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“Papà, guarda, c’è un castello medioevale!”.

Alex rallentò e guardò dove la figlia stava indicando. Alla loro destra c’era un cartello con un castello disegnato e una freccia che li invitava ad imboccare una salita.

“Le meraviglie di una corte medioevale perfettamente riprodotta. Tutti i giorni fino a mezzanotte!”.

“Ci fermiamo? Dai!”, lo implorò la ragazza.

Alex pensò a quella piccola vacanza che stava per concludersi, la prima con i figli da quando si era separato dalla moglie.

Non era stata male, ma neppure nulla di memorabile, e forse ora aveva la possibilità di segnare qualche punto a suo favore.

“Tu cosa ne dici, Marco?”, chiese al figlio minore, seduto sul sedile posteriore e intento a guardare il telefonino.

Il ragazzo alzò lo sguardo, degnò il cartello di mezzo secondo di attenzione e poi tornò a fissare il device.

“Per me va bene”, disse senza entusiasmo.

Alex azionò la freccia e imboccò la stradina in salita, accompagnato dagli ululati di gioia della figlia Sara.

Dopo un paio di tornanti gli si parò di fronte una costruzione in pietra che definire castello sarebbe stato improprio, ma certamente poteva fungere da scenario per un piccolo parco divertimenti.

Alla cassa non c’era coda, così in pochi minuti pagò il biglietto e si avventurarono all’interno delle mura.

Già dopo pochi passi capirono che il posto avrebbe tradito le loro aspettative: era una riproduzione piuttosto approssimativa di una corte medievale, con finti cavalieri in armature di latta che ciondolavano annoiati e pochi turisti con poco entusiasmo.

Passarono oltre il finto giullare che fumava una sigaretta e arrivarono alla giostra dei cavalieri.

Una piccola folla composta da una trentina di persone era intenta ad osservare due cavalieri – uno drappeggiato di blu e uno di rosso- fronteggiarsi con delle lance di legno.

La contesa era palesemente finta, ma i cavalli erano belli e rimasero a guardarli per una dozzina di minuti.

Si spostarono quindi all’attrazione successiva, la quale però consisteva semplicemente in basso edificio in muratura sovrastato dalla scritta SEGRETE.

Fecero per passare oltre, quando si sentirono chiamare. 

“Signori, volete fermarvi?”.

Un uomo a torso nudo con il cappuccio da boia sulla testa era fermo a braccia conserte davanti alla porta.

“Dici a noi?”, chiese Alex.

“A voi. Entrate e sperimentate l’esperienza di un vero carcere medievale, unico in Italia!”.

Alex ringraziò e fece per passare oltre, ma Sara lo fermò prendendogli un braccio.

“Entriamo?”.

“Vuoi entrare qui?”, le chiese lui stupito.

“Tanto fuori è noioso, proviamo a vedere”.

Il boia sembrava non aspettare altro.

“E’ compreso nel prezzo del biglietto, vi garantisco un’esperienza memorabile!”.

Alex guardò verso la figlia, che lo osservava con sguardo implorante.

Non capiva l’entusiasmo per una cosa del genere, ma aveva ragione quando diceva che tutte le altre attrazioni erano noiose.

Alex da giovane era stato al London Dungeon e l’aveva trovato interessante, si augurò che anche lì, certamente più in piccolo, vi si fossero ispirati.

“Va bene, vediamolo!”, concesse, ed entrarono nella struttura.

Dentro trovarono un altro boia, che porse loro un foglio prestampato.

“Compilate con i vostri dati e una firma in fondo”.

“Cos’è?”, chiese Alex.

“Il solito scarico di responsabilità e trattamento dati”.

“E’ pericoloso?”.

“Per nulla, ma non si sa mai: con tutti gli avvocati che non sanno come sbarcare il lunario meglio essere previdenti. Prego, seguitemi”.

Lo seguirono in un piccolo spogliatoio.

“Ecco, i maschi di qui, la ragazza dall’altra parte. Vi lascio una tunica da indossare, vi prego di indossarlo direttamente sulla biancheria intima per non essere intralciati nei movimenti”.

Aprì un armadio, vi prelevò tre pacchetti e li consegnò al capofamiglia.

“Ma cosa dovremo fare?”, domandò.

“Quando vi sarete cambiati uscite dalla porta in fondo e vi troverete in un locale che simula le segrete di un castello medievale. Sostanzialmente si tratta di un gioco di ruolo: voi sarete i prigionieri, io e i miei colleghi i carcerieri. Sarete legati e vi verranno somministrate delle punizioni. Nulla di pesante, non temete. In ogni caso vi sarà sempre possibile interrompere il trattamento utilizzando una safeword”.

“Cioè?”.

“Stabilite ora una parola che vi sia facile da ricordare. Un luogo, un nome, qualcosa che vi venga in mente senza difficoltà…”.

“Facciamo Rusty?”, propose Marco.

Rusty era il nome del loro cane e si trovarono tutti d’accordo.

“Bene, allora io e i miei colleghi sapremo che quando pronuncerete il nome Rusty dovremo fermarci, qualunque cosa si stia facendo. Questo anche per permettervi di recitare un pochino e lamentarvi delle punizioni. Mi raccomando, divertitevi e non abbiate timore a urlare e divincolarvi, alla fine si tratta di un gioco. Sarà più efficace anche per il pubblico”.

“Pubblico?”.

“Certo, vi stanno già aspettando. Forza, andate a cambiarvi!”.

Alex e Marco si infilarono nella porta a destra, Sara in quella di sinistra.

Padre e figlio attraversarono timidamente la porticina al fondo dello spogliatoio e penetrarono in un ambiente scuro.

Diligentemente avevano indossato la tunica direttamente sui boxer e quindi erano a piedi nudi.

Il pavimento in pietra era freddo, l’ambiente era illuminato solo da alcune fiaccole inchiavardate alle pareti.

Sara evidentemente era stata più rapida di loro, perchè si trovava al centro della stanza, con i polsi legati ad una catena che pendeva dal soffitto e la costringeva a stare in punta di piedi.

Contrariamente a loro che indossavano una specie di saio lungo fino ai piedi, la ragazza portava una veste che le arrivava solo a metà coscia.

Padre e figlio vennero presi in consegna da due carcerieri e legati per i polsi, ciascuno ad un anello incastrato nella parete.

Solo una volta che fu legato Alex riuscì a vedere come – proprio di fronte a lui – una trentina di persone fossero sedute su dei gradini, come una piccola tribuna.

Erano tutti in silenzio e sembravano molto coinvolti da quanto stava per capitare.

“Signore e signori del pubblico (invero più signori), benvenuti alla nostra attrazione più esclusiva e più interessante: le segrete! Davanti a noi il signor Alex, il signor Marco e la signorina Sara, che nella vita di tutti i giorni sono una famiglia rispettabile, ma che per la prossima ora saranno solo ed esclusivamente i nostri prigionieri”.

Un timido applauso si levò dal pubblico.

“Un avviso per tutti: tutto quello che vedrete sarà vero. Non siamo a teatro, sotto i vostri occhi, e sulla vostra pelle, vedrete veramente quello che capiterebbe in un’autentica segreta medievale di cinquecento anni fa. E ora, inizio ai giochi”.

Calò il silenzio su tutti.

“La tortura, che ebbe la sua maggiore diffusione proprio nel Medioevo – proseguì – viene definita come forma di coercizione fisica e psicologica, al fine di soggiogare e umiliare il soggetto. Ed è quindi vero che, se molti pensando alla tortura immaginano subito fruste e pinze, e altrettanto vero che la deprivazione del prigioniero passa anche e soprattutto attraverso la sua testa. Il prigioniero in primo luogo va umiliato”.

A passi lenti si avvicinò a Sara, che, immobilizzata, teneva lo sguardo basso.

“E quale maggiore umiliazione per una giovane ragazza se non mostrare il suo corpo a degli sconosciuti?”.

Afferrò il saio all’altezza del collo di Sara e con un movimento rapido glielo strappò di dosso, facilitato da due chiusure in velcro che ne avevano tenuti assieme i lembi al lato del corpo.

Dal pubblico si levò un mormorio di approvazione mentre Sara si mostrava vestita solo di un reggiseno bianco e un perizoma del medesimo colore.

Alex sentì un moto di irritazione a vedere gli sguardi degli astanti posarsi sul corpo della figlia.

“Cosa c’è, papà, sei nervoso?”, gli chiese il boia come se gli avesse letto nel pensiero.

Lui annuì in silenzio.

“E’ umiliante, vero, vedere la propria figlia esposta di fronte a degli sconosciuti? Eppure, se ci pensi, non è tanto diverso da quando si stende al sole in spiaggia. Lì non ti dà fastidio, immagino”.

Scosse la testa.

“E’ la nostra mente, la potenza della nostra mente – spiegò il boia rivolto al pubblico – Una ragazza in due pezzi al mare è normale, ma se la leghiamo in una segreta diventa umiliante”.

Tornò ad avvicinarsi a Sara.

“Ma ovviamente siamo solo all’inizio, e l’umiliazione vera deve ancora arrivare”.

Circondò il torso di Sara con le braccia, come se volesse abbracciarla, e le sganciò il gancetto del reggiseno, che cadde a terra, esponendo a tutti il suo seno – una seconda piena – che in quella posizione non poteva coprire in nessuna maniera.

Il pubblico sembrava interessato.

“Ma la tortura non ci serve solo per umiliare la vittima, ma anche per ricevere informazioni. E quindi chiediamo alla bella Sara: sei vergine?”.

Sara scosse la testa. 

Sia suo padre che suo fratello ne erano a conoscenza.

“Lo immaginavo: sei bella, sei sexy, fin da giovane i tuoi compagni di scuola e – perchè no? – i tuoi insegnanti avranno cominciato a fare dei pensieri su di te. E’ normale”.

Si avvicinò alla ragazza e le posò una mano sul sedere, poi la fece risalire lungo la pancia e la posò sul suo seno sinistro.

Sara sospirò, mentre il suo corpo veniva attraversato da un brivido.

“E dimmi, con quanti ragazzi sei stata?”.

La ragazza chiuse gli occhi e serrò le labbra.

Il boia fece un passo indietro.

“Lo sai che se non confessi saremo costretti a torturarti, vero?”.

Sara annuì, sempre ad occhi chiusi.

Il boia si rivolse al pubblico.

“Come dicevamo prima, la tortura è sempre psicologica prima ancora di essere fisica, e una parte importante è la sottomissione mentale del soggetto. Per questo motivo, anche se la tortura andrà a colpire solo determinate parti del corpo, è indispensabile che il soggetto affronti la prova sempre completamente nudo”.

L’assistente del boia si accostò alla ragazza e le sfilò il perizoma, incontrando invero poca resistenza da parte di Sara.

Alex si chiese se non fosse il caso di interrompere il gioco, ma ritenne che, visto tutto, dovesse essere Sara a pronunciare il nome del loro cane.

E non lo stava facendo.

“Allarga le gambe! – le urlò contro il boia – Mostra a tutti la tua figa da troia!”.

Sara, rimanendo sulla punta dei piedi, allargò le gambe.

Immediatamente un inserviente si premurò di legare le sue due caviglie alle due estremità di un palo lungo circa un metro, in maniera tale da impedirle di chiuderle.

“Sei depilata come una zoccola. Da quando te la radi?”.

“Un anno circa”, rispose la ragazza a bassa voce.

Il boia allungò la mano e gliela passò sulla figa.

“Allora torniamo alla domanda di prima: quanti cazzi hai fatto entrare qui dentro? Quanti hanno goduto dentro di te?”.

Sara serrò nuovamente la bocca.

“Te la sei voluta tu, cazzo di puttana”.

Infilò una mano in tasca ed estrasse tre piccoli oggetti che Alex dalla sua postazione non riusciva a identificare.

Il boia ne accostò uno al capezzolo destro di Sara e subito dopo si sentì uno scatto secco, seguito da un lamento della ragazza.

“E’ un morsetto per capezzoli, signorina. E come sai, di capezzoli ne hai due”.

Compì lo stesso gesto anche per l’altro, e di nuovo Sara emise un gemito.

“Ma il bello di questi piccoli oggetti è che, nella loro semplicità, sanno essere molto versatili. Possiamo usarli per pinzare ogni parte del corpo, a patto che sia piccola. Come il tuo clitoride, ad esempio”.

Sara sentì un brivido attraversarle il corpo, e un attimo dopo le dita del boia insinuarsi tra le sue grandi labbra.

Dopo un attimo il suo clitoride era esposto, e fece solo in tempo a sentire il freddo del metallo prima di sentire i due morsetti chiudersi sulla sua carne tenera.

Urlò.

Alex si domandava per quale motivo sua figlia stava permettendo che le facessero tutto questo senza interrompere il gioco.

Che si fosse dimenticata la safeword?

“Rusty!”, urlò lui.

Il boia si scostò da Sara e si avvicinò ad Alex.

“Sei sicuro?”, gli chiese a bassa voce, in modo che nessun altro sentisse.

“Sì. Questo è troppo!”, rispose Alex, cercando di essere risoluto pur nella posizione di debolezza in cui si trovava.

“Ti rammento che se ora abbandoni, abbandoni solo tu. Sei sicuro di voler lasciare i tuoi figli nelle mie mani? Manca ancora tanto”.

“Ce ne andiamo via tutti”, protestò.

“Se i tuoi figli pronunceranno la safeword ve ne andrete tutti, te lo prometto. Ma mi pare che qui tu sia l’unico che vuole andarsene. Ho chiamato tua figlia puttana, non era solo per scena…”.

Si allontanò nuovamente e si avvicinò nuovamente a Sara, quindi strattonò i tre morsetti che le serravano capezzoli e clitoride.

“Mentre Sara medita se dirci con quanti uomini ha scopato, noi cambiamo soggetto”, annunciò il boia al pubblico.

“Il bello di torturare una famiglia, infatti – disse accostandosi a Marco – è che possiamo considerarli un corpo solo. Se uno soffre, soffre anche l’altro. E se magari Sara ha una elevata soglia di sopportazione – o magari le piace farsi vedere nuda, chi può dirlo? – non è detto che lo stesso valga per suo fratello”.

Come aveva fatto già per Sara, afferrò un lembo del saio e glielo strappò di dosso, lasciandolo in boxer.

Boxer che non riuscivano a nascondere un’imbarazzante erezione.

“Oh, ma guarda che bella sorpresa!” , commentò il boia con un risolino.

Marco chiuse gli occhi, imbarazzato.

“Direi che è il caso di approfondire”.

Si chinò e con un movimento repentino abbassò i boxer di Marco, lasciandolo nudo con l’erezione in vista.

“E così vedere tua sorella nuda ti eccita, giovanotto?”.

Anche Marco, come aveva prima fatto sua sorella, serrò le labbra per far capire che non avrebbe risposto, anche se purtroppo il suo corpo parlava per lui.

“Ti seghi su di lei?”, gli chiese stringendo le dita attorno al suo membro.

Lentamente fece scorrere la mano, scoprendogli il glande e aumentando ulteriormente l’erezione.

“Lei dorme in stanza con te, vero?”.

Marco annuì.

“E magari la notte non si veste molto, vero? Da quanto è puttana sono pronto a scommettere che è vero. Come dorme tua sorella?”.

Con un movimento lento, il boia prese a masturbare Marco.

“In biancheria intima. A volte solo perizoma”, ammise il ragazzo, cercando di pensare ad altro per non venire.

“E tu la guardi e ti seghi, vero?”.

La mano del boia andava avanti e indietro.

“No”.

Avanti e indietro.

“Sei sicuro? Allora perchè ce l’avevi duro? Ti eccita tua sorella, vero?”

Avanti e indietro.

“Puoi ammetterlo, anche io se avessi una sorella puttana come la tua mi ci segherei. Anzi, mi farei segare direttamente da lei”.

Avanti e indietro.

Marco stava per venire, e non voleva farlo di fronte a suo padre, sua sorella e a tutti quegli sconosciuti.

“QUARANTUNO!”.

Il boia interruppe il movimento con la mano e si voltò verso Sara.

“Cosa hai detto?”.

“Quarantuno – confermò la ragazza – sono stata con quarantuno uomini”.

Il boia mollò la presa, un attimo prima che Marco eiaculasse, e tornò di fronte a Sara.

“Quarantuno, eh? Sentivo che eri una puttana, ma onestamente non pensavo così tanti. Credevo una ventina, e già sarebbero stati molti”.

Le staccò il morsetto dal clitoride, passandole un dito tra le grandi labbra.

“Potresti farne un’attività, saresti ricca”.

Le staccò un morsetto da un capezzolo.

“Anzi, direi che è un aspetto da approfondire”.

Le staccò anche l’altro e si pose davanti a lei, immobilizzata e oscenamente esposta.

“Anche se sei una stupida oca, non credo tu ti sia innamorata quarantuno volte, quindi direi che in molti di questi casi lo avrai fatto per uno scopo. La prossima domanda è semplice: quanti hanno pagato per scoparti? A quanti l’hai data per avere un vantaggio”.

Sara ridacchiò.

“Questi non sono cazzi tuoi”, rispose sprezzante.

Il boia le sorrise.

“Sai che avevo quasi temuto che mi rispondessi, togliendomi quindi il piacere di torturarti ulteriormente? Ma per fortuna non l’hai fatto”.

Si voltò verso gli assistenti.

“Ragazzi, il tavolo di costrizione! Veloci!”.

I due assistenti sparirono dietro ad una porta e fecero ritorno un paio di minuti dopo, portando con loro una struttura in legno.

Si posero al centro della sala e con abilità fissarono tra loro assi e brugole, costruendo un tavolo fatto a forma di X.

“Legate la mignotta! A pancia in giù!”, ordinò il boia.

Liberarono Sara e la sbatterono sul tavolo, legandole nuovamente polsi e caviglie.

In quella posizione le gambe erano molto allargate, tali da mostrare la figa depilata.

Il boia si accostò nuovamente  a lei e le accarezzò la schiena con la punta delle dita, facendo terminare la carezza nella fessura tra le due natiche.

“Hai anche un bel culo, sai? Dovresti darti al porno, hai il fisico. Purtroppo non ne hai l’attitudine: le pornostar sono delle professioniste, tu sei solo una puttana”.

Con il dito prese a solleticarle l’ano.

Sara emise un sospiro.

“Ti piace, eh?”.

La ragazza non sospirò.

“Non sto neppure a chiederti se hai fatto anale, mi pare quasi offensivo per una troia come te. Saranno anni che dai via il culo”.

Sara non rispose e tenne gli occhi chiusi.

Quel dito che le titillava l’ano le dava piacere, non poteva negarlo.

Ma lo stimolo soft durò poco, perchè dopo pochi istanti sentì il dito del boia penetrarle dentro.

Emise un sospiro.

“Ti sta piacendo, vero? Non avevo dubbi. Ma non sei qui per godere, ma per soffrire”.

Estrasse con uno schiocco il dito dall’ano di Sara e si fece portare uno strumento dal suo assistente.

Sara, legata prona e di spalle, non poteva vedere cosa stesse per capitarle, ma il mormorio del pubblico le fece presagire che non sarebbe stato nulla di buono.

Il boia reggeva in mano un dildo lungo una trentina di centimetri e del diametro di una marmitta.

Chiamò un assistente in aiuto.

“Allargale le chiappe”.

L’uomo afferrò le natiche, una per mano, e le separò in modo da esporre l’ano.

Il boia appoggiò la punta del glande al buchino di Sara.

Il sex toy era attraversato trasversalmente da delle scanalature che ne dividevano la lunghezza in piccole sezioni gibbose.

L’uomo inserì nel sedere di Sara la prima sezione.

“Questa è acqua fresca per te, immagino”.

Inserì la seconda.

“Allora, a chi l’hai data dietro compenso?”.

Sara serrò nuovamente le labbra.

Il boia penetrò fino alla terza scanalatura.

Sara fece una smorfia di dolore.

“Un tizio, un negoziante da cui ero andata a comprare un paio di scarpe. Mi ha fatto dei complimenti, mi ha detto che ero bella, e mi ha proposto di andare con lui”.

“Ti ha scopata?”.

“Sì, nel retro del negozio”.

“E quanto ti ha dato?”.

“Una borsa….sopra c’era il cartellino del prezzo, erano ottocento euro”.

“Ah, sei anche cara! Io più di cinquanta euro non ti avrei dato. Quanti anni aveva questo gentiluomo?”.

“Non lo so – rispose Sara visibilmente sofferente – Credo più di quaranta”.

“E tu?”.

“Era un paio di anni fa”.

“Sei una zoccola di merda. Ma certamente non è il solo caso”.

Il boia spinse dentro di lei la quarta sezione, mentre il diametro si allargava sempre di più.

“Questo non è un culo, è un traforo”.

Risate dal pubblico.

“Allora? Cosa devi raccontarci?”.

“Il professore di matematica, la scorsa estate!”.

“Per non farti bocciare, vero?”.

“Sì, certo. Ora basta, non ce la faccio più!”.

“La finiremo quando avrai confessato, troia di merda”.

La quinta scanalatura, e a Sara scappò un urlo.

“Allora?”, chiese il boia

“Due carabinieri”.

Stava soffrendo, era evidente.

“Racconta meglio”.

“Mi hanno fermata in un parco, stavo comprando del fumo”.

“Interessante, e cosa è successo”.

“Sono stati chiari: o gli facevo un pompino, o mi avrebbero arrestata”.

“E tu ovviamente hai ceduto”.

“Sì, certo”.

“Tutti e due?”.

“Sì, tutti e due. Uno dopo l’altro. Ma ti prego basta, non ce la faccio più!”.

Il boia affondò fino alla sesta, omai larga come un polso.

“TI PREGO BASTA!”.

Il boia sorrise e si allontanò, senza tuttavia sfilare il dildo dall’ano di Sara.

Si accostò ad Alex.

“Abbiamo tenuto il paparino per ultimo. Avrei voluto essere più ospitale con te, ma capirai anche tu che di fronte ad una puttana come tua figlia la scelta non si pone”.

Appoggiò la mano sull’inguine di Alex e rise.

“Vedo che anche tu sei bello duro! Ci credo che tua figlia è cresciuta come una mignotta, in casa ha sempre dei cazzi duri attorno a sé!”.

Strappò la tonaca di dosso ad Alex e un attimo dopo lo privò anche dei boxer, esponendo la sua erezione ai figli e al pubblico.

Afferrò con la mano il cazzo di Alex.

“Posso capire tuo figlio che è giovane, ma tu non dovresti eccitarti su tua figlia. È zoccola, va bene, è mignotta, lo capiamo, ma questo non va bene. È necessario punirti”.

Lo sciolse dalla parete e gli legò i polsi alla stessa catena pendente dal soffitto dove qualche minuto prima era legata Sara.

Con una carrucola accorciarono ulteriormente la catena, sollevandolo da terra.

Alex sbattè le gambe, cercando un supporto.

I due inservienti lo soccorsero portando sotto ai suoi piedi due sgabelli, posti però in maniera tale da costringerlo a stare in punta di piedi e con le gambe divaricate.

Il suo cazzo eretto era puntato verso il pubblico; sotto di lui, a pochi centimetri, c’era la testa di Sara, ancora contratta in una smorfia per il dolore.

“Forse ti sarai chiesto cosa stia provando tua figlia in questo momento. Ebbene, non dovrai aspettare molto, perchè lo proverai presto anche tu”.

Subito dopo Alex sentì qualcosa toccarlo tra le natiche, e quando si voltò, pur con i limiti di avere le braccia legate, vide che l’assistente del boia aveva posto sotto di lui una lunga pertica che dal pavimento terminava all’altezza del suo sedere.

Era un palo la cui sommità era sormontata da un dildo identico a quello ora piantato dentro Sara.

“Ora sarai punito Alex, perchè sei un padre di merda. Tua figlia è una mignotta, tuo figlio se la sega e certamente anche tu lo fai”.

Si avvicinò ad una rastrelliera al muro e prese una frusta, poi si spostò alle spalle di Alex.

L’uomo incatenato sentì il morso della frusta sulla schiena  e non riuscì a trattenere un urlo, tuttavia seppe mantenere l’equilibrio e non farsi penetrare dal dildo.

Un altro colpo, che lo fece facillare.

Un altro, veramente doloroso.

Sara lo guardava dalla sua scomoda postazione.

All’ennesimo colpo Alex perse l’equilibrio con il piede destro, e il dildo penetrò di qualche centimetro nel suo ano.

Gli sfuggì un urlo e il suo membro, fino ad un attimo prima ancora eretto, perse tonicità.

Un’altra frustata, evidentemente più forte delle altre, gli fece perdere nuovamente l’equilibrio, questa volta da entrambi i piedi.

Tese immediatamente i muscoli delle braccia per sostenersi, ma questo non gli impedì di ricadere pesantemente sul dildo e provocare un’ulteriore penetrazione.

Sentì il dildo farsi strada attraverso il suo sfintere, dilatandolo come mai gli era capitato.

Gli mancò il fiato.

“Ora sei padrone del tuo destino, papi – lo canzonò il boia – Se avrai fatto tanta palestra forse riuscirai a mantenerti sollevato ed evitare che il dildo ti penetri come una puttana; se invece non ce la farai…”.

Lasciò la frase in sospeso e tornò dal lato opposto, dietro a Sara.

La ragazza aveva ancora il respiro affannoso ed era chiaro che stesse soffrendo.

Il boia le passò un dito su una natica, poi afferrò la base del dildo e glielo sfilò lentamente.

La ragazza emise un lungo sospiro e rilassò i muscoli.

“Giratela!”, ordinò il boia.

I due assistenti sciolsero i legami che legavano polsi e caviglie di Sara, la sollevarono di peso e la coricarono sulla schiena, quindi la immobilizzarono nuovamente.

In quella posizione la sua figa era oscenamente esposta verso il pubblico, il suo viso rivolto verso il padre che stava combattendo contro la gravità e un dildo in plastica.

“Ora avrei bisogno dell’aiuto del pubblico – disse il boia rivolto agli spettatori – Vi faccio prima una domanda: chi di voi si scoperebbe la giovane Sara?”.

Tutti alzarono la mano.

“Lo immaginavo. Chi è il più anziano tra voi?”.

Un tizio senza capelli alzò la mano.

“Io ho sessantasette anni”, dichiarò.

Un altro dietro di lui si alzò in piedi.

“Vinco io, ne ho settantadue!”.

In prima fila un altro, con un paio di vistosi baffoni, sollevò entrambe le mani: “Settantacinque!”.

Il boia attese qualche istante per capire se vi fosse qualche altro candidato, poi invitò l’ultimo uomo a raggiungerlo accanto a Sara.

“Come si chiama?”, chiese il boia.

“Michele”.

“Signor Michele, le piace Sara?”

“Molto”.

“Pensa che sia una zoccola che merita una punizione?”.

“Se fosse mia nipote la prenderei a mazzate”.

“Ma per fortuna non è sua nipote, vero signor Michele?”, chiese con malizia il boia.

“Eh, per fortuna no!”, rispose l’anziano intuendo la piega che la situazione stava prendendo.

Alex vide il petto di Sara sollevarsi rapidamente, segno che la ragazza si stava agitando.

O forse eccitando.

“Da quanto tempo non tocca una ragazza così giovane?”.

Michele alzò le spalle.

“Eh, saranno cinquant’anni! Anche di più!”.

“Allora la tocchi. Dove vuole, si senta libero”.

Il boia fece un passo indietro, come a voler lasciare Miche e Sara soli.

L’uomo, forse per pudore, mise in principio la mano sul piede di Sara, poi la fece risalire lungo la gamba.

Indugiò un attimo sul pube, poi le solleticò la pancia con la punta delle dita.

Sara emise un risolino e tese gli addominali, e un attimo dopo la mano di Michele le copriva il seno.

La ragazza chiuse gli occhi mentre l’uomo la palpava, e sospirò quando anche l’altra mano le afferrò l’altro seno.

Alex assisteva con apprensione alla scena di sua figlia violata da quell’anziano, e fu sconcertato nel notare come il suo corpo stesse reagendo in maniera inaspettata.

Stava avando un’erezione.

Stava avendo un’erezione nonostante il dildo conficcato nel sedere e nonostante sua figlia fosse forse prossima ad uno stupro.

Michele staccò una mano dal seno di Sara e la portò all’inguine della ragazza, penetrandola con un dito.

Sara sospirò.

“Lei, quello di settantadue anni – disse il boia verso il pubblico – venga giù anche lei!”.

L’altro anziano si alzò e – pur con qualche fatica – raggiunse il tavolo di tortura.

“La tocchi anche lei, per piacere”, lo esortò il boia.

L’uomo non si fece pregare e non indugiò in preliminari: poggiò subito una mano sul seno libero di Sara e con l’altra prese a massaggiarle l’interno coscia, mentre Michele continuava a stimolarle la figa con un dito.

“Non sia timido, la sditalini anche lei!”, gli suggerì il boia.

Anche il dito del secondo uomo penetrò nella vagina di Sara, mentre Alex assisteva senza poter opporre resistenza al suo membro che si irrigidiva sempre di più.

“Il signore di sessantasette anni, venga giù anche lei!”.

Nel giro di un paio di minuti anche un terzo dito penetrava dentro Sara, che a quel punto non stava più riuscendo a controllare il proprio corpo: il respiro era affannoso per il piacere, ma allo stesso tempo, cercando di sottrarsi a quei tocchi lascivi e sgraditi, si agitava vanamente nelle corde che la trattenevano.

Qualcuno le mise delle dita in bocca, mani passavano freneticamente sulla sua pelle,un dito le venne introdotto nell’ano senza sapere neppure chi fosse, mentre la sua vagina si bagnava sempre di più.

Quanti erano ormai? Tre, o forse qualcun altro si era unito?

Prese a gemere, sempre più forte.

Stava per venire.

Il boia battè le mani.

“Fermi tutti! Tornate a posto!”.

I tre anziani, pur a malavoglia, staccarono le mani dal corpo di Sara e tornarono a sedersi.

La ragazza, nel frattempo, aveva superato il punto di non ritorno e si stava avviando verso l’orgasmo.

Il boia si abbassò i pantaloni e si posizionò tra le gambe di lei, quindi si tolse anche i bozer.

Analogamente ad Alex, anche lui aveva un’erezione.

Fece un passo avanti e penetrò Sara.

Sulla sala calò il silenzio, rotto solo dai gemiti di Sara e dall’ansimare del boia.

“Puttana, sei una puttana di merda!”, le disse tra i denti, probabilmente senza essere sentito da lei.

Alex sentiva il suo cazzo sempre più duro, e maledisse il fatto di essere legato.

Avesse potuto si sarebbe masturbato, anche di fronte ai figli.

“Sei una mignotta, una zoccola….”.

L’ultimo colpo pelvico mandò Sara in estasi.

“Vengo….”, disse con un filo di voce.

“Vengo”, disse anche il boia ad occhi chiusi.

Alex non disse nulla, ma eiaculò anche lui. Il suo sperma descrisse un arco in aria e andò a depositarsi sul viso di sua figlia, mentre a bocca aperta cercava aria per resistere all’orgasmo.

Dal pubblico si levò un applauso.

Alex guardò l’orologio: era ormai un’ora che stava guidando e nessuno aveva ancora proferito parola.

L’autoradio era sintonizzata su una stazione rock, ma il volume era al minimo.

Gli facevano male la schiena – dove era stato frustato – e l’ano.

Sara, accanto a lui, era rapita dal telefonino, il fratello sul sedile posteriore stava anche lui smanettando.

“Allora?”, disse, più che altro per rompere il silenzio.

“Stavo guardando il sito del castello medievale – rispose Sara senza alzare gli occhi – tra due settimane fanno la caccia alle streghe”.

“E quindi?”.

Lei si voltò verso di lui con un sorriso accattivante.

“Andiamo?”, propose.

Alex sorrise e guardò verso lo specchietto retrovisore.

“Tu che ne dici, Marco?”.

“Per me va bene”, rispose il ragazzo senza distogliere l’attenzione da quanto stava facendo.

“Dai, papà!”, lo implorò Sara.

Alex sospirò.

“E va bene, ci torneremo!”.

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