bloccata in quella incomoda posizione: praticamente sdraiata sul lavabo.

Il tipo che aveva protestato, scostatosi per osservare il lavoro dell’amico, quando l’altro ebbe finito, grugnì in segno di approvazione e ricominciò a montare con annoiata libidine mia moglie.

Trovavo la situazione estremamente eccitante e mi masturbai con foga; i tre tipi lo notarono e mi sfotterono pesantemente, ma non ci potevo fare nulla: ero come in trance! Neanche da ragazzino avevo mai provato una così forte necessità di masturbarmi! Vedere la mia amata mogliettina fottuta senza alcun rispetto dai tre sconosciuti, mezza nuda e immobilizzata, era uno spettacolo sconvolgente ed eccitantissimo.

Anche il terzo sborrò dentro mia moglie e, mentre si scostava per darsi una sciacquata, mi guardò con espressione torva.

«Ehi, ragazzi! Ed il cornuto lo lasciamo così?» Lo guardai stupito, senza capire.

Gli amici ghignarono cattivi ed uno disse: «Oh, no!»

In un attimo, venni afferrato dai due e portato di peso davanti al pisciatoio più vicino a Marica; in un lampo mi slacciarono la cintura e me la sfilarono dai passanti, mentre mi abbassavano i pantaloni ed i boxer fino ai piedi.

Mi tennero i polsi uniti e me li legarono con la cintura, che poi assicurarono al tubo della mandata dell’acqua di risciacquo, mentre mi sfilavano i pantaloni da una gamba, li torcevano e poi, a fatica, me li reinfilavano, ma lasciandomeli alle caviglie: ero nell’impossibilità di liberarmi!

Temevo per l’integrità del mio culo, ma fortunatamente non sembravano interessati: dopo averci fatto diversi scatti, erano molto intenti a messaggiare, suppongo con loro amici, forse per segnalargli l’occasione che Marica, così bloccata, offriva a chi fosse capitato nei bagni di quel distributore.

Dopo una decina di minuti, ci guardarono sfoggiando un sorriso cattivo: «Noi, adesso, dobbiamo proprio andare… ma non temete: tra un pochino avrete un sacco di compagnia!»

Se ne andarono sghignazzando.

Riflettevo che la nostra serata era andata molto oltre i nostri desideri ed ora, notai, eravamo in una situazione davvero sgradevole e pericolosa.

Feci per dire qualcosa a Marica, ma tacqui sentendo dei passi abbastanza pesanti che si avvicinavano, con l’assurda speranza che fosse qualche donna diretta ai bagni a loro riservati.

Un attimo prima che la porta si aprisse, sentii una frase in una lingua slava ed un’altra persona che faceva una breve risata, come a riposta di una battuta; poi la porta si aprì e quelli che sembravano due camionisti ci videro e restarono come paralizzati, sulla soglia, senza dire una parola.

L’impasse duro non più di una decina di secondi, poi il più basso dei due si avvicinò a Marica e fece notare all’amico la colatura di sborra che lei aveva lungo la coscia bloccata.

Mormorarono ghignando nella loro lingua, mi gettarono un’occhiata indifferente e si slacciarono i pantaloni, mostrando cazzi di discrete dimensioni.

Infine il più alto, senza dire una parola, lo infilò di colpo nella fica di mia moglie, mentre l’altro, con un leggero stringersi di spalle, si accontentò della bocca.

L’alto la cavalcò di buona lena, afferrandole i seni come fossero maniglie coi quali poterla penetrare fino in fondo, mente il basso esortava nella sua lingua Marica a spompinarlo in un certo modo.

Pochi minuti, poi il primo ringhiò una frase mentre si scaricava dentro di lei, pochi secondi prima che anche l’amico facesse esplodere il suo piacere in gola a mia moglie, tenendola bloccata per le orecchie ed obbligandola ad ingoiare tutto.

Si erano appena scostati, quando la porta si riaprì ed entro un colossale nero vestito da una sudicia tuta da meccanico, con sulla schiena lo scolorito logo di una società di lubrificanti.

Guardò la scena con uno sguardo ironico, alzando le sopracciglia e venne nella mia direzione: rabbrividii, immaginando il peggio, ma lui si diresse –serafico- alla conchiglia accanto a quella occupata da me e, con un sospiro, diede sollievo alla vescica. Un nero enorme entra nel locale; indossa una tuta da meccanico verde, scolorita, con il marchio della Castrol sulla schiena.

Getta un’occhiata annoiata verso di me, poi esce dal mio campo visivo, ma lo sento che avanza verso i vespasiani, verso Sergio immobilizzato.

Sento il sibilo della zip abbassata e cerco di indovinare cosa succede, ma poi sento zampillare il suo getto ed un lieve sospiro di sollievo. Mi rilasso un pochino: pensavo che mio marito… sì, insomma, che corresse… nei rischi, ecco.

Il nero sta a mingere una vita: ne avrà fatta almeno 3 litri!

Poi il fruscio della lampo ed il suo passo, pesante, che viene verso i lavabi, verso di me; si sciacqua le mani nel lavabo davanti a me e lo guardo, in silenzio: lui mi getta un’occhiata con l’ombra di un sorrisetto ironico, si asciuga le mani e mi passa accanto, uscendo dal mio raggio visivo, ma subito sento una sua manona sul sedere: mi stringe una chiappina, come per saggiarne la tonicità, poi lo sento divaricarmi il solco e sondare con un suo ditone, il mio buchetto dietro.

Sembra soddisfatto di quanto è elastico e fa scendere il dito, scostandomi le labbrine della fica, sfiorandomi il bottoncino, poi facendo scivolare, con calma quasi padronale, due ditone dentro, per metà della lunghezza.

Per dimostrargli il mio apprezzamento, contraggo i muscoli vaginali e gli stringo le dita; lui sembra apprezzare: sfila le dita e mi accarezza il sedere e la schiena.

Risento il sibilo della cerniera lampo, ma anche voci che si avvicinano; lui borbotta qualcosa e richiude la lampo, andandosene a lunghi passi.

Avevo sentito parlare della pudicizia del mondo mussulmano, ma solo in quel momento capii quanto quei condizionamenti culturali fossero forti: abbandonare una donna, nuda e offerta, solo perché ha sentito arrivare altre persone, lo giudicai assolutamente fuori dalla norma. Della nostra norma, quantomeno.

I due tipi che ne avevano provocato l’uscita di scena, invece, erano due chiassosi camionisti dell’est europeo che, vedendoci così bloccati, tacquero un attimo, senza voler credere ai loro occhi.

Mi guardarono, ghignarono, mi rivolsero un gesto, probabilmente volgare, e poi si dedicarono a Marica, stringendole i seni con fare cattivo, allargandole al massimo le natiche, pizzicandole dolorosamente l’interno delle cosce, tanto che lei si contorse, cercando di divincolarsi e difendersi.

Loro fecero due roche risate e poi, insultandola pesantemente, le spinsero di colpo le cinque dita di una mano nella fica, a turno. Nello stesso modo, le dilatarono anche il culo e alla fine, apparentemente soddisfatti delle loro ispezioni, decisero di fotterla, nel senso più animalesco del termine. Prima il più basso, poi l’altro, le infilarono i loro cazzi direttamente nel culo e, stringendole forte i fianchi e sculacciandola sonoramente con forti manate, le riempirono entrambi l’intestino di sborra in pochi minuti, uno dopo l’altro.

Mentre il secondo si ricomponeva, il primo mi fissò e poi parlottò brevemente, nella sua lingua, col compare, che rise forte. Allora venne verso di me, estraendo un grosso coltello a serramanico. Penso di essere impallidito: il gioco stava andando molto oltre alle nostre intenzioni e ricordo di aver incongruamente pensato che essere accoltellato o sgozzato nei cessi di una stazione di servizio mi sembrava, tra l’altro, particolarmente umiliante.

Il tipo mi sorrise, cattivo, mostrando così un macello di denti marci e rotti e permettendomi di notare il suo pessimo alito, una vera arma di sterminio di massa.

«Tu ami culo, sì?» Tacqui, interdetto.

«Tu stai qui con moglie curva –in un lampo mi ricordai che “kurwa”, all’est, vuol dire puttana- e vuoi anche cazzo in culo… Ma se tu piace culo, se tu piace succo di maschio, io piccolo regalo…» mi alitò micidialmente sul viso.

Mi afferrò con i capelli con la sinistra, tirandomi la testa indietro, ed alzò la destra che brandiva il coltello: mi vidi morto, sgozzato, abbandonato come un vecchio straccio sul pavimento del cesso degli uomini…

La sua destra guizzò davanti al mio volto e mi liberò le mani e poi, tirandomi sempre per i capelli, mi trascinò verso Marica e poi mi abbassò.

«Tu lecca culo tua kurwa!!! Bello pulito!»

Potevo rifiutarmi? Cominciai a leccare il culo dilatato di mia moglie ed a ingoiare lo sperma che ne colava fuori.

Il gusto era amarognolo, ma anche con un senso di salato e dolciastro, assieme.

«Tu, spingi, spremi!» Disse a Marica e lei obbedì, facendo colar fuori le abbondanti sborrate che le avevano lasciato i suoi amanti accidentali di quella sera.

Quando ebbi finito, dovetti leccarle anche la fica, sempre ingoiando ogni secrezione che ne uscisse e solo alla fine i due, che avevano assistito parlottando e ridacchiando, se ne andarono ridendo.

Liberai Marica e la guardai: lei mi fece uno strano sorriso, pieno di amore e complicità, ma anche di una vaga tristezza; accennai, con un movimento della testa, alla porta e lei annuì.

Stavamo uscendo dal locale, quando un tizio, deciso e ben piantato, entrò e ci guardò.

«Tu dei essere la troia di cui parla Salvatore… e tu il marito cornuto! Dai, troia, vieni con me: ho degli amici che ti aspettano a casa mia»

Francamente, veder mia moglie così.. rapita, mi lasciò stupefatto, tanto che dissi: «E io?»

Lui fraintese: «Siamo tutti etero, per te non c’è nulla. Adesso la puttana viene in macchina con me e la porto a casa mia; se vuoi, mi vieni dietro con la tua macchina, parcheggi davanti al portone e aspetti buonobuono che lei torni e poi te la riporti a casa»

Visto che la prese per un braccio e la trascinò subito fuori, mi sembrò superfluo fargli notare che ero in scooter.

La fece salire su un SUV e poi partì, ad onor del vero a velocità abbastanza moderata.

Al primo casello, lasciò l’autostrada e dopo cinque chilometri si fermò vicino ad un portone; scesero e lui mi fece cenno di avvicinarmi.

Quando mi fermai accanto a loro, mi guardò, sorrise malignamente e mi disse: «Adesso porto la tua deliziosa mogliettina da degli amici, che vogliono fare una cosa… -fece una risatina chioccia- …tu aspetti qui, così, quando abbiamo finito, te la puoi riportare a casa.

Comunque, visto che non ci vedremo più, voglio dirti che la baldracca è veramente brava, con la bocca: mi ha fatto un pompino da favola, mentre venivamo qua… Si vede che ha una grande esperienza!

Adesso, vedremo come se la cava con gli altri… pezzi»

Così restai, seduto sullo scooter o passeggiando su e giù per un centinaio di metri, ad aspettare il ritorno di Marica.

Lasciamo Sergio, con un’aria tra il perplesso ed il seccato, davanti al portone e Costanzo –così si chiama il tipo- mi fa entrare nell’ascensore.

Mentre la cabina sale, mi strappa letteralmente di dosso la gonnellina e la camicetta, lacerandole irreparabilmente e mi fa un sorriso da coccodrillo con un’espressione di dominio, di proprietà.

Si aprono le portine dell’ascensore e mi spinge fuori con una mano aperta tra le scapole, poi s’incammina a lunghi passi per il corridoio del piano mentre, dopo uno sguardo sconsolato agli stracci che erano stati il mio abbigliamento, abbandonati sul pavimento della cabina, lo seguo trotterellando sui tacchi, uniche cose sopravvissute della mia mise di stasera.

Arrivati davanti ad una porta in fondo al corridoio, suona il campanello in modo evidentemente concordato e, quasi all’istante, la porta si apre su un locale buio e una potente spinta di Costanzo mi scaraventa dentro.

Sento movimenti, fruscii, un colpo di tosse: capisco che ci sono diverse persone ma, abbagliata dalla pur debole luce del corridoio, non riesco ancora a distinguere nulla.

Sento due mani che mi afferrano le braccia, mentre il fresco e frusciante contatto della seta sul viso mi fa capire che stanno per bendarmi; ecco, pochi istanti e sono bendata, nuda; percepisco che la luce è stata riaccesa e una mano mi fa capire che devo piroettare su di me, poi devo chinarmi, allargare le gambe, allungarmi su un tavolo, mentre sento commenti borbottati e risatine.

Poi, le mani: mani sul viso, le spalle i seni, le gambe, i fianchi, il sedere, le cosce, i piedi; mani che lisciano, esplorano, accarezzano, palpano, pizzicano, sculacciano, allargano, frugano e dita che si insinuano, stringono, allargano, sondano, scivolano via…

Poi, una presa decisa ai capelli mi obbliga ad aprire la bocca e subito una cappella mi affonda fino in gola: riesco a trattenere il conato di vomito, ma due mani mi impugnano solidamente la testa e la muovono avanti e indietro, facendo ogni volta affondare quel considerevole cazzo in fondo alla gola.

Poi altre mani, che mi muovono, mi piegano, mi allargano… e cazzi, che entrano, che spingono, che mi dilatano, che mi scorrono dentro ed addosso.

Sono cieca, non so neanche quanti uomini siano intorno a me; le mie mani hanno trovato fisici tonici e flaccidi, pelosi e glabri e le mie narici hanno sentito acri sudori e dopobarba di varie qualità.

Mi sento usata, in totale balia di questi uomini che si servono -quasi con indifferenza- del mio corpo ed ogni tanto sento le loro verghe vibrare dentro di me, negli attimi che precedono la sborrata; la situazione mi fa sprofondare in un gorgo, un vortice di piacere, di lussuria e comincio a godere anch’io… ed ogni volta è sempre più bello, sempre più forte, sempre più sconvolgente.

Sento le loro sborrate coprirmi, a poco a poco, le sento colarmi addosso, incollarmi i capelli, cominciare a seccarsi incrostandomi la pelle e perdo la cognizione di quanti cazzi io abbia preso, abbia ospitato, abbia sentito esplodere nel piacere dentro o su di me; io non sono più una persona, sono solo un insieme di fica, bocca e culo, mostruosamente a disposizione di questo imprecisato gruppo per sentirli godere del mio corpo quasi in silenzio: solo grugniti, sospiri, parole smozzicate appena mormorate ed io qui, regina delle bagasce, a donare ininterrottamente piacere a tutti loro!

Mi ero imposto di non guardare l’ora, ma ogni tanto –era più forte di me!- un’occhiata la davo e il tempo sembrava non passare mai: un’ora, poi una e mezza, poi due e tre e… e infine il portone si apre inaspettatamente (non era stata accesa la luce all’interno, come avevano fatto quando erano entrati!) e Marica venne letteralmente scaraventata fuori, nuda, coperta di sperma ma, me ne accorsi quando mi avvicinai per aiutarla a rialzarsi, con un lampo trionfante nell’occhio che non aveva le palpebre incollate dalla sborra.

Preso da un impulso di tenerezza l’abbracciai, smerdandomi ovviamente tutto con la sborra che la copriva.

«Sono esausta… portami a dormire, amore mio…», sussurrò prima di baciarmi.

La sua bocca sapeva di sperma e, dopo pochi minuti, sentii che una parte di quello che le ricopriva il viso mi si stava seccando sul mento ed il naso.

Fino a pochi giorni prima, non avrei sopportato neanche la vista, di mia moglie in quelle condizioni; ora, invece, mi scoprii a cercare di valutare il sapore salmastro e l’odore selvatico della ‘maschera di bellezza’ che sembrava ricoprirla completamente.

Un incontenibile impulso, mi fece scendere la mano a verificare le condizioni della sua fica e poi del suo culo: erano entrambi dilatati, socchiusi e facevano fuoriuscire un rivolo di sperma dei suoi numerosi amanti.

A quella scoperta, il mio cazzo guizzò, eccitatissimo, ma ebbi pietà di Marica che appariva davvero esausta –si stava quasi assopendo!- e perciò rinunciai a cercare di avere lì il mio piacere.

Mi tolsi la camicia e glie la feci indossare; poi le allacciai il casco -cercando di non pensare a come si sarebbe conciato, coi suoi capelli impastati di sborra- e partimmo; le feci allacciare le mani sul mio stomaco, in modo da avere le sue braccia tra i miei gomiti ed il torace e poter, così, essere sicuro che non cadesse, addormentata, dalla sella. Guidai quietamente, nella notte fin troppo fresca, per arrivare a casa proprio mentre, a oriente, il cielo cominciava a scolorare.

22 – La cena

Dormimmo quasi tutto il giorno, svegliandoci nel pomeriggio.
Marica aveva l’espressione del gatto che ha mangiato il canarino ed io continuavo a meravigliarmi di quanto mia moglie fosse sempre più bella, più porca e più assolutamente disponibile.
Appena sveglia, mi aveva raccontato gli accadimenti in quell’appartamento e e le sue sensazioni e, lo ammetto!, questo insieme di situazioni mi eccitava parecchio… ma non in modo banalmente sessuale: il mio piacere era una cosa a livello molto cerebrale ed il rivivere con gli occhi della mente le situazioni che mia moglie affrontava mi davano un potente, inedito piacere, mai conosciuto prima.
Stavamo languidamente entrando nell’ordine di idee di pensare alla cena, quando squillò il suo cellulare.
«Ciao, cara…» La sua espressione gioiosa venne subita sostituita da un’altra più compresa ed anche il suo tono di voce divenne più formale, più… gerarchicizzato, deferente «Sì, signora, mi scusi… non succederà più, glie l’assicuro… Sì, mi dica… tra un’ora? Bene!… Sì… sì… va bene, ho capito… sì… come crede… beh, certo: cercherò di non deluderla, signora… come crede… va bene, a fra poco, sì… Buonas…»
«Ha riattaccato!» mormorò, con tono leggermente deluso.
Poi mi guardò, con gli occhi brillanti di eccitazione.
«Era Concetta: mi ha detto che mi passano a prendere tra un’ora esatta, perché devo accompagnarla a cena, in un ristorante, con altre persone…
Mi ha detto che devo mettermi tacchi a spillo, un miniabito piuttosto elegante, perché andiamo in un ristorante “carino”, ha detto così, un po’ di trucco, leggermente pesante e senza assolutamente intimo… Vado a farmi la doccia: ho appena il tempo di prepararmi!»
Scomparve in bagno e sentii subito lo scroscio della doccia; mi aspettava un’altra serata solitaria, in casa, a cercare di immaginare dove fosse mia moglie e cosa stesse facendo… eccitato!
Allo scoccare dell’ora, mia moglie era pronta per il suo appuntamento: un semplice tubino nero, con le spalline a stringa, scarpe nere col tacco da dieci centimetri, una pochette di lustrini neri e un filino troppo carico il trucco, con il rossetto un po’ troppo rosso e gli occhi un filino troppo truccati.
Il tempo di contemplarla per dieci secondi e subito lo squillo alla porta; lei che mi sfiorò la guancia con un rapido bacio e poi schizzò fuori, ancheggiando sui tacchi, eccitantissima.

Concetta mi aspetta seduta in una Mercedes e mi fa segno di sedermi dietro; ovviamente eseguo: apro la portiera e mi siedo, dando la buonasera a lei ed al tipo alla guida, un uomo sulla cinquantina, brizzolato, con l’aria di un facoltoso che ha cura di sé.
Senza girarsi, mentre l’auto riparte con un fruscio, Concetta dice: «Questa troia è Marica, Marco»
Poi, rivolgendosi a me: «Adesso andremo a cena con un’altra coppia, alla quale ho raccontato quanto tu sia schiava e docile; per cui, qualunque cosa ti chiederemo stasera, lo farai subito e con un sorriso. Capito?»
«Sì, signora Concetta!»
«Altra cosa: stasera farai un… fioretto: non parlerai MAI; solo se ti verrà esplicitamente detto, potrai rispondere a parole, ma altrimenti dovrai sembrare muta. Capito?»
Annuisco, ubbidiente.
Detto ciò, mi ignorano, mettendosi a parlare degli affari loro, fino al ristorante, lontano parecchi chilometri da casa mia.
Sulla porta, ci aspetta una coppia, abbastanza vicina alla sessantina: lui –Roby- è basso, paffuto, pelato e lei -Giusy- ha l’aria della massaia grassoccia tirata a lucido per la serata.
Appena seduti al tavolo che ci avevano riservato, Concetta si alza e dice: «Noi bambine ci andiamo a incipriare il naso…» guardandomi con intenzione.
Così mi unisco a loro verso la toilette delle signore.
Arrivate lì, mi fanno entrare nel camerino con loro e subito Giusy si rialza l’abito, abbassa il perizoma e fa pipì, davanti a noi.
Appena finisce, Concetta mi sussurra «Asciugala!» ed io capisco: mi inginocchio e comincio a leccarla, andandole pazientemente a lambire ogni gocciolina sui folti peli che le coprono la fica.
Dopo un pochino, convinta di aver completato l’operazione, mi discosto e Giusy si rialza, lasciando il posto a Concetta che, dopo aver fatto, aspetta che le renda lo stesso servizio; più facile, visto che lei è completamente depilata.
Tornate finalmente al tavolo, hanno cominciato a servire la cena e durante tutto il pasto, i due uomini (comincia Marco, ma Roby si adatta subito!) continuano a palparmi e ad infilare le mani sotto l’abito, sia da sotto che da sopra, e le dita in ogni mi orifizio, dalla bocca fino alla fica ed al buchino del culo -oltre ogni pudore- e aumentando la mia eccitazione a dismisura, anche quando il cameriere è vicino e può, quindi, vedere facilmente cosa mi fanno. Tuttavia, molto professionalmente, ostenta un’aria indifferente, anche se viene tradito dall’erezione che i pantaloni neri rendono solo meno evidente.
Gli armeggi dei due e l’espressione… tesa del cameriere non sfuggono al proprietario che decide di avvicinarsi al nostro tavolo, col pretesto di sapere se va tutto bene, se tutto è di nostro gradimento.
Concetta, come lo vede arrivare, mi ordina di far cadere il tovagliolo, quando è accanto a me e, mentre lui si abbassa per raccoglierlo, stare con le gambe bene aperte, per donargli una vista “panoramica”.
Avvicinatosi a noi mi sovrasta, rivolgendo le sue parole ai due uomini, ma il suo sguardo è fisso al mio seno quasi denudato degli armeggii dei due; faccio -come richiesto- cadere il tovagliolo ed accenno a chinarmi per raccoglierlo, ma lui con un «Lasci, signorina, ci penso io!» esclamato con un sorriso a trentadue denti, si accuccia a raccoglierlo e… e non risale più, mi sembra.
Sento il suo sguardo, bollente come una lama di sole, esplorarmi la fica e sono turbata ma anche eccitata di questa impudica ispezione.
Quando, alla fine, riemerge alla normale postura, il suo sorriso è ancora più ampio: sembra che, mentre era accucciato sotto il livello del tavolo, si sia messo in bocca un’altra dozzina di denti!
Mentre il cameriere ci serve il dessert, resta a ciondolare accanto al nostro tavolo, raccontandoci della storia di quel suo ristorante ed alcuni aneddoti gustosi su anonimi clienti.
Come poso il cucchiaino del dessert –eccellente!- lui, sempre saettandomi occhiate molto concupiscenti, fa cadere una frase del tipo: «… Se lorsignori fossero interessati, sarei orgoglioso di mostrarvi le nostre cucine e le nostre dispense…»
Marco coglie l’occhiata di Concetta: «Saremmo davvero felicissimi di visitare tutto il suo ristorante, ma noi ed i nostri amici dovremmo discutere di una certa faccenda.
Comunque sono sicuro che la signorina sarebbe felicissima di visitare tutto il suo locale… Marica, vai pure!»
Capisco al volo e mi alzo sorridendo al raggiante titolare, che subito mi pilota nella cucina, scintillante di acciaio inossidabile e pulitissima.
Si mette a blaterare sulle attrezzature, le dotazioni, gli impianti ed intanto mi sfiora il sedere con una mano; poi, sempre mostrandomi chissacché, me lo accarezza di nuovo, ma stavolta si sofferma un poco.
Non mi scosto e lui prende possesso della parte, mentre mi pilota nella dispensa: mi mostra le scorte sugli scaffali, poi i generi deperibili nella cella refrigerata e intanto la sua mano ha fatto risalire l’orlo dell’abitino fino a scoprirmi le chiappine. Sempre sproloquiando del suo ristorante, fa scorrere un dito nel solco tra i due semiglobi, sonda l’elasticità del buchetto, poi scende, mi forza con due dita a divaricare le gambe e comincia ad esplorare attentamente la fica, sempre standomi dietro.
Sento il suo respiro affannato e la sua erezione contro un fianco e, con nonchalance, glie la accarezzo col dorso della mano.
Lui ha come un sussulto e mi invita a seguirlo nel suo ufficio, ma trascinandomi quasi per un braccio.
Chiusa la porta dietro di noi, mi guarda, mi dice «Sei bella» e armeggia per abbassarsi la lampo dei calzoni; solo che è completamente impallato ed allora, con un sorriso da vera troia, glie lo abbasso io, poi introduco la mano all’interno, gli scosto gli slip e glie lo estraggo: non molto grande, ma teso e con la cappella violacea per l’eccitazione, che occhieggia dalla pelle tesa che –evidentemente- non riesce a scoprirla completamente. In cima, il buchino luccica per una gocciolina di liquido denso e trasparente, a riprova di quanto l’uomo sia su di giri.
Mi appoggia, con molta delicatezza, una mano sulla nuca e sospira a fondo; capisco e mi accuccio, cominciandoglielo a leccare tutto.
Ha così frenesia del pompino che sto cominciando a fargli, che resta lì, impalato, a un metro dalla porta, con l’uccello che svetta dalla zip aperta dei pantaloni neri ed io, dopo averlo inumidito tutto con la lingua, prima gli alito sopra il mio respiro caldo e poi comincio a stringerlo, sulla punta, tra le labbra.
Allento la stretta e avanzo di un centimetro e poi ancora ed ancora, finché non è tutto nella mia bocca, che lo aspira mentre la lingua lo blandisce con carezze.
Dura pochissimo, penso meno di due minuti, poi lo sento gemere, mentre due fiotti di sperma mi colpiscono l’ugola.
Ingoio tutto, poi mi rialzo sorridente, mentre lui sembra sconvolto dal piacere che ha appena provato.
Mi sorride, vergognoso, mi ringrazia; vorrebbe dire e fare mille cose, ma è impacciato come un liceale.
Gli sorrido, lo bacio sulla guancia ed esco, lasciandolo lì, nel suo ufficio, in piedi, col cazzo mollo fuori dai pantaloni ed un’espressione di ebete gioia sulla faccia.
Torno al tavolo e Marco mi interroga: «Cos’hai fatto?»
Sotto lo sguardo inquisitorio del quartetto, rispondo: «Mi ha mostrato tutto il locale e poi, nel suo ufficio, mi ha fatto capire che desiderava un pompino…» «Fatto?» «Sì» «Con ingoio?» «Beh, certo!»
«Uhhmmm… Va bene, andiamo!»
Arrivati nel parcheggio, Marco mi dice: «Roby è curioso di scoprire come fai i pompini. Fagliene uno, subito!»
Mi accuccio davanti all’uomo, gli slaccio la patta, gli abbasso i boxer e tiro fuori un cazzo lungo come quello del ristoratore, ma più grosso di diametro.
Non perdo comunque tempo a studiarlo e comincio a spompinarlo, facendogli però uscire le palle dai pantaloni e leccandogliele e mordicchiandogli delicatamente lo scroto.
Poi me lo aspiro in bocca e lo massaggio con la lingua, mentre lui mi posa le mani sulle orecchie e le tempie e pilota i movimenti della mia testa.
Mentre sono così oscenamente accoccolata, sventagliate dei fari di auto che passano ci illuminano brevemente e mi chiedo –viziosamente- se qualcuno in quei pochi secondi possa avere un’idea di cosa stia succedendo, tra quelle due coppie in piedi e quella donna accucciata sui talloni…
Mentre sono sul precario equilibrio dei tacchi a spillo, Concetta mi impone di aprire al massimo le gambe «…Così, se passa qualcuno, non avrà dubbi su quanto tu sia troia»
Eseguo anche questo ordine, ma senza però allentare la presa sul cazzo di Roby che difatti, dopo poco, mi viene in bocca.
Mi rialzo, leccandomi le labbra, mentre Roby si ricompone e decidono di raggiungere un bar distante poche decine di metri.
I quattro parlottano, tra loro, ed io seguo, metaforicamente con “le orecchie basse”, come un cucciolo portato a fare una passeggiata dai padroni.
Ci accomodiamo in un separé del bar –una sorta di pub, semideserto- e sono sempre l’argomento dei loro discorsi.
Ad un certo punto, Giusy sbotta con un: «Sì, ma si fa presto a dire che questa qui è troia… Lo dite perché è disponibile e brava a letto… o anche perché si sa comportare… di conseguenza?» E ammicca.
Tutti ridono, poi Carmela si rivolge a me, con la faccia feroce: «Hai sentito i dubbi che ha la mia amica, su di te?» Annuisco rapidamente.
«E tu non vuoi che io passi per un persona che dice cose non vere, sbaglio?» Nego scuotendo il capo.
«Bene: allora adesso lascerai quella stupida pochette qui, a noi e poi uscirai, adescherai un uomo e ti farai dare cinquanta euro, in un’unica banconota, in cambio di un pompino con ingoio.
Una volta fatto, tornerai qui, da noi, consegnandoci la banconota e facendoci vedere la sborrata che avrai conservato in bocca. Fila!»
Mi alzo e sento le guance avvampare per la vergogna: fare la puttana dandola senza troppe storie, sì, ma farlo proprio per soldi…
Ma la sfida, inoltre, mi eccita e quindi lascio il bar, turbata.
Studio brevemente una strategia e mi sposto vicino al ristorante, dove tra l’altro mi sembra che ci sia anche più passaggio di persone a piedi.
Valuto gli uomini soli che vengono dalla mia parte e decido di provare con uno, sulla quarantina, distinto: «Scusi signore, ho un problema e forse lei mi può aiutare a venirne a capo»
Si ferma e si predispone ad ascoltarmi cortesemente.
«Ho cenato in quel ristorante, ma al momento di pagare mi sono accorta che qualcuno mi ha rubatoli portafogli dalla borsetta, coi soldi.
Il padrone, però, non mi crede e mi ha dato mezz’ora per tornare con i soldi per pagare il conto, altrimenti chiamerà i carabinieri; ha trattenuto la borsetta coi documenti come garanzia e io son disperata…
Ora, mi chiedevo… un signore distinto e gentile come lei… sarebbe disposto a darmi cinquanta euro, per saldare il conto a quell’orco, in cambio di… beh, sì… insomma… ehmm… beh… un pompino ben fatto, ecco!?»
Il tipo ascolta e si trasfigura «Ma va a da via i ciap, brutta puttana!» E se ne va, stizzito.
Il mio amor proprio resta ferito ed, ormai, mi sono ostinata a riuscire nella missione che Concetta mi ha dato.
Valuto un altro uomo -più giovane, questo, con l’aria da giovane rampante- e lo fermo, ripetendo la mia triste storia di donna sola, derubata e non creduta.
Lui mi soppesa con lo sguardo e mi dice «Andiamo!» precedendomi in un androne, nel sottoscala.
Lì faccio il mio lavoro da brava puttana, leccandoglielo con passione, lavorandogli bene la grossa cappella –sproporzionata, per il fusto del cazzo piuttosto sottile- con la punta guizzante della lingua.
Lui si sente autorizzato ad abbassarmi le spalline dell’abito ed a scoprirmi i seni per palpugnarmeli comodamente e lo lascio, ovviamente, fare.
Aumentando gli affondi della mia bocca sul suo cazzo teso, sento che mi afferra i capezzoli ed ad ogni mio affondo lui geme e li stringe, sempre di più, fino a farmi veramente male quando, con un sordo ruggito, mi scarica i coglioni in bocca.
Lo sento fremere ancora tra le labbra, mentre si ammoscia, come un pesce morente in secca ed alla fine mi rialzo e tendo la mano aperta, nel segnale inconfondibile del «Dammi!»
Lui sospira, con un guizzo di contentezza in fondo agli occhi, estrae il portafogli e mi dà l’agognata banconota; lo ringrazio con un cenno della testa e sfreccio via, mentre lui parla di «…rivederci un’altra volta e…» ed il resto lo perdo allontanandomi, per tornare al bar.
Noto sul tavolo in numero cospicuo di bicchieri vuoti e sento che stanno tutti ridendo.
Mi avvicino al tavolo, con gli occhi bassi e loro ammutoliscono di colpo; Concetta tende la mano e le porgo la banconota, poi mi ordina «Apri la bocca!» e le mostro lo sperma sulla lingua.
«Visto?» dice trionfante a Giusy.

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