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Racconti erotici sull'Incesto

la carabela de la tía

By 6 Gennaio 2006Dicembre 16th, 2019No Comments

Non ero proprio convinto che mi sarei ‘riposato e divertito’ accettando l’invito-premio di zia Vera.
Ero stanco, d’accordo, perché avevo affrontato gli esami di maturità con molto impegno, ma non credevo di trovare di che divertirmi a Platja de Aro, dove abitava in una villa, poco lontano da Girona, nei cui pressi era la fabbrica che dirigeva il marito, Stefano. Località di mare, d’accordo, ma a me sorrideva l’idea di andare a Ibiza.
Comunque, se mi fossi trovato proprio male, avrei trovato una scusa per andarmene.
E così, preso un volo low-cost, scesi all’aeroporto di Girona dove era ad attendermi lei, zia Vera. Non la vedevo da un paio d’anni.
Sorella minore di mia madre, aveva trentacinque anni. Li portava benissimo, senza dubbio, e mi sembrava anche vestita più accuratamente del solito. Niente di speciale: un abito di cotone, leggero, a fiori, con gonna ampia e il sopra a ‘portafoglio’. Non era affatto magra, zia Vera, e tutto era molto ben distribuito nei 170 centimetri di altezza. Sandali aperti, occhiali da sole, una borsa di paglia e un sorriso allegro e accogliente.
Mi strinse in un calorosissimo abbraccio, e stampò due schioccanti baci sulle mie guance.
Ero più alto di lei di una decina di centimetri, e mi sorpresi a pensare che non me la ricordavo così simpatica. La guardai, attentamente, tanto che mi chiese cosa avessi da fissare.
Scrollai le spalle senza rispondere.
‘Ma sai che sei proprio un gran bel nipotino, Enrico? Complimenti, anche per la scuola.’
Seguitavo a guardarla, quale era la ‘taglia’ di zia Vera? Così, ad occhio, considerando il seno abbastanza prosperoso e il bacino discretamente largo, ritenevo che potesse essere tra 44 e 46.
Zia Vera si fermò.
‘Allora, nipote, hai finito di esaminarmi? Sono grassottella, lo so. Dovrei calare qualche chilo, perché i miei 60 sono un po’ troppi’ Ci penserò!’
‘Ma cosa dici, zia, stai benissimo. Ti osservavo per ammirarti. Sei bellissima!’
‘Adulatore!’
Prendemmo il bagaglio, ci avviammo all’uscita.
‘Ecco, Enrico, l’auto &egrave lì. Attraversiamo. Elsa e Sergio, los chicos, i bambini, sono a la playa, con la chacha, la tata. Te li ricordi? Elsa, ormai, ha dieci anni, e Sergio cinque. Vedrai, sono vivacissimi.’
Eravamo saliti in auto.
Dopo una mezz’oretta di chiacchiere e guida senza fretta, ci fermammo al cancello della villetta dove era una targa di pietra con incisa, in rosso, una antica caravella, e un nome: ‘la carabela de la t’a’. Zia Vera premette il pulsante del telecomando, entrammo, ci fermammo davanti all’edificio. Ci venne incontro Ines, la colf. Prese il mio bagaglio e mi salutò cordialmente.
Luogo bello, con molto verde, e non lontano dal mare.
‘Vieni, Enrico, la tua camera &egrave di fronte alla nostra, mia e di Stefano. Saliamo. Vorrai rinfrescarti un po’, vero?’
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Sono a Platja de Aro da tre giorni.
Tutti mi trattano affettuosamente, premurosamente. Zia Vera, con le sue attenzioni, le sue manifestazioni amorevoli ed espansive, ha suscitato in me un interesse particolare, favorito dalla sua avvenenza, dalla vicinanza, dal fatto che al mare non si &egrave mai troppo vestiti, e stimolato dalla mia età, dall’essere quasi sempre, per non dire sempre, facilmente eccitabile. Sessualmente, intendo.
Ogni tanto provavo a ripetermi che aveva quasi diciassette anni più di me, che era mia zia, la sorella di mia madre, che ero suo ospite, che forse lei non pensava proprio a me come maschio. Non appena, però, la vedevo così fiorente, con due tette da mordere, il ventre piatto tra fianchi disegnati apposta per fare l’amore ‘diciamo così- ‘birillo’ impazziva, e rischiava di esplodere da un momento all’altro. Cominciava ad essere una imperiosa e improrogabile necessità, fino al punto che iniziai a guardare Ines come possibile ‘facente funzione’. Certo, però, che zia Vera era tutt’altra cosa.
Avevo fatto quasi amicizia con qualche ragazzo e qualche ragazza, alla spiaggia, ed avevo appreso che ‘plantar el arbol en la carabela’ era un modo gergale per dire ‘infilare il pene nella vagina’. Quando, tornando in villa, con zia Vera, lessi quella targa, mi venne spontaneo guardare il grembo di zia Vera, là dove era la sua ‘carabela’ , la ‘carabela de la tia’. E il mio ‘albero’, ‘mi arbol’, dette indubbio segno di essere pronto e impaziente alla bisogna.
Zia Vera notò lo sguardo, che la percorse da capo a piedi, e certamente anche la lievitazione nei miei pantaloncini. Notai un sorriso, sulle sue labbra. La sua mano, affusolata, delicata, mi sfiorò il volto e, con nonchalance, riportandola sulla leva del cambio lambì, come impercettibile carezza, la manifesta evidenza della mia eccitazione. Mi sembrò cogliere, nell’espressione del suo viso, un certo compiacimento. O forse era solo frutto della mia fantasia.
Quando fui sotto la doccia fui tentato di calmare ‘birillo’. Per fortuna l’acqua fredda riuscì a farmi rimandare la cosa.
Fu molto carina, a tavola, durante il leggero pranzo. Mi sorrideva incantevolmente, si chinava verso me per mettermi qualcosa nel piatto, offrendomi l’incantevole visione delle sue floride e sode tette. Chissà perché, ma ero in modo particolare attratto dalle sue labbra, carnose ma non grosse, dal loro naturale colore. Insomma, non ce la facevo più’.
Elsa e Sergio se ne andarono con la tata. Avrebbero fatto un riposino e poi sarebbero tornati in spiaggia. Ines chiese il permesso di potersi assentare per un paio d’ore dopo aver messo tutto in ordine, e chiese se volessimo il caff&egrave.
Zia Vera mi guardò, e mi propose di andare in quella che chiamava la ‘sala giochi’, nel seminterrato, dove si stava freschi e si poteva vedere la TV.
‘Salvo che tu, Enrico, non preferisca fare un pisolino” -sorrise maliziosamente- ”magari per sognare, per ora, le belle ragazze della spiaggia”
Fu spontaneo risponderle che se avessi sognato, certamente avrei sognato lei.
‘Ma io sono qui, Enrico, non hai bisogno di sognarmi.’
Si era alzata.
‘Andiamo giù’. Inés, por favor, el café en la sala de juegos.’
C’era un piacevole fresco, giù. Zia Vera mi indicò una poltrona, lei sedette su uno sgabello, di fronte a me. Dopo poco arrivò Ines col vassoio, zia mi chiese quanto zucchero, le risposi che lo preferivo amaro, mi porse la tazzina. Prendemmo il caff&egrave. Rimettemmo le tazzine sul vassoio.
Zia pose le mani sulle mie ginocchia.
‘Devi dirmi niente, Enrico?’
Era seria, in volto.
La fissai.
‘Ci sono tante cose da dirti, zia, solo che ne avessi il coraggio”
‘Ti metto soggezione?’
‘No, non soggezione, ma un senso di imbarazzo, inquietudine. Forse sarebbe più esatto dire turbamento.’
Mi guardò fissamente.
‘Ti turbo?’
Annuii, senza rispondere.
Si alzò, andò a chiudere la porta, tornò a sedere sullo sgabello.
Era veramente bella, attraente, stimolante.
Seguitò a guardarmi.
In silenzio, senza parlare, abbassò la zip dei pantaloni, trafficò abilmente con la mano, e ‘birillo’, duro e palpitante, si mostrò in tutto il suo vigore.
Zia Vera chinò gli occhi sul mio fallo robusto, sorrise e poi tornò a guardarmi.
Lentamente, si chinò su ‘lui’ abbassò la pelle del glande, e con la lingua lo lambì piano piano, tutto intorno, picchierellò sulla punta, tornò a girarvi intorno. Le sue labbra erano morbide e di fuoco. Si schiusero. ‘Birillo’ si trovò circondato da un calore voluttuoso, e zia cominciò a ciucciarlo, senza fretta, con eccezionale perizia. Succhio lungo. Alzarsi e abbassarsi ritmico della testa. Le afferrai i capelli con una mano.
Lei, mentre con una sorreggeva l’asta che entrava e usciva dalle sue labbra, con l’altra carezzava i testicoli, li palpeggiava, li stringeva’
‘Zia’. sto’.’
Si allontanò nello stesso momento che un poderoso getto di caldo seme sprizzava da ‘birillo’. Con mossa rapida, lo avvolse nel foulard che tolse dal collo.
Mi guardò. Occhi sfolgoranti.
‘Ti &egrave piaciuto, piccolo?’
Annuii, entusiasticamente, appassionatamente.
Sorrise.
‘Ancora turbato?’
Scossi la testa. Non riuscivo a parlare.
Allungai una mano, la infilai nella sua scollatura, afferrai la tetta, strizzai il capezzolo turgido.
Lei si alzò di scatto, venne a sedere sulle mie ginocchia.
S’era alzata la gonna. ‘Birillo’ sempre arzillo, fu accolto tra le sue gambe.
La mia mano quasi le strappò le leggere mutandine. Le carezzò il pube, s’insinuò tra le grandi labbra, sentì il clitoride fremente, carezzò, a lungo, entrando e uscendo, con le dita, dalla sua vagina umida che andava contraendosi sempre più in fretta.
Tremava tutta. Un gemito sfuggiva dalle sue labbra. Poi sembrò pervasa da una furia, sobbalzò senza potersi controllare e fu travolta da un orgasmo che la lasciò quasi senza coscienza.
Respirava profondamente.
Si avvinghiò al mio collo.
‘Mi hai fatto godere come non mai, Enrico bello’. Mi vuoi?’
La baciai appassionatamente, con fervore.
‘Andiamo su.’
Mi prese per mano, la seguii, incantato, senza rendermi esattamente conto di cosa stesse accadendo. Come in un sogno. Bellissimo.
Salimmo, si diresse alla camera che occupavo io, entrammo chiuse la porta a chiave.
Si avvicinò a me, con infinita tenerezza e delicatezza, con occhi estasiati, sbottonò la mia camiciola, me la tolse, abbassò i pantaloni, ancora con la zip aperta, poi i boxer, si chinò per sfilarli dai piedi, dopo averli liberati dai sandali. Ero nudo, e palesemente eccitato, di fronte a lei che mi guardava come affascinata. Muoveva piano la testa.
Fui io, a scuotermi per primo da quell’incantesimo. A mia volta, la liberai della gonna, della blusa. Rimase col reggiseno a balconcino e il minuscolo e sgualcito slip intriso della linfa che aveva distillato durante il suo sconvolgente piacere. Mi avvicinai, slacciai il reggiseno, che cadde al suolo, infilai le dita nello slip e lo feci scendere al pavimento. Alzò, una alla volta, le gambe, per liberarsene.
L’avevo veduta in costume da bagno, zia Vera, ma la visione della sua nudità era tutta un’altra cosa. Forme perfette: seno rigoglioso e sostenuto, glutei perfettamente rotondi, ben divisi, sodi. E il ventre, il ventre, i fianchi!! Proprio come li avevo sempre sognato. Una forma celestiale, fatti per accogliere, una conchiglia, una nicchia. E laggiù, il bosco riccio e scuro che custodiva la più bella ‘carabela’ che avessi mai immaginato.
Mi guardava con nari frementi.
Mi chinai per afferrare un capezzolo con le labbra, suggerlo.
Mi abbracciò, quasi mi trascinò verso il letto, col mio fallo simile a un bompresso impaziente.
Si gettò sul letto, alzò le ginocchia poggiandosi sui talloni, divaricò le gambe.
Era lì, la pinta, negra carabela en espera del ‘rbol maestro, la caravella nera in attesa dell’albero maestro. Il suo petto ansimava, si alzava e si abbassava. Le toccai il grembo, sussultò. Afferrò il mio glande e lo portò, bramosa, alle piccole irrequiete, calde e umide labbra del suo sesso. Inarcò il dorso, mi venne incontro. Affondai in lei e nel contempo salivo alle più elevate vette del piacere.
Avevamo un’intesa incredibile, impensabile per essere la prima volta che ci univamo in un amplesso. Ci guardavamo per trarre piacere dal viso dell’altro, e a propria volta darne.
Sentivo il suo orgasmo avvicinarsi rapidamente, e’. anche il mio’
La guardai interrogativamente. Dovevo sfilarlo?
Sbarrò gli occhi.
‘No, no, bambino bello, non lasciarmi proprio adesso’.’
La sua voce era strana, roca, implorante.
E proprio nello stesso momento, insieme, simultaneamente, le dighe del nostro piacere cedettero e le linfe si unirono per donarci sensazioni paradisiache. La sua vagina mi mungeva; i miei colpi erano decisi, golosi, prepotenti’.
Zia Vera deglutì, più volte. Si scosse, si abbandonò. Poi, aprendo gli occhi, guardandomi dolcemente, forse per non farmelo capire, mi sussurrò:
‘No imaginé que se pudiera follar as’.’
Le baciai gli occhi, la bocca. E avvicinai le labbra al suo orecchio.
‘E’ vero, neanche io immaginavo che si potesse scopare così.’
‘Diavolo d’un ragazzo, capisci lo spagnolo! Doveva restare un pensiero segreto!’
‘Inutile, zietta, ormai non ci sono più segreti tra noi. Tu sei una fata, ed io”
‘Si, tu sei un mago. Mi incanti’.. Incantami ancora’..’
Non c’era bisogno di sollecitazioni.
Il ‘birillo’ era nuovamente pronto, e fu più impetuoso di prima, durò molto più a lungo quel meraviglioso ‘dentro-fuori’, con movimenti lunghi, impetuosi. Sentivo le pareti della vagina contrarsi, il fondo dove batteva il mio glande, e lei sussultare golosamente ad ogni spinta. Un suono roco, incalzante, usciva dalle sue labbra, e riuscii a farla godere più volte, fino a quando parve perdere coscienza di quanto accadeva. Si abbandonò, disfatta, esausta, e solo allora mi scaricai di nuovo in lei, che accolse l’invasione del caldo balsamo con un sorriso estatico, rapito.
Eravamo entrambi completamente paghi. Soddisfatti.
Rimasi su lei a lungo, su guel morbido giaciglio di carne. Poi, ‘birillo’ cominciò a scivolare, lentamente, e mi sdraiai supino, accanto a quella magnifica femmina che mi aveva fatto conoscere cosa fosse veramente l’incontro d’un maschio e d’una femmina.
Si poggiò su un gomito, si voltò verso me, una tetta sul mio petto.
‘Cosa pensi, Enrico, de la carabela de la tia?’
‘Che &egrave bello navigar ‘in’ lei. Non per nulla mi chiamo Enrico, come il navigatore?’
‘Sei spledido bambino bello’ mi vorrai ancora?’
Mi sollevai, avvicinai il volto al suo grembo, lo baciai, incurante delle tracce del nostro godimento.
‘Meravigliosa ‘carabela’, aspettami, in te voglio fare il giro del mondo!’
^^^ ^^^ ^^

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