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OrgiaRacconti Erotici EteroTrio

Un’avventura fuori casa.

By 9 Aprile 2012Dicembre 16th, 2019No Comments

Ero in giro, lontano da casa e dal solito tran-tran, in una città grande e distante. Nei giorni precedenti ero stato ospite di amici, ma adesso per motivi logistici ero costretto a stare da solo, in giro senza una meta precisa.
Quella sera avrei dormito in albergo, e probabilmente anche il giorno seguente. Mancava comunque molto a quel momento. Avevo pranzato molto presto, prima di mezzogiorno, in modo da poter girare comodamente le attrazioni della città.
Durante uno di questi giri, mentre ero imbambolato ad osservare la maestosità di un monumento, mi sentii chiamare improvvisamente da una voce del tutto sconosciuta.
Mi girai di scatto, e pian piano mi misi a cercare con lo sguardo la fonte di quella voce. C’era tanta gente attorno a me, e ci misi non poco ad individuare il motivo della mia curiosità. Più che altro ne fui individuato, devo ammettere.
Dopo qualche minuto di ricerca infatti fui avvicinato alle spalle da una graditissima sorpresa: una cara amica, che conoscevo solamente via chat, mi aveva fortunosamente incrociato in mezzo a tutta quella confusione.
Simona, così si chiamava, era un’insegnante di molti anni, quasi venti, più grande di me, che ancora ero un semplice studente universitario. Parlavamo in chat già da anni, e le conversazioni erano sempre piacevoli e divertenti.
Proprio grazie ad altri amici comuni lei aveva saputo della mia trasferta, e di conseguenza aveva cercato in un certo senso di creare la coincidenza. Anche lei non risiedeva in quel posto, ma viveva in un comunea qualche decina di chilometri da lì.
Mi disse che sperava fortemente di incontrarmi, così da poter finalmente fare quattro chiacchiere dal vivo. Ricambiai l’entusiasmo.
Passammo un’oretta da turisti fin quando lei, venuta a sapere che avrei dovuto trovare un albergo, non iniziò ad insistere per ospitarmi in modo da evitarmi una spesa inutile.
Non volevo approfittare dell’ospitalità, e quindi cercai di resistere alla sua offerta, benché in effetti mi avrebbe fatto non poco comodo. Alla fine, dietro ripetute minacce di rimanere offesa, cedetti ed acconsentii a seguirla fino alla macchina.
Il viaggio verso casa sua durò quasi un’ora, ma non avvertii nulla. Le ore piccole fatte con gli altri amici nei giorni precedenti fecero il loro effetto, ed io in macchina dormii per tutta la durata del tragitto.
Di questo mi scusai molto quando, una volta arrivati, Simona mi svegliò ridendo. Ero imbarazzato dal mio comportamento un po’ maleducato, ma lei non sembrava farci assolutamente caso.
L’idea di una casa comoda e gratuita per la notte e un po’ di stanchezza passata con la profonda dormita mi avevano messo di buon umore, e quindi in pochissimo mi ristabilii e ripresi amichevolmente a conversare.
Mi veniva sempre difficile parlare dal vivo con chiunque, anche con amici di una vita; figuriamoci con una persona che incontravo per la prima volta! La timidezza mi impediva quindi di essere troppo brillante o logorroico, ma forse era una fortuna. La mia amica parlava per due, anche per tre, forse per l’abitudine a tenere lezione giorno per giorno, in classe, da molti anni.
La sua casa era una villetta di due piani immersa nel verde, abbastanza isolata dal centro urbano, ma non troppo fuori mano. Un giardino ben curato, con un prato perfettamente rasato, contornava la struttura. A sua volta il giardino era circondato da una fitta siepe, che nascondeva un muretto. La siepe si interrompeva solo per la lunghezza di un cancelletto, non più grande di una normale porta.
Entrammo dentro e sostando nell’ingresso, che poi era in realtà una sorta di soggiorno, chiesi dove dovevo lasciare il piccolo bagaglio che mi portavo dietro.
-Le camere da letto sono al piano di sopra-, mi rispose la donna -Dai a me, li vado a sistemare io che devo andare su, tu mettiti pure sul divano, che magari ti fai un’altra dormitina-, rise garbatamente.
Diventai rosso all’improvviso, dimenticandomi anche di ringraziarla per quel “trasporto merci” che non le competeva. Avrei dovuto offrirmi di farlo da solo, ma quando mi venne in mente lei era già arrivata quasi alla fine delle scale che portavano al secondo piano.
Mi guardai un po’ attorno. Il divano era rivolto verso la porta d’ingresso, ed aveva accanto due poltrone. In mezzo a queste, un tavolino basso di legno e vetro, parzialmente coperto da riviste e soprammobili. Di fronte al divano, sulla destra della porta d’ingresso, una grande tv a schermo piatto adagiata sulla parete. Per terra completava l’arredamento un grande tappeto.
Dall’altra parte della stanza, sulla sinistra, un tavolo rotondo faceva bella mostra di sé, assieme a delle sedie in legno che riprendevano il colore chiaro del mobilio di tutta la stanza.
Seduto su di una poltrona, mentre osservavo il fondo della stanza che portava ad altri ambienti, probabilmente una cucina e un bagno di servizio, la mia amica stava tornando giù. Erano passati una ventina di minuti, che avevo ingannato anche leggendo qualche rivista di quelle sul tavolino. Fra quelle, aveva colpito la mia attenzione un catalogo di biancheria, che avevo scoperto essere un po’ “spinto”. Per evitare imbarazzi l’avevo rimesso sotto tutti gli altri periodici appena avevo sentito i suoi passi avvicinarsi.
Lei intanto si era cambiata d’abito: al posto del jeans e della polo, con cui girava in città qualche ora fa, adesso indossava una gonna comoda ed una camicietta; era una donna veramente bella, nonostante l’età non più giovanissima. Ma  certamente quel che colpiva di più in lei erano le dimensioni. Tutt’altro che grassa, era comunque incredibilmente imponente. Più alta di me di una decina di centimetri, poteva sicuramente essere scambiata per una giocatrice di pallavolo o pallacanestro; io, infatti, non ero affatto basso.
Nonostante l’altezza, però, il suo aspetto non era assolutamente allampanato o dinoccolato, anzi! Appariva senza dubbio in carne, pur senza essere grassa. L’aspetto era “morbido”, per così dire.
Chiacchierammo del più e del meno fino a metà pomeriggio, poi mi avvertì che sarebbe passata una sua amica, con cui una volta avevo anche chattato, per prendere un té.
Detto ciò si alzo e andò verso il fondo della stanza, dove avevo ipotizzato ci fosse la cucina, azzeccandoci.
Il rumore di stoviglie non coprì quello di una macchina che si fermava fuori dalla proprietà.

In pochi minuti il campanello squillò, ed io mi offrii di andare ad aprire.
Mi trovai così di fronte Patrizia, l’amica della mia ospite. Aveva la sua stessa età, e non era l’unica cosa in comune. Anche Patrizia, come non avrei mai immaginato, infatti era altissima, benché dimostrasse qualche centimetro di meno dell’amica, nonostante indossasse dei vistosi e alti tacchi a punta.
Non era l’unica cosa vistosa nella sua figura: oltre l’altezza, anche il suo abbigliamento colpiva. Gonna corta, camicia e giacca erano appositamente studiate ed indossate per far risaltare il suo incredibile fisico, decisamente più longilineo di quello di Simona, sebbene a scapito di qualche curva in meno. L’insieme ricordava una modella, giusto con qualche anno in più.
-Beh? E tu chi sei? Sei l’amico di Simona? Vuoi continuare a guardarmi o mi fai entrare?- mi disse fra il divertito e l’infastidito.
-Oh, scusa, scusa. Sì, sono il suo amico, lei sta preparando il té, entra pure, accomodati- dissi frettolosamente, preso dall’imbarazzo.
-Era ora-, disse lei tirando dritto verso la cucina.
Mi sedetti al tavolo aspettando il loro ritorno. Confabularono per un po’, prima di arrivare con il vassoio con il vasellame.
Sorbimmo il té chiacchierando. Simona mi presentò a Patrizia, ricordandole anche di qualche vecchio dialogo informatico fra di noi.
Le due bevverò tantissimo té, facendomi stupire del loro gusto per quella bevanda che a me non piaceva poi così tanto.
Finita la merenda, ci andammo a sedere più comodi: io e Patrizia sulle poltrone, Simona fra di noi sul divano.
Riprendemmo a parlare del più e del meno, e gli argomenti dopo poco scivolarono su qualche chattata “osè” che era capitata fra le tante.
Via computer risultavo un po’ meno timido, e quindi riuscivo a concedermi qualche confessione in più, saltando i numerosi tabù che infliggevano la mia vita.
Le due donne ridevano di gusto parlando di me, che ormai ero quasi totalmente silente. Troppo difficile parlare di certe cose, seppure in maniera divertente, dal vivo davanti a due donne. Tentavano però di mettermi a mio agio, nonostante qualche battutina più ricercata che mi fece ritenere più opportuno ascoltare e non parlare.
-Allora pisellino, non dici nulla?- disse all’improvviso la professoressa. Il suo bel viso era dominato da due occhi azzurri divertiti e curiosi, che ben si sposavano con i capelli biondi tenuti abbastanza corti.
Trasalii sentendomi chiamare così. Non avevo mai pensato che il dire in chat di non essere propriamente superdotato potesse poi essere ripreso dal vivo da qualcuno che non fosse qualche mio amico ridanciano e sfottente.
Sentirmi chiamare così mi aveva fatto letteralmente sobbalzare, scatenando l’ilarità delle due donne.
-Su su, stavo scherzando. E’ un nomignolo simpatico, però. Ti dispiace se lo uso ancora, pisellino?- aggiunse la padrona di casa.
Risposi di sì, o meglio tentai di farlo, ma mi ritrovai ad annuire a bocca non del tutto chiusa.
-Posso chiamarti pure io pisellino?-, si inserì anche Patrizia.
-Va.. va bene- riuscii a dire riprendendo un po’ di autocontrollo, anche abbastanza divertito. -Io posso chiamarvi tettone?- dissi subito dopo, quasi inconsciamente, ricordando anche il loro vantarsi in chat delle dimensioni del loro seno. Devo ammettere, fra l’altro, che il vanto non era ingiustificato: se Patrizia riempiva perfettamente la sua camicia, Simona debordava, mostrando un seno veramente enorme, benché come detto rapportato ad un fisico realmente imponente.
-Ma… ma come ti viene in mente, scemo- rise Simona, subito seguita dalla sua amica che aggiunse: -Non ci provare proprio, pisellino. Qui sei ospite, certe cose lasciale a noi-.
Non riuscii a scusarmi a voce, ma la mia espressione attonita doveva essere emblematica.
-Va bene pisellino, su su, non fa nulla. Ora non rimanere così imbambolato però-, disse la donna di fonte a me.
La padrona di casa intanto si era alzata, e mi si era avvicinata. Così in piedi, vicino a me adagiato nella poltrona, mi dominava completamente; raramente mi ero sentito così basso e piccolino nei confronti di qualcuno.
-Senti, io ti ospito volentieri, lo sai. Però potresti farci un piacere per ricambiare? Non solo a me, anche a Patrizia, che si è offerta di riaccompagnarti alla stazione per il ritorno…- disse guardandomi.
-Ma certo-, dissi io felice di cambiare discorso e di potermi sdebitare.
-Ok… allora dovresti spogliarti.- disse ancora.
La guardai, e poi guardai l’amica. Non riuscivo a capire cosa avesse detto, e me ne uscii con un -Eh?-
-Ho detto che dovresti spogliarti, ci piacerebbe vederti girare nudo per casa. Puoi farci questo piccolo piacere, tanto fa caldo…- aggiunse ancora.
-Ma… ma… ehm… cioè…-
-Qualche altra congiunzione?- intervenì Patrizia -Che ci vuole, su! Via pantaloni e maglietta! Fallo per noi, pisellino!-.
La richiesta del tutto stramba ed inaspettata, la nuova citazione di quello che stava diventando il mio soprannome e lo sguardo puntato delle due su di me, mi resero quasi catalettico, incapace di rispondere, muovermi o capire cosa stesse succedendo.
Simona mi incalzò: -Insomma, ce lo fai questo favore? Sì o no? Dai, vogliamo vedere se sei veramente un pisellino… e poi ci fa piacere che tu ti senta libero come a casa tua-.
Ormai mi era davanti, e mi guardava dall’alto con le braccia sui fianchi. Anche Patrizia si era alzata, mettendosi accanto la mia poltrona, aspettando anche lei una risposta che tardava ad arrivare.
Non ero in grado di rispondere, ero totalmente impappinato.
Sentii le mani di Patrizia arrivare sulle mie spalle. La donna si era spostata dietro lo schienale della poltrona, e ora poggiava, attraverso le braccia, il peso del corpo su di me. L’altra, intanto, si era chinata per slacciarmi la cintura.
Tentai blandamente di divincolarmi, ma ancora non ero padrone di me stesso, incapace di credere a cosa stesse succedendo. I miei pantaloni erano già stati sfilati quando finalmente riuscii a fare più resistenza.
Da dietro Patrizia quasi non riusciva più a tenermi, mentre invece Simona era riuscita a bloccarmi le gambe allargandole con le sue in modo che urtassero tavolino e divano. Continuai a divincolarmi, finché la donna dvanti a me non decise di fermarmi.
Un pugno diretto e preciso colpì i miei genitali, provocandomi un dolore lancinante ed improvviso: mi aveva tirato un pugno sui testicoli!
Vinto dal dolore, bloccai la resistenza e le due ne approfittarono per togliermi la maglietta.
Aspettarono senza far nulla che io mi fossi ripreso. Una volta tornato quasi normale, se normale può descriversi un ragazzo in slip e canottiera fra due donne in casa loro, Simona mi chiese ancora una volta di spogliarmi, specificando di togliermi solo gli slip.
Non sapevo che fare, mi guardavo attorno spaesato, ancora un po’ intontito per la botta ricevuta. Patrizia mi tirò su di peso, lasciandomi lì in piedi. Lei si era seduta sul divano, accanto all’amica.
Ero di fronte a loro, in piedi, vestito solo con la biancheria; mi feci coraggio, e tirai giù gli slip con un gesto solo, rimanendo piegato per disincagliarli dalle caviglie.
Rialzandomi, cercai di coprirmi allungando la canottiera.
Le due risero forte per il mio gesto, che in effetti doveva apparire abbastanza ridicolo.
-Leva quelle mani, su!- -Toglile!-, dissero.
Feci un respiro profondo e rumoroso, chiusi gli occhi e lasciai che la canotta si ritraesse, abbandonando le braccia lungo i fianchi.
-Oooh, finalmente. Guarda, Pisellino ha veramente un pisellino!-, disse Patrizia.
-Sì sì, piccolino e carino-, aggiunse Simona allungando una mano e stringendomi la punta del pene fra due dita.
Ero sempre più basito dalla situazione. La mia ospite continuò il gesto trascinandomi verso il divano con la presa effettuata, aiutata dall’amica mora che mi spingeva sulla natica destra.
-Bravo Pisellino, per farti vedere che ci è piaciuto il favore, faremo noi qualcosa per te. Siediti, se vuoi-.
Non me lo feci ripetere due volte, tornando immediatamente seduto in poltrona, tentando di coprirmi ancora con la canottiera e nascondendo quanto possibile fra le gambe, nonostante un’erezione incontrollabile.
Durante la mia sistemazione le due donne si alzarono in piedi, incominciando a sbottonare le camicie indossate.
Patrizia fu la prima a rimanere in reggiseno. Dai bordi neri, ma abbastanza trasparente sulla coppa, l’intimo sosteneva e mostrava un seno grande e bello. Attraverso la stoffa si potevano vedere chiaramente i capezzoli, attraversati entrambi da un piccolo piercing a forma di doppia freccia.
Diversamente la donna bionda non era rimasta in reggiseno, ma si era tolta anche quello. Mostrava con orgoglio il suo seno prosperoso ed enorme. Le grandi mammelle erano sormontate da una larga areola più scura, sul cui centro svettavano due capezzoli più lunghi di quelli dell’amica, ma anch’essi attraversati da piercing, questa volta due anelli.
Mi era ormai impossibile controllare l’erezione.
Patrizia si era ormai tolta anche la gonna. Era rimasta in piedi davanti a me, mostrando un reggicalze nero, coordinato con le linee del reggiseno, che teneva su due calze nere che partivano a mezza coscia. Al centro delle fasce di tessuto longitudinali alla coscia, un paio di mutandine nere, con lo stesso effetto del reggiseno. Bordi neri opachi ad incorniciare un tessuto semitrasparente che non lasciava molto all’immaginazione.
Anche Simona si era tolta la gonna, ed anche lei indossava un reggicalze, questa volta bianco. Ancora una volta, a differenza dell’amica, nulla celava la sua vagina, se non un rado ciuffetto di peluria bionda.
-Beh, che ne dici del piacere, pisellino?-, mi chiese la mia amica.
-Ehm…-, non riuscii a rispondere.
Lo fece per me Patrizia: -Pisellino… ormai non è più -ino come prima, Simo!-.
Le due risero.
-Sì, ma ti piace? Ti piacciamo? Ti sembriamo belle?-, chiese ancora.
-… sì… sì… certo. Siete bellissime-, dissi onestamente.
-Oh, grazie. Che carino. Ora però vorremmo un po’ divertirci. Ti va di farci divertire un po’?-, chiese ancora una volta rivolgendosi a me.
-Ehm… sì ma… non ho… insomma, non so, non ho mai…-
-Non devi fare nulla. Per farci divertire devi solo fare quello che diciamo noi, assecondarci, senza protestare. Ti va?- disse Patrizia.
-Sì, ma… veramente…-
-Devi solo assicurarci che farai quel che ti diciamo, va bene?- mi incalzò Simona.
-Ok, va bene. Certo. Ditemi che devo fare-.
-Bravo. Per ora devi aspettare un attimo lì.-
Le due donne si allontanarono un attimo, rovistando in un mobile in un angolo della stanza.
Io intanto riflettevo sulla situazione incredibilmente assurda in cui mi ero infilato, senza credere a ciò che stava accadendo. Non riuscii a concludere nulla di razionale, e la mia meditazione fu interrotta dal ritorno delle due, con delle cinghie che penzolavano dalle mani.
Patrizia inizio ad armeggiarci. Ci infilò prima un piede, poi l’altro, e tirò su quello strano insieme di cordame, nascondendomelo parzialmente con le mani.
Quando finì di sistemarselo, vidi cos’era. Si era infilata una sorta di mutandina, retta da varie cinte, al cui centro, proprio di fronte a me, svettava una specie di dildo, un aggeggio falliforme rosso, lungo una ventina di centimetri.
-Questo, Pisellino, si chiama strap-on…- disse -ed ora che hai visto come si mette, lo metterai tu a Simona-.
L’insegnante aveva lasciato cadere a terra il suo armamentario.
Mi alzai e mi chinai per raccoglierlo, ma la donna non fece nulla per agevolare la vestizione. Dovetti inginocchiarmi e sollevarle le gambe una ad una, fino a tirare su l’apparato a coprirne i genitali.
Il dildo in questo caso era di colore viola traslucido. La forma era più regolare e liscia di quello dell’amica, che era vagamente attorcigliato su se stesso, e la cui superficie era butterata da piatte e larghe semisfere plastiche.
Sistemata l’ultima cinghia dietro la schiena di Simona, mi sentii afferrare la nuca. Ancora in ginocchio, la donna mi indirizzò la testa proprio sulla plastica viola e spingendo mi costrinse ad aprire la bocca. Il dildo penetrò la mia bocca sempre più in profondità. Una volta soddisfatta, Simona incomincio a fare avanti e indietro col bacino, facendo scivolare lo strap-on fra le mie labbra.
A turno spompinai i giocattoli delle due donne, e durante l’ultimo giro Patrizia aggiunse altro al proprio divertimento. Mentre ero impegnato a succhiare il suo finto pisello mi schiacciò il pene sotto la suola della sua scarpa, stuzzicandone la punta con la fine dello stiletto della stessa.
Un misto di fastidio, blando dolore e piacere rese la mia erezione più convinta e duratura, aumentando conseguentemente le sensazioni precedenti. Una sorta di circolo vizioso si era così venuto a formare.
Quando la plastica scivolò via dalla bocca, e la scarpa non mi tenne più schiacciato nulla, mi tirai su. Simona mi si avvicinò, afferrando con la mano il mio pene e il suo dildo, stringendoli assieme fino a farmi male.
La mora intanto mi spingeva la testa contro il seno dell’amica, spingendomi a leccarlo. Succhiai avidamente i capezzoloni di Simona, con immenso piacere.
Fui diviso dalle sue tette e spinto sul divano, su cui finii carponi. Davanti a me il dildo di Patrizia tornò ad infilarsi nella mia bocca, ed io lo ripresi a leccare, mentre lei m’accarezzava la testa.
Il cuscino del divano si abbassò sotto il peso di Simona, che aveva preso a massaggiarmi le natiche. Sentivo le sue dita che palpavano, stringevano e toccavano dappertutto, fino a sfiorarmi i genitali.
Un dito passò più volte fra i glutei, allargandoli e stuzzicandomi l’ano. Almeno pensavo fosse un dito.
Capii qualche secondo dopo che quello che accarezzava la lunghezza dello spacco del mio sedere non era un dito, bensì la punta dello strap-on della donna. Punta che si soffermò proprio sull’ano, iniziandolo a massaggiare dolcemente.
Il dolore fu nuovamente intenso ed improvviso: la punta dello strap-on allargò di colpo il mio sedere, penetrando di pochi centimetri al suo interno. Neanche il tempo di irrigidirmi, impossibilitato ad urlare dall’altro strap-on nella mia bocca, che il dildo viola continuò la sua esplorazione, infilandosi sempre più all’interno del mio corpo.
In pochi secondi mi ritrova penetrato dalla mia ospite: con ampi movimenti di bacino Simona prese così ad incularmi.
Il giocattolo attraversò l’interno del mio corpo innumerevoli volte, e la stimolazione da dolorosa si trasformò, non troppo rapidamente, in piacevole e, dopo altri minuti, quasi appagante.
Completamente abbandonato ai movimenti ritmici delle due, non mi rendevo conto di cosa stava realmente succedendo. Ero in balia di due ultraquarantenni, l’una che si stava facendo spompinare il suo pseudo-fallo, l’altra che continuava da un po’ ad incularmi profondamente col suo pisello di plastica.
La scena di un ragazzo in canottiera, carponi su un divano, penetrato da una signora dalle enormi tette ballonzolanti, mentre succhia una sua amica doveva essere, per uno spettatore immaginario, qualcosa di assurdo e forse divertente.
Ben presto però le due decisero di liberare le mie estremità, ma solamente per invertirsi di ruolo. Simona prese a farsi succhiare il dildo, mentre Patrizia, senza il minimo contegno, mi spinse lo strap-on fino in fondo con un solo gesto.
Il suo giocattolo, come detto storto e butterato, mi rinvigorì il dolore che si era ormai assopito. I suoi colpi violenti, i suoi movimenti aritmici e bruschi, lo amplificarono fino a renderlo quasi insopportabile. Solamente la lunga durata della pratica mi rese l’azione della mora sostenibile. Dopo un quarto d’ora, o forse di più, mi ero ormai abituato alla sua presenza dentro di me.
Si scambiarono di ruolo ancora qualche volta, finché non fui finalmente liberato da quella scomoda posizione.
Potei rifiatare solo per poco. Patrizia rimase in piedi a respirare, mentre Simona si sedette sul divano. Mi prese per mano trascinandomi su di lei. Le davo le spalle quando con un movimento ben studiato mi fece cadere precisamente sullo strap-on, che si ritrovò nuovamente infilato nel mio ano.
La donna prese quindi a farmi cavalcare, con gran divertimento dell’amica che guardava il mio pene andare su e giù assecondando il movimento di bacino di Simona.
Ammetto che ormai la pratica iniziava a piacermi, superato lo shock e abbandonatomi al piacere. Un’erezione persistente dimostrava l’apprezzamento del mio corpo, tanto che dopo qualche minuto iniziai io stesso ad andare su e giù sul giocattolo che aveva in parte perso di vigore.
Suonarono alla porta. Bloccato in quella posizione, Simona continuò a incularmi, mentre Patrizia andò ad aprire la porta.
-Come… fatemi rivestire su… sta arrivando… qualcuno…- tentai di dire sobbalzando.
-Non ti preoccupare, continua ad andare su e giù, Pisellino, che ho capito che ti piace-, mi rispose Simona stringendomi lo scroto in una mano e facendomi zittire.

Dalla porta entrarono salutanti e gioiose altre due donne, che abbracciarono e baciarono sulle guance Patrizia.
-Ciao Monica, ciao Roberta. Siete arrivate proprio al momento giusto, noi non ce la facciamo quasi più, dobbiamo un po’ respirare-, disse quella che aveva aperto.
-Ciao Patrizia, ciao Simona… vedo che sei impegnata con quel cazzetto- disse una delle due.
Le nuove arrivate indossavano entrambe jeans e maglietta.
Quella che avevo capito essere Monica era la più bassa delle presenti, un po’ tarchiata, ma con un viso molto bello ed un seno proporzionalmente superiore a quello di Patrizia, sebbene non ai livelli di quella che continuava a farmi scorrere il dildo nell’ano.
Roberta era un poco più alta, nulla di eccezionale, ma delle donne presenti, tutte molto belle, era sicuramente quella più affascinante. Una silhouette perfetta si univa ad un viso semplicemente splendido. La più bella donna che avessi mai visto.
Durante queste mie valutazioni, presero a spogliarsi. Monica rimase subito completamente nuda, mostrando però di indossare sotto i vestiti uno strap-on, questa volta con un dildo trasparente, sormontato da una sfera in punta.
La sorpresa più grande però arrivò da Roberta: bellissima, come detto, si tolse la maglietta mostrando un seno dalle forme praticamente perfette, una quarta abbondante soda, che non necessitava di un infatti assente reggiseno.
Anche il sedere era letteralmente da urlo, come neanche nelle pubblicità di intimo.
Ma appena girata frontalmente, ecco qui l’impensabile. Sotto i collant, proprio sul pube, un grosso pisello, ancora moscio, fece capolino ripiegato sotto l’indumento. Roberta, in tutta la sua incomparabile bellezza, era una transessuale!
Fu la prima ad avvicinarsi a me, mentre Patrizia e Monica rimasero da parte a ridere del mio pisellino ballonzolante sotto i colpi della padrona di casa.
Roberta invece mi si parò davanti, e si discostò l’elastico dei collant dal ventre.
La mia testa fu rapidamente infilata nello spazio fra il corpo e il tessuto, che si richiuse lateralmente sul mio orecchio destro.
Avevo la testa appoggiata al corpo della transessuale, fasciata dalle calze e bloccata dalla mano di Simona, ridanciana dietro di me. Le mani di Roberta invece indirizzarono il suo grosso pene verso la mia bocca, e in men che non si dica mi ritrovai a ciucciarlo.
Man mano che muovevo lingua e labbra il pisello di Roberta si allungava, ingrossava ed induriva nella mia bocca, fin quasi ad occuparla totalmente.
La scena doveva apparire assurda per un eventuale osservatore. Mi trovavo nudo, su una donna altissima e giunonica, con il sedere riempito dal suo strapon; il mio pene, indurito dalla stimolazione, saltellante al ritmo imposto dalla bionda dietro di me; la mia testa quasi completamente velata dai collant violacei di una donna bellissima, e completamente nuda tranne che per quell’indumento; la donna che non era una donna e mi faceva scivolare il suo grosso pene fra le labbra. A ciò si univano Patrizia, in piedi da un lato, che fissava la scena “masturbando” il dildo del suo strapon, e Monica, che lubrificava il suo dildo pronta ad intervenire nella situazione.
Ad un tratto Simona si fermò e, facendomi alzare, estrasse il suo giocattolo, lasciandomi in piedi a succhiare Roberta. Quest’ultima mi spinse nuova mente sul divano, facendomici adagiare con la schiena. Prese le mie gambe, le allargò e le tenne sostenute in alto con le braccia. Si era ormai fatta scivolare i collant a terra, ed il suo pene completamente eretto mi trapassò quasi immediatamente l’ano. Iniziò a spingere con forza in quella posizione, fissandomi dall’alto.
Sulla spalliera del divano si era invece poggiata con le ginocchia Monica, che stava facendo penzolare il suo dildo trasparente su di me. Trovata la giusta posizione, me lo infilò in bocca senza troppe titubanze.
Intanto Simona era scivolata dietro Roberta ed aveva iniziato ad incularla, aumentando così anche la forza dei suoi colpi contro il mio sedere.
Fui rimesso a quattro zampe, con Roberta e Simona sempre a fare il trenino dietro di me; Patrizia si era invece unita a Monica nel farsi leccare lo strapon dalla mia lingua.
Stremato dalla situazione, venni più volte, fino a che non mi ritrovai senza fiato e senza forze.
Fu allora che le quattro mi lasciarono per un attimo in pace.

Mentre rifiatavo sul divano, le donne parlottavano tra loro: tre si erano tolte, o si stavano togliendo, lo strap-on; la quarta, ovviamente, rimaneva con il suo pene reale barzotto durante la chiacchierata.
Quando finirono di parlottare, s’avvicinarono a me tutte insieme. Simona mi prese sotto le braccia, mentre Monica e Roberta mi presero le gambe. Le tre mi sollevarono senza troppa fatica, portandomi a spasso per la stanza.
Patrizia ci precedeva, spostando l’eventuale impaccio del mobilio. Fui portato così al piano di sopra. Sempre Patrizia aprì una delle porte del piano, e io fui condotto in un grande e lussuoso bagno.
Le tre donne finalmente mi lasciarono andare, rimettendomi in piedi per terra.
Patrizia mi tirò all’improvviso un calcio sui testicoli. Il dolore fu immediato e lancinante, e fui costretto ad accasciarmi sul pavimento per cercare di blandirlo. La donna che mi aveva colpito iniziò a spingermi infilandomi il tacco nella pelle. Mi fece letteralmente rotolare, strusciandomi col tacco ovunque, ed infilandomelo più volte anche nell’ano, finendo col giocherellare avanti e indietro col tallone.
Alla fine caddi nella vasca ovale idromassaggio al centro del bagno, riempita solo in minima parte di acqua calda. La donna entrò in piedi nella vasca: io mi rimisi seduto, con l’acqua che coprendomi a malapena i genitali mi dava una certa sensazione di sollievo. Ciò fu immediatamente interrotto da Patrizia, che prese a camminare sul mio pene e sul mio scroto con le sue scarpe; il tacco spinse più volte sui testicoli e sulla pelle dello scroto, costringendomi a gridare più volte.
E non ero l’unico a farlo: nel frattempo, infatti, Simona e Monica stavano facendo la stessa cosa con Roberta. La trans, presa alle spalle dall’amica con cui era venuta, aveva subito una serie di calci da parte della padrona di casa, calci diretti proprio sul suo sensibilissimo scroto. Ora, a terra, piegata in due per il dolore, veniva calpestata sempre sui genitali dai tacchi delle due donne.
Quando tutte ebbero finito, anche Roberta fu gettata nella vasca, e finì seduta accanto a me, seppure con molta più soddisfazione divertita disegnata sul suo viso.
Le tre donne in piedi circondarono il bordo della vasca, guardandoci dall’alto. Parlò Simona: -Bene, carine, ora è tempo di fare quel che diciamo, d’accordo?- disse in tono ironico.
-Certo cara- rispose divertita la trans accanto a me.
Non potendo certo dire di no, mi limitai ad annuire.
Continuò allora: -Brave. Allora, iniziate a fare pipì-.
La richiesta mi sembrò totalmente assurda, ma dopo pochi secondi, passati a guardare le facce di tutte quelle che mi circondavano, vidi che Roberta stava tenendo il suo pene con la mano, e già le prime gocce a fatica ne stavano uscendo dalla punta.
L’acqua iniziò vagamente a tingersi di giallo, quando la trans si mise improvvisamente in ginocchio ed iniziò ad urinarmi addosso. Tratteneva il getto in modo che io non riuscissi a coprirmi con mani e braccia, e con vari schizzi riuscì a colpirmi più volte.
Messasi completamente in piedi, con dei colpi ben piazzati mi costrinse prima ad aprire le gambe, urinandomi sui genitali, poi mi fece mettere quattrozampe, finendo la sua carica con l’ultimo copioso flusso, indirizzato sul mio sedere.
Incalzato dalle presenti, iniziai anche io ad urinare in quella posizione, dal basso verso l’alto. Roberta però mi prese immediatamente il pene, chiudendolo in punta e facendolo gonfiare sotto la pressione del liquido.
Mi fece rimettere seduto, e poi liberò di nuovo il getto, che partì scomposto su tutti i lati, fino a normalizzarsi. La trans dirigeva il mio pene in modo che la pipì mi ricadesse addosso, e per questo io cercai di non farla scorrere troppo, prolungato però così l’agonia.
Ad un certo punto cinse il mio pisello con la bocca, e non riuscendo a resistere la riempii in breve di tutto il rimanente. Lei bevve soddisfatta.
Si alzò così dalla vasca, infilandosi in una cabina doccia per ripulirsi.
Rimasto da solo, iniziò a piovere su di me altra pipì, questa volta tanta e da più direzioni: erano Patrizia e Monica che avevano iniziato, in piedi e tenendosi la vagina, a farmi cadere l’urina addosso.
Anche Simona stava massaggiandosi per fare la stessa cosa, ed il suo getto mi colpì di colpo in pieno viso, rimanendo lì nonostante i miei vani sforzi di evitarlo. Anche le altre due concentrano il getto lì, fino a che non rinunciai ad ogni tentativo di difesa. Quando ebbero finito, si diressero in un angolo della stanza.
Lì si infilarono nella vagina le punte a becco di grossi clisteri, spingendone la parte molle. Tornarono verso di me, e capii cosa era successo. Avevano riempito i loro corpi di altra acqua, che ora stava di nuovo sgorgando sul mio corpo come se fosse nuova pipì, finché Patrizia e Monica smisero, andando a chiacchierare con Roberta che aveva finito di ripulirsi.
Simona invece entrò nella vasca e presami la testa, iniziò a spingermi la faccia contro i suoi genitali. Tendendola a distanza di pochi centimetri, riprese a gettarmi liquido in faccia. Mi strinse il naso con le mani, finché non fui costretto a respirare con la bocca aperta, che fu subito riempita dell’acqua che usciva da lei.
Continuò a farmi bere quell’acqua più volte, ricaricandosi al solito modo.
Dopo molto, mi disse: -Dai, l’ultima volta, poi una doccia e un po’ di riposo, contento?-
Di nuovo speranzoso per la fine di quell’assurdità questa volta aprii la bocca spontaneamente e la misi nella perfetta direzione che già avevo sperimentato.
Questa volta la bocca mi si riscaldò immediatamente: dopo tutto quel tempo, Simona aveva di nuovo prodotto della pipì, e mi stava realmente urinando in bocca.
Il sapore non fu acre come m’aspettavo, benché di certo non fosse una bevanda consigliabile a nessuno. Per fortuna la maggior parte riuscii a farla colare fuori.
Fui di nuovo immediatamente preso di peso e portato nella cabina doccia, assieme alle tre donne. Roberta invece era andata al piano di sotto a recuperare gli strap-on.
Mentre le tre mi lavavano, colsero l’occasione per scoparmi nuovamente a turno sotto la doccia.
Rimasi sul letto della camera principale mentre le quattro si rivestivano.
Cenammo tutti assieme, ma io a tavola rimasi nudo con le altre presenti che conversavano come nulla fosse successo.
Dopo cena le ospiti ci salutarono tornando alle proprie abitazioni.
Dormii, per modo di dire, nel lettone matrimoniale di Simona, che passò gran parte della notte a scoparmi con lo strap-on.
Sconvolto dalla giornata, non sognai altro che scene simili a quelle che mi erano accadute, una dietro l’altra. Soprattutto il dildo viola della bionda che dormiva accanto a me ritornò fuori durante tutte le fasi oniriche. Mi risvegliai prima di lei, con una notevole erezione.

Durante la notte non ci eravamo rimessi le coperte addosso, e adesso potevo vederla dormire supina, con ancora indosso lo strap-on ritto in aria.
Non riuscivo a non fissarlo, e anche quando distoglievo lo sguardo, la mia mente lo visualizzava ossessivamente. Ogni tentativo di scacciarlo fu inutile, così come fu inutile tentare di rendere meno forte l’erezione che attanagliava il mio pene, decisamente più forte di tutti gli altri “alzabandiera” della mia vita.
Il giocattolo di Simona rimaneva lì, totemico ed eretto, ed ogni volta che lo guardavo la mia erezione si rafforzava ancora di più.
Fui costretto ad ammettere a me stesso che tutto ciò che avevo vissuto era sì assurdo, ma mi era assurdamente piaciuto. Cercai più volte ed a lungo di lottare contro questa malsana idea, ma l’evidenza dei fatti era lì a contraddire la mia finta razionalità.
Fissavo compiaciuto il dildo viola sull’inguine della mia ospite addormentata, e alla fine non seppi più resistere. Scivolai piano sul letto, in ginocchio, fino a mettermi cavalcioni sul corpo della donna. Infine salii all’altezza giusta, continuando a guardarla dormire.
Feci forza e mi alzai in piedi sul letto cercando di smuoverlo il meno possibile. Poi, piegando le ginocchia, m’abbassai fino a sentire la punta del dildo toccare le mie natiche. Con l’aiuto della mani, portai quella punta in direzione del mio ano, e quando fui sicuro della posizione, m’abbassai ancora di più sulle ginocchia.
Lo strap-on mi penetrò debolmente e superficialmente, e allora cercai di andare ancora più in basso, finché gran parte del pisello della padrona di casa non finì inghiottito dal mio sedere.
Presi così ad andare su e giù facendo forza sulle gambe, tenendomi i genitali con una mano per evitare sensazioni di disequilibrio. Stavo godendo tantissimo e profondamente, andando ripetutamente su e giù e facendo scivolare lo strap-on in profondità, quando mi accorsi che Simona si era svegliata, e mi guardava compiaciuta in silenzio.
Imbarazzatissimo, cercai di non guardarla negli occhi, ma alla fine mi arresi e le sorrisi, superando solo in minima parte la vergogna. Lei ridacchiò, e ancora senza parlare prese a sollevare il bacino per agevolare quel che già stavo facendo.
Quando le mie gambe non ressero più la posizione, mi gettai di lato a pancia in su, con i muscoli sforzati e semi-addormentati.
Simona si alzò seduta, poi si mise in ginocchio sul letto girandosi verso di me. Tenne le mie gambe larghe con le mani, e mi scivolò su, stendendosi su di me. Il dildo era di nuovo penetrato al mio interno, e ora mi stava sopra “alla missionaria”. Prese così ad incularmi nuovamente, finché non godemmo assieme.
Patrizia arrivò all’una.
Simona mi aveva detto che sarebbe stata lei ad accompagnarmi alla stazione per il ritorno. Mi fece aspettare nudo, cosicché quando la donna arrivò mi ritrovò così che le aprivo la porta.
Vestiva con una corta minigonna, che questa volta non nascondeva ammennicoli.
Le due si salutarono e confabularono per un po’, finché Simona non disse che era l’ora di vestirmi.
Lanciò i miei vestiti del giorno prima sul divano, ma senza slip.
Glielo feci notare, e le due iniziarono a ridere. Si avvicinarono a me e mi ordinarono di mettermi in piedi.
Da dietro Patrizia armeggiò con i miei fianchi, e vidi scivolare sulla mia pelle della stoffa. In breve temo, mi ritrovai addosso un reggicalze rosa scuro. Simona completò l’opera, mettendomi su delle calze a rete, a maglie fitte, che collegò col reggicalze stesso.
Uno slip trasparente, dello stesso colore del resto degli indumenti, mi fu fatto sventolare davanti al viso. Di nuovo in piedi, Patrizia mi illustrò con rudezza l’ultima sorpresa.
Mi spinse infatti fra le natiche un dildo che terminava con una piattaforma rotonda, che reggeva il giocattolo incastrato nel mio ano. Il butt-plug, così scoprii si chiamava quel coso, fu lasciato lì, e le mutandine rosa ci furono fatte scivolare sopra. Infine mi rivestii normalmente sopra quell’impossibile serie di indumenti.
Salutai Simona calorosamente, con la promessa di rivederci.

Partii in macchina con Patrizia, che dopo una decina di minuti si fermò davanti ad una casa. Dalla porta di questa uscì Roberta, che presto si ritrovò seduta con me sul sedile posteriore, dietro ordine della guidatrice.
Passai il resto del viaggio a succhiare il pisello della trans, costernata dall’impossibilità di scoparmi impostale dalla donna avanti a noi.
Arrivati in stazione, scendemmo tutti nel piazzale antistante i binari. Roberta risalì immediatamente in macchina, al posto di guida, mentre Patrizia apriva il bagagliaio per farmi riprendere lo zaino.
Quando fu chiuso, Roberta saluto lasciandoci entrambi lì.
-Contento?- disse la donna, -E’ una sorpresa, mi farò anche io il viaggio con te. Che ne dici?-
Risposi di essere contento, ed in effetti lo ero, benché un po’ preoccupato per l’inaspettata compagnia.
Andammo al bar in attesa dell’arrivo del treno.
Il posto, a quell’ora, era semivuoto. C’era solo un addetto al bancone, una cassiera, qualche cameriera e due gruppi di viaggiatrici. Uno più piccolo, formato da una mezza dozzina di italiane, ed uno più grande, in disparte e diviso in sottogruppi in vari ambienti, composto da donne giapponesi.
Ci fermammo ad un tavolino alto, e Patrizia ordinò un caffé, senza chiedermi cosa volessi.
Me lo chiese, dopo aver servito il caffé, il barista.
-Per lui mi dia solo un bicchiere- rispose la mia accompagnatrice.
Né io, né il barista capimmo il perché, ma ben presto lei ebbe il bicchiere.
Scese dall’alto sgabello su cui si trovava e lì, davanti ai pochi presenti, sollevo la propria gonna: nonostante la presenza di un reggicalze di pizzo nero, non portava mutandine; così furono visibili a tutti i suoi genitali.
Il barista rimase a guardare, sorpreso e divertito. Così anche la cassiera. Delle donne italiane, solo una s’accorse della cosa ma s’appresto ad avvertire le altre.
Patrizia intanto aveva posto il bicchiere fra le sue gambe. La pipì iniziò a sgorgare dalla vagina, finendo dritta nel bicchierone di plastica da bibita, che ne finì riempito per metà.
Capìì subito l’antifona, quando mi fu posato davanti sul tavolo.
La mia erezione, fortissima da qualche minuto, mi fece anche in questo caso capire che avevo poco da resistere. Anzi, feci di più di quanto lei si aspettasse.
Mentre era ancora in piedi con la gonna alzata, mi inginocchiai davanti a lei ed iniziai a leccarla fra le gambe, ripulendola delle ultime gocce. Lei mi guardò prima sorpresa, poi enormemente divertita.
Mi rialzai e bevvi d’un sorso il contenuto del bicchiere.
Il barista ci fissava scandalizzato, mentre la cassiera si era avvicinata divertita a parlottare con Patrizia, assieme a due donne del gruppo che ci aveva fissato.
Dopo poco Patrizia mi chiese: -Senti, non so se ti va, ma la signorina qui e le signore là dietro vorrebbero rifare la stessa cosa che ho fatto io… e tu dovresti farla. Ho cercato di dire che forse era troppo, tu che ne dici?-
Dissi che era assolutamente impossibile, non potevo bere così tanto.
Le donne mi guardarono deluse, ma la cassiera ebbé un’idea.
Dopo pochi minuti Patrizia e le altre avevano costretto il povero barista ad inginocchiarsi accanto a me.
A turno, su due file, le donne del gruppo fecero scorrere la loro pipì nelle nostre bocche, chi più chi meno, chi ridendo, chi insultandoci, chi rammaricandosi di essere già stata in bagno. Di quest’ultimo insieme faceva parte la cassiera, che però rimediò. Si riempì di aranciata grazie ad una borraccia di plastica morbida, e ci inondò le gole facendola schizzare fuori dalla sua vagina. La mia accompagnatrice intanto parlottava con le donne che ormai erano diventate sue amiche.

Appena finito, decidemmo dunque di andare a prendere il treno in arrivo in pochi minuti. Ci lasciammo dietro sette donne che, con gli strap-on donati loro da Patrizia, si divertivano con il malcapitato barista.
Ci sedemmo uno scompartimento di sei posti, disposti su due file opposte da tre sedili ciascuno.
Patrizia occupò quello centrale della fila contraria al senso di marcia, io mi sedetti accanto al lei dalla parte del finestrino esterno.
Quando il treno partì era quasi vuoto, così che anche il nostro scompartimento si limitò ad ospitare noi due.
Mancava poco alla prima fermata quando Patrizia m’afferrò la cintura dei pantaloni, con l’intenzione di scioglierla. Preso dal panico, tentai bruscamente di fermarla. Lei, contrariata, mi strinse i testicoli attraverso la stoffa dei jeans fino a farmi tornare a più miti consigli.
La lasciai dunque fare, bloccato dal dolore e incapace di districarmi fra quello e l’imbarazzo per ciò che stava succedendo.
In pochi minuti mi ritrovai senza pantaloni, conciato con la biancheria femminile che mi aveva imposto Simona.
Arrivati in stazione, Patrizia mi fece alzare, spingendomi immediatamente contro il finestrino: tirò giù la parte frontale degli slip che indossavo, fino a schiacciare il mio pene nudo contro il finestrino. Da fuori i presenti, per fortuna pochissimi, si ritrovarono a guardare la ridicola scena.
Nello scompartimento, quando mi trovavo ancora in quella posizione, entrarono altre persone. Mi ritrovai fissato dagli occhi di tre donne sulla quarantina, che passavano scandalizzati da me alla donna che mi faceva compagnia.
Non riesco a capire come, ma Patrizia riuscì a tranquillizzarle, fino addirittura a farle sedere nel nostro scompartimento.
Occuparono i tre sedili di fronte a noi, e continuarono a fissarmi finché la stazione non si fu già di molto allontanata.
Patrizia giocava con una mano sul mio pene, distrattamente. Io, completamente rosso, tentavo di non guardare le donne di fronte a me. Una di loro seguiva tutta la scena con estrema attenzione. Ad un certo punto, quando io ormai m’ero abituato alla manipolazione della mia compagna di viaggio e mi ero rilassato scivolando avanti con la schiena, la donna decise di agire. Allungo una mano verso di me, e io non fui lesto a reagire. Il suo dito indice scansò la mutandina che indossavo e penetrò bruscamente nel mio ano, iniziando ad andare su e giù.
Le amiche della donna reagirono sorprese e scandalizzate, ma dopo neanche cinque minuti iniziarono ad imitare l’amica più coraggiosa.
Le dita delle varie vaggiatrici entravano disordinatamente nel mio corpo. Patrizia intanto si era alzata e si era tolta la gonna, tirando fuori dalla borsa il suo personale strap-on. Lo indossò, fermò le donne che si stavano divertendo non poco e mi ordinò di mettermi a quattro zampe sui sedili.
Prese quindi ad incularmi, sotto il tifo festante delle altre.
La scena fu interrotta dall’arrivo di una bigliettaia, che sgranò gli occhi entrando nello scompartimento. Incapace di uscire dall’imbarazzo, si dedico burocraticamente al controllo dei biglietti, cercando di ignorare quel che stava accadendo.
Patrizia non le diede il mio biglietto, le disse che non l’avevo fatto ma che potevo pagare in altri modi.
Cinque minuti dopo la bigliettaia, priva dei pantaloni ma con uno strap-on nuovo uscito dalla borsa magica, aveva sostituito Patrizia fra le mie natiche.
Il suo stesso strap-on fu poi indossato a turno dalle tre donne, che a lungo mi penetrarono, tanto da scordarsi anche di scendere alla loro fermata!
Per fortuna le ultime ore di viaggio passarono quasi in assoluta tranquillità. Quando ormai mancava mezz’ora all’agognato arrivo la bigliettaia, a fine turno, tornò a farci visita. Mentre mi inculava sfogando la stanchezza per la giornata lavorativa, succhiavo il dildo della mia accompagnatrice, finendo un’altra volta, come d’abitudine in questi ultimi due giorni, a fare da ponte fra due donne.
Infine tutti e tre ci rivestimmo, appena in tempo per scendere dal treno ormai giunto alla sua meta.
Uscendo nella stazione sentii aria di casa, e mi sembrò che quanto accaduto fosse nient’altro che un sogno. Spiacevole o piacevole, ancora non lo sapevo. Ma i saluti finali di Patrizia, che mi infilò in tasca il dildo del suo strap-on come regalino conclusivo, mi chiarì le idee.

Ore dopo, una volta arrivato a casa, dopo essermi lavato ed aver cenato, mi ritrovai a guardare il dildo steso sul letto della mia camera. Non passò molto prima che lo umettassi di saliva, succhiandolo, e che lo utilizzassi per stuzzicarmi l’ano, prima, finendo poi per penetrarmi da solo.
Pensai intensamente sia a Simona che a Patrizia, fino a venire copiosamente due volte di seguito. Quella era la risposta al mio dubbio: ciò che era successo, per quanto incredibile, inaspettato e non voluto, mi era sicuramente piaciuto.
E avrei voluto rifarlo, e l’avrei rifatto. Questi furono gli ultimi pensieri prima d’addormentarmi profondamente.

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