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Dal diario di Alma 2

By 26 Febbraio 2024No Comments

Euforia

Caro diario,

corro a scriverti, perché finora non ho avuto il tempo materiale di annotare le mie impressioni su quel che mi è successo ieri sera, o meglio, questa notte. Abbiamo tirato le ore piccole senza accorgercene tanto era l’entusiasmo che ci assaliva, ma, a un certo punto, sfibrata, non ho retto più alla stanchezza per le forti emozioni subite. Ero spossata. Tutti, in verità, non ne potevamo più. Ci siamo salutati verso le quattro di mattina con gli occhi gonfi…e non solo quelli. Che stress! L’intensa partecipazione con cui, dapprima, mi sono lasciata coinvolgere con disinvoltura è sfociata in una progressiva pena emotiva, alla fine. Ho dormito fino alle quattro del pomeriggio. Per fortuna me lo posso permettere. La cameriera non l’ho neanche sentita. Ormai lo sa e non chiede nulla. È abituata a ripulire la casa dopo “quelle” notti. Per questo la pago profumatamente, richiedendo la sua riservatezza. Infatti, è molto affidabile e discreta.
Di fronte alla vetrata che affaccia sul giardino scaldato dal sole di primavera del pomeriggio, nel silenzio al primo piano della mia casetta sono qui, sola soletta davanti alle tue pagine aperte, caro diario. Mio marito non c’è. Chissà a che ora è uscito di casa! Immagino in che condizioni: con le reni rotte dagli “straordinari” di stanotte. Sarà rimasto soddisfatto? Me lo verrà a comunicare presto, anche se non gli chiederò nulla, perché non me ne importa molto. Da quel che ho visto ne ha dovute subire di cotte, ma soprattutto, di crude ben più di me. Il suo amante era un omaccione di uno e novanta con una stecca quasi della stessa misura (esagero). Un bell’uomo, in verità, molto atletico anche se non giovanissimo. Peccato che sentisse il richiamo della foresta solo per il suo “gender”, altrimenti un pensierino per scoparmelo l’avrei fatto volentieri anch’io.

Ma andiamo con ordine. Arrivarono puntuali alle ventitré, Teo e l’amico. Il mio Giorgio andò ad aprire paludato della sua vestaglia di seta, immancabilmente verdina con ampi fiori a campanula rosa, indicata per l’occasione. Due dragoni cinesi gli si stampavano sulle sue spalle, intrecciando le code all’altezza del coccige. Io, invece, restai ad attendere gli ospiti nel salone, sdraiata sulla chaise-longue. Indossavo una “chemice de nuit” di seta rossa, bene augurante, raffigurante un dragone verde con una perla tra le fauci, simbolo della capacità mimetica della sua natura. Il mostruoso animale si contorceva sulla mia schiena, avvolgendomi nelle sue spire dalla spalla sinistra e, calando sul davanti della vestaglia, montava la guardia alla mia passerina, mostrando la perla tra le fauci spalancate, a invitare gli eventuali “visitatori”. Era un ricordo del viaggio di un mese in Cina; tutto è simbolico in quel Paese.

Le loro voci mi giunsero dall’ingresso, mentre si scambiavano, allegramente, i soliti convenevoli. “Accomodatevi…!” – sentii Giorgio che sollecitava gli ospiti, dando la stura a lusinghieri commenti nei loro confronti, mentre li accompagnava nel salone.

“Alma carissima!” – esplose Teo nel vedermi. Aveva un bellissimo mazzo di rose rosso carminio. Ad occhio dovevano essere di numero pari (24 ho contato poco fa, appena sveglia). Si avvicinò rapito dal biancore della pelle delle mie gambe nude che ostentavo fino all’inguine dall’apertura della vestaglia, accavallate e allungate languidamente sulla chaise-longue del divano angolare. La posa mi permetteva di mostrare appieno la lucentezza dello smalto corallo che adornava le unghie dei piedini affusolati. La caviglia distesa e l’arco plantare arcuato e ben disegnato lo abbagliavano.

Mi divorò di cupidigia, con lo sguardo famelico, dalla cima dei capelli fino alla punta dei piedi. Ne fui lusingata e oltre modo soddisfatta nelle mie aspettative. Sollevò la mia mano sinistra, quella del cuore, che abbandonai languidamente, sostenuta dalla sua forte mano, il mio braccio flesso, e l’accostò alle sue labbra. Rabbrividii per la scossa che mi procurava sull’epidermide il calore che percepii dalle labbra solo accostate, ma bollenti di desiderio. Non concluse il bacio, da perfetto gentiluomo, lasciandomi priva del contatto, promesso, ma solo rinviato. Mi sentii struggere anch’io dello stesso suo desiderio.

Quindi mi offrì le rose che preludevano alle sue fantasie erotiche. Intanto immaginavo che lui stesse incasellando nella mente fotogrammi ravvicinati della mia immagine come una fotocamera digitale reflex, tanta era l’attenzione con cui mi osservava. Mi sentii intimidita. Deposi i fiori con delicatezza, adagiandoli sul divano, e stesi le braccia ad appendersi al suo collo, mentre le maniche ricadevano all’indietro, denudandole fino al gomito. La vestaglia, discinta dal movimento del corpo, si allargò, mostrando tutta la rotondità del seno che si offriva all’ammirazione dell’ospite. “Caro, caro, caro…!” e suggellai le sue labbra con le mie.

Teo ricambiò lo slancio, accucciandosi sul divano accanto a me, per contenermi meglio fra le sue braccia. L’incendio divampava! Sembrava ardere ed io con lui. Accostai la mano, accarezzandogli la gamba nell’interno coscia e misurai le dimensioni notevoli del “rapace” che gli si annidava fra le gambe, continuando a gonfiarsi. Era già a metà sartorio e continuava a crescere.

Ne ero estasiata nell’inquietudine che mi assaliva, pensando all’atto fatale. Ricacciai quel vago timore, convertendolo in bramosia; ondeggiai all’indietro la massa dei miei capelli color grano, civettando, mentre gli sfioravo le labbra con le dita di una mano. Con l’altra lo allontanai lentamente, fissandolo, rapita, negli occhi. Poi, girai distrattamente lo sguardo sul suo amico. Si era seduto sul divano di fronte a me, accanto a mio marito che lo teneva per mano, stregato dal magnetismo di quegli occhi d’un verde profondo. Teo se ne accorse e si alzò per presentarmelo. Il nuovo ospite lasciò, per il momento, la mano di Giorgio che lo ammirava inebetito e si presentò a me. Era alto quasi due metri!

“Charles. Enchanté!” – si presentò. Allungai la mano per il breve accenno di baciamano. “Sapete è Svizzero francese, ma parla e capisce perfettamente l’italiano. Lo conosco da diverso tempo, da quando mi ha fatto… la corte.” – disse rivolgendosi a me e a Giorgio. Poi, rise sonoramente, mentre Charles mostrava un leggero sorriso, contenendosi, come intimidito. – “Ma tu sai, cara, le mie preferenze…!” – continuò e mi dette un’occhiata, sollevando un sopracciglio, da intenditore.Mi sentii nuda, ma senza imbarazzo. Risi anch’io, mentre Giorgio andava al bancone dell’angolo bar, pronto a shakerare qualche intruglio consono a festeggiare l’avvenimento.

Preparò dei long-drink nei tumbler old-fashioned per loro tre e il solito flûte di champagne per me. Sa che in queste occasioni preferisco che mi giri la testa con il frizzantino nel naso. Il mio chaperon si approvvigionò al banco e venne da me, offrendomi lo stelo del bicchiere. Poi si sedette ai miei piedi, mentre i due… “uomini” parlottavano accanto al bar. Rideva, il mio Teo! Le solite facezie per tenermi allegra ed io ridevo e bevevo quel liquido dorato. Anche lui beveva, ma con moderazione. Finché non mi strinse nuovamente fra le braccia, nelle quali mi abbandonai, e mi baciò languidamente, profondamente, sensualmente.

Lasciammo i bicchieri sulla “elipse” di cristallo ai nostri piedi. Poi mi lanciai in un affondo che mi lasciò nude le spalle, mentre le sue mani scivolavano, circumnavigando i miei seni, scandagliando il disegno delle curve e scendendo giù, sui miei fianchi, fino alle natiche. Allora lo fermai e alzatami, in fretta infilai le pantofole plateau 20, raggiungendo la sua altezza e gli sussurrai all’orecchio: “Vieni, andiamo in camera.” Soffusi le luci del salone dal riduttore, passando nell’ingresso. Lo guidai, mano nella mano, nella stanza accanto. Giorgio e Charles erano già scomparsi. Forse mio marito l’aveva accompagnato al bagno a lui riservato, infondo al corridoio, magari usufruendo di un acconto sui servizi dell’amichetto.

La camera degli ospiti era apparecchiata con due letti matrimoniali di pari dimensioni. Uno, però, era un divano letto, con lenzuola di seta e cuscini di varia misura e consistenza a seconda delle “necessità”. Il coordinato sul mio letto era d’un rosa pallido, mentre quello per gli ometti luccicava nel suo verde smeraldo. Agli angoli opposti, la scena era illuminata da discreti faretti a luce indiretta con diffusore regolabile. “Se vuoi servirti del bagno; puoi usare il mio.” gli sussurrai mentre gli trattenevo fra i denti il lobo dell’orecchio. “Ne approfitto…!” – rispose, stimolando con un dito il clitoride della mia patatina bollente. Rabbrividimmo di piacere entrambi. Intanto s’era tolto giacca, scarpe e camicia ed entrò nel bagno. Mi distesi sul letto fantasticando del programma da sviluppare e, intanto, mi toccavo la fessura.

In quel momento entrarono i due amanti nudi come vermi e avvinghiati l’uno all’altro. Lo svizzero sopravanzava Giorgio di una testa. Erano attaccati come una sfera di Magdeburgo. Si buttarono sul lenzuolo fosforescente come attratti da quel raggio verde. Si stavano segando, strofinando i sessi uno contro l’altro, mentre le bocche si succhiavano , accartocciandosi da matti le lingue una contro l’altra. Non so se s’accorsero o meno della mia presenza, certo è che non ne erano intimiditi. Dopo vari contorcimenti e sbuffi si disposero a 69, incastrandosi nel nuovo gioco. La verga targata “edelweiss” era sproporzionatamente lunga rispetto a quella di Giorgio, ma entrambe venivano lavorate bene dalle rispettive bocche. Giorgio faceva fatica a raggiungere la metà dell’asta, mentre Charles la divorava tutta fino alle palle. Il giochino sembrava non finire mai, mentre io, in attesa sul mio letto, dimenavo la passerina infuocata. La mia pelle ardeva nel crogiuolo del desiderio.

Finalmente entrò Teo, seguito da una scia di profum d’homme de Paris che avevo lasciato per lui sulla mensola del bagno, e si fiondò sul letto. Me ne accorsi solo per l’intenso profumo e per la pressione che fece sul letto, raggiungendo la farfallina che agitava le ali per attirare il maschio. Poi, azionò la spatola che quasi mi raschiò la “gemma” posta a guardia della caverna. I capezzoli s’indurirono di colpo mentre le tempie cominciavano a battere in moto accelerato. Chiusi gli occhi trattenendo la sua testa fra le cosce. Avrei voluto che non smettesse più.

In estasi, girai lo sguardo nel vuoto, distratta da sbuffi in crescendo che dal letto accanto aumentavano di intensità. Teo, intanto continuava a leccarmi scendendo sempre più in profondità. Poi lasciò che la mia gemma trovasse riposo, risalendo sulle alture dell’addome fino all’ombelico a cui dedicò la dovuta attenzione nell’esplorarlo.

Continuavo a sentire l’ansare, lo sbuffare, il ringhiare di animali che si affrontano e confrontano. Un ruggito da tigre ferita mi spaventò. I due omoni sul palcoscenico affianco si esibivano nella penetrazione intercrurale nella figura “del missionario. Il gigante aveva sopraffatto Giorgio che lo fronteggiava, allargando le gambe, sollevate in alto, e curava di tenerle ben aperte con le mani strette alle ginocchia per facilitare la dilatazione anale.

Dalla posizione in cui ero, vedevo la lenta penetrazione del gigante che si teneva ben sollevato con il busto in modo da permettergli di accostarsi il più possibile all’ingresso del forno dell’amico. Ben oliati entrambi scivolavano con un certo attrito uno nell’altro per la dimensione del membro di Charles. Mio marito aveva ringhiato per la forza della penetrazione che lo squinternva. Non s’arrestava l’asta, trapanandolo con tutta la sua potenza. Finché non fu dentro per tre quarti. Di più non era possibile. Troppo lungo! Lui si contorceva pur cercando di contenerlo il più possibile. Solo quando si rassegnò a non potere più entrare, quel macellaio si dette ad alternare il movimento in su e in giù. Giorgio sfiatava come un organetto per la pressione che subiva e per l’orgasmo che saliva; intanto si smanettava l’uccello che s’era rizzato come non faceva più da tempo.

Teo mi baciò, impedendomi di guardare oltre, mentre mi stringeva i capezzoli che si erano allungati per l’eccitazione. Gli afferrai la testa con le due mani serrate alle orecchie e lo baciai profondamente, mentre avvertivo dai suoi movimenti che stava cercando l’ingresso della vulva. Lo assecondai assestandomi sotto di lui, trattenendolo con le gambe incrociate sulle sue reni, al di sopra del culetto sodo che incominciava a spingere la verga nel suo fodero. Non gli fu difficile arrivare al dunque. Ora sentivo le vibrazioni della sua pompa che carotava le mie profondità. Ne ero piena.

Gli occhi chiusi, incrociai le caviglie incrociate sulla sua schiena; le braccia lo tenevano stretto contro di me, mentre cavalcavo quella delizia di stallone che ogni tanto sfiatava, sudando per il calore prodotto dalla frizione violenta dei due corpi impazziti. Gustavo quella cavalcata. Nell’euforia del momento lo strinsi a me, quasi soffocandolo. Ero felice. Avvertii che mi stava inseminando dal fiotto caldo che, a profusione, usciva dal condotto che ci univa, riversandosi nelle mie viscere. Divaricai maggiormente le gambe per accoglierlo tutto e offrirgli il nettare del mio fiore in cambio del seme che la sua proboscide riversava irrefrenabilmente nella mia urna. Non mi stancavo di agitare le reni in moto ondulatorio per spillare fino all’ultima goccia quel nepente. Finché non lo sentii abbandonarsi completamente tra le mie braccia.

Cercai di rianimarlo, accarezzandolo, frizionandogli la schiena, il collo, la testa e poi di nuovo la schiena, fino al culo. Riprese distrattamente il trotto e cercava di mantenere il passo da diligente mustang con variazioni improvvise di approfondimento nei miei visceri, ma ormai era arrivato alla meta. E si arrestò con l’asta ancora rigida, innestata nel mio varco, ma ormai svuotata della potenza che lo aveva fino allora assistito.

Lo accarezzai con enfasi lungo tutto il corpo dalla testa ai glutei, ripetendogli: “Sei mio, mio, mio ,mio…” – fra un bacio e l’altro. Lui aveva sprofondato la testa fra i miei seni e sembrava non respirare più, finché non lo scostai per sincerarmi che non fosse trapassato. Allora inspirò profondamente, scosso, da brividi di piacere e mi strinse fra le braccia.

Scusami, caro diario, ma devo interrompermi perché avverto la necessità di dilettarmi la passerina, in memoria. Sarò subito da te appena mi sarò soddisfatta!

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1
Nina Dorotea

Disponibile

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