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Viaggio in Africa

By 19 Novembre 2012Dicembre 16th, 2019No Comments

Ero da poco sbarcata all’aeroporto della capitale del paese africano che ero andata a visitare.

Non avevo seguito i giusti consigli di chi mi suggeriva di unirmi ad un comitiva organizzata o di viaggiare assieme a qualcuno che potesse aiutarmi alla bisogna… Nella mente avevo solo il pensiero dei luoghi da visitare, del divertimento che mi attendeva: del resto tutte le guide dicevano che si trattava, tutto sommato, di un paese sicuro e, col volo successivo, in arrivo tre giorni dopo, sarebbero giunti anche i miei amici.

Appena arrivata, immaginando che da quelle parti si perde certo più tempo che da noi, ‘ pensavo di dover solo attendere l’espletamento di qualche pratica e di potermene andare serena a ritirare il bagaglio, chiamare un taxi ed andare al mio albergo, un raffinatissimo cinque stelle poco lontano dal centro cittadino.

Ma al controllo passaporti un militare mi fa cenno, in inglese stentato, che c’è qualcosa che non va e mi fa segno di accomodarmi in una specie di piccola sala d’attesa dai muri sporchi e stretta. Non potei che eseguire immaginando si trattasse di un semplice disguido oppure di un problema coi bagagli…

Aspettai, aspettai, aspettai mentre in me cresceva la preoccupazione: che sarà mai successo? Un problema col visto? Boh… Era passato un intero quarto d’ora quando finalmente tentai di chiedere. Poco oltre la porta fui respinta con decisione da una soldatessa alta, nera. La divisa e l’arma addosso aggiungevano alla sua bellezza anche una forte autorità . In inglese mi disse che dovevo attendere e che avrei dovuto chiarire alcune cose prima di poter entrare nel paese. Tentati di protestare ma lei mi prese per un braccio e mi fece tornare a sedere.Stiedi per un altro intero quarto d’ora seduta, sempre più nervosa ed impaurita, ed infastidita dal fatto che dovevo andare a far pipì ma la soldatessa era stata tassativa: non potevo muovermi per alcuna ragione.

Solo allora mi resi conto di alcuni particolari cui non avevo dato peso: le tante ed insistenti domande dell’ufficio visti dell’Ambasciata, quell’uomo di colore che fin dall’aeroporto di partenza sembrava seguirmi con lo sguardo…

Finalmente rientrò la soldatessa e con tono risoluto mi ordinò di seguirla: non sapevo che fare e non potevo certo oppormi, così lo feci. Camminammo per diverse centinaia di metri, attraversando una serie di porte e corridoi angusti per arrivare sulla soglia di una grande porta. La soldatessa bussò e mi fece entrare, facendomi sedere dinnanzi ad una grande scrivania, dietro la quale sedeva un ufficiale. Era piuttosto robusto ed attempato, diciamo sulla cinquantina, aveva la divisa piena di mostrine e medaglie ed era piuttosto sudaticcio. Diciamo pure che non faceva esattamente un ottimo odore anche se, il tutto, gli conferiva un’aura di autorità e potere.

Senza troppe formalità l’ufficiale iniziò, in perfetto italiano a farmi domande, con la soldatessa che rimaneva all’impiedi accanto a me.

‘Signorina per poter entrare in questo paese dovrà rispondere, con sincerità ad ogni domanda che le farò’ – disse risoluto con sguardo fermo – ‘Sta a me solo decidere e sappia che qui non ci sono le regole che esistono da voi. Se collaborerà non avrà problemi.’ – concluse con un tono quasi beffardo.

‘Certo… capisco. Non so però cosa possiate voler sapere da me’ – dissi facendo trasparire il mio spazientimento.

‘Qui le domande le faccio solo io‘ – mi rispose – ‘Intanto come si chiama e dov ‘èn ata?’ e prese in mano il passaporto.

‘Io… io… non capisco… comunque mi chiamo Luisa B., sono nata a Roma il 5 marzo del 1990…’ – balbettai perplessa.

‘Questo lo so già … Luisa, eh? Ma come si fa usualmente chiamare?’ – replicò l’ufficiale.

Rimasi sorpresa di come l’uomo sapesse che ero chiamata con un nome diverso di quello sui documenti.‘Ehm… Giulia’ risposi.

‘Bene Giulia, mi dica, è vergine?’ – disse.‘Ma che domande sono? A lei cosa importa?’ – risposi arrabbiata ed impaurita tentando di alzarmi, ma la soldatessa, dopo un semplice sguardo del suo superiore, mi afferrò e mi costrinse a tornare a sedere.

‘Senta, le ho già detto di collaborare, sennò’ – e lì fece un altro cenno alla soldatessa – ‘Dobbiamo fare da noi’ – neanche il tempo di finire che la soldatessa, afferratami per il collo infilò la sua mano sotto la gonna e mi strappò gli slip. ‘Possiamo anche verificarlo noi’.

Ero esterrefatta e confusa, mi sentii violata, ero spaventata eppure stranamente eccitata, tentai di balbettare qualcosa ma l’uomo mi riprese: ‘risponda o dovremo verificare noi…’Così, sopraffatta, risposi quasi singhiozzando: ‘No, non lo sono’.

L’uomo fece un ghigno: ‘Bene. Ed a che età e con chi ha perso la verginità . Risponda subito e sinceramente o sarà peggio’.

‘A 15 anni, col mio fidanzato di allora’ risposi tremando, mentre la soldatessa continuava a tenermi ferma.

‘E la bocca, il sederino sono vergini? Se no quando e con chi li ha offerti la prima volta’ – continuò.

‘Si. Non l’ho mai fatto…’ – risposi mentre un’inspiegabile eccitazione cominciava a pervadermi. Io che mi ero sempre rifiutata di succhiare il pene e tanto pià’ di farmi sodomizzare, incredibilmente stavo desiderando anche questo e giusto con uomo che avrei trovato ributtante!Lui intuì qualcosa e sogghignò: Male, si vede che ancora le manca qualcosa… per capire il suo posto di femmina…! e riprese a sghignazzare.

Ero paralizzata da pensieri incredibili ed indescrivibili, umiliata, impaurita ma eccitatissima.

‘Bene. Le chiedo adesso una cosa cui dovrà rispondermi dopo: è eccitata?’ – mi chiese.

Strabuzzai gli occhi ma non risposi. Lui fece una strana smorfia e riprese: ‘Un’ultima cosa: lei sa di essere una cagna, vero? Di essere nata per servire un padrone sessualmente?’ – mi chiese alzandosi ed avvicinandosi – ‘Sa che ha bisogno di liberare la sua vera natura e di smettere i panni dell’emancipatella presuntuosa bianca per sottomettersi al suo naturale padrone nero?’

‘Io… ehm…’ – tentai di piagnucolare. E lui: Risponda a questa ed alla precedente domanda!’ – voltò lo sguardo verso la soldatessa: Non risponde, eh??’

E lei senza troppi complimenti spinse la sua mano sotto la gonna a toccarmi la vulva per scoprirla bagnata!

‘Signore, lo sa e la sua vagina parla per lei…’ – s’inserì, inattesa ed in italiano, la donna.

‘Bene’ – sorrise l’ufficiale ‘So anche che ha bisogno di fare pipì – e sghignazzò nuovamente sorprendendomi – Per me abbiamo anche finito: adesso tocca a lei decidere. Può restare e continuare, accettando quello che èil suo naturale desiderio oppure liberamente andarsene mentendo a sé stessa…’

E si congedò dicendo alla soldatessa: rimane sai da dove cominciare… ed uscì lasciandomi sola con lei…

Stravolta mi trovai messa davanti ad un inatteso ‘bivio’: potevo andarmene è vero, ma se avessi deciso di restare avrei implicitamente accettato di sottomettermi totalmente e rinunciare ad ogni diritto.

La risposta della ragione era quella di scappare a gambe levate, ma pochi istanti bastarono a scegliere: sarei rimasta anche al prezzo di affrontare un percorso che non sapevo dove mi avrebbe portata, ma che io desideravo.
Fu il primo passo di una strada che avrebbe distrutto le mie vecchie ‘certezze’, il mio snobismo, il mio ego… Con un sospiro rinunciai a tutto e mi lanciai dietro all’ufficiale che stava uscendo, dicendogli: Signore… io resterò

Lui si arrestò appena un attimo col ghigno che aveva più volte mostrato, fece l’occhiolino alla soldatessa e senza degnarmi di una parola mi fece segnale di inginocchiarmi. Ero ormai travolta da quel ‘gioco’ che sconoscevo, ma in cui l’unica cosa certa, almeno in quel momento, era che io accettavo liberamente di essere la ‘vittima’.

Benissimo cagna bianca, hai cominciato a capire e sempre col ghigno mi sputò in faccia. Rimasi stravolta, impietrita, totalmente umiliata, ma lui subito riprese: Naturalmente dovrai meritarti quello che ti sarà offerto. – e fece un cenno alla soldatessa che, rapida intervenne e mi strappò letteralmente di dosso la vestina.
Avevano ormai distrutto le ultime mie resistenze…

L’ufficiale, visibilmente soddisfatto, mi guardo fissa negli occhi: Ci vedremo presto: so che il tuo desiderio è forte ma devi ancora prepararti per avere l’onore di servirmi. – e, volgendo lo sguardo verso la sua sottoposta, continuò – Adesso dovrai obbedire a lei, ricordati che ogni sua parola è un ordine ed è come se venisse da me. Lei ti preparerà: sei in buone mani e se farai la brava avrai il trattamento che meriti e desideri.

La soldatessa si mise all’ordine e fece il rituale saluto ricambiata dal suo superiore che, senza aggiungere più altro, giro i tacchi ed uscì dalla stanza.

Istintivamente volsi lo sguardo verso la donna accorgendomi che mi stava scrutando con attenzione. Seguirono alcuni lunghissimi secondi di silenzio, imbarazzato e timoroso da parte mia, segnale di forza da parte di lei.

Lei si avvicinò a me, ancora nuda ed inginocchiata, lentamente e, con mia grande sorpresa, mi diede una carezza sui capelli e mi fece rialzare.
Mi fece cenno di seguirla avviandosi verso una porticina collocata sul lato opposto a quello da cui era uscito l’ufficiale. La seguii in corto ed umido corridoio, piuttosto buio, per entrare infine in un’altra stanza.

Lei accese l’interruttore ed io potei finalmente vedere il locale: un letto ad una piazza e mezza, un tavolino con un paio di sedie, qualche armadietto con vestiti e libri. Tutto normale ad una prima occhiata ma appena volsi lo sguardo più in là notai qualcosa che nemmeno in quel momento potevo immaginare e che avevo visto solo qualche volta navigando su internet: un vero e proprio armamentario di corde, fruste ed attrezzi vari di cui ignoravo la funzione circondavano una sorta di rete fissata ad una cornice in legno e corredata di una sorta di manette in alto ed in basso.
Ero scioccata e terrorizzata ma lei, guardandomi, prese a mostrarsi gentile ed accogliente.

Benvenuta nella mia camera – mi disse, provocandomi un’estrema sorpresa – Per il momento mettiti comoda: voglio parlare un po’ con te. e mi fece cenno di accomodarmi su una sorta di divanetto.
Lei intanto si tolse di dosso e depositò in una custodia l’arma e si tolse i pesanti scarponi, lasciando nudi i suoi piedi, ahimé piuttosto maleodoranti. Fatto ciò venne a sedersi accanto a me.

Stai cominciando bene ed io voglio aiutarti – mi disse – Avrai notato che parlo bene la tua lingua?

In effetti era assolutamente vero ma non sapevo se e cosa rispondere ma lei subito, notato il mio timore, mi disse: Non temere Tesoro: adesso puoi parlare liberamente.

Mi sentii rincuorata e risposti con un sorriso pur abbassando un po’ lo sguardo. Lei riprese subito a parlare: Vedi, nel mondo occidentale di oggi, noi donne siamo molto più libere ed emancipate. Lo so bene perché anche io sono nata e cresciuta nel tuo paese ed ero piuttosto simile a te. Però c’è pure qualcosa, almeno un aspetto che non funziona…

La cosa mi sorprese non poco tanto che mi feci coraggio e riuscii finalmente a parlare: Davvero? E come sei diventata una soldatessa? Come hai scoperto questo ‘percorso’? Cosa devo imparare per essere ‘pronta’? A cosa ti riferivi dicendo che non va? – le chiesi.

Calma, quante domande – mi rispose sorridendo – Saprai ogni cosa a suo tempo: intanto rilassati… Come ti dicevo anche io ero come te e sono femmina come te: ad un certo punto ho capito che non funzionava con gli uomini, che, per noi…” – e mi prese la mano – Sottomettersi è giusto, è necessario, almeno a letto s’intende. Io sono una sottufficiale rispettata qui, posso perfino comandare degli uomini, ma so che a letto devo sottomettermi, so che è quello che voglio e di cui ho bisogno, e l’ho imparato qui… come lo imparerai tu. – concluse sorridendomi dolcemente.

Risposi al suo dolce sorriso e mi rilassai appena un po’: quelle parole mi turbavano ed appena un paio d’ore prima avrei reagito controbattendo ma mi ritrovavo, incredibilmente, a condividere ogni parola.

Tra l’altro voi bianche, riprese, siete piuttosto ‘dure’ a capire, perciò dovrò andarci un po’ più forte con te. – il tono dolce della sua voce strideva con quanto mi stava dicendo, ma non ebbi nemmeno il tempo di realizzare che, subito, lei riprese a parlare: Comunque, intanto voglio che ti rilassi: non dovevi far pipì?

La mia vescica, in effetti, stava scoppiando e la ringraziai pensando che mi avrebbe condotta in una toilette. Ma intanto lei aggiunse: Sai tesoro, viene anche a me… e mi prese per mano conducendomi verso un angolo della stanza, dove mi accorsi che c’era un buco nel pavimento: un lurido bagnetto alla turca, in pratica.

Ero già nuda ma l’imbarazzo mi bloccava: non volevo certo fare pipì lì, di fronte a lei, all’impiedi… Lei s’era nel frattempo spogliata, mostrando rapidamente uno splendido corpo tornito e prosperoso. Avevo più volte immaginato di stare con un’altra donna ma mai ero arrivata a quel punto. Intanto però, mentre io ammiravo il suo corpo, lei notò piuttosto seccata che io continuavo a non urinare.

No, non va affatto bene… – mi disse con aria decisa – Ti ricordo che devi obbedirmi o dovrò fartelo capire…

A quelle parole i miei occhi si riempirono di paura ma lei, senza esitazione, riprese: Forse hai bisogno di aiuto? Lo avrai… – e senza aggiungere altro mi afferrò per i capelli e mi fece accucciare con le gambe spalancate sopra il buco del bagno. La mia momentanea serenità era di nuovo sconvolta ma, davvero, non immaginavo cosa stava per farmi.

Con me accucciata avvicinò la sua intimità al mio viso e… iniziò ad urinarmi adddosso!

Era una sensazione incredibile: disgusto ed umiliazione per un verso ma sopresa ed eccitazione dall’altro mi presero tanto che, mentre lei continuava a schizzare il suo liquido giallognolo sul mio viso e sul mio corpo nudo non potei trattenermi e la feci anche io, dentro quel buco, senza più ritegno.

Lei se ne accorse e mi lanciò un ambiguo sorriso e dopo aver entrambe terminato mi lanciò addosso una sorta di asciugamano piuttosto stropiciato e sporco perché mi asciugassi alla meno peggio. Ovviamente lo feci senza fiatare ma lei mi afferrò la testa costringendomi a restare in posizione accucciata.

Bene cagnetta, adesso ti sei anche asciugata ma ora ti tocca pulire me… e senza dire altro mi spinse il viso contro la sua intimità ancora gocciolante di urina.

Travolta mi trovai a leccare la sua vagina, scoprendone il calore e l’intenso sapore, collaborai senza remore all’operazione e fu così che, per la prima volta nella mia vita, mi trovai a leccare una donna…

Continuò per qualche secondo a trattenermi e poi lasciò il mio capo attendendo la mia reazione: forse temeva che io mi ritraessi ma inveci insistetti più eccitata che mai ad assaporare la sua vulva, la mia lingua si spingeva verso il clitoride, percorreva le sue grosse labra vaginali per arrivare fin quasi al suo posteriore…

Lei godeva visibilmente ed anche io, di riflesso, stavo provando una fortissima sensazione. Avrei voluto toccarmi ma temevo una sua reazione. Andammo avanti per pochi minuti finché il suono di una sorta di campanello la allertò.

Solo allora mi fermò, sorridendomi dolcemente: Brava. Anche se alle prime armi cominci a saperci fare. Però intanto dobbiamo fare una pausa: abbiamo un questionario da compilare e dovrai telefonare a casa dicendo che è tutto a posto. Ci serve per giustificare la tua presenza qui e poi torneremo a noi due. Prima il dovere e poi il piacere!

Così ci fermammo e mi fece cenno, seppure fossi piuttosto sporca, di rivestirmi e lo stesso fece lei per uscire dalla stanza. Sapevo che sarebbe stato, per non so quanto tempo, l’ultimo contatto col ‘mio’ mondo ma, ormai avevo deciso… Ci avviammo così ad uscire. Ma prima di varcare la porta la soldatessa mi diede una specie di collanina di plastica di colore bianco ed anche lei ne indossò una, esattamente identica ma di colore rosso.

Metti questa al collo e non toglierla per alcuna ragione: qui c’è tanta gente e la collana servirà ad indicare il tuo status. – mi disse la donna – Come vedrai qui tutte abbiamo una collana, sono diverse per forma e colore.

Il colore bianco indica che sei una novizia da istruire – riprese – Il mio segnala il mio ruolo di istruttrice. Ne vedrai anche di altri colori che a suo tempo ti spiegherò. Sappi infine che la forma della collana indica chi serviamo… Non voglio anticiparti niente ma…

Ma? – tentai d’interloquire io molto incuriosita.

Ok, voglio anticiparti qualcosa che potrai capire solo dopo: le nostre collane ci devono riempire di orgoglio. Noi siamo state “scelte” fra tante. Sappilo. Presto saprai.

Non risposi anche se la curiosità in me crebbe in modo impressionante. Mi sentii orgogliosa di essere una “prescelta”, qualunque cosa questo volesse significare. Questi ed altri pensieri affollavano la mia mente mentre cercavo faticosamente di immaginare cosa dire nella telefonata che avrei dovuto fare a casa.

Pensavo a cosa dire, come giustificare la mia assenza, come spiegare che non potevo contattarli. Non avevo idea di quando e come sarei poi uscita da lì e, per quanto fossi sicura della mia scelta, mille piccoli dubbi mi tormentavano.

Dopo lungo camminare per vari interminabili corridoi arrivammo in un’altra stanzetta: era un piccolo ufficio attrezzato di computer, stampanti ed altro.
Ci avviammo così Lei si accomodò dietro la scrivania facendo cenno di sedermi su una sediolina di fronte a lei.

Bene cagnetta, adesso finiamo di mettere a posto le formalità. – mi disse lei.

Prese il mio passaporto e trascrisse sul computer i miei dati, poi fece partire due stampe. Ero molto incuriosita su cosa fossero.

Lei prese il primo foglio e con tono quasi burocratico mi ordinò di leggerlo: l’operazione era per me impossibile visto che non riconoscevo nemmeno i caratteri. Era infatti scritto nella lingua del posto. Di fronte alla mia evidente confusione lei sorrise

Ops! – disse – Devo essermi sbagliata, comunque imparerai alla fine anche la nostra lingua. Leggi la versione italiana nell’altro foglio. Qui c’è la penna per firmare entrambe le copie: è la tua sola occasione. Prendere o lasciare.

Le mie perplessità sbatterono contro un muro quando iniziai a leggere il contenuto del documento: era un vero e proprio contratto di sottomissione!

Ricordo ancora alcuni passaggi: Io… liberamente e senza costrizione… accetto la mia condizione di schiava… chiedo con umilità di essere istruita a riguardo… accetto che d’ora innanzi dovrò sottostare alle regole qui specificate… accetto in particolare di concedere ogni diritto sul mio corpo

Mi fermai per un attimo a riflettere: avevo affrontato già diversi “passaggi” ma, con questo, avrei anche accettato formalmente. La mia mente corse veloce a ripensare a quanto avevo vissuto, a quando avevo visto ed a come, incredibilmente mi trovassi a desiderarlo: sentii per un attimo in bocca il sapore della vagina della soldatessa, l’umiliazione e l’eccitazione degli sputi ricevuti…

Chiusi e riaprii gli occhi e prima ancora di realizzare tutti i mille pensieri che potevano passare per la mia mente firmai.

Lei prese i due fogli con sguardo soddisfatto ma beffardo: Adesso è ufficiale: sei una cagna e l’hai riconosciuto… – e senza aggiungere altro si alzò e mi afferrò violentemente per i capelli, conducendomi verso un’altro locale attiguo.
Dentro c’erano vari telefoni: erano come quelli pubblici ma con nicchiette murali aperte, non c’era certo privacy ed ogni cosa si sarebbe sentita chiaramente nella stanza.

Niente domande adesso: vai al telefono e chiama la tua famiglia. Dovrai dire loro che per almeno una settimana non potrai farti sentire e dovrai essere convincente: bada a te!

Dopo quelle parole ebbi grande timore, rischiavo di sbagliare, sentivo ancora il dolore per i capelli tirati e non avevo nemmeno la più pallida idea di cosa dire… Comunque non potei fare a meno di obbedire e mi avviai al telefono.

Rispose mia madre: dopo i convenevoli soliti e le prevedibili domande sul volo e sull’arrivo, le dissi che sarei partita per un minitour di una settimana in una regione piuttosto remota dove non c’erano collegamenti telefonici.
Riuscii in qualche modo a superare le sue rimostranze ed a rassicurarla. Chiusi la telefonata con la promessa che al ritorno mi sarei fatta sentire e sarei stata attenta.

In verità mi sentivo un po’ in colpa per quella bugia ma sapevo, ed ormai ne ero certa, che era il prezzo da pagare.

La soldatessa mi riagguantò, ma stavolta fu più dolce. Il suo comportamento era in effetti enigmatico ma il suo sguardo, anche quando severo, era magnetico.

Mi condusse in un’altra stanza. Entrando mi accorsi subito dagli arredi che si trattava di una specie di ambulatorio medico dove, in fondo, era seduta una dottoressa, riconoscibile per il suo camice. Da lontano salutò la soldatessa con un cenno della mano cui ebbe da lei risposta con un veloce saluto militare.

La dottoressa era anche lei di colore e portava una collanina verde al collo. Era decisamente più piccola e certo meno bella della soldatessa, ma i suoi occhi avevano anch’essi un qualcosa di magnetico, sia pure attraversato da un velo di rabbia e durezza. Non mi rivolse, in effetti, nemmeno la parola, ma fece un cenno alla soldatessa che subito mi “girò” l’ordine.

Adesso dovrai spogliarti perché devi essere visitata. Togli via tutto e fai in fretta! – fu il suo comando perentorio.

Cercai di nascondere ogni imbarazzo ed eseguii immediatamente: via le scarpe, via la gonna, via la camicetta, via gli slip… ma nel togliere il reggiseno, inavvertitamente, mi sfilai anche la collanina.

Le due donne mi guardarono con aria adirata, tanto che mi resi conto di aver commesso, involontariamente, una mancanza per loro inaccettabile che avrebbe avuto conseguenze per me. Mi diedero appena il tempo di rimettere il ciondolo di plastica che, entrambe, mi vennero addosso afferrandomi per le braccia e conducendomi a forza verso uno strano arnese simile ad una cavallina da ginnastica.

Mi ritrovai sbattuta supina ed a gambe divaricate sopra quell’affare, con la dottoressa che mi bloccava con dei legacci di cuoio le braccia e le caviglie. La soldatessa, intanto, mi teneva ferma e, con voce ferma ed adirata:

Lurida cagna bianca! Non ti avevo forse detto di non togliere mai la collana? Adesso vedrai cosa significare violare le regole qui!

Ero terrorizzata e non ebbi né il tempo né la concentrazione per abbozzare una qualunque risposta che la dottoressa già iniziò a frustarmi!.

Sentivo i colpi impietosi sul mio sederino, sempre più veloci, sempre più forti. Il dolore era già pesante ma cercavo di resistere ricacciando a fatica ogni grido in gola. Ad ogni sferzata un brivido di terribile dolore si allargava dal mio posteriore verso tutto il corpo e mi misi a piangere disperata.

Dopo lunghi secondi, che mi apparvero allore lunghe ore, le due donne presero a discutere animatamente nella loro lingua. Anche se non sapevo cosa dicevano capii che, in qualche modo, la soldatessa riteneva quel trattamento sufficiente ma la dottoressa no.

Sentivo la pelle tendersi quasi a spaccarsi ad ogni colpo di scudiscio e la mia mente cercò disperatamente rifugio nella fantasia, quasi a compensare con pensieri eccitanti e piacevoli il terribile dolore fisico. In effetti a qualcosa servì visto che mi ritrovai in poco tempo inspiegabilmente eccitata seppure sul punto di svenire per l’effetto impietoso delle frustate.

Fu proprio in quel momento di “quasi assenza” che i colpi si fermarono: la dottoressa borbottò qualcosa in direzione dell’altra donna e le due presero a sculacciarmi, sostituendo le loro mani al frustino.

Faceva ancora male ma, forse anche per il trauma subito, mi sembrò qualcosa di totalmente diverso. Adesso che il mio fisico aveva una relativa tregua la mia mente poteva liberarsi: sentivo le loro mani sulla mia pelle dolente. Quelle lunghe e lisce della soldatessa e quelle piccole e ruvide della dottoressa.

Quei colpi, ancora dolorosi, mi condussero però ad una paradossale situazione: smisi di piangere e mi ritrovai sempre più eccitata a mugolare!

Le due donne se ne accorsero, ridacchiarono fra loro e smisero di colpirmi: anche se sentivo la pelle irritata e dolorante mi sembrò una vera liberazione.

Fui slegata ed invitata, con inattesa dolcezza da parte dell’ufficiale medico ad alzarmi. Mi condusse verso il lettino ginecologico dove, intuii, sarebbe avvenuta la visita. La soldatessa, intanto, mi fece un sorriso e l’occhiolino e si diresse verso una porticina.

Per lunghi minuti, durante la visita, mi trovai a temere cosa mi potesse fare la dottoressa. La mia “guida” si era allontanata e mi sentivo ancora più indifesa.

La dottoressa, invece, indosso un paio di guanti e si mise a palpeggiarmi il seno, pizzicandomi anche leggermente i capezzoli. Poi diede un’occhiata complessiva al mio corpo, mi auscultò con lo stetoscopio ed infine diresse la sua attenzione verso le mie parti intime.

Con le dita, con fare professionale, si mise ad ispezionare la mia vulva. Di nuovo la sensazione era di forte stimolazione e la mia “umidità” non potevo certo nasconderla. Mi cacciò un dito dentro per esplorarmi la vagina fino in fondo, con me… sempre più eccitata!

Infine, dopo essersi umettata le dita con una specie di vasellina, passo al mio buchino posteriore. Come ho detto ero ancora vergine, allora da lì, ed ebbi un’iniziale paura seguita da una nuova, piacevolissima situazione.

Senza dire altro l’ufficiale medico si diresse verso la porticina da cui era, pochi minuti prima, passata la soldatessa, bussò ed entrò.

Subito dopo ne uscì la soldatessa completamente nuda, con indosso sola la rituale collanina!

Venne verso di me con un sorriso beffardo ma rassicurante:Hai passato la visita. Stai attenta però a non fare altri errori: hai visto come si viene punita? – mi chiese guardandomi severamente.

Assentii con il capo per mostrare che avevo capito anche fin troppo bene ma lei subito mi riprese:

Guarda che poteva anche andarti molto peggio: ti ho risparmiato perché sei una novellina… Comunque – prosegui mentre spinse inattesa la sua mano a tastarmi la vulva – Perlomeno sei già eccitata: adesso ci divertiamo un po’! – disse, facendo cenno alla porticina, da dove vidi uscire la dottoressa, anche lei nuda.

Nonostante il dolore al sederino, dopo le frustate ricevute, non accennasse a calmarsi la sola idea di poter finalmente “giocare” mi stava eccitando ancora di più…

La sola visione della mia “guida” nuda ormai mi provocava un forte desiderio: lei bellissima, statuaria, con un seno sodo e grande, iniziò a toccarmi. Istintivamente cercai le sue labbra per trovare il suo caldo ed appassionato bacio.

Le sue mani scendevano dal mio seno verso il pube a solleticarmi dolcemente il clitoride, mentre dietro di lei, la dottoressa stava armeggiando dentro un armadietto. Mio malgrado ero troppo presa dal bacio e dalle mani della mia insegnante per accorgermi di cosa stesse prendendo.

E fu appena un istante che la dottoressa si voltò e le mani della soldatessa si spostarono sul mio seno afferrandomi e strizzandomi con violenza i capezzoli. Emisi un gridolino di dolore e, istintivamente, il mio corpo tentò di allontanarsi. Non ne ebbi nemmeno il tempo che la dottoressa era già addosso a me e la soldatessa mi bloccò le braccia.

Mi ammanettarono dietro e, velocemente, mi misero sui capezzoli due mollette come quelle da bucato: se le dita della soldatessa già facevano male qui il dolore divenne più intenso. La dottoressa, sempre dietro di me, mi costrinse ad inginocchiarmi. Mi ritrovai col viso di fronte al pube profumato della soldatessa che, con mano decisa, mi sbatté letteralmente la faccia sulla sua vulva.

Iniziai immediatamente a leccare e la sensazione dei suoi umori, il suo sapore, mi fece quasi dimenticare di come il mio corpo fosse dolente. Non ero certo esperta di come dare piacere ad un’altra donna ma cercavo di fare del mio meglio e, mentre ancora ero assorbita a leccare, lei mi staccò violentemente dal suo pube e mi sputò in faccia. Mi scrutò fredda e di nuovo un altro sputo ed un altro ancora, attendendo proprio che facessi quello che sapevo di dover fare: aprii la bocca per consentirle di sputarci dentro.

La dottoressa, fino ad allora in disparte, si avvicinò visibilmente soddisfatta e si unii anch’essa nello sputarmi. Era terribilmente mortificante e le due non volevano certo saperne di smetterla: mi trovai in pochi secondi col viso completamente ricoperto della loro saliva, tanta che mi giungeva negli occhi ad appannarmi la vista. E fu proprio allora che la dottoressa mi afferrò per i capelli, trascinandomi verso una panchetta dove lei si sedette con le gambe spalancate.

Capii subito cosa volesse ma ero impressionata: il suo corpo era tozzo e sudato e l’odore che emanava la sua intimità era fetido.

La mia esitazione fu colta dalla soldatessa che, prontamente, mi spinse con violenza verso la vulva dell’altra. Mi trovai a succhiarle il clitoride gonfio, le labbra vaginali turgide ed umide. Il sapore era, se possibile, anche peggio dell’odore, ma la soldatessa continuava a spingere la mia testa e, inaspettatamente, prese a sculacciarmi.

Mugolavo di dolore per i colpi ed a fatica trattenevo il disgusto ma quella situazione, degradante, risultò incredibilmente eccitante per il mio subconscio. Più venivo colpita e più leccavo, spingendo la mia lingua dentro la vulva della dottoressa.

I miei mugolii diventarono man mano espressioni di eccitazione e piacere: avrei potuto liberarmi da quella sensazione solo dando piacere al mio di corpo, ma legata e sottomessa non potevo. Mi trovai finalmente perciò a sublimare il dolore nel piacere mentale.

Andammo avanti per un bel po’, fino a quando, la dottoressa raggiunse l’orgasmo: percepii prima i suoi movimenti ed un soffocato gridolio, poi sentii la mia bocca ed il mio viso riempirsi del suo piacere!

E fu di nuovo un attimo che venni staccata dalla vulva che stavo leccando: stavolta era la dottoressa che mi teneva per i capelli e sputava sul mio viso. Ormai avevo imparato ed aprii subito la bocca per gustare il suo sputo misto al sapore dei suoi umori.

La donna mi riaffidò alla soldatessa che mi fece intanto mettere a quattro zampe, solo per dare il tempo all’altra di girarsi e piazzarsi con il suo sedere di fronte al mio viso.

Non avevo mai leccato il posteriore di nessuno ma non feci alcuna resistenza nello spingere la mia lingua verso quel buchetto dal sapore ed odore acre. Stavo al gioco e godevo in una situazione che, appena poche ore prima, mi avrebbe fatto raccapriciare al solo sentirla nominare.

La soldatessa, intanto, si piazzò dietro di me ed iniziò, con maestria, a giocare la mia intimità: le sue dita esperte stimolavano il mio clitoride ormai turgido e, poco dopo, mi ritrovai il suo dito medio dentro di me!

Iniziai a godere come una pazza: leccavo il culo della dottoressa mentre le dita sapienti della soldatessa mi spingevano sempre più avanti. In breve le dita dentro erano diventate due e poi tre.

Ma fu proprio sulla soglia dell’orgasmo che la dottoressa urlò qualcosa e la soldatessa tolse repentina le dita dalla mia vagina: stavo vivendo, per la prima volta, la negazione dell’orgasmo…

La soldatessa mi sollevò bruscamente da terra afferrandomi per i capelli:

Brava cagna. Si vede che ti stava piacendo, eh? Non mi dirai che vuoi godere? – mi disse con aria sprezzante.

Non potevo negarlo eppure temevo di sbagliare ad ammetterlo, così mi limitai a tenere gli occhi bassi.

La soldatessa allora ripeté: Vuoi godere?

Continuai a tenere gli occhi bassi senza proferire parola, quando sentii arrivare, violentissimo il suo ceffone.

Lurida bianca, ti ho fatto una domanda. Rispondi!

Stravolta dallo schiaffo inatteso e messa alle strette risposi ad alta voce: Si. Si, signora!

Le due donne si fecero cenno di qualcosa e mi condussero di nuovo al lettino ginecologico, dove dovetti immediatamente sdraiarmi. Se la posizione era già scomoda per via delle manette la cosa peggiorò quando mi bloccarono le gambe ben divaricate ad un attrezzo.

Ormai bloccata ero totalmente alla loro mercé e, di nuovo, la mia mente si preparò ad accogliere qualunque cosa avrei dovuto subire. La soldatessa fece il giro del lettino e venne a posizionarsi con le gambe divaricate sul mio viso, accovacciandovisi sopra.

Ovviamente presi a leccarla ed esplorarla con la lingua nella sua intimità, anche se la posizione m’impediva la visuale su quanto facesse l’altra donna.

La soldatessa intanto prese a giocherellare con la mia vulva, finché non sentii le sue dita richiudersi a pugno e fu appena un attimo che mi spinse violentemente l’intera mano dentro.

Fu un dolore atroce: le mie carni venivano di colpo dilatate, le sentivo aprirsi. Avrei voluto urlare ma la mia bocca era bloccata dalla vagina della soldatessa.

Appena il tempo di cominciare ad adattarmi alla mano dentro che sentii spingere violentemente: era entrata con l’intero braccio. In più la soldatessa, non paga del mio “servizio”, giocava con i miei capezzoli mordicchiandoli e succhiandoli.

La dottoressa iniziò a pompare col braccio su e giù ed il dolore si univa al piacere. Avevo sentito parlare del “fisting” ma non avrei mai immaginato di provarlo, tantomeno così… Ero già eccitata ed il mio corpo non lo nascondeva: i miei muscoli s’irrigidivano ad ogni affondo ed un vortice di sensazioni mi travolse. Dopo minuti che mi sembrarono ore sentii inesorabile montare l’orgasmo.

Venni che respiravo davvero a fatica e mi sentii mancare… ero praticamente svenuta!

Solo dopo lunghi attimi di totale offuscamento riuscii faticosamente a riprendere contatto con la realtà: la soldatessa non era ormai più sopra di me ma accanto alla dottoressa che si stava ripulendo il braccio e la mano su un telo bianchissimo: mi accorsi che erano sporchi del mio sangue!.

Ero intontita terribilmente da quanto mi era accaduto e mi stava accadendo: ricordo appena che la soldatessa prese in consegna il lenzuolo sporco, lo piegò accuratamente e lo mise in una specie di scatola in legno intarsiato.

Non potevo capire, allora, quale fosse la ragione di tutto ciò, e la mia mente era ancora confusa che la mia “guida”, dopo avermi slegata mi liberò delle manette, cercando di farmi alzare. Accortasi del mio stato mi disse sorridendo:

Cagnetta! Hai voluto godere ed hai goduto. E’ stata una prima lezione per te. Sei contenta?

Si.. si, signora – cercai di replicare con voce flebile temendo una reazione negativa ma non potendo occultare il mio stato confusionale.

Bene – replico lei – Sei un po’ stravolta… lo capisco: cosa meglio di una bella doccia calda?

Le due donne mi aiutarono ad alzarmi in piedi, in quella posizione mi trovai a percepire esattamente il trauma che avevo subito, camminavo a fatica e dovevo appoggiarmi a loro.

Mi condussero verso la porticina da dove entrambe erano uscite nude. Dentro c’era un bagno alla turca come quello della stanza della soldatessa: mi fecero coricare per terra con la testa vicino al buco.

Mi era allora perfettamente chiaro cosa stessero per farmi eppure, nel più profondo del mio intimo, desideravo quell’umiliazione finale che non tardò ad arrivare.

Apri la bocca e cerca di bere questo nostro dono. – mi sentii ordinare perentoriamente dalla soldatessa.

Sul mio viso arrivarono le prime goccie dalla vulva della dottoressa, spalancai la bocca e bevvi quel liquido salato e caldo. Intanto l’altra iniziò a farmela proprio sui miei genitali.

Quando poi si accovacciò sul mio viso per farsi ripulire riuscii appena a tirare fuori la lingua che, travolta dalla girandola di sensazioni fisiche e mentali svenni di nuovo.

Non so cosa accadde dopo: ero totalmente crollata… le fatiche del viaggio ed i due giorni ormai senza sonno fecero il resto.

Ricordo solo che mi ritrovai a sognare di rivivere, eccitata, quanto mi era stato appena fatto, quando mi sentii risvegliare dalla voce della soldatessa.

Ero nella sua stanza, coricata su di un pagliericcio a terra.

Bentornata – mi disse – Spero che tu abbia riposato bene: oggi ti aspetta una lunga giornata. Ripulisciti e mangia qualcosa. Io sto uscendo ma sarò di nuovo qui in pochi minuti. Devi essere presentabile ed in forze per quello che dovrai fare oggi.

Non sapevo davvero come interpretare le sue parole: mi aveva abituata ormai all’alternarsi di atteggiamenti…

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