Skip to main content
OrgiaRacconti di DominazioneRacconti erotici sull'Incesto

Margherita e la vacanza (da incubo) a Viareggio

By 21 Giugno 2018Dicembre 16th, 2019No Comments

Il lavoro al supermercato come cassiera &egrave usurante. Se non provate non potete capire. Alla soglia dei 50 anni non sono più una ragazzina e la stanchezza – fisica e mentale – si fanno sentire. Senza contare le molestie e il mobbing praticato dai miei colleghi e, talvolta, anche da alcuni clienti.

Qualche settimana fa, per fortuna, una mia cara amica di Viareggio mi ha chiesto se volevo andare a casa sua al mare, dato che lei e il marito sarebbero andati a Praga per qualche giorno. Ad una condizione: avrei dovuto tenere d’occhio, di tanto in tanto, il figlio 18enne Mattia. Questa condizione mi spaventò un po’, in considerazione delle mie esperienze poco positive con ragazzini che, in passato, me ne hanno combinate di tutti i colori. Ma la stanchezza e la voglia di mare erano così grandi che questa condizione passò in secondo piano e decisi di accettare, chiedendo se potevo portare con me mia figlia Giulia, con cui ho un pessimo rapporto ma che con un ragazzino in casa mi poteva venir bene a sentirmi meno sola.

Rispetto ai miei primi racconti sulle esperienze di cassiera, Giulia oggi ha 23 anni, &egrave alta 175 cm, ha una 5′ piena di seno e 39,5 di piede. Insomma, &egrave molto più donna di me, che, a parte i miei 49 anni, sono alta 163 cm, porto una 2′ di seno e 36 di piede.
Nonostante il mio fisico minuto, mi reputo ancora una bella donna e non a caso suscito l’interesse di ragazzi anche molto più giovani di me.

Contrariamente alla mia previsione, Giulia decide di accettare il mio invito di passare con lei una settimana a Viareggio e la notizia della presenza del figlio 18enne della mia amica non sembra interessarla.

Un lunedì afoso, quindi, partiamo con i nostri pochi bagagli dalla stazione di Roma Termini alla volta di Viareggio. In considerazione del caldo io indosso una canottiera bianca smanicata e senza reggiseno, dei pantaloni lunghi di lino neri e delle infradito bianche. Mia figlia Giulia, invece, indossa dei sandali beige, degli shorts bianchi e un top rosa che le strizza le tette oltremodo, facendogliele apparire ancora più grosse di quel che già sono. A casa, mentre si vestiva, ho provato a dirle di cambiarsi di maglietta ma lei per tutta risposta mi ha detto:

– “stai zitta stronza e pensa ai tuoi due ciucci da pre-adolescente”.

Rimango offesa e, al contempo, sotto sotto, invidio i suoi seni.

A Roma Termini, appena salite sul treno, io e mia figlia ci siamo accorte che i nostri due biglietti non prevedono posti vicini, addirittura siamo in due vagoni separati. Tutto sommato meglio, penso tra me e me, me ne starò tranquilla per 3/4 ore senza litigare. Prendo posizione al mio posto, lato finestrino, e pochi minuti dopo i restanti tre sedili, come gli altri quattro dall’altro lato del treno, vengono occupati da sette ragazzini chiassosi che non capisco se siano minorenni o appena maggiorenni.
Faccio finta di niente sino a quando, con il treno ancora fermo e l’aria condizionata non funzionante, mi accorgo che il ragazzino davanti a me ha preso a fissarmi con sguardo inequivocabile il mio piccolo seno. Abbasso lo sguardo e mi rendo conto che, complice, il caldo e il sudore che mi sta bagnando la maglietta, i miei piccoli capezzoli spuntano dalla maglia bianca.
Il ragazzino davanti a me sghignazza e dà di gomito al suo amico di fianco. Dopo pochi secondi ho gli sguardi di sette adolescenti o poco più che mi squadrano le tette e non solo. Ridacchiano e…

Comprendo a quel punto con terrore che il viaggio a Viareggio sarà un calvario, non solo per via del caldo… Il viaggio verso Viareggio si rivelò un vero calvario, non solo per la mancanza di aria condizionata sul convoglio.

Il ragazzino davanti a me si era accorto che non indossavo il reggiseno per via del sudore che mi bagnava la maglietta bianca ed evidenziava il contorno delle mie piccole areole mammarie. I sette ragazzini, quasi subito, in stile branco, iniziarono a ridacchiare e a darmi occhiate il cui significato era sin troppo chiaro. Nonostante il caldo soffocante e la tensione crescente cercai di cingermi il più possibile il seno con le braccia per nascondere la visione dei capezzoli, assumendo una posizione goffa. Per tutta risposta i ragazzini, fregandosene della presenza di altri passeggeri, risero più forti.

Quello davanti a me disse forte: – Signora, non si sente bene, ha freddo. Vuole che la scaldiamo?
risate…
– No, sto benissimo, anzi mi viene in mente che mia figlia &egrave in un altro vagone e potrei raggiungerla. Scusatemi, vi faccio alzare.

Come se non mi avessero sentito i ragazzini stettero tutti al loro posto e, quello davanti a me, all’apparenza il più giovane, con fare molto intraprendente, abbassò le mani e mi prese la caviglia destra alzandomi il piede all’altezza del suo inguine. Rimasi impietrita e senza parole, tanto più che lo sguardo degli altri era eloquente e sembrava dire: “Non ti conviene ribellarti”.
Il ragazzino davanti a me sfilò presto la mia infradito bianca rimanendo così con il mio piede in mano. Senza fare passare neppure un secondo, il ragazzino fiondò la sua faccia tra l’alluce e il mio primo dito per poi sussurrare: – che puzza di piedi, puttana!
Ero terrorizzata, nauseata e, paradossalmente, mi vergognavo pure per i miei piedi: avevo camminato a lungo in mattinata con le infradito e le piante erano sporche e sudate…
Ma ancora una volta il flusso dei miei pensieri fu bruscamente interrotto dalla drammaticità dei fatti.
Il ragazzino si era aperto la patta dei pantaloni e aveva tirato fuori il suo coso dai boxer, facendolo combaciare con la pianta sudata del mio piede misura 36. Il cazzo del mio dirimpettaio non era ancora duro, ma sentivo che partiva dal mio tallone e arrivava appena sotto l’attaccatura delle dita. Iniziò un’operazione di “sfregamento” ondulatoria, mentre il suo amico seduto accanto aveva tirato fuori una sacca che si era messo addosso per occultare alla vista degli altri passeggeri le angherie a cui ero sottoposta.
Intanto sotto la mia pianta del piede sentivo il cazzo del ragazzino crescere in lunghezza e larghezza, facendosi durissimo. Cresceva tanto che aveva superato tutta la lunghezza del mio piccolo piede e la cappella svettava prepotente oltre le mie dita. Nel frattempo il ragazzino seduto al mio fianco, facendosi scudo con una felpa, aveva iniziato a infilare una mano dentro i miei pantaloni di lino neri e, spostando un lembo delle mie mutandine, aveva iniziato a muovere due dita sulle mie grandi labbra, vergognosamente umide dopo la vista del membro gigante del ragazzino che continuava a masturbarsi sul mio piede. La masturbazione continuò a lungo, io non capivo più nulla terrorizzata come ero, ma anche (paradossalmente) eccitata dalla situazione di dominio che stavo subendo e dalle due dita che nel frattempo avevo infilate ben dentro la mia fica. Proprio quelle due dita che si muovevano vorticosamente e mi facevano colare umori su umori, rischiavano di farmi mugolare di piacere: mi dovevo sforzare con il massimo impegno, dato che intorno a me c’erano altri passeggeri e temevo si accorgessero di quello che mi stavano combinando i ragazzini. Mi sentivo una puttana, annullata e umiliata. Non sapevo cosa fare, ero come bloccata in preda a un terrore indescrivibile.
Intanto il ragazzino davanti a me stava continuando – ormai da una decina di minuti – a masturbarsi sul mio piedino destro: sentivo il suo membro gigante e pulsante, vedevo la sua cappella enorme’ a un certo punto vidi nitidamente il ragazzino irrigidirsi con il suo corpo e un fiotto di sperma volare via. Successivamente uscì altra sperma calda, che si attaccò alle dita dei miei piedi, colando lungo la pianta.
Pensavo che la tortura fosse finita. Invece tutti gli altri ragazzini si alternarono davanti a me, facendomi subire lo stesso trattamento con i loro cazzi attaccati ai miei piedi. Dopo un’ora di viaggio ero piena di sperma, che i bastardi non si preoccupavano neppure di pulire dai miei piedi. Nel frattempo il ragazzo al mio fianco non aveva più tolto le dita dalla mia fica. Anzi, aveva aggiunto più dita, arrivando sino a quattro e facendomi colare quantità di umori che andavano a inzupparmi il perizoma, i pantaloni di lino e, in parte, il tessuto sporco del sedile del treno.
Il viaggio continuò così, quasi fino a Viareggio. Per fortuna durante tutto il viaggio mia figlia non si fece viva, né di persona né al telefono: in caso contrario, infatti, avrebbero potuto rivolgere le loro attenzioni nei confronti di Giulia, oltretutto più procace e provocante di me.
Prima di arrivare a Viareggio i ragazzini mi umiliarono, ridendo e facendomi numerose foto con il cellulare: ai piedi sporchi di sperma, al mio corpo, al mio viso sgomento.
Quando, prima di alzarsi e andarsene, il ragazzino al mio fianco tolse le dita e la mano da dentro di me, sentii la mia fica slabbrata e indolenzita, oltre che completamente grondante. Da lì a pochi minuti avrei dovuto alzarmi anche io, per raggiungere mia figlia e scendere a Viareggio. Avevo i pantaloni zuppi e non sapevo come fare per nascondere la mia condizione. D’altra parte non avevo molta scelta: la mia vergogna era appena iniziata.

Leave a Reply