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GIOVANNA DAL PENTACOLO 1

By 20 Settembre 2011Dicembre 16th, 2019No Comments

GIOVANNA DAL PENTACOLO

Prologo

Vi siete mai chiesti perché certe persone, al di là della cultura, degli studi e dell’ intelligenza apparente, riescano ad ottenere grande successo materiale?
Vi siete mai lambiccati il cervello ad analizzare come sia possibile che ad alcune persone la fortuna e il danaro cadano letteralmente addosso, nonostante, a volte, queste persone non abbiano alcuna qualità nell’ amministrare e nel guadagnare, anzi, spesso, sperperino le loro fortune, mentre intanto altri beni e ricchezze li investono come se comparissero dal nulla?
Non vi parlo delle persone di talento, chessò io: una cantante, uno scrittore, un grande dottore; ma vi parlo di persone comuni, gente normale, gente della strada, come voi ‘ e me?
No?
Strano ‘
io non ci credo ed è per questo che ve lo dico lo stesso: perché il mondo è del Diavolo, e il Diavolo, si sa, fa le pentole ma non i coperchi.
Il Diavolo semina l’ ingiustizia ed è vanitoso.
Per questo a volte aiuta i suoi servi più scialbi e forse è per questo motivo che, tanti tanti anni fa, quando nemmeno sapevo cosa stessi facendo, sono diventata … una Strega.

Capitolo Primo: Cronaca da un paese perduto.

Il 19 di Agosto 1962 fu una domenica calda e afosa.
Eravamo tutti nella piazza all’ ingresso di Apice piccolo paese del Beneventano, l’ unica piazza spaziosa; poi il resto del paese era arroccato, seguendo i dettami dell’ antichissima architettura montanara e feudale e si evolveva in viuzze e dedali: stretti, angusti, bui.
Dalla chiesa, dopo la cerimonia, uscirono lentamente tutti i cittadini, mentre le campane suonavano ‘a morto’, tristemente.
Alcuni parenti e compagni sostenevano a spalla la misera bara di mio padre, morto giovanissimo per una grave ed improvvisa malattia di cuore.
Non avevo che sette anni, eppure quelle scene mi sono rimaste impresse nella memoria, come fotografie sbiadite, ma sempre pregne di emozioni.
Il sole cocente di mezzogiorno stampava con violenza le ombre sul selciato polveroso della piazza.
Ero accanto a mia nonna paterna, una donna magrissima e austera con gli occhi consumati dal dolore.
Mia mamma era venuta, ma era rimasta in una grande macchina nera, senza forze ‘ stremata dal dolore.
C’ era tanta gente intorno, brusio di voci e strascinare di piedi, poi, all’ improvviso, per un attimo tutta la gente nella piazza trattenne il fiato.
Dal viottolo secondario che risaliva il pendio a sud, una figura scarna avanzava spedita, appoggiandosi ad un nodoso bastone di noce scuro lucido per l’ uso e tanto consunto da luccicare al sole, come contenesse degli specchietti.
Era una vecchia nera, dal volto rugoso, sdentata e lievemente curva.
Nonostante il caldo, indossava abiti invernali di lana antracite e uno scialle nero.
I capelli erano bianchi e ispidi raccolti in una crocchia e bloccati da una forcina bianca d’avorio.
Mentre tutti trattenevano il fiato per lo sbigottimento e la sorpresa, la vecchia, inaspettatamente svelta, si avvicinò al feretro e come un cane da fiuto, annusò rumorosamente il legno della bara.
Poi, lesta, raccolse da terra una manciata di polvere chiara e ne sparse una parte, con gesto teatrale, davanti alla bara, poi, mentre partivano i primi rimbrotti dei presenti, si avvicinò veloce a me e alla mia nonna e buttò ai nostri piedi il resto della polvere.
Io sussultai spaventata, mentre mia nonna si voltò dall’ altra parte, come se non volesse vederla.
Adesso la gente cominciava a gridare e inveire, mentre il sacrestano strillava: – Va via, va via! Cacciatela, Cacciatela! ‘
Qualcuno fece un passo verso di lei, minaccioso, ma dovette ritrarsi immediatamente, perché al fianco della vecchia comparve, come materializzandosi dal nulla, un grosso cane nero, ringhioso e ispido.
La vecchia alzò il bastone, imperiosa.
Tutti tacquero compreso il cane.
Allora la donna mi si avvicinò, si chinò e mi investì con l’ alito fetido di vino e di aglio:
– Tutt’ è povere! Tutt’ è povere ‘ a chi primma e a chi doppe!
Tutt’ è povere ‘ a chi primma e a chi doppe!…
Ah ah ah! – la megera iniziò una risata pazza, mi alitò ancora contro, mentre i miei occhi terrorizzati incontrarono i suoi, neri e lucidi come perle , poi si voltò e sparì rapida nel bosco, mentre i primi temerari si armavano di pietre, fingendosi decisi a scacciarla con violenza.
Ma fu tutto inutile: la vecchiaccia scomparve così come si era materializzata all’ improvviso.
Ricordo una gran confusione. Mia madre svenuta nella macchina, delle vecchiette del paese che intonavano litanie vendicative e di cui non capivo le parole, mentre il parroco, arrivato di gran carriera, benediva con l’ acqua santa, la piazza, il feretro di mio padre e poi anche me.
Intanto mia nonna si poggiò a una serva, sentendosi venire meno, il suo viso dimostrava cento anni, bianca come una cencio, si segnava con la croce.
Non dimenticherò mai quelle scene e tutto quello che vidi e, forse, anche quello che non avrei potuto vedere.

Nell’ ombra nera delle travi del campanile, due figure inidentificabili si godevano la scena.
– E’ arrivata Iside! ‘ decretò il primo con voce gracchiante, aveva zampe e mani palmate, orecchie aguzze e una coda serpentina, azzurrino sulla schiena, aveva il ventre molle e roseo come un confetto – Scuotiamoli un poco, questi cafoni! ‘ aggiunse in un sibilo maligno.
– Stai a posto tuo, Farfariello ‘ disse l’ altro personaggio, un monaco corto e rotondetto, col viso da putto. Gli occhi maligni e rossi di fiamma e due piccole corna nere e lucide sulla fronte pelata: ‘ Tu sei qui solo come osservatore, ricorda! ‘
– Maledetto monaco ‘ masticò aspro l’ altro e sputò con disappunto sulla campana, bloccandola a mezz’ aria, come una fotografia … impossibile.
– Smettila, sporco succube! ‘ il Monaco tracciò un segno nell’ aria calda con la sinistra e il tempo riprese a scorrere – Piuttosto controlla bene la bambina, trova i segni e poi vattene. Lo vedi Iside ha già sparso la polvere? ‘
Aggiogato, il mostriciattolo si lanciò dal campanile in una ridicola caduta folle.
Guardando dagli occhi del cane nero e ringhioso, mentre la vecchia sghignazzava nella piazza, si avvicinò attento ai piedi della piccola orfana, affondati nei sandaletti, e ‘lesse’ accuratamente i due puntini rossi sull’ alluce sinistro; sogghignò soddisfatto.
La sua missione era compiuta e la risposta era positiva.
Era proprio Lei.

Due giorni dopo due scosse di terremoto fecero si che tutto il paese di Apice venisse evacuato e per sempre ‘ ci rimasero solo i cani, qualche poveraccio, il sindaco e la vecchia janara, che la domenica precedente aveva dato di matta davanti alla chiesa: Siside.

Capitolo Secondo: L’ amara gioventù.

Qualche anno dopo, mia madre e io vivevamo nella casa nuova di mia nonna. La vecchia donna aveva avuto pietà di mia madre, rimasta vedova così giovane; con me da mantenere, probabilmente avremmo fatto la fame.
Il fratellastro di mio padre, figlio primogenito del nonno e della prima moglie, morta di parto, ci veniva a trovare spesso.
Non mi piaceva.
Era grossolano e cattivo, mia nonna lo doveva sopportare perché era rimasto solo lui a mandare avanti l’ attività di macellazione, ereditata da mio nonno. Con la morte di mio padre era rimasto il padrone indiscusso dell’ attività che, grazie a manovre politiche e ad appalti di favore, fioriva egregiamente rendendolo ricco e potenteVeniva spesso a casa nostra perché aveva molte attenzioni per mia madre.
Era claudicante e abbastanza brutto, quando era brillo diceva spesso a mia madre che doveva ringraziare iddio, che non si era sposato e che non gli piaceva di andare dalle puttane.
Quando ero piccola, se lui arrivava, la nonna si segnava e mi portava con se.
Poi quando mi feci più grande e appetitosa lo zio non volle più e fece sistemare meglio le nostre stanze e creare un bagno privato per mia madre. Diceva che, noi due, per lui che era solo soletto rappresentavamo la famiglia.
Lo vedevo spesso, quando cenava da noi, come guardava e toccava mia madre; all’ inizio lei mi portava di corsa in camera mia, ma poi lo zio non volle più.
Disse che ero grande e dovevo imparare le cose della vita ‘
Mia madre piangeva spesso, ma non poteva contrastarlo, vivevamo anche della sua elemosina, in fondo.
Ma soprattutto era minaccioso e vendicativo, e mia madre lo temeva.
Spesso dalla mia cameretta sentivo ansimare dalla stanza di mia madre o dalla cucina, ma non riuscivo a capire niente di ciò che dicevano, ne potevo conoscere troppe cose: non avevo amichette, mi evitavano tutti a scuola, mentre mia nonna non faceva che segnarsi e pregare.
Quindi ero completamente impreparata quando una sera lo zio arrivò, allegretto, anzi lievemente alticcio, chiuse a chiave la porta della nostra parte di appartamento e si spogliò davanti a me e a mia madre sbigottita, lei si alzò di scatto per fermarlo, ma lui le diede un ceffone che quasi la tramortì: – Non ti permettere mai più, donna! –
le urlò con gli occhi iniettati di sangue ‘ ora la ragazza e grande e deve stare con noi, capisci? Deve guardare e imparare! ‘
Rise sguaiatamente: – E deve capire bene chi è il suo padrone e chi le da da mangiare e vestire. ‘
Poi, rivolto a me: – Hai capito Giovannella? Adesso guarda bene le cose che faccio con la mamma, così le impari anche tu e poi lo zio ti fa divertire pure a te e ti regala anche un vestito nuovo. ‘
Si avvicinò e mi diede un bacio sulle labbra; il suo alito si sentiva di vino.
Poi si levò completamente i pantaloni e le mutande, restando con la camicia sbottonata, la gamba zoppa era brutta da vedersi e lui era goffo, ma la cosa che mi colpì e che tra le due gambe aveva una zona scura, scura di peli, come le donne, solo che da quella peluria folta e riccia spuntava un affare grosso e spesso, di pelle, sulla punta era più chiaro, quasi rossiccio e lo zio ci guardava come fosse un ebete, mentre senza toccarlo, lo faceva pulsare e innalzare ‘ sotto quell’ affare un rigonfiamento grosso come una sacca, pendeva verso il basso.
Era una visione sorprendente e alquanto disgustosa, ma la cosa più sconcertante era che, nonostante tutto, mi piaceva guardare quel coso dello zio, mentre le guance si arrossavano e sotto il ventre mi sentivo rimescolare.
Più quel bastone contorto si gonfiava e più sentivo il fascino di quella visione.
– Vieni, presto! ‘ disse a mia mamma ‘ sono arrapato, non lo vedi? Appoggiati al tavolo! –
Mia madre obbedì, ma chiuse gli occhi per la vergogna.
Lui lesto la fece abbassare in avanti e le abbassò il Jeans che aveva per casa, subito le si mise dietro, poi guardandomi sorrise e disse: – Guarda Giovanna, guarda lo zio cosa fa adesso e impara bene la lezione. ‘
Poi prese la verga nella mano destra intimò a mia madre: – Presto, apriti la figa, troia. ‘
All’ improvviso vidi mia madre che si prendeva le natiche con le dita e le allargava e poi vidi il bastone dello zio, sparire tra le sue gambe.
Ero curiosa ed eccitata da quella scena: la cosa che mi lasciava perplessa era che il coso grosso e lungo dello zio, entrava dietro alle cosce di mia madre, ma non usciva davanti ‘ dove finiva?
Ebbi un’ intuizione tremenda che si rivelò reale: lo zio lo infilava direttamente nel buco della vagina: quel buchetto che avevo anche io e che qualche volta mi ero toccata, provandone solletico e piacere.
Non potevo crederci: quel coso grosso che entrava e usciva da mia madre doveva essere il cazzo dello zio, allora.
Ne aveva sentito parlare, ma non ne aveva mai visto uno ‘ e come poteva un bestione così, entrare in un buchetto così piccino?
– Guarda, piccola, guarda come chiava lo zio, eh? ‘ aveva una espressione estasiata, mentre come uno stantuffo penetrava mia mamma, e la tirava a se per le natiche.
Io guardavo ipnotizzata e incredula, poi lui mi disse: – Vieni, Giovanna, vieni a vedere come vengo, ti faccio vedere la sborra, guarda ‘ e mugolando, rubizzo ed eccitato, tirò fuori l’ arnese, la cui testa, rossa come una fragola matura era umida degli umori di mamma, mi avvicinai curiosa e allo zio dovette piacere, perché mentre con una mano continuava a frugare nel buco di mamma, con l’ altra mano si moveva convulso intorno al coso finché dalla punta partì uno schizzo, bianco come uno sputo, che arrivò lontano, fino tra i capelli di mamma, dopo i primi schizzi, la roba bianca continuò a colare a piccoli fiotti, scorrendo sulle natiche bianche della mamma e scorrendole sia sui pantaloni che per terra.
Lo zio continuava a menarselo tra le mani e a scorrere dal bastone: sospirava forte e, tesissimo, tremava sulle gambe.
Alle mie narici pervenne un odore intenso e particolare, che mi fece strabuzzare gli occhi, automaticamente mi carezzai tra le gambe, scoprendo che il mio pantalone era lievemente umido.
Capitolo Terzo: Prime rivelazioni

La domenica successiva, prima di uscire per andare alla messa, mia nonna, sempre più abbattuta e silenziosa, mi fece avvicinare al suo letto.
– Figlia bella, come sei fatta grande, a mamma tua! ‘ sussurrò, piano, poi, mi fece cenno di avvicinarmi ancora di più.
Piano con le dita tremanti fece scivolare tra le mie mani un nastro con un piccolo pendente.
– Tieni figlia mia! So che hai visto il sesso di quell’ uomo, è vero? ‘
Ero inebetita ‘ e un po’ lenta, di natura.
Mi incalzò: -L’ hai visto, vero? Dico il ‘sesso’ del tuo ziastro? ‘
Feci segno con la testa e dissi: -.Si, nonna, il coso grosso che ha ‘ –
Mi interruppe con la mano: – Basta, ho capito ‘ proprio quello! ‘
– Adesso stammi bene a sentire, perché nonna tua non sa se ce la farà ‘ e per quanto tempo ancora. ‘
Così mi disse di tenere a mente una storia, che mi sussurrò piano, quasi all’ orecchio, facendomi spesso trasalire e altre volte piangere.

‘ Tanto tempo fa, tuo nonno, mio marito, quando era molto giovane, venne sedotto da una puttana, brutta e malata.
Lei si fece mettere incinta per poter ricattare la famiglia e ottenere denaro. Andava dicendo anche che oramai lui era un malato, che poteva fare all’ amore solo con lei, perché lei lo aveva infettato con la sifilide.
Io, allora, ero solo una ragazzina, come te, ma ero invaghita di lui e lo spiavo sempre, sia alla chiesa, che quando lo incontravo per strada.
La cosa si seppe, soprattutto perché la mamma di tuo nonno venne per aiuto da mia sorella.
Lei la cacciò tre volte, ma la donna, caparbia per tre volte ritornò all’ alba, con doni e danaro.
Al quarto giorno lei la fece entrare e le disse: – Ehi, signorona, adesso, mi conosci? ‘ Probabilmente doveva averci fatto qualche vecchio torto. Era facile, perché loro erano ricchi di famiglia e noi vivevamo in miseria.
Poi, mia sorella si mise all’ opera: le preparò una specie di medicina per il nonno, che dava già i segni della terribile malattia e poi le disse: – Il bambino della zoccola deve nascere, non ve la potete cavare senza dolore famigliare, altrimenti il figlio vostro muore! –
– A la zoccola, dopo il parto, mandatela via. Pagatela.
Dopo il parto: via! Avete capito? ‘ la donna assentì e ringraziò con le lacrime agli occhi, voleva darle dei soldi.
Ma lei si schernì: – No, non voglio niente, per me, ma salvatemi quest’ anima innocente, voi potete … ‘ sogghignò ‘ è ancora vergine, è brava nei lavori di casa e bella ‘ – poi con voce meno arrogante e quasi come chiedesse pietà, aggiunse: – Voi potete: salvatela da tutto questo. ‘ e fece un gesto, come a evidenziare il tugurio malsano in cui vivevamo.

Tutto si avverò come aveva previsto Siside, mia sorella maggiore, che tu hai veduta una sola volta, ma ne avrai sentito parlare.
Nacque il bambino, purtroppo zoppo a una gamba, e la madre fu mandata via subito dopo. Il piccolo era tenuto a balia e, dopo un anno, mi vennero a prendere per portarmi alla casa dei signori, perché io mi occupassi di lui.
Tuo nonno aveva quindici anni più di me. Ormai stava bene in salute, era guarito.
Dopo qualche anno si affezionò e mi sposò.
Dal nostro matrimonio nacque tuo padre ‘ il mio unico, vero figlio.
L’ altro l’ ho cresciuto e mi sono affezionata, ma è stato sempre il figlio di una zoccola.
Ora, il nonno e tuo papà sono morti, disse con gli occhi pieni di lacrime, tua madre è una debole ed io sono fatta vecchia.

Adesso questo oggetto è tuo, indicò il monile.
Me lo diede mia sorella Siside, quando lasciai la casa insieme a un foglietto con una invocazione. Da allora l’ ho potuta incontrare solo per la strada, il giuramento era che mai più avremmo messo il piede l’ una in casa dell’ altra.
Ora tu sei in pericolo grande, ma hai ‘il segno’ che si sviluppa.
Ascolta cosa devi fare attentamente: adesso che vai in chiesa, Dio mi perdoni, tieni questo cornetto nel fazzoletto.
Quando ti daranno la comunione, non inghiottire, fingi di tossire e sputala ne fazzoletto, vicino al corno, ma spezzala presto; rompila subito, altrimenti ti bruci le mani.
Fra pochi giorni è la luna piena, guarda sul calendario nella cucina, a mezzanotte esci sul balcone o vai al terrazzo, completamente nuda, senza nemmeno le scarpe, mi raccomando: la Luna ti deve bagnare tutta quanta ‘ allora recita questa orazione per tre volte.
Poi togli l’ oggetto dal fazzoletto e mettilo alla gola, per sempre.
Ricorda bene: Tu sei una ragazza forte e speciale, avrai paura per tre volte, contale. ‘ poi aggiunse ‘ Avrai una paura per la morte, una paura per il futuro e una paura per il sesso
Appena avrai paura per la terza volta, corri da mia sorella Siside, al paese abbandonato, e mostrale il ciondolo: lei ti dirà che cosa fare.

– Al paese vecchio? ‘ ripetei inebetita ‘ ma nonna, non ci abita nessuno ‘ tranne il sindaco vecchio … poi ci vanno solo i drogati ‘ all’ improvviso ricordai ‘ Ah! e ci abita anche la Janara, almeno così dicono. La mamma dice che era quella vecchia pazza che fece fare i numeri all’ esequie di papà, buon anima. ‘
– Proprio lei, là devi andare, perché la Janara è proprio mia sorella, Siside! ‘
Restai allibita per qualche secondo.
– Ma, nonnina mia, quella era vecchia e decrepita già quando io ero bambina ‘ –
– Se, se ‘ disse la nonna con un sorriso amaro ‘ quella è una strega, altro che vecchia: ha i sette spiriti. La tenessi io la salute sua. ‘
Mi guardò con dolcezza: – Va, va, figlia mia ‘ i tempi sono cambiati e chissà cosa ti riserva il destino. I tempi sono cambiati, il male e il bene sono confusi, va e che, che ‘ ‘ si fermò, interdetta – ‘ che ‘qualcuno’ ti assista. Vai con la mia benedizione, a nonna tua. –

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